venerdì 31 luglio 2015

Fury




Seconda guerra mondiale. Mancano pochi giorni alla fine del conflitto, ma per chi combatte è solo un giovedì mattina, all'alba.

La gita americana per il ripristino della democrazia nei territori dell'asse sta venendo uno schifo.
Sarà la brutta stagione ma la terra dei bretzel pare una sconfinata distesa di fango, manco fossimo nel Django di Corbucci. La cornice è il classico paesino fuori mano da agriturismo. Tanto verde e tanto desolato. O almeno lo sarebbe se non ci fosse in ballo una guerra su scala planetaria. Tempo schifoso, fango al posto di prato inglese. Che pare San Siro. Case crollate, verande abbattute, corpi umani sventrati, auto accartocciate e mezzi blindati tritati contro alberi, case, ovunque. Sangue dappertutto. Perché i ragazzi ci hanno dato dentro di brutto in questo oktoberfest estemporaneo, non immagino i casini per ripulire il tutto. Non immagino i crucchi incazzati, quelli rimasti vivi, che avevano già messo fuori casa la spazzatura per la raccolta differenziata. Prima di vedere tutto travolto e galleggianti budella in rivoli di sangue ad affluire sulle strade.
Fango, ri-fango e sangue. Con corpi di quelli che erano un tempo uomini tritati, sminuzzati, bruciati, divelti e gettati ovunque , come se la pelle avesse preso il posto della corteccia degli alberi.
Ma è l'alba, cazzo. La luce divina si fa strada tra i rami e le nuvole. La nottata dell'orrore è finita.
Lungo una strada sterrata si avvicina al borgo, simile a un dio, un cavallo bianco.
Ci sembra di sentire riecheggiare qualcosa di Wagner, roba che dia un senso paludato di eroismo alla carneficina in bella mostra.
La visione bianca sostiene un cavaliere, solitario, in esplorazione di quel muto orrore. L' attenzione dell'uomo ricade su una strana opera di arte moderna. Carne in scatola. Un tank di fabbricazione americana così scarso che veniva soprannominato "fiammifero" data la sua forte abitudine all'auto combustione.
Lo Sherman a confronto col Tiger tedesco; quest'ultimo montava un 88, un cannone contraereo, sostanzialmente lungo quanto il carro americano...

Un rottame coperto di budella e bossoli, ma ancora fiero. Un combattente che reca sul suo cannone fallico la scritta "fury".
Come un orco abbattuto, Fury appare innocuo come un gattino. Sono lontani i tempi in cui le sue bocche di fuoco aprivano teste e segava con i cingoli i crani del soldati in trincea.
Il cavaliere si avvicina e compie così il più stupido degli errori. Il mostro non è ancora morto, anche se nella sua pancia di metallo un uomo ha visto esplodersi la faccia, il suo corpo giace immobile come un manichino e il suo piscio e sangue stanno inondando il posto dell'artigliere.
Il mostro ha ancora altri organi attivi, gli uomini che compongono il suo equipaggio. Ed è così che da una botola War Daddy (Brad pitt) armato di un lungo coltello e una pettinatura da zarro, sguscia dalla tartaruga d'acciaio, si immerge nel sangue, sterco e fango e riesce a cogliere di sorpresa il cavaliere. Il Fury ha graffiato di nuovo un nemico, non ha smesso la voglia di spaccare e squartare cose.
Rimane il cavallo bianco. War daddy lo accarezza per un istante e poi lo ributta con una manata nei boschi, lontano dal sangue ma anche lontano dall'inquadratura. Perché eroi su cavalli bianchi sono oltremodo fuori moda in un film che parla tanto di guerra e poco di onore. Che si orgasmi Michael Bay con bandiere e cavalli bianchi .
Il Fury deve recuperare un artigliere per essere di nuovo integro, per poter proseguire dritto con le sue armi da orco presso il nuovo scenario. È un pezzo vecchio, ma ha ancora i suoi numeri. E siccome non c'è domani, non c'è futuro ed è solo giovedì mattina, il Fury troverà un nuovo artigliere.
Certo sarà una operazione brutta, la carne tende a rigettare a volte l'acciaio. Serve che i corpi non si sentano estranei, si riconoscano amici fraterni. E così a War Daddy per volere del Fury giunge il sacro compito di prendere un ragazzino, spogliarlo della sua umanità e plasmarlo per farne una bocca da fuoco del suo orco.

La guerra è un brutto posto. Ayer è un regista e sceneggiatore specializzato nel descrivere brutti posti. Ma brutti posti in cui in genere non sei mai solo. Tra Training Day, Sabotage e speriamo l'imminente Suicide Squad, Ayer  è diventato il nuovo cantore del cameratismo.
Gli uomini possono essere non del tutto buoni o cattivi, il mondo che li circonda non è mai il massimo, vuoi che sia il cartello della droga, il territorio delle gang o la seconda guerra mondiale, nei posti che racconta Ayer ricevere un colpo in testa è una variabile sempre da considerare, nessuno dei suoi personaggi è mai al sicuro. E allora come se ne esce? Con il cameratismo appunto. Tante battute spesso truci, scoregge, storielle sconce. Tanta birra e pacche sulle spalle e autentici momenti di oasi, i momenti in cui si sta a tavola. Momenti in cui il mondo si ferma e i personaggi gustano una coca o un maxi hamburger prima che il film diventi una mattanza. Delle autentiche, sentite, religiose, ultime cene. "Mangia, rilassati, sei a casa tua" ripeteva così Eva Mendes, come in un mantra, allo spaesato Ethan Hawk di Training Day, prima che la situazione esplodesse. Prima che tornasse sul campo di battaglia delle bande. E Fury rispetta in pieno queste regole, è il perfetto manifesto del lavoro da Ayer.
Ayer non punta a una ricostruzione storica, a una glorificazione di un'impresa. Crea uomini che fluttuano in mondi orribili per routine quotidiana. Uomini che vengono contaminati dalla violenza del loro lavoro e che spesso sono costretti a specchiarsi nello sguardo dei giovani, di chi presto prenderà il loro posto, quando più che la pensione arriverà una pallottola in testa, se va bene.
La novità in Fury dell'Ayer - pensiero risiede nella "organicità", nella commistione uomo-macchina. Nella consapevolezza che per diventare un'arma bisogna spegnere ogni umanità, diventare fantasmi di se stessi. E così l'equipaggio del Fury diventa davvero l'insieme degli organi dell'orco di metallo. Pelle e sangue si mischiano in continuazione quanto in Tetsuo di Tsukamoto. Fury è uno dei film bellici più truculenti di sempre, punta a raffigurare la smaterializzazione dei corpi, il loro deflagrate nell'acciaio e il loro ritornare, come insieme di sostanze organiche, a essere parte della natura, del paesaggio.
Roba da stomaci forti ma anche dannatamente esaltante. Ayer conosce il ritmo narrativo, sa come inquadrare una scena d'azione ed è straordinario nel suo modo di dirigere gli attori.
Così assistiamo a un Brad Pitt davvero cazzuto e convincente che ci fa dimenticare il fesso dal capelli lunghi e  biondi di World War Z. Il taglio zarro dona.

Un taglio alla War Daddy per cortesia...
Michael Pena è un ottimo attore e qui non delude le aspettative, il suo grosso cuore latino irradia la pancia del Fury (una sua battuta mi ha ricordato il primo Transformers... ok, non è vitale ...).
Jon Bernthal (lo Shane di The Walking Dead) ha un personaggio pazzesco, un bifolco fuori di testa, una specie di orango molesto e cattivo. Ma a scavare qualcosa di davvero genuino, unico. Una splendida prova d'attore . E già non vediamo l'ora di vederlo come il nuovo Punisher.
Shia LaBeouf. Non ci credo. Funziona perfettamente. La cura Von Trier e l'esperienza di quello strano e inquietante balletto in cui era nudo ad abbracciare una minorenne hanno fatto di lui un grande caratterista. Qui gioca a fare il cecchino cattolico praticante stile soldato Ryan, ma la sua performance rimane unica, umana, dimessa e davvero valida.
E poi c'è il ragazzino (Logan Lerman). Che non mi ha trasmesso moltissimo ma che ci stava bene.
È bello vedere che Fury sia arrivato nelle sale, nonostante i macelli distributivi. È un film brutto e cattivo ma che non dimentica di avere cuore. La favola di un orco di ferro cattivo che cercava in fondo di fare solo quelli che tutti si aspettavano da lui.
Non è un film perfetto. Dopo una partenza a razzo, nel secondo tempo la storia si arena, letteralmente, anche se lo fa in modo pazzesco. Rimane assolutamente da vedere, magari in abbinata a Training Day. Un bel viaggio nel cuore di tenebra della seconda guerra mondiale. E poi se amate i carri armati di plastica correte a comprare l'equipaggio del fury di plastica da montare sul vostro tank "fiammifero". Si lo so che direte di no... ma poi lo farete... 
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martedì 28 luglio 2015

Bloodborne



Bloodborne: è Figo e punto. Analisi a membro di segugio del sempre nuovo giocone del "Miyazaki dei videogiochi". In  attesa di Dark Souls 3, almeno io, gioco a poco altro. E l'ho pure finito. Lo dico così, per fregio. Perchè come videogiocatore sono scarsissimo..

Lo so, vi hanno già triturato las balotas con questo Bloodborne. Cercherò di sintetizzare,  meno danni possibili in termini di tempo, con un elenchino puntato facile da seguire sul perché è Figo e basta. 
1) c'ha l'atmosfera malata 

A Yharnam, posto ameno dove la locanda "L'agnello macellato" di Un lupo mannaro americano a Londra ha più filiali di McDonalds a Milano, ci sono sempe grigi nuvoloni ed è tutto umido-bagnato, stile temporale estivo, con la pioggia che si appiccica ai vestiti. Pare di trovarsi in un film bello di Tim burton (quando li faceva), roba tipo Il Mistero di Sleepy Hollow, Batman o Sweeny Todd. Il nostro eroe, tipo loschissimo fin dal primo minuto, va in giro conciato come ne Il patto dei lupi di Gans, con cappottone tamarro e cappellaccio da pirata, armato di scure o bastone dentato (come lo aveva di fatto Vincent Cassel, sempre ne Il patto dei lupi) ad affrontare prede mostruose...tipo quelle de Il patto dei lupi . Belve feroci da affrontare con tattica e calma. Magari quando ci si trova nella boscaglia, facendo uso  di trappole ricavate da tronchi, buche ed esplosivi...un po'come si faceva in Preator... e pure ne Il patto dei lupi. Tra le righe vi sto consigliando qualche film da recuperare se amate queste atmosfere..si era capito o sono stato troppo criptico? Mostri dalla testa esplosa, corvi che non sanno volare ma che mordono ancora, streghe che ballano felici nella loro pazzia per poi piantarvi nella schiena i falcetti con cui tagliano le erbe, mistici pazzi diventati demoni, forse anche dei vampiri. Una dea oscura che piange un figlio mai nato e porta l'oscurità in ogni dove..Alla fanuna non manca nulla. E in più ci sono gli abitanti, la gente comune, quelli che ci vivono o sopravvivono in queste lande. Tutti messi male e guardinghi, magari vecchi orribili seduti su una sedia a dondolo e armati di fucile, come nell'altro classico film di genere uomolupesco In compagnia dei lupi. Villici armati di forconi, torce e spade, con il fucile sempre carico a proiettili d'argento. Il nostro compito è farci strada in questo strano mondo durante una notte di sangue, affrontando i misteri legati a uno strano contagio. Ma più che sterminatori di mostri, non saremo sterminatori di gente comune. Di fatto per diventare forti abbatteremo milioni e milioni di villici, spesso autoisolatisi nelle loro case. Saremo affrontati per questo da altri "cacciatori", come noi, che ci ricorderanno prima di tutto che la carne che stiamo macellando, anche se rabbiosa e orrenda, è comunque quella di povera gente. Siamo in qualche modo noi i cattivi sulla scena. Davanti ad innocenti che urlano "vattene straniero". O davanti a ragazzoni grossi e resi minacciosi e deformi dalla maledizione, che  quando non ci assalgono spaventati si limitano a piangere ed ad ulrare nella notte gelida: "fa freddo". Perchè siamo davvero qui? Siamo davvero degli eroi? C'è una ragione al tutto, ma ci sfugge sempre. Quando dopo pochi minuti vediamo il nostro vestito coperto di sangue ci sentiamo in colpa. Quando scopriamo che altri cacciatori come noi col tempo tendono a tramutarsi in lupi affamati di sangue, avvertiamo che un destino non dissimile ci prenderà. Presto. Bloodborne inquieta e lo fa alla grande. Pochi giochi ti fanno sentire così inerme e nel posto sbagliato.
2) c'ha le armi paura


Raramente ho goduto di un così alto appagamento in fatto bellico. Ogni oggetto da taglio qui è fatto per gasare e gioca sulla nostra passione per l'horror. Da spadoni templari ad asce giganti passando per martelli, lance d'osso e giganteschi - pazzeschi rasoi da barba giganti. Senza parlare delle bocche di fuoco, dai fucili ai lanciafiamme, tutto è pronto per arrostire e sventrare nel modo più artisticamente perverso. Certo fa specie vedere che le fucilate non aprono buchi nelle pance ma al più bloccano il nemico. Tuttavia i nostri avversari sono tutto fuorché umani, i pallini di metallo per loro sono confetti. Nell'arte del distruggere c'è qualità ma forse non quantità. Non tantissime le armi alla fine, ma saperle utilizzare al meglio non è roba da poco, anche perché vi affezionerete a una e vorrete amarla e renderla sempre più forte per tutto il gioco, fino a incastonarci dentro quella roccia di sangue che la trasformerà in una mietitrice quasi metafisica. Tutte le armi sono diverse da padroneggiare e fanno un sacco male. Sempre se sarete in grado di potenziarvi e potenziarle a dovere. Imparate a usarle in ogni modo, nella modalità chiusa quanto aperta, non è così scontato, occorre pratica e tempo e applicazione. Imparare anche a combattere lockando il nemico e poi senza lockarlo diventerà una esigenza. Perchè le armi servono a poco se mancate il bersaglio o avete poca resistenza o energia per infliggere colpi in serie. Ma non preoccupatevi troppo in fondo perché...


3) è un gioco da barboni: come tutti e dico tutti i giochi di From Software per vincere non dovete fare i fenomeni (se ci riuscite tanto di cappello comunque). Basta barbonare a tuono uccidendo milionarie su milionarie di nemici, acquisendo di conseguenza echi di sangue da convertire in punti per uppare il personaggio. Trovare risorse per sopravvivere ed echi per potenziarsi non è poi difficile.  Posti favolosi come il centro di Yharnam di inizio gioco vi daranno in una decina di minuti quintalate di pozioni e proiettili, il bosco delle streghe vi farà avere eoni su eoni di echi di sangue, al punto che lo ripercorrete diecimila volte. Presente i tizi grossi che vi caricano ad inizio gioco dicendo "fa freddo"? Li segherete in un colpo. Davvero. Quindi ,se non riuscite ad andare avanti, raccogliete esperienza a tuono. Ho un amico così barbone ma così barbone che prima di affrontare il secondo boss è arrivato a livello 71... Si può fare.. certo se non contenete il barbonismo il gioco si fa troppo easy. Ma spesso non c'è davvero altro modo per avanzare.



4) c'ha la gente e i boss grossi. In questo gioco vi sentirete sempre delle piccole merdine che vanno a rompere i cacchio a dei giganti. Si torna un po' bambini, quando i bulletti delle classi più avanzate facevano paura, anche quando non erano bulletti ma solo più alti e con dei trionfali brufoli sulla faccia da ragazzini più grandi. Il fascino segreto dei pus cutanei... E in questo gioco pare tutto in scala ingigantita. Noi siamo i nani tra i nani, anche per i nemici più scarsi e ci muoviamo nelle loro case come dei poppanti, quasi sempre senza riuscire ad arrivare all'altezza di una sedia o di un tavolo. Siamo dei tappi assurdi anche se nella creazione del personaggio facciamo un cestista della NBA. E se siamo tappi per i nemici comuni, figuratevi per i boss. Così grossi che la telecamera non gliela fa a contenerli tutti. In un paio di casi la nostra arma non arriva oltre il pollicione dei loro piedi. E per arrivarci al pollicione servono i chilometri, a piedi, di corsa, mentre quelli saltellano e cercano di schiacciarci. Ma quando il vostro complesso di avercelo piccolo più di tutti vi farà girare, ecco che riuscire a buttarli giù, dopo ore di fatiche e sofferenze magari, e allora la gioia sarà tanta, una botta di gioia che non ci credete. Un'esperienza galvanizzante, terapeutica, che crea un po' dipendenza.


5) c'ha le stradine che le conosco solo io: una delle critiche più comuni che viene da gente che non gioca a Bloodborne o ai Souls è l'assenza di save point o la loro presenza accazzodicane. Certo il gioco sfotte su questo fronte appena può. Prima ti mette un boss impossibile dopo quarantamila minuti di strada impossibile e tutta da rifare in caso di morte, poi ti irride con due save point di fila in sei metri. Ma questa frustrazione è figlia del fatto che il gioco "lo stai facendo male" (come disse un tale a uno che cercava di concupire un ombelico). Il gioco è zeppo di porticine, scorciatoie, ascensori, ponti levatoi, tetti spioventi. La strada per un boss non dista mai oltre un minuto di viaggio e spesso meno con la stradina giusta. E tutto combacia, tutto il mondo è fatto di stradine,  scoprirete quasi sempre che se una porta non si apre c'è un perché e altrove si potrà aprire. A una certa sarete a casa vostra, conoscerete ogni mattonella e potrete consigliare agli amici il posto migliore per le salamelle. Anche se sta sottoterra, in un'altra dimensione, ci si arriva sempre, con una stradina. Abusivismo edilizio a manetta.


6) ma quei caricamenti un po'pesanti... ci sono, anche se dopo l'ultima patch si sono ridotti sensibilmente. Certo se non morite il mondo è tutto caricato (e parliamo di chilometri), ma se si accede all'hub per potenziarsi comunque al "ritorno" una trentina di secondi sono la norma. Quando morirete comunque i caricamenti vi daranno tutto il tempo necessario a sviluppare le imprecazioni più fantasiose da rivolgere al gioco, potrete poi raccoglierle in volume. Su questo aspetto non se ne esce comunque, al più ci si abitua...
7) e poi per play 4 non c'è una sega. Aspetto da economia reale ma veritiero. Per ora di esclusivo c'è poco e di buono ancora meno. E i giochi programmati male che richiedono diecimila patch si sprecano. Brutti tempi che speriamo finiscano presto. Magari qualcuno che odia i gdr o gioca solo al tennis arriverà quindi a comprare Bloodborne per disperazione. E scoprirà magari di amarlo. Bloodborne non è perfetto. Ma è grosso e complesso, intrigante e perverso quanto basta a far riecheggiare i fasti di una straordinaria serie passata della quasi defunta Konami: Castlevania. Non vi prenderà per mano, non vorrà venire al cinema con voi e voi non vorrete certo presentarlo ai genitori per dimostrare il tempo che ci perdete sopra, ma Bloodborne è lì, sul led, che aspetta solo di giocare con voi e farvi male, magari puntando anche al vostro sadomasochismo. Ma se varcherete le porte di Yharnam in una notte di luna potreste aver voglia di tornarci spesso. Almeno fino al nuovo Granturismo ...
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lunedì 27 luglio 2015

Le Storie: La Grande Madre


Disegni: Francesco Bonanno; Storia: Lorenzo Calza.


Stockwell, una cittadina da qualche parte nel Nord America. Si trova a ridosso di una grande montagna e fa freddo. Nonostante sia poco più che un dismesso centro minerario che ora annovera solo poche anime, che per fare la spesa si spostano a cavallo di motoslitte, Stockwell nasconde tanti segreti. Orsi immortali, fantasmi di bambini, cospirazioni politiche per creare super soldati, creature metafisiche che fanno da guardiani della natura. E non sto scherzando, c'è tutto il pacchetto completo sopra descritto. E ci sono pure un sacco di indiani d'America, con le loro pantofoline e abiti tradizionali a righe orizzontali e grechine a dire roba sotto acido di continuo.
In questo scenario da sogno a tenere ordine nel caos c'è solo un poliziotto,  con la sua motoslitta, padre di una bambina che vede una sorella immaginaria.
Avrà a che fare con l'orso del terrore e una serie di strani omicidi che implicano la presenza di gente che di colpo va fuori di brocca. Come si sbroglierà la matassa? Ci saranno dietro di alieni? Gli spiriti? Gli zombie? I super soldati? Il governo corrotto? O bambini immaginari?
Lorenzo Calza, uno degli scrittori dell'acclamato fumetto di "Julia, avventure di una criminologa" prende un paesino americano di confine e ci ambienta la sua personale Twin Peaks "on the rocks". L'ambiente è suggestivo, in bilico tra sogno e realtà, tra cime innevate e il rosso sangue che va a sporcare il bianco del panorama. Tra poliziotti buoni e altruisti con ciambella glassata di ordinanza servita alla tavola calda e vecchi sciamani che mentre fanno da baby sitter a bambine biondissime e americanissime parlano di grandi spiriti, equilibrio tra bene è male. Ma Calza sbaglia clamorosamente. Pecca di ingordigia. Butta suo fuoco troppa carne. Più che un volumetto la sua Stockwell poteva avere i numeri per essere una miniserie di grande respiro
Calza ci vuole raccontare troppe cose e tutte insieme, minando l'equilibrio interno, rivoluzionando la bilancia di bene e male di troppi stimoli creativi. Se il racconto inizia benissimo, diventa intrigante nelle scene di battute di caccia all'orso e quasi ci convince con il "mistery" dietro al simbolo sciamanico del serpente, poi nel finale si perde. Tutto diventa confuso, forzato, aggiunto male e con pochi preamboli come fosse un polpettone composto da ingredienti di prossima scadenza. Un polpettone che può essere un patto con la morte per auto avvelenamento. Calza poi supera la soglia, donando quasi una salvifica vena trash al racconto, detonando un finale con non uno, non due ma ben tre colpi di scena. Tutti bruttini, abbozzati e incollati male. Al punto che ci si aspetta davvero che come quarto twist arrivino gli squali volanti di Sharknado. Il lavoro non funziona.
Sul lato visivo abbiamo Francesco Bonanno, probabilmente al suo esordio in Bonelli, dopo una ricca carriera nei "bonellidi". C'è da dire che Calza gli ha allestito uno scenario quasi da test di ingresso, in cui il disegnatore è chiamato a disegnare qualsiasi cosa. E Bonanno è davvero bravo, non mi stupirei a vederlo prossimamente su Julia. Possiede il tocco cinematografico che da sempre è fiore all'occhiello di quella serie. Disegna complessi e credibili personaggi-attori. Ha una composizione della tavola sempre precisa e ordinata, gli vengono molto bene le scene action. Un talento da tenere d'occhio. Davvero versatile.
In buona sostanza ci troviamo davanti a una storia da b-movie perfettamente disegnata. Un racconto che parte con tante belle promesse ha che di perde via, per bulimia rincorsa all'accumulo. Preso con la giusta filosofia, una storia che può comunque essere gradevole. 
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domenica 26 luglio 2015

Nuovo trailer per l'episodio finale di hunger games!


E finalmente ci stanno i mutanti!!!
Basta, sto a posto così, ho vinto tutto.
Perfidi commenti femminili parlano di un progressivo "inquartamento" di Jennifer Laurence. Per me è solo la resa cinemascope, sono tutte malignità...
Noi la troviamo come sempre bellissima.



Dopo l'interessante parabola sul "ruolo degli eroi nella storia", l'originale punto di vista narrativo per la prima parte di questo capitolo, ci aspettiamo una valanga di scene action spettacolari. Come quella del parcheggio di un multisala che si sgretola sotto i piedi o il mega fiume di coca cola che fa le onde tra i palazzi che manco in San Andreas. Sembra che Capital City sia diventata tutta una città fortezza come Neo Tokyo 3. Ce la farà Katniss con il suo arco preso in prestito da John Rambo a salvare il mondo? Riuscirà Il team Peta a non fare la fine del team Jacob? A novembre di sicuro ne riparleremo! Nel frattempo vi consiglio di recuperare tutti gli ultimi film della Lawrence, per lo più accompagnata da Bradley Cooper. Anche se non sono young adult sono uno più bello dell'altro, da Il lato positivo (favoloso) ad American Hustle (qui ha una parte più piccola ma riuscitissima). Pure io che guardo per lo più film spara spara ne sono rimasto rapito.
Mi dispiace pure un po' che questo sia l'ultim film degli Hunger Games. Ne riparleremo presto! 

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sabato 25 luglio 2015

Summer War: continuano i rumors sulle saghe supereroistiche dell'estate 2016!



Ma quanto sarà "grosso" Captain America: Civil War?

Ok, è estate. Fa un caldo record che dicono non capiti da 150 anni e la rete pullula di roba assurda. E molto riguarda la mega - pazzeschissima guerra dei film di supereori che esploderà a maggio dell'anno prossimo. Cioè, qui fa caldo, gli unici posti con aria condizionata sono i multisala e invece di riempirci di film da sballo troviamo in sala oggi qualcosa come tre film con Pierce Brosnan?





E poi si picchiano tra di loro per venderci il loro biglietto, in tre (20th Fox, Marvel-Disney e Warner Bros) riguardante il loro personale prossimo grosso film dei supereori di maggio 2016? È davvero una gara a chi c'ha il film di tizi in costume più grosso!!!
Non so come sia partita tutta questa follia.
Probabilmente la DC Comics, insieme alla Warner Bros, deve aver visto la più sborona e apocalittica lista di uscite cinematografiche di tutti i tempi. Il war plan della Marvel - Disney dei prossimi secoli di programmazione. Lo stesso "fogliaccio del bullo" deve averlo visto la Universal, che con Dracula Untold aveva pensato, pochi secondi prima di vederlo "Ma sì, facciamo anche noi una cosa alla Marvel - Disney, facciamoci i nostri Avengers con i nostri mostri classici, film singoli che poi confluiscono in film corali con tutti insieme Dracula, la Mummia, il Mostro della laguna e Frankenstein". Poi hanno visto l'orrore programmatico. I quadri Universal sono scappati nei boschi dalla paura. Ma la Warner no. La Warner ha guardato strategicamente nel mucchio dei mille titoli Disney e ha pensato di aver scovato il titolo più debole di tutti. Il terzo film di Captain America. E parliamo di mesi e mesi fa, quando nessuno si sarebbe aspettato che Capitan America: Winter Soldier prima e Guardiani della Galassia, facessero il botto. Erano i tempi in cui arrivava in tv Agent of Shield, che più che il nuovo X-Files sembrava, diciamocelo guardandoci nelle palle degli occhi, una onesta merdina.
Così ti piazzano Batman Vs Superman nello stesso periodo del film del capitano.
Nel mentre la Fox si è trovata tra le mani una perla inaspettata. X-men, giorni di un futuro passato è uscito una bomba e loro ci credono così tanto, e fanno bene, da piazzare alla fine del film un extra che preannuncia il nuovo capitolo. E dove te lo piazza in programmazione, considerando che servono sempre anni per simili progetti? Sempre nella primavera 2016 ovviamente! E io ho tre film di Pierce Brosnan al cinema ora!!! Vi rendete conto?
Buttate le carte sul tavolo, le tre major hanno già incominciato da alcuni mesi con il cannoneggiamento pesante a furia di aggiornamenti dal set. Nessuna major vuole che il proprio film supereroistico appaia al mondo come quelli che dispone del pene più piccolo.
Ogni giorno arrivano voci di corridoio pazzesche, volte a farci agognare alla follia questi prodotti. Roba così esagerata che non credo possa essere umanamente possibile stia tutta su pellicola. L'effetto "tutto qui?" all'uscita dalle sale si fa per me preoccupante.
Cosa doveva essere Batman vs Superman all'inizio del gioco al rialzo? Più o meno un film su Batman che va a insegnare all'uomo d'acciaio, non ancora diventato un Superman responsabile, che se si vuole fare i buoni non si radono al suolo le città con gli innocenti dentro. In parallelo al mitico scontro disegnato da Miller nel suo ciclo di Dark Knight Returns, se si vuole stare vicino alla fonte, Batman dimostra all'uomo dello spazio come un piccolo uomo terrestre ma tenace, geniale e pieno di soldi, possa mandare al tappeto una semi - divinità volante del cavolo come lui. Al film non serviva davvero nulla di altro, era una caccia, uno scontro uno contro uno. C'era pure nel fumetto la celebre scena con la super tuta di Batman. Quella che per anni ha fatto dire ai fan dell'uomo pipistrello che Bruce Wayne è superiore a Tony Stark: perché non ha bisogno di una cacchio di armatura da Iron Man per essere un eroe, ma se gli occorresse non ci mette un cazzo a farsi una armatura uguale se non migliore.

Cos'è Batman vs Superman a seguito dei mille rumors?
Un film su Superman, su Batman, con Wonder Woman, magari con Aquaman, con la partecipazione opzionale di Flash e Freccia Verde magari, con Lex Luthor e forse con il Joker. Scindendo e sperando che metà di questi rumors siano stronzate, per gestire questa roba mi aspetto un mattone di sei ore.
Ma fino a ieri non ci si lamentava con la Sony e con Raimi che c'erano nel terzo Spiderman troppi personaggi da gestire? Sembra così facile e scontata da replicare, la formula del primo Avengers?
Ma Marvel - Disney, colpita nell'orgoglio, se vuoi fa pure peggio.
Cos'era Captain America 3 prima di essere anabolizzato ottenendo la presenza di Iron Man nel cast?Probabilmente una storia su Bucky che fa la pace con Cap. Molto simile al secondo film, molto fantapolitica. Probabilmente, a rileggere i vecchi rumor, un film con acclusa la morte di Capitan America. Un tragico quadretto di come gli eroi siano solo merce di proprietà delle superpotenze, costruiti per guerre economiche che non hanno nulla di eroico. Prima di superuomini, soldatini di piombo. Certo, una tristezza inaudita.
Poi si è palesata l'idea di inserire Iron Man. Si è fatta largo la voglia di andare quanto più vicino possibile alla saga Civil War cartacea. Si parla sempre se far diventare i supereroi dei soldatini di piombo nelle mani dell'esercito, con un atto di registrazione superumana, ma il tutto diventa tra eroi favorevoli e contrari una maxi royale rumble colorata.
Un film che non può essere per sua natura meno grosso di un film degli Avengers, ma che introduce in più chilate e chilate di personaggi senza farceli conoscere prima in un film ad hoc.
Parliamo sempre di rumors, ma alcuni sono abbastanza confermati. Ci sarà, oltre a Cap America e Iron Man  (uno contro, l'altro a favore della registrazione dei superumani nell'esercito), la presenza di tutti gli altri Avengers (e dico tutti, pure Falcon, Visione, Scarlet Witch, Thor ed è di poco l'annuncio che "pure sembra che forse che magari ci sia pure" Mark Ruffalo, l'unico che finora mancava all'appello), il Soldato di Inverno, Pantera Nera, Crossbones, Spiderman, Ant-man, il Barone Zemo (quello "buono"), Daredevil e pure l'Hulk Rosso (sembra ancora nell'aria).
Certo, qui per lo meno conosciamo già una caterva di personaggi, ma quelli nuovi avranno uno spazio tutto loro. Sarebbe figo, per esempio, dare un ruolo centrale nella vicenda, come nel fumetto, a Spiderman, facendolo vedere magari con due costumi diversi... Ma ci sarà tempo? Riuscirà Pantera Nera a spiegare chi è, dove vive, che cavolo fa? E Zemo? Me li butti così nel calderone, magari per ripigliarmelo dopo per farmi vedere la sua personale suicide squad? E Rulk? Ci hanno messo due anni a introdurlo nei fumetti e qui lo butteranno dentro le sale in sei minuti?
Finora i più sobri di tutti paiono essere i tizi della Fox, che per lo meno hanno un cast similare a quello dei film precedenti e sanno gestirlo. Ma non si sa mai.
Insomma, mentre per la primavera 2016 è prevista nelle sale una autentica inondazione di supereroi, in film che già ci auguriamo bellissimi e coloratissimi, io ho nelle sale di luglio 3 film con Pierce Brosnan. Solo con Pierce Brosnan. L'eroe dell'estate italiana.
Lasciamo che i rumors facciamo rumore. In fondo non ci dicono molto del prodotto finale. Sono solo urla disumane volte a scacciare l'idea che l'urlatore abbia il pipino più piccolo dei suoi amichetti. Prendiamoli per quelli che sono, i rumor. Fastidiose zanzare che ci ricordano appuntamenti cinematografici da qui ad un anno, come se un anno di passasse unicamente nell'attesa di un film, con una insistenza odiosa ma talvolta carica di aspettative favolistiche. Film che quando li vedremo in sala saremo più vecchi ma più felici perché avremo un sacco di supereroi colorati davanti agli occhi. E nel 2017 torna pure Pacific Rim. Buona abbuffata e buon caldo a tutti. Dicono di bere due litri di acqua al giorno o si evapora. Io nel dubbio lo faccio. Che tanto se mi scappa mentre guardo al cinema Pierce Brosnan poi la trama la recupero facile...
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venerdì 24 luglio 2015

Dylan Dog - i colori della paura vol.1 - la nuova alba dei morti viventi

Testi di Recchioni, disegni di  Mammucari, copertina di Di Giandomenico


A un prezzo lancio stracciato di 1.99 inizia la nuova serie della Gazzetta dello Sport che ripropone le storie a colori di Dylan Dog precedentemente uscite per la collana Dylan Dog Color Fest. Albetti sulle quaranta pagine, uscite settimanali e un sacco di redazionali e tavole speciali ad arricchire la pubblicazione. E questa settimana, per partire con il botto, ci viene presentata una storia inedita, che omaggia in 34 pagine a colori il primissimo numero di Dylan Dog, L'alba dei morti viventi.
E noi la abbiamo letta.
Conoscete tutti Smoke on the Water?


Forse molti non conoscono i Deep Purple, perché sostanzialmente viviamo in un brutto mondo, ma questa canzone l'avrete sicuramente ascoltata, magari quando si fanno le ore piccole, se vi è capitato almeno una volta di andare in un locale o a una sagra o in un qualsiasi posto dove suonano musica dal vivo. Un classico. Soprattutto quell'incipit, insistito e potente, da orgasmo. Un giro di note che chiunque ha preso in mano una chitarra subito cerca di replicare. Pura potenza.
E ovviamente non è che in ogni locale, sagra o in qualsiasi posto dove suonino musica dal vivo ci trovate sempre i Deep Purple, bontà loro. Ma la musica funziona sempre, è abbastanza facile (almeno nell'incipit...), il ritornello conquista e ripara magari una serata di pezzi così così. Le luci si spengono. Si  alzano gli accendini. Tutti cantano il ritornello. Nelle cover band è un pezzo imprescindibile. Se poi mi sanno suonare Shine on your crazy diamond dei Pink Floyd è pure meglio, ma già con il pezzone dei Deep Purple conquistano ed espugnano il mio cuore.
Succede allo stesso modo in tutte le forme d'arte. I classici sono fatti ssere riproposti. Non è che uno va a teatro a guardare il Romeo e Giulietta e si incazza perché in regia non trova Shakespeare. Viviamo in un'epoca che guarda alle opere come qualcosa di unico e irripetibile, perché magari facilmente riusciamo a recuperare le incisioni originali, i testi o disegni originali, i film originali. Ma le opere sono per loro natura anime in viaggio, ogni persona che vi si avvicina le carica inevitabilmente dei propri sentimenti, della propria esperienza. Quante ballate di Bryan Adams non voglio più ascoltare perché mi ricordano storici due di picche ? Non le conto!
Anche il primo numero di Dylan Dog è un classico. Si trova in edizione rilegata, colorata, dedicata, approfondita. Tutti possono comprare una copia originale, goderne per sempre ed essere felici. Così come è bello rileggere questa storia, magari affidandola a mani diverse, contesti nuovi. Sicuri che il giro di note, se eseguito ad arte, conquisterà comunque il pubblico.
Così de L'alba dei morti viventi abbiamo da poco assistito alla versione di Topolino e oggi leggiamo una versione che funge da numero uno di una nuova collana.
E c'è da dire che suona piuttosto bene.
La premessa che offre un nuovo punto di vista sugli eventi però è davvero troppo "curiosa". permettetemi un commento personale. Preambolo. Concedetemi quanto sto per dire pur con tutta la simpatia che provo per l'intraprendenza e difficoltà di questo lavoro, a monte dei salti mortali che comporta una riduzione imposta a 30 pagine di un capolavoro che ne conta cento; un solo commentino vigliacco, pur rispettoso dei problemi insiti in una operazione volta anche a ricercare nuovo pubblico, vuoi pure più giovane. Lasciatemi un sassolino, nella piena stima che provo per una operazione così accurata, quasi filologica, di puro amore per il numero 1 al punto da riprodurre con rispetto assoluto gli ambienti, le tavole di Stano e finanche i testi di Sclavi originali (pure omaggiato la copertina originale in una tavola!), un lavoro che per ossequiosità avvicino al remake di Psycho operato da Gus Van Sant, una autentica messa cantata pedissequa e fedele al modello, che rimane quasi intaccato per la sua perfezione  (salvo quella sua licenza poetica " brassiana" di incedere sulle splendide rotondità dell'attrice, ma qui vado fuori tema). Concedetemi questo brutale, personalissimo, commentino personale e un po' stronzo.
Ma la custodia del clarinetto.
 Come voce narrante del racconto.
La trovo una puttanata atroce.
La storia della custodia del clarinetto, non l'ho davvero capita.
Sarà l'età o una visione del mondo forse meno fantasiosa e quindi grigia e più monotona.
In sé è geniale dare una voce a un oggetto inanimato e neppure così surreale forse, da anni i libri ci parlano e pure da una tazzina si può risalire a un ricordo.
Molto più piattamente, abolendo i suoi "dialoghi col pubblico", io averi pur tenuto la custodia in scena come "telecamera fissa di osservazione" per descrivere quanto le sta vicino. Sarebbe quindi rimasta sempre lei la protagonista della scena. Cosa che in effetti anche senza i suoi dialoghi  è già. Insomma, l'avrei tenuta come punto di vista, non mi sarei mai aspettato di conoscere il "suo" punto di vista. 
Oddio... 
Forse era a farci fare questa battuta che mirava il racconto di Recchioni. Puro genio.
Per un momento declino lo schienale del mio sedile e accetto di colpo un nuovo interessante punto di vista sull'universo.
Torniamo al pezzo, dopo una rollata.
Recchioni compie il suo personale greatest hits delle scene preferite dell'immortale numero 1 di Dylan Dog. Seleziona scene che possono attirare parecchio il pubblico più giovane, quelle action, ma tiene in dovuto conto anche lo zoccolo duro, a cui regala una lacrimuccia dolce sulle guanciotte felici. Il primo oggetto del desideri che accomunerà nuovi e vecchi lettori sarà il numero uno storico. Leggere Sclavi integrale è come ascoltare direttamente i Deep Purple. Dal vivo. Imprescindibile per diventare uomini e cuccare le ragazzine più fighe.


Se il lavoro di Recchioni funziona alla grande, ugualmente tosta era la sfida di Mammucari nel ripercorrere i disegni tracciati da Stano.
Il disegnatore nativo di Velletri si carica il suo bel macigno ma affronta la sfida a testa alta, grazie anche agli splendidi colori della Leoni. Quello che disegna è un Dylan decisamente aitante, tosto e determinato, che nella sintesi delle 32 pagine sembra quasi più spavaldo del solito (ma rileggete il numero 1 e stupitevi, magari non ve lo ricordavate bene...). Un Dylan che ci piace, che vive in un mondo che colorato appare quasi più fantasy e vicino ai comics americani. Un eroe e un mondo che rivedremmo volentieri presto disegnato con queste matite che tanto abbiamo già apprezzato, come i colori della Leoni pertanto, in Orfani. Davvero un ottimo lavoro, chiosato dalla copertina della star internazionale, attiva spesso in Marvel Comics ma italianissima, Carmine di Giandomenico.
Decisamente un bell'inizio per la collana settimanale full color. Un'occasione per riscoprire, nei prossimi numeri, anche la freschezza e originalità dei tanti talenti che negli anni hanno contribuito al successo del Dylan Dog color fest. Artisti che hanno dimostrato come Dylan, liberato dal disegno classico e relativa "gabbia" delle vignette,  possa trascendere i generi e avere tante interpretazioni diverse, sia grafiche che di sceneggiatura. In 32 pagine vedrete quindi racconti di tutti i tipi e di tutti gli stili di disegno. Alcuni accattivanti, alcuni davvero strani, spesso racconti sperimentali o metaforici. Storie che sono anche la possibilità per molti bravi autori di farsi conoscere. Racconti che non puntano a prendere il posto del fumetto mensile, cosa che misteriosamente spaventa qualcuno, in quanto non c'è competizione. Storie da scoprire con curiosità e gusto di apprezzare nuovi punti di vista. Per questo una serie che di sicuro non piacerà a tutti, magari anche solo per partito preso, ma che vale la pena seguire e supportare. 
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giovedì 23 luglio 2015

Dragonero 25 - La porta sul buio


Quando le nostre edicole si sono riempite con il numero di Dragonero di giugno, siamo sicuri di aver percepito qualcosa di strano nell'aria, come una scheggia di gelo, nell'inizio di questa torbida estate bollente. Un numero sinistro che non poteva che racchiudere oscuri e inconfessabili segreti.
Abbiamo indagato a fondo, ma senza qualcosa di davvero tangibile da portare come prova ci è possibile solo andare per supposizioni. Nella speranza che quanto da noi elucubrato non sia che la versione da incubo di vicende in realtà più innocue e spensierate.
Tempo fa di sicuro Vietti deve aver incontrato una fan dal volto simile a quello di Katie Bates in Misery non deve morire. Una donna spiantata che viveva con gli zii, che facevano i panettieri . Non è stato possibile trovare indizi sulle sue generalità, sappiamo solo che questa insisteva per farsi chiamare con un nome di derivazione fantasy: Darya Fearille.




La Fearille deve aver avvicinato Vietti complimentandosi per il suo lavoro sul fantasy Dragonero, magari si è fatta firmare una copia del primo romanzo, è riuscita a scambiare due chiacchiere con l'autore e ad esternare il suo amore viscerale per il numero a colori dell'anno 2014. Un numero bellissimo in cui venivano dati un sacco di dettagli sulla storia sentimentale tra Ian e Gmor. Quando si erano rincontrati da adulti, quando avevano giocato nudi a tirarsi l'acqua addosso, quando hanno deciso di mettere su casa insieme. Momenti bellissimi che Faerille sperava di ritrovare nello speciale di luglio 2015. Perché lo speciale di Dragonero per lei non era solo un numero a colori, era molto di più. Dopo la lettura era rimasta travolta e aveva composto decine di fan fiction sul periodo magico descritto dallo speciale. Era nata così Darya Faerille, messaggero imperiale e nipote di una famiglia di fornai, un suo alter ego nel mondo di Dragonero. O almeno, questo è quanto noi supponiamo.
Vietti deve aver ringraziato, firmato e dedicato tutto quanto la Faerille gli ha messo sotto mano, fino a quando un innocente scambio di battute non ha fatto precipitare la situazione.
Nulla sarebbe stato come prima.
La donna deve aver chiesto di cosa avrebbe parlato lo speciale del 2015, con trasporto e occhi sognanti. E Vietti deve averle fatto vedere questa copertina:




Emozionato, l'autore deve averle con entusiasmo parlato dell'incontro tra l'uomo con la mazza di pietra e l'uomo con la spada nera tatuata (ben conscio che tali metafore sarebbero state utilizzate da quei vigliacchi delle conseguenzedeltroppotempolibero). Due eroi che si incontrano. Un grande evento. Una dichiarazione genuina di amore zagorista.



La Faerille era perplessa. O ameno così immaginiamo, non può che essere andata così! Sognava di conoscere nel numero speciale nuovi dettagli sul passato dei protagonisti. Voleva sapere della cerimonia di ingresso negli scout imperiali, assistere al momento in cui Ian avrebbe donato a Gmor quel suo copricapo tipico da Kung Fu Panda, voleva rivedere Ian e Gmor, felici e a petto nudo, a giocare nell'acqua. Ma Vietti, implacabile, deve averle risposto che erano cose già viste, che ai lettori non interessavano, che stava scrivendo in quel momento il numero 25. Che riteneva un lavoro molto importante. Un numero che introduceva nel mondo di Dragonero degli esseri tentacolari simili a polpi che vivevano in un'altra dimensione, osservabile tramite degli specchi. Uomini polpo che facevano cose zozze come negli anime giapponesi. Una sorta di stirpe di porno attori che costringeva le menti più deboli a stare tutto il giorno a guardarli attraverso questi specchi. Loro facevano le zozzerie, gli altri  a furia di guardarli diventavano prima violenti, poi ciechi (zozzoni) e poi finivano male. Una diretta critica all'abuso di materiale porno tramite internet da parte dei più giovani che prima si irretiscono, poi non studiano o non vanno più a lavorare, poi buttano tutto ai video poker e in un attimo sono ai bordi della strada. Senza il porno sarebbe stato diverso. Forse. E quindi Dragonero per il sociale e contro le pugnette!




Noi almeno così l'abbiamo intesa.
A quel punto la Faerille deve avere in qualche modo procurato un trauma a Vietti. Deve averlo poi trasportato in una casa isolata, legato al letto e dopo alcune ore ridestato con un secchio di acqua fredda in faccia. E quando Vietti ha aperto gli occhi deve aver visto questo




La donna prima parlava di uomini senza cuore, poi di amore infranto, poi di volgarità e infine minacciava le peggio cose se l'autore non avesse letto le sue fan fiction su Darya Faerille.
La vittima doveva riscrivere il numero 25, quello sui polpi, che presto sarebbe andato in stampa. Avrebbe dovuto mettere tutti i dettagli che lei voleva, una buffa cerimonia di iniziazione agli scout, i due che giocano a schizzarsi l'acqua, allusive visite al mercato rionale di Solian con impellente voglia di pesce, la storia del cappello da Kung Fu Panda di Gmor. E lei. Darya Faerille. Diventata un personaggio del racconto e di tutte le future saghe di Dragonero. Lei, dal passato misterioso e forse in qualche modo collegata alla morte di due persone. Come dimostrano le inquietanti tombe disegnate a pagina 43.
Se l'autore si fosse sottratto da questo amaro compito...




Non vogliamo nemmeno immaginarlo...
Così eccoci qui. Con l'unica certezza che in qualche modo Vietti se la sia cavata.
Potremmo essere completamente fuori strada, ma quella che sopra vi abbiamo proposto ci sembra la più scientifica e plausibile ricostruzione degli eventi. Quella che ci fa comprendere meglio alcuni criptici passaggi narrativi e da spessore a quelle misteriose 80 e dico 80 pagine di flashback presenti in questo numero.
Rimane oscuro quanto realmente sia successo. Ma siamo sicuri che da oggi, ogni volta che farà capolino il personaggio di Darya Faerille sulle pagine di Dragonero, un piccolo brivido vi percorrerà la schiena.
Ok, fine ricreazione, passiamo alle cose serie.
In questo numero Ian è chiamato a indagare sulla presenza di misteriose creature che sono riuscite a varcare un portale dell'inframondo. Quella specie di dimensione parallela che sembra ispirata alle copertine dei dischi dei Supertramp (ne abbiamo già parlato in passato, i due numeri ambientati nella capitale), ma dall'aspetto decisamente più "animato" in questo caso. Un posto davvero strano, dove ovviamente sono cadute urlando un paio di donne del cast dei comprimari (ma daaai??!!).
I mostri che oggi vediamo sono roba assurda alla Lovecraft, genere Cthulhu, tentacoli et similia. Esseri sinistri ma forse nemmeno così cattivi (forse), che Ian ha già incontrato in passato, evocati dalla follia umana per volere di dominio e cieca cupidigia, esseri ora sinistramente di nuovo a piede libero.
Vietti architetta una lugubre e plumbea storia horror, che omaggia il classicio Dagon. Un racconto tetro e misterioso, con interessanti rivelazioni sul nostro eroe, che nella prima parte si concede un registro scanzonato e divertente, necessario a dare più gusto all'orrore, che cade come una mannaia e non ci lascia fino ad un finale inquietante quanto suggestivo.
I disegni di Morrone e Pagliarani sono pazzeschi, l'ennesima dimostrazione che su Dragonero la qualità grafica è sempre di casa. I disegnatori riescono perfettamente a cogliere il registro narrativo del volume, tanto esaltando le concitate scene di lotta quanto abbassando le luci e svuotando i villaggi quando vogliono farcela fare sotto dalla paura. Magnifico il monster design, che mi ha ricordato un paio di intuizioni, sempre lovecraftiane, del primo Hellboy di Del Toro. Commovente il "trash di lusso" che trasuda il combattimento finale nel citare, forse, il mai dimenticato, immortale  anche se bruttissimo, Conan il distruttore.
Colpo da maestro, il finale, a pagina 98, che gioca tutto sul ruolo delle ombre nel disegnare quella che è forse una sconfitta ma forse è ancora una minaccia.
Davvero un bel numero. Curioso nello svolgimento (e abbiamo "lollato" su questo aspetto), potente nei disegni e concitato nelle zuffe. Ora ci aspetta l'orda dei non morti del numero 26-

Talk0
P.s. Ah, e per il fanservice del numero 25 ringraziate Darya Faerille ; )