- I "manga non giapponesi": il manga è diventato con gli anni un media
culturale importante. Lo stile di disegno tipico dei fumetti giapponesi ha
incantato il mondo e anche in Italia, patria del fumetto Bonelliano, si
producono molti fumetti che per stile e narrativa si ispirano al Sol Levante.
Tra i miei autori preferiti (anche di) "manga italiani" c'è Lrnz con
Golem e Astrogamma (ma ho amato alla follia anche il suo Monolith, è autore
versatilissimo), Luca Vanzella e Luca Genovese con Beta, Vincenzo Filosa con
con il suo Figlio Unico. Poi ci sono autori che si trovano benissimo anche a
disegnare con uno stile "anime", come Boban Pesov che in Nazivegan
Heidi ha ripreso lo stile dell'anime degli anni '70 pensato da Yoichi Kotabe.
Come Igort, che omaggia Tezuka nel suo Yuri. Del resto anche il glorioso
mensile bonelliano Legs Weaver ha spesso utilizzato disegni di ispirazione
manga. Oggi scrivere magna in italiano è meno strano di quello che sembrava
trent'anni fa, ha meno l'aria di un prodotto "tarocco" e, anzi, reca
la consapevolezza di potersi inserire in un filone della letteratura a fumetti
a sé. Oggi vi parlerò di un manga italiano e forse vi parlerò di un altro manga
italiano di qui a poco. Dal mio punto di vista è un genere molto difficile da
gestire senza apparire "finti", dei fanboy di una cultura lontana e
in parte inaccessibile. Chi riesce meglio nei manga non giapponesi è chi evita
di ricalcarne gli stereotipi culturali e va al succo delle storie, al loro
valore più universale.
-
"Bruttino" o solo "ingenuo", ma con alto potenziale: È
per me difficile prendere in mano e ragionare su un prodotto simile. Mi mette
un po' in imbarazzo. L'imbarazzo può declinarsi nel senso di una necessaria condiscendenza da applicare forzosamente (ma senza
cattiveria) alla visione obiettiva del prodotto, in ragione della
inesperienza e giovane età di autori che comunque, dietro a parecchie mancanze,
nascondono delle indubbie potenzialità. L'imbarazzo può rivolgersi, con
meno condiscendenza, a Shockdom, che non ha saputo guidare con un supervisore
interno i due autori, evitando che uno magari si imponesse sull'altro (cosa
che per me è avvenuta) ed evitando di conseguenza al fumetto di cadere nei più
vistosi difetti in termini di dialoghi, di credibilità dei personaggi, di messa
in scena dell'azione. Bastava poco per togliere da Death Shield la patina di
ruvidezza e pruriginosità che avverto, ma può essere che fosse una scelta
consapevole della casa editrice, anche in ragione del pubblico principale cui
l'opera è stata destinata. Mangaka96 e JoJo sono due famosi youtubers con
alle spalle fan che li conoscono e apprezzano i loro lavori. Fan che avrebbero
comunque comprato a scatola chiusa qualunque cosa che sentissero genuinamente
legato, anche nelle ingenuità, ai due autori. Ed è un vero peccato, perché
Death Shield, se curato di più da Shockdom, poteva offrire molto di più di
quello che effettivamente è, tanto dal punto di vista visivo che
contenutistico.
Cercherò
di analizzare Death Shield, conscio e fiducioso del fatto che dietro a questo
titolo il potenziale c'è davvero e che molte cose che ho avvertito come poco
curate si possono ancora cambiare in corso d'opera, nei prossimi
numeri in uscita dal 2020 e in una eventuale seconda edizione.
- Il contesto, in positivo: Alla base di Death Shield c'è un'idea di fondo
davvero non male, con un suo fascino oscuro, con delle implicazioni narrative
e visive non banali che potrebbero portare allo sviluppo di un racconto dal
sapore "nolaniano", sul senso del tempo e sul ruolo dell'uomo al suo
interno.
In breve
la trama di base dalle primissime pagine, senza particolari spoiler.
Esistono
persone che sanno prevedere gli eventi di morte che li riguardano in una
frazione di tempo che gli permette di evitarli. Qualcuno di "losco e
potente" si è accorto di loro e ha deciso di sfruttarli. Queste persone
speciali vengono quindi in qualche modo scovate e "forzosamente"
addestrate in stato di semi-reclusione da un'organizzazione, la Death
Shield, che li intende usare come "guardie del corpo" da
affiancare a ricchi criminali in situazioni ad alto rischio per
l'incolumità.
Strappati
dalla loro precedente vita, questi "speciali" (se fossimo in un
gioco di ruolo giapponese li chiamerei "counters") vivono all'interno
di una enorme struttura/fortezza dall'aspetto asettico, dove le relazioni umane
sono limitate e concentrate al solo momento dei pasti, all'addestramento e alle
missioni sul campo.
La
capacità di manipolare il tempo viene quindi incatenata a un ambiente di
vita dove ogni aspetto è prevedibile, in cui il tempo è contingentato, ciclico,
rinchiuso nei ritmi scanditi da un timer che, a seconda delle ore della
giornata, permette agli speciali, perennemente osservati dalle
telecamere, di utilizzare un ascensore che, a seconda dei dati inseriti in un
chip sottocutaneo, li dirige a piani diversi della struttura per svolgere
attività prefissate. La ribellione è evitata da un complicato gioco di schemi
che impediscono che si trovino più di due o tre persone nello stesso
luogo.
La
storia segue le vicende di un ragazzo, Kris, prelevato dalla Death Shield mentre
era in cerca di lavoro al termine di un percorso di studi universitari. Insieme
a lui veniva prelevata una ragazza che Kris aveva iniziato a conoscere da
alcuni giorni.
È una
trama stimolante, peccato che la maggior parte dei dettagli sopra esposto siano
presentato sotto forma di un pensante spiegone di quattro pagine che compare un
po' a tradimento nel terzo capitolo. A ogni modo il manga ha l'indubbio merito
di leggersi veloce e "stimolare". Si muovono molte domande nella
testa del lettore.
Quali
saranno le basi in ragione delle quali la Death Shield seleziona i suoi agenti?
Sono davvero persone qualsiasi questi agenti? Sono in qualche modo stati
"creati"? Sono delle persone "morte e poi risorte"
come in Gantz? Quante sono le spie che si muovono tra gli agenti, per
sorvegliarli? Qualcuna di queste spie si può confondere con i loro amici? In
cosa consiste davvero l'addestramento? Quali effetti sociali può avere sul
lungo periodo lo stato di reclusione cui sono sottoposti, alternato a uno
stile di vita che stimola l'insorgere di azioni violente? È possibile che anche
le ribellioni siano in qualche modo previste e magari accettate in vista di
selezionare gli agenti più letali?
Death
Shield è "tutto sospeso", fa dubitare di ogni pagina e dietro le apparenti
illogicità della trama potrebbe nascondersi una svolta narrativa interessante.
- Il
contesto, in negativo: Death
Shield è "tutto sospeso", fa dubitare di ogni pagina e dietro le
apparenti illogicità della trama potrebbe "non" nascondersi una svolta
narrativa interessante. Ma questo per ora non possiamo ancora saperlo. Come
direbbe il mio amato Arthur Block: "Se non è rotto non ripararlo". E
alla fine di davvero irreparabile al mondo non c'è nulla, figuriamoci i
fumetti. Può essere benissimo che molti dei difetti che ho riscontrato nella
mia lettura non si riveleranno tali in ragione di nuove pagine di futura
pubblicazione che aggiusteranno il tiro.
Tuttavia,
allo stato della seconda uscita, dal punto di vista narrativo, riscontro per il
mio particolare gusto tre aspetti critici: un linguaggio molto povero, troppa
fretta nella narrazione e un grave disinteresse per i dettagli descrittivi di
personaggi e ambienti.
Il
linguaggio è l'abito delle parole che dona coerenza e credibilità a un
contesto. Ogni autore può esprimersi come preferisce, ma se vuole conferire
credibilità a quello che racconta deve compiere delle diversificazioni. In
specie nei contesti più formalizzati in ambito tecnologico, gerarchico o
sociale, dovrebbe sviluppare un lessico adeguato per ogni contesto.
Mangaka96 dà voce a un Kris dalla fosca descrizione culturale, ma che si
esprime come un ragazzetto di 11 anni (che in un contesto miliare dice
"vado ad allenarmi" come se andasse in piscina a fare vasche libere,
quando dovrebbe per lo meno dire per un'attività che implica la presenza
di un istruttore "Ho due ore di addestramento" oppure
"Ho lezione con il maestro"), parolaccesco (il richiamo del membro
maschile non è sempre giustificato) e pure un po' burino ("A ma', io
esco"), con soliloqui degni del rapper-Fedez prima maniera e i suoi
riferimenti al "sorbetto" (come la fantasia di Kris, dalle assonanze
visive "falliche", di essere mangiato come "quel brutto
panino" dalle labbra della ragazza "buona" da poco incontrata).
Il dramma è che nessuno dei personaggi in scena sembra parlare e soprattutto
pensare diversamente da un pre-adolescente. Tutti undicenni.
Se il
lessico si può affinare, la fretta è da sempre cattiva consigliera e non
permette di mettere a fuoco gli aspetti narrativi che davvero contano. Ci
dovrebbe essere un giusto equilibrio nella narrazione tra quello che è giusto
rimanga misterioso del contesto, per essere poi con il tempo svelato (narrazione verticale), e quello che deve necessariamente essere raccontato sui
singoli personaggi, periodicamente, per farci empatizzare con loro a qualsiasi
livello (narrazione orizzontale). Se manca questo equilibrio descrittivo, i
personaggi perdono progressivamente di qualsiasi interesse per il lettore e
subito dopo la storia generale, anche se interessante, crolla. L'impressione
generale, supportata da quanto emerge dalle interviste in rete, è che l'autore
voglia bruciare ogni tipo di tappa intermedia della narrazione orizzontale,
ritenuta "banale" (SPOILER come il fatto del titolo di
studio non ragione del quale Kris cerca lavoro, che invece per me può essere
importante per farmi capire perché in quattro mesi diventerà una super spia
FINE SPOILER), per inseguire
forzosamente la narrazione verticale, il "colpo di scena figo" a
chiusura di un arco narrativo del manga. Opinione suffragata dal
formato dei volumi, con il secondo tre volte più lungo per "completare
l'arco narrativo". L'effetto, un po' grottesco, è assimilabile a una
barzelletta raccontata da una persona che per la foga di arrivare alla battuta
finale, l'unico momento che per lui è importante, biascica tutta la parte
centrale. Come venderti un film solo per la premessa e i dieci minuti che
anticipano i titoli di coda. E proprio come avviene nelle barzellette,
combinato al terzo limite della narrazione di questo fumetto, la scarsa
attenzione ai dettagli, molti personaggi di Death Shield (ma anche
aspetti cruciali come la comprensione e gestione del tema portante o
"superpotere" centrale nella trama) diventano giusto "funzioni",
delle etichette che fungono da sterile pretesto per arrivare a un risultato
finale. E la cosa spesso è pure peggio di come può inizialmente apparire,
quando risulta chiaro che per alcuni personaggi secondari e situazioni il
protagonista e l'autore dimostrano meno attenzione ed empatia che per i
fantasmini che un Gamer deve affrontare in Pacman!
SPOILER nel secondo volume il
nostro protagonista si sottopone a un "allenamento" di quattro mesi
in "non si capisce cosa", visto che alla prima missione sul campo gli
viene data in mano una pistola ed è chiaro che è la prima volta che ne vede
una. Poi, per attirare l'attenzione del "cattivo" (cattivo che non
si spiega perché sia cattivo, avendo tutte le possibilità e modi diversi di
convincere pacificamente le persone a fare un lavoro che di fatto li valorizza
come X-men e riempie di soldi) inizia come un ninja spietato (forse a questo
sono serviti i quattro mesi di "allenamento"?) a uccidere fuori
campo (nei "bagni senza telecamere" di una struttura che dovrebbe
tracciare h24 con gps sottocutanei i movimenti di ogni persona
presente... e nessuno lo sgama!!) un numero imprecisato di persone. È una
"informazione che ci viene data". Lui uccide unicamente, un
casino di volte, perché il cattivo, esasperato, decida di confrontarsi
con lui per farlo smettere. Si vede che in altri modi il cattivo non lo avrebbe
mai cagato, deve essere uno che non risponde su WhatsApp. Certo poi il
manga non chiarisce a livello di dilemma morale (magari esprimendo come
si senta il protagonista nello sterminare, alla fine, persone come lui) né spiega a livello pratico come abbia potuto il protagonista fare una tale
strage (essendo inoltre di fatto persone che dovrebbero prevedere la morte come
lui, non spiega manco come li ha sconfitti). Una serie di morti senza volto e
senza nome utilizzati come sms dall'eroe del manga FINE SPOILER
Può un terzo volume
riparare a tutto? Di fatto un terzo volume potrebbe essere insufficiente a
spiegare la metà dei comportamenti inspiegabili/disumani raccontati nel secondo
volume, ma magari ce la fa. Quello che per ora posso fare, per salvare capra e
cavoli, è "buttarla sull'introspezione", sul meta-testuale.
SPOILER e allora, rileggendo gli
stessi eventi descritti sopra, magari immaginando scenari autobiografici
dell'autore, Death Shield è la metafora della vita di un ragazzo che si
affaccia per la prima volta sul mondo del lavoro. Viene costretto a vivere in
posti che magari odia o non comprende (come le bianche e labirintiche pareti
anonime dello stabile della Death Shield, con spazi e alienanti routine che si
ripetono ogni giorno). Scopre che la sua preparazione non è adeguata alle sue
mansioni (la storia delle pistole con cui non si è mai
"allenato" per quattro mesi). Si trova costretto a superare (in un
certo senso magari "uccidere moralmente") i colleghi di ufficio
per attirare l'attenzione del capoufficio (che come spesso accade è uno stronzo
senza che ci sia alla base una vera ragione, per cui è inutile approfondirlo
ulteriormente). FINE SPOILER
Nel meta-testuale tutto,
in fondo, come sempre, può trovare un senso.
- Il
disegno. Non so se sia per i tempi ristretti di realizzazione o per un
particolare gusto che JoJo esprime nelle sue tavole, ma visivamente Death
Shield risulta per me un po' fuori contesto. JoJo presenta qui uno stile che
ricorda da vicino un elegante yahoi. Una grande cura nella rappresentazione di
bellissimi volti e corpi maschili (di contro le donne rappresentate quasi alla
stregua di inavvicinabili ed eteree madonnine in gesso per il 90% e zozze
intente in pose lascive per il 10%), un'autentica ossessione per i dettagli
delle pettinature, i vestiti e scarpe di ogni personaggio. Un interesse
del tutto sfumato (che però non significa "sciatto", quanto
piuttosto "stilizzato") per tutto il resto, che siano veicoli,
ambienti, prospettive e scene d'azione. Tanti primi piani, alcune immagini a
figura intera particolarmente espressive, rari "oggetti di scena" o
costruzioni paesaggistiche sullo sfondo. È uno stile visivo con dei suoi
indubbi meriti nell'ambito della immediatezza della lettura e della espressività
emotiva dei personaggi, mi ha ricordato alle volte qualcosa delle Clamp e per
la caratterizzazione dei personaggi uno stile visivo squisitamente vintage, da
anime anni '90 come Vampire Princess Miyu o Pet Shop of Horrors. Solo che è uno
stile che appunto trovo adatto a un contesto di stampo sentimentale, adeguato
anche a storie di stampo investigativo o horror, ma poco duttile alle scene
action. Scene action che in Death Shield infatti latitano e che quando
diventano "obbligatorie", ai fini della trama, sono effettivamente un
problema. Ora, il modo in cui l'azione al 90% rimane al di fuori delle tavole
del fumetto, soprattutto se parliamo di un fumetto in cui si parla di
"deviare la morte" nel contesto di scene action a base di arti marziali
e pistole, mi dà l'impressione che sia un bel problema. Un problema
che non si presentava se i protagonisti, al posto di prevedere la
morte, utilizzavano un'arma diversa e che non implicava di fatto scene
action coreografate colpo su colpo, con magari una specifica attenzione tattica
all'ambiente circostante. Magari potevano usare un libro come nel più famoso
manga di Obata. Magari potevano usare i poteri mentali come in Scanners. Hanno
scelto la strada più difficile, probabilmente senza fare prima dei test sulla
resa delle scene action. Senza badare alla fatica di creare scene action con
uno stile visivo che all'action si addice pochissimo.
SPOILER c'è una scena nel secondo
volume in cui disegnatore e autore dei testi si mettono concretamente in gioco
per spiegare, con dialoghi e movimenti, il modo di combattere della Death
Shield. È la scena di Gus durante la prima missione sul campo di Kris. È una scena
complicata a livello ideale, ma che viene risolta brillantemente con la voce
narrante di Gus. È il momento per me più interessante alla lettura finora. È
tuttora l'unica scena nel fumetto che illustri chiaramente il modo di
combattere degli agenti Death Shield, ma anche la dimostrazione che quando
vogliono i due autori sanno ingranare la marcia giusta. Non è chiaro però
quanto tempo gli sia stato necessario per aver quel risultato. Immagino sia
stato molto, visto che, ripeto, è una delle rarissime scene action presenti.
Forse una scena che ha comportato "troppo sforzo". Non vorrei pensare
male (e azzeccarci) pensando che la scelta di non far vedere tutti i
combattimenti di Kris della seconda metà del capitolo 2, come la scelta di
mettere "quattro mesi dopo" per non approfondire visivamente il
precedente periodo di allenamento di Kris, siano forzature per eludere
l'incapacità di scrivere o disegnare queste parti. Un circolo vizioso kafkiano,
se si pensa che nessuno ha prescritto agli autori di narrare una storia action.
È come un fumetto sul calcio che si affronta con la paura di rappresentare una
partita di calcio... "Cui prodest?" Medea nel celebre
dramma di Seneca (facendo eco a un tormentone di Gene Gnocchi dei primi anni '90) direbbe "cui prodest scelus, si fecit" FINE SPOILER
-
Finale: Death Shield ha delle potenzialità ma anche delle asprezze in ambito di
scrittura e disegno. Forse sarebbe necessario implementare lo staff con
qualche elemento in più, su tutti un supervisore che, se già c'è, deve essere
più "presente ai lavori".
Non
vorrei che l'idea di realizzare un manga per JoJo e Mangaka96 fosse stata più
un'esperienza di sfida "organizzativa" a se stessi. Nel senso di
provare a scrivere e disegnare nei tempi stretti propri delle produzioni
giapponesi, sentire il fiato sul collo per le scadenze, non dormire la notte,
mischiare vita reale e lavoro in una unica e ardita visione di "arte
totale". Li implorerei fin da ora di prendersi una lunga pausa di
riflessione, riorganizzarsi e concentrarsi sul realizzare la metà delle pagine
del secondo volume in almeno il doppio del tempo che hanno dedicato al secondo
volume, dando un reale peso e valore a ogni aspetto narrativo e a ogni scena di
azione.
Non
vorrei che la condiscendenza con cui la maggior parte dei loro
lettori/fan/amici ha accolto il lavoro gli abbia dato la sensazione che quello
che hanno fatto funzioni davvero. Voglio dargli un paio di consigli che ritengo
in linea alle scelte visive e narrative che hanno già preso. Per migliorare le
scene action e le prospettive nelle tavole, consiglio un volume Bonelli,
Tex: la valle del terrore, con i disegni di Roberto "Magnus" Raviola.
Non ve ne pentirete. Per dare carattere (e un po' di
decadenza) alle scenografie della torre consiglio gli spunti che offre
Domu, Sogni di bambini di Otomo. Per le meccaniche degli "scontri
precognitivi" può essere interessante la lettura di Vagabond di Inoue (nella specie l'arco dello scontro contro Inshun della scuola Hozoin, in cui uno
scontro si svolge a livello mentale prima che venga elaborato un unico e
decisivo colpo) e magari per il gun-fight Sanctuary di Ikegami (dove le armi
da fuoco sono spesso incorniciate in tavole in perfetto equilibrio con uno
stile visivo che sottolinea l'eleganza dei protagonisti).
Non è
banale trovare un soggetto interessante come quello di Death Shield.
Non è
banale saper scrivere un fumetto che ti invoglia a leggerlo tutto di filato.
Non è
banale uno stile grafico che punta molto sull'espressività dei volti e riesce
con le copertine a catturare l'attenzione del pubblico.
Si può e
deve migliorare, in tutto. Ma tanto di cappello a quanto di buono si è già
realizzato.
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