sabato 27 febbraio 2021

Dragonero il ribelle n. 16: Il volo delle viverne - la nostra recensione!



(Sinossi fatta male) Ce lo chiede l’Erondar: il futuro deve essere più green. Allora mettiamo da parte quei palloni aerostatici tecnocrati spaziosi ma sicuramente inquinanti e diamo il ben tornato ai mezzi di trasporto aereo a trazione animale più amati: le viverne! Guadagniamo una vita più all’aria aperta, favoriamo l’allevamento sostenibile a chilometro zero e con tutta la cacca di viverna che pioverà dall’alto dei cieli su terreni coltivabili potremmo, perché no, dare una spinta pure a un'agricoltura che possa tornare fieramente alle sementi biologiche. Canticchiando “dalle pietre sonore non nasce niente, ma dalla pupù di viverna nascono i fior”, adattando liberamente “Via del campo” di De Andrè, il nostro Ian decide così il nuovo ambizioso obiettivo per dare slancio alla ribellione, la svolta ecologista. Si immagina già milioni di posti di lavoro nel florido ed esaltante campo dell’inseminazione assistita e addestramento delle viverne da battaglia. Perché chiunque nell’Erondar, di nascosto, ambisce a estrarre secondo tradizione, a mano, da “megapolli volanti“, maschi e in cattività, il seme che sarà, sempre a mano, fatto fecondare nei pertugi più inenarrabili di una viverna femmina. Che nella pratica è un'attività avventurosa simile a riempire il serbatoio di una Freccia Tricolore mentre si attorciglia in volo acrobatico. Uno sporco lavoro ma che permette poi di avere le viverne addestrate che tutti sognano, con cavalcature confortevoli di tappeto naturale fatto di calde e accoglienti piume che manco la lana Merinos. Mettere in soffitta le vecchie, dure e poco ergonomiche cavalcature di sauro per una viverna è un investimento che dà solide certezze. 



Certo, dopo che nel numero 51 del fumetto gli elfi oscuri hanno buttato giù il mega-allevamento imperiale di viverne di Roccabruna, quello gestito dal cugino di Krang delle Tartarughe Ninja, bisogna cercare altrove i polli volanti, andare sul territorio, cercare i nidi. Così Ian, sua sorella e Gmor prendono spavaldamente la versione tecnocrate di un traghetto turistico del lago di Como e partono per la classica gita per anziani del sabato mattina presto, a fare bird-watching. La travolgente missione fa sentire Ian così vecchio, che già nelle prime pagine si ritrova di colpo con un calo della vista, che gli impone l’uso di un paio di  occhiali di fortuna. Allo stesso modo Gmor si trova con evidenti problemi di memoria a breve termine a non ricordare eventi di neanche un pomeriggio prima, che gli vengono prontamente riproposti in un flashback il cui contenuto dimentica prima della fine della narrazione. Prima che Myrna incominci ad accusare i primi segni dell’artrite, l’arzilla comitiva giunge a destinazione: un eco-parco tutto per le viverne, gestito, guarda tu il caso, proprio dal cugino di Krang delle Tartarughe Ninja, quello che non vedevamo da tanto tempo. Ma il vecchio amico avrà ancora voglia di maneggiare il seme di viverna tra le parti anatomicamente più intime di questi megapolli, come un funambolo appeso ad un aeroplano?



(Chi ha detto “Chocobo”?) C’è tutta una letteratura fantasy in tema di “allevamento di qualcosa”,  che sfiora I racconti di Terramare, Harry Potter, Shannara ed Eragon, passa per i giochi di ruolo alla Final Fantasy, incrocia Avatar e naturalmente insegna “Come allevare e accudire un drago”. La storia proposta da Luca Enoch per questo numero ci porta giusto dalle parti dei romanzi di Cressida Cowell, trasposti in sala da Dreamworks nella saga Dragontrainer, anche se gli animali fantastici in questo caso sono coperti da piume. Anche qui ci sono creature più grandi che fungono da guida del branco, c’è un nido gigantesco e possiamo godere di raffinate scene di comunicazione inter-specie e combattimento aereo frutto della collaborazione tra la creatura e chi la cavalca. Ma il racconto sa offrire un piano in più, ossia la prospettiva di guardare tutto il mondo di Dragonero dall’alto. Come quando nel classico gioco di ruolo giapponese si “sblocca” la possibilità di spostarsi velocemente tra luoghi lontani della world-map, spesso a cavallo di un drago. 



(La notte vola) Torniamo a un certo punto della narrazione alla fine del numero 51 e scopriamo “cosa è successo dopo” alla imponente viverna conosciuta come la Grande Madre. La vediamo in viaggio verso una nuova casa, sorvolare luoghi che abbiamo imparato a riconoscere negli anni di pubblicazione del fumetto. È molto bello e ci fa tornare alla memoria quella world map che capeggiava nel primo periodo della testata su ogni numero e che oggi ci manca un po’ di più. Intanto la trama della ribellione avanza, le pedine dello scacchiere si spostano e iniziano ad affiorare le strategie più nascoste, spie e rivelazioni che rendono il quadro ancora più affascinante. È un bel racconto, che si divide paritariamente tra azione e sviluppo dei personaggi, dando il giusto spazio a una figura complessa e sfaccettata come l’allenatore di viverne. Un racconto carico di infinite e magnifiche viverne, disegnate con dovizia di dettagli da uno straordinario Salvatore Porcaro che riesce a infondere in loro la stessa potenza, fierezza plastica e aggressività delle creature fantasy disegnate dal recentemente scomparso, ma indimenticabile, Richard Corben. Sono creature vive, guizzanti nelle loro muscolature tese, al contempo leggere come gazzelle e feroci come tigri mentre si librano nell’aria e si gettano in picchiata su una preda. Per metterci idealmente nella prospettiva di questi nobili animali, Porcaro estremizza la “gabbia bonelliana”, lavora sulla verticalità e vertigine delle tavole, come sceglie di allargare all’infinito l’orizzonte visivo attraverso inquadrature allungatissime, oltre il formato “cinemascope”. Siamo in volo come Icaro verso il sole e il pericolo di cadere ci viene costantemente evocato dal “buio” di tavole fortemente inchiostrate, dense, poco luminose, cariche di ombre opprimenti che ci portano psicologicamente dritti a precipitare nel nero del suolo. L’oscurità è onnipresente, ma nelle tavole più liriche e “magiche” riesce a sfumarsi e scomporsi in nebbia, attraverso un complesso uso delle ombreggiature a mano. L’azione è costantemente racchiusa in questa tensione tra cielo e terra, luce e buio. Se una viverna sotto il sole appare come una sorta di angelo, quando rimane all’ombra di una caverna acquista i contorni inquietanti di un demone e così fanno anche i personaggi di questa storia, solari o cupi a seconda dei giochi di luce di Porcaro. 

(Coda) Facendo leva su un tema un po’ insolito e su tavole “vertiginose” quanto ricchissime di dettagli, il numero 16 di Dragonero - Il Ribelle ci ha appassionato e portato in luoghi nuovi quanto conosciuti. La macro-trama si sta muovendo a passi sempre più spediti e non vediamo davvero l’ora di affrontare la lettura dei prossimi numeri. 

Talk0

lunedì 22 febbraio 2021

Willy's Wonderland - il trailer del “nuovo” film (non) ispirato a Five Nights at Freddy’s con Nicholas Cage - facciamoci 4 chiacchiere!

(Premessa 1: un videogame gestionale con i pupazzi che spaventano macina soldi) Five Nights at Freddy’s è un piccolo videogame indipendente creato da Scott Cawthon nell’agosto del 2014, ma perfetto oggi come gioco “da cellulare”, diventato a oggi una serie con all’attivo più di dieci seguiti, svariati riconoscimento dei critici, un successo internazionale di pubblico e una significativa montagnetta di dollari in crescita grazie agli introiti delle copie vendute tutt’ora, negli store di digital download, disponibili praticamente per tutti i modelli di computer, console e, ovviamente, dispositivi mobile. Una macchina da soldi che è però solo la punta dell’iceberg del vero profitto, quello che arriva dal merchandising, al suo “brand”. Ma facciamo un passo indietro.


Il gioco, un survival “gestionale”, mette il giocatore nei panni del guardiano notturno di un luogo di intrattenimento misterioso chiamato Freddy Fazbear’s Plaza (nota: questa tipologia di locali in America sono chiamati “Family Entertainment Center” o “Fun center”. Come le “Fun House” sono delle case del terrore da lunapark, con all’interno scenografie e attori a tema horror, i fun center sono il loro corrispettivo per i bambini, con pupazzi buffi e sale per la musica e le feste di compleanno al posto di zombie e cimiteri di cartapesta), popolato da pupazzi animatronici usati per intrattenere i bambini. Tipo Uan, Four e Five in Fininvest, pace all’anima loro, ma più tecnologici, mossi da intelligenza artificiale e dall’interno robotico sotto il pelo. Per questioni misteriose che saranno chiarite in modo spesso criptico durante le avventure videoludiche, i pupazzi, durante la notte, vengono rinchiusi e sorvegliati. Questo perché prendono vita e diventano violenti, possono abbastanza facilmente arrivare ad attaccare. Attraverso telecamere, sensori di movimento ed esche sonore, il guardiano deve sorvegliare questi leoni in gabbia, cercando di contenerli dal tramonto all’alba. Cinque giorni al Freddy’s e si viene pagati bene, a patto che si sia ancora vivi. Scopo del gioco è sostenere la baracca in un periodo di tempo determinato da un orologio: finito “il turno” si passa al giorno e livello successivo. Il succo dell’attività del giocatore è gestire da una schermata (prevalentemente statica) all’altra alcuni pannelli di controllo del sistema di sorveglianza, con occhi e orecchi tese, evitando che i pupazzoni arrivino alla sala dei bottoni decretando il game over istantaneo. Un game over che è forse il cuore del successo del titolo, con il pupazzo di turno realizzato in computer grafica che compare all’improvviso urlandoci addosso un “bu bu settete” da incubo. È un gioco di nervi, di bottoni e di bu bu settete, zero azione alla Rambo o di fatto qualsiasi azione che possa far alzare il sederone del nostro eroe dalla scrivania. È un gioco difficilotto, anche perché i nostri “avversari” sono spesso imprevedibili e letali fin dai primi livelli, a monte di controlli che non danno mai la sensazione di funzionare benissimo. Negli anni è stata migliorata la responsività dei comandi, la grafica generale, la chiarezza dei comandi delle consolle, ma resta un gioco frustrante, noto, seguito e “collezionato” (spesso mai davvero giocati e tenuti in raccolta a mo' di cimelio anche da gente che conosco... roba che però fa comunque introito!!) principalmente per gli youtubers e twitcher che “giocano al posto dei giocatori” da anni, facendo le facce buffe e terrorizzate all’occorrenza. Le dirette streaming di questi giochini sanno diventare quindi un piccolo “contenuto horror” gradito al pubblico, nonostante il gioco sia in sé altamente migliorabile, proprio per la messa in scena peculiare e la estremamente curata rappresentazione dei pupazzi animatronici. Sono dolci quanto straordinariamente inquietanti, una miscela “creepy“ unica e psicologicamente dai danni ancora non calcolabili sugli spettatori più giovani, principalmente per la sovrapposizione, in questi mattacchioni digitali, di un’immagine buffa e legata all’infanzia a quella di mostri inquietanti che appaiono all’improvviso facendo morire di paura. Vedo già le mamme chiedere le restrizioni di movimento all’orsacchiotto del figlio che ora lo fissa terrorizzato: “non più vicino di 30 metri”. Sono forse negli incubi dei bambini “i nuovi pagliacci”. Ma torniamo a noi. Questi pupazzi “buffospaventosi” sono le star di una infinita serie branderizza di magliette, poster, pupazzi che riproducono a loro volta i pupazzi, gli immancabili Funko Pop, spille, capi d’abbigliamento, libri, fumetti, lampade, cover di cellulare e tutto il resto che potete immaginare e non, considerando che si parla comunque di un game horror “virtualmente (non) destinato ai più piccoli”. Ma una linea-scuola non mi stupirebbe. Diciamo che un’idea bella come questa fa gola, anche a chi vorrebbe potervi vendere un’idea “simile”, diciamo. 



(Premessa 2: Film con pupazzi che spaventano) In tutto questo, diranno i miei piccoli lettori, dov’è che arrivano i “soldi veri” del cinema e serie tv, ossia i media che potrebbero rendere i pupazzi di Freddy popolari quanti i Pokémon??! Torniamo a Scott Cawthon, l’ideatore del gioco. Il nostro e corteggiato da anni dalle major per una trasposizione in qualsiasi forma, che sia serie Tv, cinema, spettacoli televisivi. 

Sulla barca sono saliti in tanti. Nel 2015 fu la Warner Bros direttamente all’indomani dell’uscita del primo videogame della serie, ad aprire le danze legando il progetto a Seth Grahame - Smith. L’autore di Orgoglio e Pregiudizio Zombie, sceneggiatore di Dark Shadows e di Abramo Lincoln cacciatore di vampiri, all’epoca inseguì a lungo la collaborazione con Cawthon, disposto a scrivere e produrre insieme. Il regista doveva essere Gil Kenan, che si era fatto le ossa con un altro horror per ragazzini, Monster House. Cawthon entusiasta in un primo momento e poi terrorizzato, cincischiò, “non era ancora pronto” per dare il giusto lustro al film basati sul suo “capolavoro“, anche perché la storia del gioco non era nella sua testa ancora finita, doveva lavorarci ancora. Tutti tornano in panchina “in attesa di aggiornamenti” con il rammarico di non aver concretizzato un progetto che sentivano nelle proprie corde. Kenan va al remake di Poltergeist, dove si concentra molto sulle scene di un pagliaccio giocattolo che si anima all’improvviso e poi attacca i bambini. Seth Grahame-Smith si dà, tra le varie cose (come il film su It, e due righe fa parlavamo di pagliacci inquietanti), ai film sui Lego (quello su Batman e quello su Ninjago), che in fondo sono rappresentati come giocattoli senzienti, e nel 2019 produrrà il remake di Bambola Assassina, dove il nuovo “Chuky” è alla base un pupazzo animatronico con intelligenza artificiale.




Nel 2017 Cawthon si dichiara deluso dal mondo del cinema a gennaio, a marzo riporta di avere nuovi contatti con la Blumhouse e a luglio Kenan dichiara di essersi rotto le balle e lascia che a dirigere sia un altro. Febbraio 2018, sale come regista Chris Columbus, autore esperto e regista impeccabile, con alle spalle un “survival con bambini” come Mamma ho perso l’aereo e la sceneggiature di Gremlins, per citare qualcosa di ugualmente survival, ma con il plus dei mostriciattoli carini come possono essere quelli di Five Nights at Freddy’s. Chris Columbus aspetta ad agosto per leggere la prima bozza della pellicola scritta da Cawthon, che a settembre tweeta che la produzione del film è avviata e sarà il tutto nelle sale per il 2020. Poi a novembre, sempre del 2018, Cawthon ci ripensa, la sceneggiatura ora gli fa cagare, va riscritta tutto da capo, il film ritarderà un po’. In assenza di ulteriori crisi di Cawthon, Jason Blum di Blumhouse prende quindi la parola nel luglio 2020 e poi il 20 novembre dello stesso anno, annunciando che il film dovrebbe uscire ancora, che dovrebbe essere “ancora vivo”. Lo stesso giorno Cawthon su Reddit annuncia che le riprese inizieranno nella primavera 2021, ma lasciando la porta aperta sullo script, definendolo lo “script Mike” senza precisare se sia la versione della sceneggiatura che ama di più tra quelle realizzate. Sarà la volta buona? Intanto...


(Il film horror delle Banana Split) è il primo (non) film ispirato a Five Nights at Freddy’s. Quando si cincischia su una buona idea, può capitare che qualcuno abbia voglia di raccoglierla in qualche modo. La serie tv Banana Split, prodotta da Hanna e Barbera nel 1968 e arrivata pure da noi intorno agli anni ‘80, ha goduto nel 2008 di una nuova edizione a marchio Warner Bros e nel 2019 ha ricevuto la trasposizione a film per il canale Syfy. La regista Danishka Esterhaz ha realizzato Io ero Lorena Bobbit, che parla di una nota vicenda horror spaventosa per ogni maschietto, ma anche episodi della serie tv antologica Channel Zero. Tutta la troupe è stata dietro a robe come la serie tv di Raven e una roba che si chiama Vagrant Virgin, ma tra i credits dei produttori figurano anche chicche come Fido, uno zombie movie dall’anime vintage che spesso danno su Rai4, il nuovo film del “Leprecauno” e udite udite l’ultimo/reboot film legato alla saga di Critters, del 2019, Critters Attack!, dal 20 agosto 2020 in italiano su Sky. Se la serie originale è uno show per bambini con pupazzi animati, il film prodotto da Syfy con tutto il cast di Vagrant Virgin è un horror. Una famiglia per il compleanno della più piccina va negli Studios dove realizzano da sempre lo Show delle Banana Split in un momento cruciale: la cancellazione del programma a causa dei bassi ascolti. Il cast si ribella, ma quelli che fanno peggio sono i pupazzi dello show. In passato erano attori con un costume, ma ora sono degli animatroni con intelligenza artificiale... come i pupazzi di Five Nights at Freddy’s!! Seguono inseguimenti sul set abbandonato, reso lugubre al calare delle tenebre, con i Banana Split armati e sul piede di guerra. Non sono i pupazzi inventati da Cawthon, ma la storia potrebbe essere il perfetto (anche se ovviamente non il solo)  prequel della situazione che precede il gioco Five Nights at Freddy’s. L’elemento-chiave dei pupazzi “decaduti” che si muovono al buio c’è tutto, così come l’atmosfera generale. Il film è una divertente “poverata”, ma dimostra quanto era buona e duttile l’idea di fondo. Ed è piaciuto molto per quanti riguarda i numeri dello streaming.

(Ed eccoci al punto... ci abbiamo giusto messo una ventina di minuti. Meno del solito, trovate?). 

La storia del film, in uscita in America il 12 febbraio, si riassume rapidamente.

Nick Cage è un vagabondo che viene assunto come guardiano notturno in un family center di un paesino del Nevada. Presto scopre che di notte i pupazzi animatronici del locale si animano e cercano di ucciderlo. Dovrà difendersi e difendere un gruppo di ragazzini che sono entrati di straforo nel luogo. 

Il film era stato annunciato nell’ottobre del 2019 dall’etichetta indipendente americano-canadese Screen Media Films, a cui dobbiamo perle come Jeepers Creepers 3 e Blood and Money con Tom Berengher, ma soprattutto il magnifico L’uomo che uccise Don Chisciotte di Terry Gillian, capolavoro recensito anche sul nostro blog.

La sceneggiatura è di G.O.Parsons, attore di Criminal Minds al suo secondo lavoro ai testi. Il direttore della fotografia ha lavorato tra le altre cose al musical su O.J.Simpson, O.J. The musical, che non conoscevo, ma anche ad Heroes, dove ha realizzato un lavoro pazzesco. Il budget è di 5milioni di dollari e Cage è tra i produttori. Sembra un film piccolo piccolo, con “energia giovane”, il trailer è divertente, con un po’ di azione, pupazzi assassini, pieno di colori. Tutta roba da valutare nel post visione, sia chiaro. Ma c’è l’energia giusta e il ricordiamo premio Oscar Nicholas Cage, uno che quando si innamora di un progetto il film se lo mangia e lo riempie di stile. Il buon Nick è un amante di questo genere di film di nicchia ma dall’animo ultra-pop, incrociamo le dita.

(Finale) Riuscirà Cawthon a dare l’OK definitivo per girare Five Nights at Freddy’s nella primavera 2021? Usciranno nel mentre altri film che gli copiano l’idea? Vi faremo sapere. Talk0

sabato 20 febbraio 2021

Antrum - il film più maledetto mai girato, ora su Amazon Plus - la nostra recensione!

 


(Sinossi fatta male) Alla fine degli anni ‘70 è stato girato da qualche parte tra le selve oscure della Bulgaria un piccolo, ma letalissimo, film horror in lingua inglese.

Partiamo dal “piccolo film”. La storia, semplice ma curata, ci parla di due fratelli, armati di tenda ed entusiasmo, in giro per campi sterrati e alberi adunchi, intenti a realizzare uno strano rito. Il fratello più piccolo, Nathan (Rowan Smyth), è triste per la morte della sua cagnolona Maxime, ma soprattutto per l’anatema scagliato contro quest’ultima da sua madre: “Maxime non andrà in paradiso perché è stata un cane cattivo”. La sorella più grande, Oralee (Nicole Tompkins), organizza tutta una messinscena per convincere il fratellino che si può salvare l’anima di Maxime, facendola ascendere in cielo, attraverso una serie di azioni da compiere, tra la tavola Ouija e la caccia al tesoro, in quello che definisce l’Antrum, il passaggio per l’inferno, comodamente situato nel boschetto vicino a casa. Oralee per convincere Nathan si inventa addirittura tutto un libro illustrato di suo pugno, artisticamente notevole e rilegato, quasi gothic/punk, con tutte le istruzioni su come arrivare all’inferno e salvare la cagnolona, peccato che i due fratellini finiscano a giocare in un posto dove i riti satanici si fanno per davvero, per di più popolato da gente parecchio inquietante e amante della tortura di innocenti, praticata con l’uso di pentole/prigioni a forma di diavoli realizzati in rame finemente lavorato. Riusciranno i fratellini a non finire nel pentolone di Belzebu?



E qui arriviamo alla nomea di film “letale”. Attraverso un breve, accorto, intelligente ed interessantissimo documentario a inizio pellicola, davvero ritmato e ben girato, si parla di come l’ultima copia esistente di Antrum sia finita nelle mani di questi due registi, David Amito e Michael Laicini, dopo che la distribuzione della pellicola, secondo le interviste di addetti ai lavori “reali” e a resoconti storici “realistici”, avrebbe causato un mare di morti tra chi ha provato a vedere la stessa dagli anni ‘70 ad oggi. Critici stroncati poche ore dopo la visione ancora con la tazzina alzata al bar, per attacco di cuore improvviso stile Death Note. Cinema di Budapest  in cui era proiettato e dove le poltroncine, usurate dal cinema degli anni ‘70 e ‘80 in cui entravi in sala in una nube composta dalle sigarette, hanno preso inspiegabilmente fuoco. Gente che si è scannata dopo che un proiezionista diventa burlone e un po’ cretino, e pure assassino, ha deciso di mettere nei pop corn l’lsd e chiudere a chiave la porta di uscita. Ce n'è di ogni, tutto narrato in uno stile allusivo/complottista/scettico/satirico, compreso l’assalto mortale di uno spettatore da parte di un innocuissimo e rarissimo pesce-roccia, che dai fondali oceanici di colpo va a fare un giro a bordo spiaggia. 

Dopo che hanno detto per un quarto d’ora quanto Antrum porti sfiga e di fatto abbiano tutti gli esercenti e festival voluto disfarsi della pellicola quanto prima, nel documentario si aggiunge che questa ultima e rarissima copia, messa in vendita da in tizio misterioso in un contesto misteriosissimo, sia stata pure manipolata da un ancora più misteriosissimo anonimo satanista assassino e pazzo, ma incredibile esperto di post produzione video, che l’ha rimontata insieme alla pellicola di uno  snuff movie con dentro probabili omicidi e si è pure curato di riempire questo mixone di girato, frammento dopo frammento, a mano, con la determinazione e la dovizia di un monaco trecentesco, di uno sterminato numero di pentacoli, scritte in lingue antico e in genere tutto quello che serve per evocare Belzebu durante la vostra visione domestica e farvelo trovare a fianco sul divano. A mangiare i pop corn con voi, in meno di 30 minuti. Meglio del Deliveroo. A questo punto, finito il documentato con in testa più di qualche gigantesco dubbio, tocca vedersi il film. Ma prima ecco un bel minaccioso disclamer a confondere di nuovo le acque: una schermata nera in cui la produzione avverte gli spettatori che sono solo cacchi loro se vogliono vedere un film maledetto, che porta sfiga e pieno di roba satanica. Loro la responsabilità non se la pigliano se vi ritrovate a mangiare pop corn all’LSD, vi va a fuoco il divano del nonno, vi infartate dopo un caffè o vi spunta dal water con aria omicida un pesce-pietra! Inoltre, per assicurare gli spettatori che devono essere davvero consci della possibile cazzata cui vanno incontro, parte uno strategico e comodo timer di 60 secondi per permettere di scappare dalla visione finché si è in tempo. Siete così temerari da affrontare la visione di Antrum? Non temete di essere morsi all’improvviso dal pesce pietra, che vi  può compare all’improvviso tra le chiappe mentre Belzebu, sul vostro divano, inizia a rubarvi i pop corn?


(Quando un film fa paura solo per il fatto che “qualcuno ti dice che fa paura” e ti convinci?)

Esistono film di paura che generano malessere, te li porti negli incubi. Alcuni possono colpire di più un certo tipo di platea, come Inside di Bustillo e Maury che si sconsiglia con forza a ogni donna che sta per partorire. Altri possono spaventare di più chi crede in una specifica religione, come l’Esorcista di Friedkin, che ha all’epoca pure beneficiato della “benedizione papale” che certificava come le pratiche esorcistiche fossero ancora praticate e accessibili tramite patentino e corsi di formazione didattica che pure oggi si praticano in via ufficiale (ne parla il film Il Rito, con Hopkins). Poi ci sono film davvero strani e più inquietanti del dovuto per le vicissitudini della produzione o perché sono morti in modo strano i membri del cast, come Poltergeist di Tob Hooper. 

Ci sono poi film che fanno paura anche con un limitatissimo (ma spesso cruciale) carico di scene macabre o angosciose, giocando tutto sulla angoscia di far sentire lo spettatore impotente, senza scampo, come Martyrs di Pascal Laugier, Rosemary’s Baby di Roman Polanski, Midsommar di Ari Aster. Poi ci sono film che non capisci perché dovrebbero far paura, dove il meccanismo è spesso palesato come farlocco in un attimo per le mille ragioni che il “buonsenso ti urla dentro“ e invece riescono a istillate una paura maledetta, per la strana forza evocativa di cui sono pregni “nonostante tutto”, muovendosi sul terreno inquieto del “e se fosse pur, nel caso di una volta su dieci milioni, una storia reale?”. 

La prendo alla lontana e per cominciare senza parlare neanche di un film. 

Ho un ricordo molto vivido della mia vacanza-studio a Bath, in Inghilterra, durante i mondiali di calcio di Italia ‘90. Eravamo un gruppo di ragazzini stipati in una camerata di un posto tipo Hogwarts e la notte, in assenza di temerari in grado di incendiare le scorregge (che avrei anni dopo incontrato in caserma), facevamo le prove di coraggio in salsa horror. Tra noi c’era un tipo che si chiamava tipo Zagor, di origine gitana, esperto di occulto, oui-Ja, evocazioni. Un tipo simpaticissimo e a suo modo carismatico, un trascinatore. Una notte, allo scoccare di non so che ora magica, dopo un paio di monate folcloristiche con la monetina, scrisse su uno specchio, con dentifricio Aquafresh,  un minaccioso “satanarum”. Così, tipo al genitivo plurale, perché sì. Ovviamente quello che seguì fu che non successe un cazzo, ma la strizza era nell’aria! Ogni rumorino, immagino sempre prodotto da quel buontempone di Zagor, faceva sussultare una ventina di ragazzini, subito pronti a fissare lo specchio marchiato con quel genitivo plurale latino “satanarum”, pensando facesse la sua comparsa un demone. Non fosse altro per cazziare qualcuno della formula sgrammaticata, come il professore di latino del liceo. Questo aspetto di evocazione/burla rendeva difficile la già difficoltosa digestione di una gigante doppia mozzarella di Pizza Hut, ma sai che emozione!



Anni dopo arriva in sala Blair Witch Project, il film con i tizi che cercano in un bosco una strega assassina usando delle telecamere a mano per documentare tutto in tempo reale. La pubblicità, che parla del film più terrificante mai girato, arriva a dire che non è nemmeno una pellicola confezionata convenzionalmente, ma il resoconto fedele di un fatto vero di cronaca con tizi morti male mentre stavano nel bosco. Tipo che la telecamera è stata “L’ultima sopravvissuta” a essere ritrovata in quel bosco e magari ha inquadrato la strega assassina negli ‘80 minuti di girato. Roba che se scorgi la strega tra le immagini, dietro a un pioppo o ad abete della California, magari muori pure tu al cinema. Passano 80 minuti e il film, che è pure girato in modo interessante, finisce. La strega non si vede mai, ma è una fortuna! Metti che ci malediceva!!  Abbiamo fatto bene ad andare al cinema per nasconderci sotto le poltroncine al primo sussulto di camera di quello che sembra a un occhio “distratto” solo un filmino sul trekking nei boschi!

Ultimo salto, Paranormal Activity, di nuovo il film più spaventoso mai girato, di nuovo mi trovo in una sala convinta di affrontare il demonio con il suo coraggio, incapace in questo caso di stare zitta per 7 secondi e urlando minacce al grande schermo tipo: “Guarda ’sta cagata che ha spaventato l’America!! Non ce la fai con noi di Milano, sfigata!!”. Quello che si vede sono due tizi che dormono mentre si riprendono con una telecamera ad infrarossi. La tizia della coppia quando è “indemoniata”, per ragioni peculiari come per il fatto che il film è girato con un budget di 60 euro, si alza dal letto e di fatto si limita a stare ferma in piedi. Magari ciondolando un po’. Uno stare in piedi che mette una dannata paura. Tutto molto suggestivo se pensiamo che stiamo vedendo una telecamera di sorveglianza fissa immaginando chissà che cosa tra i rivoli dell’inquadratura, magari cercando di scorgere dei diavoli invisibili (che appariranno nell’ultimo capitolo della saga, anni dopo, in brutta computer grafica) con la sala che urla a ogni scena in cui una mosca passa davanti all’obiettivo, per poi sfidarla a parole a riprovarci “se ne ha il coraggio”. Ci si crede anche se non ci si crede: pura magia del cinema. 

(“Ricordati che devi morire“. Cit.) Ed eccoci ad Antrum. Antrum è raccontato al pubblico come un film maledetto di fine anni ‘70, che “muori se lo vedi”. Affrontarlo senza sapere niente dei reali antefatti dietro alla pellicola è una ripida montagna russa nella paura. Antrum usa una particolare colonna sonora con tonalità che rendono disturbante e angoscioso l’ascolto, davvero suggestiva e che mette in luce le capacità di Alicia Frickter. Gli attori sono bravi e credibili, compresi “quelli della parte documentaristica“, che sono veri giornalisti che si sono prestati al gioco, confermando come Amito e Laicini conoscano la tv quanto i documentari. Tra i produttori c’è l’intraprendente Eric Sanada Thirteen, che ha saputo ripescare Rob Zombie dopo la depressione post Le streghe di Salem, finanziando il suo 31



Ha una fotografia desaturata, dai toni autunnali e dalla costruzione visiva sempre chiara ad opera di Maksymilian Milczarczyk. Tempesta la retina di immagini subliminali di diavoli, pentacoli, scritte in lingue morte in post-produzione video curata in casa. Tempesta i timpani con le voci cavernose che si premurano di introdurci ogni singolo capitolo, con il nome di regioni dell’inferno, in cui la vicenda è suddivisa, realizzate dalla stessa Frickter con un alteratore di voce.

Sai che è tutto finto, ma è un finto fatto bene. 

Hai la sensazione che il film ti guardi, che il diavolone cornuto guardi davvero te, spettatore aspirante suicida che vuoi provare l’ebbrezza del film maledetto, senza curarsi troppo della trama generale, è questa è una piccola rivoluzione. Potrebbe essere proiettato in sottofondo anche un film dei puffi, perché è la pellicola l’oggetto maledetto, non specificamente il film che la contiene. La pellicola e gli infiniti trucchi che usa per comunicare con noi, percorrendo il grottesco ma mai oltre il limite dello stile. Anche se giocoforza qui si parla sempre di un “film horror sottostante”, ben girato e raccontato, e non un film dei Puffi. E ho scoperto come la paura è così ben narrata, nel documentario che apre la pellicola, da persuadere alcuni a stoppare la visione durante quel terribile e geniale countdown di un minuto, che può essere inteso come puro marketing aggressivo ma funziona. Antrum sa instillare paura, fa sentire in colpa chi lo guarda non necessariamente informato e tende per questo a diffondersi sulla popolazione amante dell’horror, almeno quanto farebbe la famosa videocassetta di The Ring se fosse vera. Il mito del “film che uccide o fa stare male”, che è vecchio ma sempre attuale come Georges Melies, passando da Deodato, Carpenter e poi nel J-horror, tra i mille film (e campagne pubblicitarie ad hoc) sul tema, sale che si premuniscono di sacchetti per il vomito, medici di emergenza e forze dell’ordine nella tradizione del matinee, arriva con Antrum a un nuovo livello, quello on-demand, smaterializzando sala, oggetto malefico e pubblico, disarcionando la parte narrativa del medium cinematografico del suo ruolo centrale e offrendo una esperienza più vicina a un allestimento di teatro post moderno. Ma tutto questo, che si riconosce qualitativamente validissimo, funziona bene?



(Dipende) Alla fine si arriva sempre al discorso dei gusti, perché anche con Antrum il genere horror manifesta la sua essenza divisiva sul pubblico. C’è chi ama il documentario (anche se è più corretto parlare di “mocumentario”) e trova il resto del film “troppo lento“. C’è chi vorrebbe il film senza filtri satanici e diavoli in sovrimpressione perché “è già bello così” ed in effetti tutti ‘sti pentacoli del diavolo a uno particolarmente religioso possono anche un po’ irritare. C’è chi al minuto due “è tutta una supercazzola” e inizia a ridere. Da amante del genere horror, specie delle atmosfere folk-horror, voglio dire che mi è piaciuto, tanto sul piano visivo che recitativo che sonoro. Forse i pentacolini mi sono venuti un po’ a noia però, dopo il 72esimo. L’atmosfera è quella di una favola nera, il bosco è vivo e pieno di creature che strisciano nell’ombra, le immagini subliminali e il suono provocano un assalto sensoriale poderoso e crudele. Non è un film per tutti, ma è ben confezionato e non banale. Anche il “cuore narrativo“, il viaggio iniziatico per salvare l’anima del cane, utilizza una sensibilità nell’affrontare il tema del lutto che non è scontata, riproponendo, seppure in modo fantasy, la filosofia di alcuni percorsi terapici basati sull’avvicinamento positivo dell’uomo alla natura nei momenti più difficili. La storia è quindi ben fatta e gli “orpelli aggiuntivi”, al netto di una certa invadenza, riescono effettivamente a dare un passo solenne quando terrificante al tutto.

Può essere alla fine sono un “satanarum”, un tarocco sgrammaticato ma fatto “di cuore”, soprattutto nella sua parte più “psichedelica”, ma Antrum il suo lavoro sporco lo fa, anche riuscendo a essere originale. 

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giovedì 18 febbraio 2021

Star - parte il nuovo canale della piattaforma Disney +



Il sesto canale di Disney +

C’è stato un tempo in cui ci sembrava difficile vedere sotto la bandiera “adatta a tutte le età” di Disney prodotti come Deadpool e Alien, ma oggi inizia l’avventura di Star e noi siamo stati così fortunati da riuscire a partecipare all’evento “virtuale“ della sua inaugurazione.

Quello che segue sono quindi le nostre impressioni a caldo.

Il canale “adulto” del pacchetto Disney Plus “Star” andrà ad affiancare da fine febbraio gli altri 5 canali tematici della piattaforma, ossia “classici Disney“, “Pixar“, “Marvel cinematic Universe“, “Star Wars“ e “National Geographic”. Star presenterà un’ ampia offerta, tra cui sono comprese produzioni  dei canali di ABC e Hulu e il vasto listino della acquisita 20th Century Fox, permettendo quindi a noi vecchi appassionati di fantascienza non solo di godere delle saghe di Avatar, Alien, Predator e X-Men, ma anche aspettarci futuri spin-off legati a questi brand. È una autentica rivoluzione nella filosofia della piattaforma Disney, centrata da sempre su prodotti dedicati prevalentemente all’infanzia e ai ragazzi, che riesce a espandersi ai più grandicelli anche in ragione di nuove modalità di accesso dei contenuti streaming. Attraverso nuove funzioni di parental control basate su un sistema di codici di accesso riservati e gestibili liberamente dai genitori, la piattaforma permette infatti ai più piccoli di godere di prodotti a loro dedicati in sicurezza, esattamente come prima. Con questa implementazione arriva su Star anche un cospicuo numero di grandi classici della storia dei cinema, da Titanic a Braveheart, così come sono state inserite serie Tv amatissime come Grey’s anatomy e Modern Family, per un totale di più di 400 pellicole e 60.000 episodi tv. 

 


Tra poco in streaming

 

Parte dell’offerta è costituita dai nuovi contenuti espressamente pensati per il canale, gli “Star Original”. Titoli internazionali ma anche italiani, alcuni dei quali accessibili già dal 23 marzo. Ecco un piccolo elenco delle prime novità. 

 

Big Sky 




Da David E. Kelley, autore di Big Little Lies, arriva Big Sky un thriller drammatico basato sul libro “The Highway” di C.J. Box, per ora da noi ancora inedito (in Italia di questo autore sono editi  da Piemme “L’ultimo giorno del lupo” e  “Un angolo di paradiso”). La scomparsa di due ragazze porta un detective “scalcinato” ad indagare ai margini dell’autostrada che costeggia i boschi del Montana, tra camionisti e luoghi desolati, mettendolo forse sulle tracce di un serial killer. Sembra molto interessante. 

 

Love, Victor



Spin-off del film di grande successo Tuo, Simon, in originale Love, Simon, tratto dal libro “Non so chi sei, ma io sono qui” di Becky Albertalli. La serie ha già all’attivo su suolo americano due stagioni per un totale di 20 puntate. Love, Victor è una serie di stampo scolastico-sentimentale che parla, come del resto il film, della difficoltà di riconoscersi omosessuali, nella specie durante un momento della crescita molto complicato come l’adolescenza. Tra il timore di non trovare approvazione presso i propri genitori, i compagni di classe, i bulli, le amicizie a distanza tramite internet, lo studio e le prospettive per il futuro, Love, Victor è la piccola l’epopea di un ragazzo all’ultimo anno del liceo alla ricerca del proprio posto nel mondo. 

 

Solar opposites 



Creata da Justin Roiland, uno dei folli autori del cartoon Rick e Morty, e da Mike McMaham, Solar Opposite è una sit-com animata su quattro alieni che scappano dalla distruzione del loro pianeta per insediarsi sulla Terra. Tra chi è pro o contro l’integrazione con i terrestri, il gruppo forse potrebbe distruggere il nostro pianeta per terraformarlo da un momento all’altro. E forse lo farà. Per ora sono pronti 8 episodi da una ventina di minuti. Lo stile, tra Rick e Morty ( solo partendo dagli occhi stralunati dei personaggi) e Spongebob (gli alieni sembrano i “pesci” di Spongebob) è inconfondibile e spassoso. 

 

Helstorm 



Serie nata sul canale Hulu, ispirata ai fumetti horror di Marvel con protagonisti Daimon e Satana Hellstorm.  Helstorm, con una “L” sola, realizzata dallo stesso showrunner di Agent of SHIElD, è però staccata dal Marvel Cinematic Universe, anche per questioni relative al target cui le storie originali erano destinate, diventando per Marvel parte di un progetto parallelo destinato a un pubblico adulto denominato “Adventure into fear”. Progetto che avrebbe coinvolto anche una serie “per adulti” di Ghost Rider, ma che ha subito uno stop anche per le complicazioni della produzione dovute al periodo covid. Con già prodotta una prima serie, Helstorm è un progetto per il momento ancora misterioso, in bilico, che deve in qualche modo essere testato a livello internazionale. Se avrà successo potrebbe fare da apripista a molte altre opere “horror” tratte dai fumetti Marvel, magari la Legion of Monsters è dietro l’angolo.

 

Godfather of Harlem



La storia, in 10 puntate, del boss del crimine di New York Bumpy Johnson, quando negli anni sessanta del vecchio secolo fece la guerra al clan dei Genovese e incontrò sul suo cammino Malcom X. Nel cast Forrest Whitaker, Paul Sorvino, Giancarlo Esposito e Vincent D’Onofrio. Non vediamo l’ora di parlarvene di più.  

 

Prossimamente

Prossimamente su Star approderanno anche nuove serie, realizzate anche con cast e produzioni italiane e internazionali. Sono progetti recentissimi o ancora in lavorazione per i quali è stato possibile conoscere solo pochi dettagli. Per il momento ci è stato possibile “sbirciare” queste tre proposte. 

 

The good mothers

Basata sul libro di Alex Perry, The good mothers: The true story of the women who took on the world’s most powerful mafia, la serie ripercorre la storia del procuratore Alessandra Cerreti dopo gli eventi del 2009 relativi alla scomparsa di Lea Garofalo, in cui era indagato il suo ragazzo, affiliato alla ’Ndrangheta. Il procuratore, agendo fuori dagli schemi portò le mogli, le madri e le figlie dei malavitosi a collaborare con la giustizia, creando sulla base della solidarietà femminile un modo nuovo di combattere il sistema. Sarà una serie in 6 parti.

 

Le fate ignoranti 

La serie prende le mosse dall’omonimo e celebre film scritto e diretto da Ferzan Ozpetek, che più di 20 anni fa riscosse un enorme successo e fu molto importante per ampliare il dibattito sul tema della omosessualità. Secondo le parole dello stesso Ozpetek,  la miniserie intende attualizzarne il tema principale, evolverlo. Se all’epoca al centro del racconto c’era il tradimento “nascosto” di un marito defunto per un altro uomo, che sconvolgeva la visione che la moglie aveva sempre avuto del marito, oggi, in un periodo in cui l’omosessualità è mediaticamente più presente e socialmente più accettata, Ozpetek vuole raccontare il tema del tradimento da un punto di vista diverso, più viscerale e forse più “cattivo”, raccontando  un rapporto di coppia e fiducia che si frantuma a causa più di interessi “spicci”, “professionali”, quanto legati al mondo dell’arte, degli artisti e della cultura italiana. Come in Napoli Velata le bellezze italiche avranno quindi un ruolo centrale all’interno della narrazione. 8 puntate previste, cast per ora blindatissimo. Una puntata sarà girata anche in Tunisia. 

 

Boris - la quarta serie! 

Nata nel 2007 come serie tv originale di Wilder per il canale di Fox Italia e poi assurta ad un successo di stampo quasi “mitologico“, Boris, scritta da Giacomo Ciarrapico, Luca Vendeuscolo e Mattia Torre, è una delle serie tv più amate di sempre. Al centro della storia c’è la sgangherata troupe di una altrettanto sgangherata serie tv, un po’ soap opera e un po’ medical drama, dal titolo “Gli occhi del cuore”. Seguendo il punto di vista del nuovo stagista Alessandro (Alessandro Tiberi), che inizia a muoversi sul set insieme allo “stagista-schiavo” Lorenzo (Carlo Luca de Ruggieri), conosciamo, puntata dopo puntata, backstage dopo backstage, la variopinta brigata guidata dallo stralunato e umorale regista Renee Ferretti (Francesco Pannofino), che dirige ispirato dal suo pesce rosso Boris. Dalla brusca assistente alla regia Arianna (Caterina Guzzanti) allo “psichedelico” direttore della fotografia Duccio (Ninni Bruschetta), dall’addetto alle luci burino Biascica (Paolo Calabresi) all’ambiguo responsabile di produzione Lopez (Antonio Catani). Dall’attore egocentrico Stanis (Pietro Sermonti) alla attrice “cagna” Corinna (Carolina Crescentini), alla attrice “raccomandata e assenteista” Cristina (Eugenia Costantini), all’attrice “raccomandata zozza” Karin (Karin Proia), passando per la “linea comica” Nando Martellone (Massimiliano Bruno) e l’attore “pazzo e pericoloso“ Mariano (Corrado Guzzanti). E questi sono solo alcuni degli indimenticabili personaggi di quella che è stata la più riuscita, gustosa  e feroce critica a un certo modo di fare tv (vorrei dire ””"del passato”””) da parte dei “poteri forti”, tra influenze politiche, “argomenti problematici per il pubblico”, attori e maestranze incapaci ma soprattutto tanta titanica voglia di “portare a casa lo sporco lavoro”. Abbiamo aspettato per anni una stagione 4 e finalmente con Star saremo accontentati, anche se non ci saranno più purtroppo nella brigata la segretaria di edizione Itala di Roberta Fiorentini e uno dei tre grandi costruttori della serie Boris,  Mattia Torre, scomparsi di recente. Sembra che il tema centrale della quarta stagione saranno i telefilm all’epica dello streaming. Non vediamo letteralmente l’ora. 

 

Sono ancora tantissime le sorprese da svelare e non vediamo l’ora di comunicarvele quanto prima! 

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domenica 14 febbraio 2021

Mom and Dad: la recensione di una piccola gemma b-movie horror, diretta da Brian Taylor, con Nicholas Cage grande protagonista.



(sinossi fatta male) Esiste in natura un impulso psico-biologico alla difesa dei bambini. Il Doctor Oz (lui in persona nella pellicola!!) ci parla però di come, sempre in natura, alcuni animali, come i maiali, possano nutrire un inspiegabile desiderio di uccidere la propria prole non ancora svezzata. E se quell’impulso dovesse per qualche ragione, come un attacco biologico, non funzionare più per gli esseri umani? Se i genitori iniziassero a nutrire di colpo il desiderio di uccidere i propri figli?

Avviene così nella classica provincia americana, con le case tutte ordinate e immerse nel verde come in Edward Mani di Forbice, che di colpo, verso l’ora di pranzo, un nutrito gruppo di genitori si trovi alle porte di una scuola, in impaziente attesa apparentemente di portare a casa i propri ragazzi adolescenti. Le porte cedono e inizia la mattanza, lì come ovunque nel paese, con i telegiornali che riportano la bizzarra notizia e le forze dell’ordine che cercano di imbastire un quanto più veloce coprifuoco. Torniamo un attimo indietro. In una casetta nel verde abita una famiglia come tante. Un papà (Nicholas Cage), una mamma (Selma Blair), una figlia adolescente ribelle (Anne Winters) e un bambino più piccolo (Zackary Arthur) con la passione degli elicotteri e i dinosauri. Papà va in ufficio ricordando quando da giovane faceva gli ovali con la sua muscle-car, che ora dorme in garage, con le tette di una ragazza che gli sballonzolavano in faccia mentre era al volante felice. Mamma va a fare aerobica in palestra con una amica con cui si sente troppo vecchia per essere ancora giovane, discorrendo di figlie che usano, o potrebbero usare, i loro portafogli come dei bancomat. Vite tranquille quanto poco esaltanti che di colpo trovano un colpevole: i figli. Ora, con il mondo impazzito, i loro figli sono in fuga, insieme al fidanzatino di lei (Damon Hall). Con la certezza che tutti i genitori impazziti attaccano solo i propri figli, ma è meglio non avvicinare in questo momento un adulto per nessuna ragione, inizia la fuga per la sopravvivenza. Non prima di essere passati da casa. 



(La genitorialità declinata agli “zombie movie”): Un’idea semplice quanto gustosa, un home-invasion in salsa “familiare“, in grado di stimolare un dibattito oltre che offrire una novantina di minuti pieni di azione, black humor e qualche incursione nel gore. Il punto interessante sono gli elementi che ci pone il film per comprendere il momento che i genitori impazziscono, sbottano e diventano dei pazzi invasati “classici” dello zombie-movie (zombie e invasati rientrano per comodità nello stesso genere ai giorni nostri con pellicole come 28 giorni dopo o il fumetto Crossed di Ennis, anche se i puristi invocheranno per gli invasati il capostipite La città verrà distrutta all’alba di Romero, sempre papà degli zombie). Entrano in gioco meccanismi psicologici noti del rapporto genitori-figli, da sempre oggetto di studio e supporto specialistico, come fattori socio-culturali legati qui in specie alla società americana (come un gustoso momento di critica sull’uso e custodia domestica delle armi da fuoco per difesa personale e la sublimazione di strumenti domestici pericolosi e lì diffusissimi come i coltelli elettrici, che avrete visto in più di un film sul giorno del Ringraziamento). Quindi come è iniziato tutto? Terroristi? La televisione con un segnale strano? Una fase lunare in trigono con Urano?  Una specie di effetto primordiale sopito da secoli nel dna e ora attivo di colpo come bomba interna? Dove sta la scintilla? 

In un caso la rabbia nasce dalla necessità di confini tra vita privata e vita familiare (che spesso non si riescono a tracciare), espressa da una frase: “(nella mia casa) una cazzo di zona adulti e una cazzo di zona bambini”. Questo è il sogno/preghiera/disperazione del papà interpretato da Cage, tre settimane prima del contagio, scoperto dalla moglie in cantina ad assemblare per la sua “tana da maschi” un tavolo da biliardo che non vuole stare “in bolla” con il pavimento, con le palline che cadono male per la forza di gravità. Un tavolo da gioco che lo avrebbe portato lontano per un po’ dal soggiorno invaso dai giocattoli del figlio, che lui abbatte a martellate in onore del tempo che non torna più, scandendo con voce rotta, urlando: “Tic tac, tic tac. Non era il mondo che volevo avere da ragazzo. Volevo prendere il mondo e spremergli le palle, forte! Come sono diventato questo uomo vecchio, pelato, flaccido e fallito?!”. 

In un altro caso la rabbia colpisce anche prima di “un nido già costruito“ e in attesa di una zona franca, come un riflesso condizionato dovuto alla consapevolezza della perdita della libertà e della giovinezza (il “dover diventare adulti e genitori”) impersonata da una bambina che viene al mondo. Questo nel film spinge una madre partoriente, in pieno raptus, a cercare di uccidere la nascitura, strangolandola, non appena la vede in ospedale, mentre la donna ha ancora il cordone ombelicale che fuoriesce come una spina staccata dal suo corpo, con gli infermieri che cercano di placarla. 

In un terzo caso la rabbia è una “follia a due”, la trasfigurazione di un conflitto tra aspirazioni e realtà della vita di coppia, laddove i nostri protagonisti dicono che un tempo erano “Brent e Kendall. Oggi solo mamma e papà”. Una frase che nel mondo reale al di fuori di questo piccolo horror spaventa di più delle molte e ben riuscite scene splatter di cui è composto questo film, tra passeggini buttati in mezzo alla strada sotto alle macchine e scope coperte di sangue. 



(Nick Cage, il nostro eroe): Chi ci segue sul blog conosce la nostra venerazione incondizionata per Nicholas Cage, il più grande attore al mondo. Fa così tanti film, spesso orribili, e proprio per un principio statistico matematico ogni tanto butta dentro qualche bella interpretazione. Qui è un grande in quella che è la sua specialità: i monologhi molto teatrali. Ce n'è uno magnifico che vale da solo il film, in quella scena del biliardo citata sopra. C’è tutta la frustrazione e pazzia di un ragazzone diventato adulto di colpo senza aver assaporato in pieno quel mondo sterminato e carico di possibilità che appare solo negli occhi degli adolescenti. C’è la consapevolezza del “dovere genitoriale” che strangola ogni spazio domestico piegandolo all’accudimento dei bambini e da cui non si può fuggire anche se si scava sotto casa una tana per maschi dove rifugiarsi. Anche Selma Blair, che non sembra invecchiata di un giorno dagli Hellboy di Del Toro, offre una prova molto buona, disegna un personaggio umano e credibile. Mamma e Papà non sono così cattivi quando non sono ancora dei pazzi scatenati, gli possiamo volere bene. I bambini di contro sono abbastanza soporiferi, ma fanno il loro e la pellicola, che è e rimane un b-Movie divertente e veloce, si dimostra ben confezionata oltre che ben curata sul piano visivo e sonoro. 

(Titoli di coda): “ti ho fatto e ora ti smonto”. La più classica delle minacce dei genitori ai figli un po’ discoli prende forma in questo piccoli horror carico di Black humor. La premessa è “matta” ma funziona, ci sono molte idee visive interessanti, la durata è perfetta, gli attori sono in palla. Ideale per una serata disimpegnata, pur essendoci scene forti e un po’ disturbanti che potrebbero urtare qualcuno, la chiave di fondo rimane satirica e il tutto non ambisce ad essere preso sul serio. Le suggestioni su ruolo e paure dell’essere genitori risultano comunque molto interessanti e adatte ad una riflessione, magari in una serata tra amici (quando sarà possibile farle di nuovo). 

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martedì 9 febbraio 2021

D-Istruttori - il web-comic scritto da Davide Vendetta con i disegni di Goodnewsforbadguys sul portale di Astromica

 



In un presente distopico la scuola porta “per davvero“ al mondo del lavoro e alla realizzazione personale di una persona. È un mondo migliore, efficiente e accogliente, dove i servizi pubblici funzionano, i treni sono in orario, tutti vivono felici e spunta sempre il sole. Un mondo dei sogni che funziona con un piccolo sacrificio necessario: lo “status sociale” dei giovani. Regrediti a oggetti sacrificabili di proprietà dei rispettivi genitori, i ragazzi vengono educati in istituti scolastici gestiti da professori modificati geneticamente allo scopo di essere più severi e più vigili: autentici mostri in grado di mutare il loro aspetto in creature cornute o tentacolari e, se è il caso, uccidere gli studenti troppi insubordinati o distratti. Solo chi sopravvivrà al periodo scolastico acquisirà  lo status di persona adulta e sarà accolto “da vincitore” nella società.

 

“Crescere”, fin da quando gli esseri umani si raccoglievano la notte intorno al fuoco,  è un lungo percorso ad ostacoli che spinge verso la “foresta del mondo”, lontano dal villaggio e da quello che Urie Bronfenbrenner chiamava micro-sistema ecologico del bambino. Un viaggio di scoperta del proprio potenziale e dei propri limiti, che spesso pone i ragazzi davanti alla fatica, la competizione se non a degli autentici mostri, da affrontare per poter sopravvivere e tornare a casa da vincitori e possibili difensori della comunità. È questo il senso del viaggio di Teseo nel Labirinto, che lo porterà ad affrontare il terribile Minotauro. Una viaggio che negli anni (peraltro ancora prima del mito di Teseo già narrato in forme similari) è diventato uno dei principali generi letterali, adattandosi ai tempi e alle culture, giungendo a noi e probabilmente continuando ad essere narrato nel futuro. Un viaggio che diviene attuale, oggi, laddove si avverte che le istituzioni scolastiche, ossia quello che negli anni è diventato parte fondante del viaggio iniziatico del giovane nella foresta, non sono più in grado di agevolare il passaggio dal mondo dei ragazzi a quello degli adulti. E quindi partono le annose domande. Quanto la scuola è in grado di facilitare quello che per molti, almeno fino a poco tempo fa, era un fisiologico passaggio all’età adulta? Quali sono le circostanze materiali, politiche, sociali e spirituali che si possono contrapporre a questo esito atteso? Quali sono le “armi migliori“ che hanno i giovani per diventare adulti?  Argomento tosto, “La scuola Vs il mondo del lavoro”, amatissimo dalle ricerche scientifiche ma  anche dalla science-fiction, più o meno futuristica e sociale, da Battle Royale ad Hunger Games, passando anche per molti fumetti. Opere che hanno messo al centro i giovani, il loro potenziale (declinandolo spesso in salsa Fantasy), il rapporto con i compagni/rivali/concorrenti e con il corpo docente preposto. Tra i New Mutants delle origini e Assassination Classroom di Yusei Matsui (ma è una forbice che ricomprende molti esponenti), ci sta bene D-Istruttori, la web comic di Vendetta e Goodnewsforbadguys.

 


Come nel film Classe 1999 di Mark L.Lester, in D-Istruttori sono gli insegnanti di un liceo a “trasformarsi in Minotauri”, da affrontare giornalmente fino all’ultimo giorno della scuola dell’obbligo. Nella “brochure di presentazione” (primissime vignette del fumetto)  gli insegnanti sembrano descritti come dei supereroi, gli unici possibili, al punto che i poteri di cui dispongono sono loro esclusivi e preclusi al resto del mondo, per il bene supremo dell’educazione. Ma il quadro generale diventa subito tetro, si parla di esseri umani mutati dalla scienza e non è detto che in questa nuova forma trovino il modo più adatto e corretto per educare gli adolescenti e dar loro una spinta positiva per affrontare la vita adulta.

 

Finora, nei primi due numeri pubblicati sul portale di Astromica, non si sono ancora visti insegnanti-terminator come nel sopra citato classico di fine anni ‘80, ma stiamo comunque in pessima compagnia. I prof sono autentici demoni mutaforma in grado per lo più di far rispettare alla lettera  quelle che sono (e qui sta il bello della scrittura di Davide Vendetta) le norme comportamentali più comuni dello “stare in classe”. Uno stare in classe che spesso non significa aiutare a imparare, anche perché questi prof mettono una paura fottuta. Con niente carota e tanto bastone, gettando fuori dalla finestra ogni due per tre uno studente distratto con bene placito dei genitori, i mostr-insegnanti sono i sacri custodi delle liturgie di puntualità, attenzione e silenzio. Con la brutta sensazione, rilevata dagli stessi ragazzi,  che quando erano ancora esseri umani erano insegnanti migliori. Perché il fumetto parla di una trasformazione, un Up-grade in d-istruttori, per un atto di stampo politico ritenuto “necessario” e accettato dalla popolazione fin dall'alba dei tempi. Così da lettori guardiamo questi corpi mutanti di mostrume variopinto, che non sfigurerebbero in fumetti horror come Devilman di Go Nagai, Kiseiju di Hitoshi Iwaaki o Jagan di Muneyuki Kaneshiro, ma dietro riusciamo a scorgere le insidie di un insegnamento moderno “Up-gradato per circostanze pandemiche” come la D.A.D., acronimo che prima della pandemia suonava solo come la parola inglese per “papà”. Dove la D.A.D. viene implementata nel modo più scorretto e sbagliato (e che questo sia un monito a fare meglio), la scuola acquisisce, con un monitor a distanza, tutti i poteri dei D-Istruttori. C’è chi riesce col monitor a vedere chi sta attento mentre si è girati con la testa alla lavagna, come l’insegnante mutante con molteplici occhi, perché basta riguardare la lezione registrata da remoto. C’è chi può buttare fuori dalla finestra gli studenti ritardatari, come l’insegnante-demone toro, perché è possibile limitare l’accesso a una classe virtuale con un click. Le possibilità di questi superpoteri nel gestire la classe possono essere evidenti, ma non si è perso qualcosa? Un bravo insegnante potrebbe non usarli, ma si può sottovalutare  la “tentazione di potere” che racchiudono, avendoli a disposizione? Si può ragionare sul “limite”, di una implementazione che comporta ricadute tanto tecnologiche che sociali? È di questo che tratta una buona storia di fantascienza sociale: del posto in cui stiamo andando tra fantasia e realtà. Il tema di dove sta andando l’insegnamento al giorno d’oggi, con le nuove tecnologie e distanze sociali (e spesso emotive), con la crisi economica e la disoccupazione ad aspettare gli studenti neo-diplomanti (per chi non la subisce già prima del diploma), è un tema serio che l’arte ha tutto il diritto di raccontare, anche con una metafora come quella degli insegnanti-mostri. 

 


La storia scritta da Davide Vendetta è un horror/sci-fi ad ambientazione scolastica, destinata a un pubblico grandicello per il modo in cui rappresenta la violenza, con protagonisti dei ragazzi che devono sopravvivere a degli insegnanti/mostri fino al diploma. Non mancano scene concitate come situazioni dall’animo gore,  ma il tutto è sapientemente stemperato da un clima da black comedy e situazioni buffe in grado di richiamare atmosfere goliardiche sulla riga di Prison School di Akira Hiramoto. L’ambientazione non pare essere al momento definita specificamente a un contesto geografico esistente, la struttura narrativa richiama il manga scolastico ma non ne è succube perché Vendetta riesce a trovare una chiave di lettura personale. Come ogni racconto dalla forte connotazione horror, viene dato molto risalto ai “cattivi”, che appaiono davvero cattivissimi, dai movimenti rapidi e letali  come nelle opere di Junji Ito. L’attenzione  per il dettaglio di stampo normativo/politico delle primissime pagine invece ha delle similitudini con i lavori di Motoro Mase. Due capitoli sono ancora poco per una valutazione più pertinente dell’opera, anche perché il personaggio-chiave, che secondo la sinossi sarà protagonista delle vicende, non ha ancora trovato il giusto spazio narrativo. Ma il viaggio per ora ci piace, è divertente e può svilupparsi in un modo molto interessante. Vendetta possiede un’ottima visione narrativa.

 

Goodnewsforbadguys ha un approccio della tavola estremamente preciso e maturo, ricco di dettagli e retinature gestite in modo sapiente. La composizione appare sempre chiara e spesso spettacolare. Le figure umane, caratterizzate da un approccio realistico, orientaleggiante e dinamico, possono essere lette  come un mix ideale tra gli stili di Ryoji Minagawa e Hideo Yamamoto, con l’aggiunta di un tocco di personalità genuino, interessante. I  corpi, che siano umanoidi o tentacolosi, godono di particolare tridimensionalità e di una fluida interpretazione dei movimenti muscolari. Goodnewsforbadguys in queste tavole si dimostra un artista davvero notevole, esperto e dinamico. 

Una bella scoperta, questo D-Istruttori. Lo seguiremo con gioia anche nei prossimi numeri e lo attendiamo già con piacere, in futuro, in un possibile formato cartaceo.

Gli autori sono giovani ma hanno grande personalità, tecnica e tutte le carte in regola per raggiungere  grandi traguardi. Quando il buongiorno si vede dal mattino.

Per leggere i primi capitoli cliccate QUI

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Domande agli autori

(Grazie per aver accettato di scambiare quattro chiacchiere con noi! Sempre che non siate agenti segreti sotto copertura, potete rivelare qualcosa di voi? Ci interessa sapere più o meno:  la vostra età, da quando amate i fumetti e da quando avete deciso che amate così seriamene i fumetti da farne una professione.

Davide: Mi chiamo Davide Vendetta ho 23 anni e ho iniziato recentemente a provare un forte amore per i fumetti, in particolare verso la cultura manga. Come spesso accade ho iniziato vedendo anime e i primi visti erano quelli che passava la televisione il pomeriggio, tuttavia ciò non mi attirò abbastanza da renderla una passione. Non ricordo con esattezza quando, ma sono certo che a catturare la mia attenzione, tra vari anime visti, One punch man fu quello che mi affascinò al punto da entrare nel mondo manga. Avevo più o meno 21 quando iniziai ad informarmi, vedere e poi leggere diverse opere giapponesi. Già da prima scrivevo racconti per passione e con l’influenza manga, un racconto che stavo scrivendo “Ultimo eroe” l’ho trasformato quasi per gioco in un fumetto, attualmente in pubblicazione. Dopo questa piacevole esperienza, ispirato da ONE che pur non sapendo disegnare aveva avuto un gran impatto per la sua fantasia, ho preso la decisione di mettermi in gioco seriamente in quello che da passatempo diventò un vero e proprio sogno di realizzazione. Difatti nel fumetto ho trovato uno scopo che non solo è un piacere ma è un bisogno per esprimere me stesso come non ho mai sentito altrove, so che può sembrare assurdo ma persino durante qualche vacanza sentivo il bisogno di scrivere o disegnare qualcosa dove potevo. Da One punch man è iniziato un percorso di visione e lettura di quello che mi passava davanti sia su Netflix che su VVVVID da Noragami ad AoT e molti altri. Ammetto di essere un novellino, ma è qualcosa che oltre ad avermi conquistato adesso non potrei farne a meno. Dopo aver scritto “Ultimo eroe” un semplice one-shot di breve durata rispetto alla versione attuale, ho scritto diverse storie, alcune concluse altre lasciate a metà, ero spesso indeciso benché le idee fossero presenti. Decisi così di fare un nuovo one-shot “Frammenti di cuore”, questa volta un fantasy con caratteristiche da fiaba, nonostante fosse solo un prodotto gratuito da presentare per mostrare le mie capacità dopo un anno avrebbe ricevuto un contratto. Subito dopo mi sono dedicato a una serie “NoHero” di cui per un anno pubblicavo un capitolo al mese sviluppando nel frattempo altre idee, tra cui D-Istruttori.

 

GNBG: Il mio nome è Good News For Bad Guys ho 26 anni e amo i fumetti sin da quando ho visto il mio primo anime (probabilmente era l’anno 1999), mi spiego meglio: affascinato da quei disegni in movimento ho sentito il bisogno di trovare il modo di copiare i vari personaggi che più mi avevano colpito, per averli sempre con me, senza dover aspettare ogni volta il pomeriggio successivo, ed è così che ho trovato nei manga la mia fonte di immagini e referenze, realizzando oltretutto che la lettura mi avrebbe coinvolto in maniera più significativa rispetto ad un’animazione. Il primo giorno di liceo artistico portai con me la mia cartella di disegni e 3 giorni dopo uno dei miei compagni di classe mi chiese di disegnare una carrellata di personaggi da far combattere tra loro all’interno di un mondo creato da lui, a quel punto cominciai a capire che fosse possibile creare una storia a fumetti come unico frutto della mia fantasia.

Gli artisti che mi hanno motivato ad intraprendere una carriera da fumettista sono più di uno: Yusuke Murata, Osama Tezuka, Katsuhiro Otomo, Akira Toriyama, Katsuya Terada e Yoshihiro Togashi  ma quello che ha lasciato un'impronta nel mio stile e delineato i miei gusti è senza ombra di dubbio Takehiko Inoue, lui mi ha fatto capire quanto fosse importante creare dei personaggi con carisma ed una spiccata personalità, facendo attenzione a non renderli banali e anonimi; e proprio lui insegna che se hai un personaggio valido all’interno della tua storia tutte le dinamiche e i vari avvenimenti ruoteranno attorno a lui con un estrema facilità.

Ho deciso di farne una professione quando ho avuto l’occasione di poter lavorare per una casa editrice, mettendomi in gioco ho capito che sarei potuto diventare un disegnatore completo, concentrandomi non solo sull’illustrazione fine a stessa, ma anche sull’idea di poter raccontare una storia disegnandola, visto che ho sempre pensato che il fumetto fosse a metà strada tra un libro e un film.

 

(Come vi siete incontrati, sempre che possiate rivelarcelo senza rovinare la vostra copertura da agenti segreti?

 

Davide:

In seguito ad un annuncio che avevo pubblicato tempo fa, Good News For Bad Guys aveva mostrato interesse nelle mie varie sceneggiature, ed una in particolare aveva colto la sua attenzione nella caratterizzazione dei personaggi ed il tema centrale della storia, per l’appunto D-Istruttori.

 

(D-Istruttori è il vostro primo progetto o collaborazione?

 

Goodnews & Davide:

Entrambi abbiamo lavorato ad altri progetti personali, ma questa è la prima collaborazione che ci vede coinvolti insieme, e si sta rivelando una piacevole esperienza.

 

(Di cosa parla D-Istruttori? Quali sono le idee, aspirazioni ed eventuali citazioni che vi passano per la testa mentre lo scrivete e disegnate?

 

Davide: D-Istruttori è una storia stravagante nata dal mio fantasticare a proposito di come un tempo gli insegnanti picchiavano gli studenti e tutto ciò era lecito ed educativo. Il tutto unito poi alla convinzione che si sente spesso in giro “gli stupidi dovrebbero morire”, quindi mi sono detto cosa succederebbe se ciò venisse attuato e come. Ciò nonostante era troppo riduttivo parlare di un impero fondato sul sapere in chiave distopica, anche perché le distopie nascono dall’ignoranza non certo dalla cultura e banalizzare vedendo tutto in nero o bianco non rappresenta una visione istruita e quindi aperta di mente propensa al confronto. Nasce così l’idea della uto-distopia (utopia e distopia unite nell’ambientazione), dove bene e male, progresso e regresso, libertà e condanne coesistono per creare un clima unico. Basta leggere il primo capitolo per notare come le circostanze di vita, sebbene simil reali, sono assurde.

Come hai già notato tra le ispirazioni di questa opera ci sono Assassination Classroom e meglio ancora Prison School, non a caso uno dei personaggi è ispirato a Gakuto come anche lo stile demenziale che come per l’utopico-distopico qui si fonde al grottesco in un sadico black humor. Oltre ad ispirazioni volute ce ne sono altre come battle royale che pur non avendolo mai sentito mi era capitato di sentirlo accomunato alla mia idea, oppure Junji Ito che lo stesso Art director ci fece i complimenti dicendo come glielo ricordavamo pur, almeno da parte mia, non puntando all’autore.

Per la testa mi passa un po’ di tutto quando scrivo ma senza dubbio ad infiltrarsi nelle opere che scrivo sono le storie che più mi prendono e rientrano nel genere trattato, quindi per fare un piccolo spoiler aspettatevi di trovare, tra tante, citazioni a Resident evil, Food Wars e Jojo nei futuri capitoli.

 

Goodnews: Per quanto mi riguarda, la cosa che più mi ossessiona mentre disegno è la resa dei personaggi, delle loro personalità, delle loro espressioni facciali, dei loro movimenti e dei loro modi di fare, concentrandomi su questi aspetti cerco di tenere incollato il lettore alle tavole. Ci sono poi le ambientazioni sulla quale vorrei migliorare sempre di più, così dal creare un esperienza di lettura immersiva.

 

(Quanto tempo vi prende la realizzazione di un capitolo del fumetto e da quanto tempo state pensando a questo progetto?

 

Davide: Pensavo a questo progetto da molto tempo, a seconda della mia disponibilità comincio all’istante un nuovo progetto o lo lascio nel “cassetto delle idee” per mesi o anni, ho molte idee che fremono dal venire scritte e chissà quando usciranno fuori. In questo caso proprio quando pensavo di metterci mano ho fatto questa fortunata conoscenza che mi ha permesso di svilupparlo al meglio adattandola ai nostri stili.

Riguardo il tempo che mi occorre per scrivere i capitoli questo può dipendere da tanti fattori come il mio umore e tempo libero per questo cerco sempre di tenermi avvantaggiato con un minimo di 5 capitoli rispetto al mio collaboratore in modo da non fargli trovare un percorso vuoto mentre avanziamo.

 

Goodnews: Il tempo di realizzazione dipende da tante, troppe cose, dal mio mood, dal capitolo etc. Ma nel dettaglio è importante porsi delle piccole scadenze organizzando il lavoro all’interno del nostro tempo, contando ovviamente anche il tempo per se stessi così dal non dover agire in maniera forzata, prima di arrivare ad odiare quello che stai facendo.

 

(Esiste tra voi un patto vergato col sangue circa la periodicità di pubblicazione che intendete perseguire “cascasse il mondo” o incombesse una pandemia stile peste nera? Anche se sembra improbabile che accadano certe cose di questi tempi?

 

Davide & Goodnews:

Per quanto riguarda la periodicità di pubblicazione abbiamo dei tempi concordati con l’editore, aldilà di questi è nostro obiettivo proseguire questa storia e portarla ai lettori fino alla sua conclusione.

 

(Dove e quando, in che luogo della casa e a che ora del giorno o della notte, trovate i momenti migliori per scrivere o disegnare?

 

Davide:

Anche se recentemente mi è capitato di lavorare all’alba l’orario in cui mi dedico alla scrittura o a realizzare gli storyboard è la notte, il silenzio è un compagno ideale alla creatività e grazie alla pace che ottengo in queste ore ho portato serenamente a termine i precedenti capitoli.

 

Goodnews:

Salvo deadline imminenti cerco di organizzarmi in questo modo: le prime ore della mattina mi dedico ai warmup, tenendo il tratto allenato, poi in base al blocco alla quale mi sto dedicando lavoro alle matite, chine o toni di grigio, in questo modo il lavoro procede in maniera più lineare e psicologicamente direi che viene anche alleggerito, ovviamente prima di trovare questo metodo ed equilibrio mi ci è voluto un po' e ci tengo a dire che non è detto che funzioni per tutti allo stesso modo visto che ho conosciuto più di una persona che ha trovato il suo equilibrio nel caos più totale.

 

(Che strumenti da lavoro utilizzate preferibilmente? Usate un taccuino per segnarvi delle intuizioni come i detective anni ‘30 del vecchio secolo?

 

Davide: Il computer per mettere in definitiva la sceneggiatura. Per gli storyboard uso invece i quaderni uguali a quelli che usavo alle superiori, mi bastano due tre matite per disegnare colorare in b/n, un temperino ed una cancellina; con poco faccio tutto l’indispensabile ai fini di rendere il più chiara possibile la narrazione per il mio collega.

 

Goodnews: Ho una “collezione” di sketchbook che riempio ormai da anni, dove raccolgo idee, bozze, illustrazioni e appunti che sono soprattutto una mia personale testimonianza della mia evoluzione come disegnatore e che ancora oggi mi motiva in quello che faccio.

 

(Cosa ci possiamo aspettare dai prossimi numeri? Senza fare spoiler, giusto offrendo un po’ di atmosfera...

 

Davide:

Aspettatevi il peggio, per citare una serie che adoro “Nient’altro che disagio ed orrore incontrerai…” D-Istruttori è una lotta alla sopravvivenza chi non è abbastanza furbo muore, e in un mondo che tollera anzi, incoraggia l’omicidio, e perché no, il massacro degli ignoranti beh, questo non è altro che motivo di gioia.

 

(Un messaggio ai lettori?

 

Davide & Goodnews:

Studiate tanto e acculturatevi di continuo per essere sempre idonei ad un mondo simile.