Reinhard
Heydrich (Jason Clarke) è un enorme, spietato e rabbioso soldato tedesco, con
la carriera appena iniziata e già stroncata sul nascere per uno scandalo di
letto. Ma conosce Lina (Rosamund Pike), fervente attivista politica, che ci
tiene tanto a fargli incontrare Heinrich Himmler (Stephen Graham), un pezzo
grosso che sembra disposto a dare una seconda possibilità quando vede in un
uomo del vero talento. Ben presto Reinhard raggiunge i vertici delle SS,
dimostrando grandi capacità di comando, carisma e un incredibile spirito
ariano. Un soldato crudele, ma necessario per la nuova nazione che sarà
edificata. Un amante della bella musica, da lui stesso suonata con il primo
figlio tipo Tutti assieme appassionatamente. Un padre di valore, severo ma al momento
giusto gentile e motivante. Un marito un po' assente, cosa di cui si rammarica
presto Lina, che si sente in parte l'artefice della carriera del marito (All'inizio sembrano quasi Brigitte Nielsen e Dolph Lundgren, ossia Ivan Drago
e Signora in Rocky IV, e sono "amabilmente e diversamente teneri") ma
non vuole rompergli troppo le scatole, anche perché soprattutto vorrebbe
stare un po' di più vicino a lui, coccolarselo. Vorrebbe capire perché a un
certo punto si deve andare tutti a Praga. È una promozione? È una rogna? Lui
non è mai a casa e sta sempre in giro a falciare dissidenti e nemici vari come
un Terminator (molte le scene di violenza condita a sparatorie e inseguimenti,
e molto ben riuscite). Alla fine il lavoro a Praga è una rogna, perché viene
organizzato un attentato contro Reinhard (il film si apre proprio con la scena
dell'attentato) e così incontriamo pure Jan (Jack O'Connell) e Jozef (Jack
Reynor), paracadutati in terra nemica e sotto copertura, nel tempo libero pure
sotto le coperte con Anna (Mia Wasikowska). Come finirà l'attentato? E non
andate a sbirciare!!
Oh, in
questo film pieno di tedeschi non c'è manco un attore principale tedesco... ma
gli attori inglesi funzionano, e molto, danno alla vicenda un respiro
Shakespeariano che subito conquista. Clarke si mangia tutta la
pellicola con un personaggio pazzesco. Un po' Riccardo III, un po' Dracula, un
po' Whalter E.Kurtz, un po' (incredibilmente) con gli occhioni vacui di Ivan
Drago. Violento, rabbioso, strategico, assetato di sesso, carismatico, a volte
quasi ascetico. È tutto un divenire e "costruirsi", al punto che
anche quando è fuori scena lo avvertiamo, come il Dracula di Coppola che
diventa nebbia e quindi è dappertutto, e influenza tutti, come il "drago"
di Excalibur di Boorman. Poi però sembra che il regista, Cedric Jimenez, forse
perché influenzato dalla trama del romanzo da cui il film è tratto,
"HHhH" di Laurent Binet, si dimentichi proprio di far tornare in
scena Reinhard Heydrich, e si fissi invece su Jan e Jozef. È un taglio netto,
sembra che parta un nuovo film che nuovamente apre dalla scena dell'attentato e
via di flashback ma da un diverso punto di vista, la nascita e svolgimento
dell'attentato, che prende il nome di "Operazione Anthropoid". E Operazione
Anthropoid è un film già visto dieci milioni di volte. Ben girato, con
bravi attori, un paio di scontri a fuoco clamorosi (pure un momento alla John
Woo), molto movimentato, ma comunque "un altro film", molto meno
interessante ma più, se vogliamo, "politicamente corretto". Perché
questo è il punto. È come se il personaggio di Clarke sia svettato così tanto
in scena da far venir dei dubbi alla produzione sul fatto che qualcuno potesse
vederlo come troppo affascinante. E siccome "non si deve tifare per cattivi"
come Scarface, Darth Vader, Roy Batty, Kurtz (e ci metto pure il recente Dick
Cheney di Christian Bale), siano loro personaggi reali o di fantasia, bisogna
perdere un po' di tempo con i "buoni". Come se (forse per i
produttori, non credo per il regista e attori, che hanno messo in scena
personaggio molto curati) fossimo tutti bambini di cinque anni e il film non si
sentisse sicuro di averci fatto percepire "i cattivi" con
spirito sufficientemente critico. Avremmo voluto vedere di più Clarke come la
Pike, avremmo voluto vedere maggiormente esplorato il rapporto con i figli e
con Himmler, che sembra quasi uno zio acquisito. Ormai anche in TV dai tempi
dei Soprano ci siamo abituati un po' a guardare l'umanità dietro ai personaggi
più controversi, i buoni potevano entrare in scena come gli avversari di
Scarface nell'ultimo atto (quello di "chi fa la guerra a me la fa al
numero 1") e il messaggio della loro presenza (nonché la presenza della
Storia, in senso scolastico, perché è tutti ispirato a eventi reali) sarebbe
ugualmente passato.
L'uomo
dal cuore di ferro è quindi una pellicola con due anime, che poteva forse osare
di più. Rimane una pellicola con molti meriti, ottimi attori, una bella
ricostruzione storica e una visione dello spettacolo che mai annoia.
C'è un
manipolo di omini incazzati e tristi, bruttini, vecchietti, non avvenenti né
quantomeno atletici che si aggira, la sera, come i lupi mannari intorno ad una
piscina comunale. Si dedicano alla pratica di quello che per tipi come loro
sembrerebbe il più improbabile degli sport, il nuoto sincronizzato maschile, ma
la ragione di questa scelta è presto chiara: Delphinie. Delphinie (Virginie
Efira) non solo è la loro istruttrice, ma è un po' psicologa, un po' assistente
sociale, un po' amica, quasi una dolce mamma-chioccia. Mentre questi
amabili/terribili omini sgambettano male in acqua, sfogando con movimenti per
lo più sgraziati tutto lo stress di cui "sono fatti", la dolce,
bionda e gentile Virginie gli legge dei libri, li sprona a guardare il lato
positivo della vita, li tiene uniti. Da lì una botta di testa del gruppo:
iscriversi ai mondiali. Poi Virginie non può più seguirli, perché anche lei
cade in una brutta depressione, e la nuova allenatrice del gruppo diventa
Amanda (Leila Bekhti), una mora ex nuotatrice sulla sedia a rotelle,
tostissima, determinata e più autoritaria del sergente maggiore di R.Lee Ermey
di Full Metal Jacket. Amanda vuole che il gruppo ci vada davvero ai mondiali e
farà di tutto per fare di loro delle credibili macchine da medaglie. O almeno
ci proverà.
Perfetti
tempi comici, un ottimo gestione del cast che riesce a fare il giusto spazio a
tutti gli interpreti, una trama dalle premesse stralunate ma intrisa di molta
umanità e divertimento. Lo sport che si ritiene erroneamente di nicchia (pieno
di fatica, valore e con pochi riconoscimenti) diviene la voce di persone
per la società considerate di nicchia (piene di fatiche lavorative e
familiari, cariche di dignità e altrettanto poco riconosciute all'esterno).
Tra sfottò, dubbi sulla sessualità di chi pratica certi sport e
incredulità generale, questi due "mondi ai margini" si incontrano,
scontrano e scoprono di parlare la stessa lingua.
La
classe operaia non va più in paradiso ma va in piscina, potremmo dire. A
cercare conforto, a scoprire qualcosa di più di se stessa, a confrontarsi e
relazionarsi e scoprire, perché no, che si può avere una possibilità di
rivincita nei confronti del mondo. A sperimentarsi anche con la
"grazia" del nuoto sincronizzato: apparentemente "roba da donne",
in realtà una disciplina che dietro le paiettes e le canzoni alla Dirty Dancing
risulta tostissima e impegnativa. E tutto dietro a una gustosa cornice naïf che
incita a ridere fin dal trailer, è magicamente credibile, divertente,
appassionante e tenero. Merito della regia leggera, ordinata e ritmata di
Gilles Lellouche, merito di un cast maschile di attori straordinario, come
Guillaume Canet, Mathieu Almarac, Benoit Poelvoorde, Jean-Hugues Anglade. Ma
soprattutto merito dei personaggi di Leila Bekhti e Virginie Efira. Personaggi
per nulla banali e soavemente interpretati. Ne parlo scopertamente da
innamorato, di entrambe. Nelle avverse sorti di questi buffi, amabili e
male-assortiti omini, tutti in qualche modo losers, trombati e falliti, tutto
troppo cinici o troppo bonaccioni per affrontare la vita, un po' tutti,
chi più chi meno, in sala ci immedesimiamo. In loro avvertiamo la stessa
"necessaria" voglia di riscatto, che condividono un po' con lo
sgangherato manipolo del classico inglese Full Monthy, ma sono le due ragazze a
conquistarci il cuore e a farci sentire, anche noi in sala (soprattutto
i più attempati), coccolati, spronati e incitati. Dietro a questi sette grandi
attori comici ci sono queste due piccole/grandi attrici donne, che portano al
cinema un ruolo femminile più di "mamme" che di femme fatale. Piccole
donne dolci e determinate da cui si costruiscono grandi famiglie. Un ruolo
umano e sociale storicamente proprio della donna ma per molti aspetti
cinematograficamente ancora "nuovo", troppo poco esplorato (e i
francesi sono in questo grandi sperimentatori) che sarebbe bello vedere
approfondito in altre opere.
In un
periodo gremito di offerte cinematografiche di ogni tipo vi invito quindi a
scegliere senza indugio questa commedia, che riesce per altro a far molto
ridere, se siete in cerca di una commedia "rinvigorente", con cui
ricaricare le energie per ripartire con l'anno nuovo con la giusta carica
positiva. E chissà che qualche pazzo voglia pure andare ad iscriversi a nuoto
sincronizzato. Certo se poi in piscina ci troviamo delle istruttrici come la
Efira e la Bekhti un tentativo lo farei.
Per le
strade di un mondo fantasy apparentemente così ultra classico da
rasentare il banale, guerrieri pucciosi/maghetti-bambini colorati/infermiere-curatrici tettute/(altro) e altra gente disegnata
apparentemente tutta in stile ultra caruccio e stereotipatissimo come solo nei
peggiori jrpg, si muovono felici, girovagando qua e là. Si muovono in gruppetti
sempre schifosamente colorati e allegri, nella routine di tutti i giorni,
tra apparentemente noiose gilde, pallosi villaggi/grotte/castelli/(altro). Lo scopo
di ogni avventura che li vede coinvolti pare essere sempre lo stesso: sgombrare
qualche area da mostriciattoli "classici" (in genere tutta l'epica
sottesa in questi racconti è "Mostri brutti inquadrati male" contro
eroi "tutti belli", per lo più eroine poppute), ricevere una
qualche ricompensa da questa attività di sgomento e infine comprare armaturine
colorate/pozioni magicose/spadini con elsa colorata/(altro) in un maxi
quartiere commerciale fantasy stile Akihabara. Apparentemente, in questo
mondo più gli eroi/giocatori combattono più "salgono di livello" e
accedono a delle "caste sociali" di rilievo (rappresentate dal
possesso di una targhetta di riconoscimento di materiale sempre più pregiato),
nella più classica (e forse pure razzista) scalata a punti da gioco di
ruolo fantasy standard. Ci possiamo quindi aspettare di essere nel più
tipico, trito, vomitevole e generico scenario di giochino di ruolo "di
carta o da console", quello in cui la violenza grafica è del tutto assente
e non c'è un solo rivolo di sangue anche se i protagonisti della storia
ammazzano migliaia di mosti, che elegantemente defungono in stelline colorate
regalando punti esperienza al party?
E invece
no!
Almeno,
qui in Goblin Slayer no. Un "no!" che grida forte e duro fin dalle
prime pagine: "nooooooooooooo". Un "no" che fa ben sperare
per il futuro dell'umanità in genere ma soprattutto per chi è solito leggere
Nagai, Miura, Oku, Hara, Isayama, Kishiro, Hanazawa, Hirano, Yamaguchi,
Tachibana, Muneyuki, Kitakawa e tanti altri profeti del fumetto fantasy un po'
maturo, magari cruento e magari splatter (sto parlando di me, ovviamente).
Alla faccia di chi bazzica il fantasy jappo più patinato, quello che in gente
vende, fatto tutto di triangoli amorosi e ore in erboristeria e in sale da the,
tra maghetti inspiegabilmente allegri e tutti minorenni. Alla faccia della
forte pubblicità intorno all'opera, alla faccia che all'inizio
sembrerebbe pure questo Goblin Slayer essere un fantasy patinatissimo ecco che
ci si ricrede, quando arriva dopo poche pagine un colpo di scena niente male.
Colpo di scena che per i più distratti è stato ben evidenziato, sempre per il
discorso della forte pubblicità che gira intorno a quest'opera, su TUTTI
sui social.
"Cosa
sarà successo mai, in un fantasy dall'aria tanto banalotta?"diranno i miei
piccoli lettori.
Questo
succede. Un gruppo semi esordiente, colorato e banale, di eroi, soprattutto
composto di fanciulle procaci, da classico "jrpg caruccio e
puccioso" di cui sopra, entra in una caverna popolato dai mostri. Lo scopo
è ovviamente guadagnare qualche soldino presso la gilda per comprare un
capellino nuovo nel centro commerciale fantasy più vicino, affrontando
pericoli non così "pericolosi". Nello specifico il gruppo deve affrontare
i mostriciattoli apparentemente più innocui di tutti: i soliti storditi,
debolucci, bruttarelli e un po' mediocri goblin. Sono per il sentire comune
gnappetti per lo più grandi come bambini, sono intelligenti quanto bambini in
età pre-scolare, sono male equipaggiati e prevedibili, sono i mostriciattoli
più ambiti per gli eroi di basso livello e i più snobbati dagli eroi seri,
perché a farli fuori non ti danno in genere una grossa ricompensa. Carne da
macello fantasy, concepiti solo per fare punti, più facile che si suicidino
cadendo sui loro coltellini da soli, piuttosto che fare dei danni reali agli
eroi. E invece... eccolo che arriva come una brezza, da lontano, il
"nooooooooooooooo!!" di cui sopra vi dicevo.
Il
piccolo party di eroi semi esordienti finisce fatto a pezzi. Non solo nel modo
più cruento possibile che Go Nagai approverebbe, ma anche letteralmente
"deflorato con violenza" dai pisellini dei brutti ometti verdi (e
potete quindi immaginare la pubblicità su cosa andava a parare... anche in questo
caso Go Nagai approverebbe, comunque). A salvare i pochi brandelli di carne
"eroica" rimasti estranei dalla macellazione e dai giochi erotici,
interviene un eroe misterioso, lercio, pesantemente armato, in armatura
pesante e con il viso coperto da un arrugginito elmo integrale che ne
nasconde ogni possibile fattezza. Un tizio cattivissimo e potentissimo, che
aprirà crani come non ci fosse un domani fino a scavare tra morti uccidi male
l'unica via d'uscita da quel brutto buco putrido. Chi sopravvivrà alla fine?
Ovviamente solo lui e una bella ragazza, la prima di un alto numero (per lo
più) di belle donne che si unirà al suo gruppo durante la storia per aiutarlo,
supportarlo, un po' capirlo se non amarlo.
Perché
lui è il Goblin Slayer, ed è un eroe oscuro e tenebroso, e per questo
sottilmente sexy. Sexy quanto i personaggi maledetti e disperati dei videogame
dark fantasy come Dark Souls, a cui lui assomiglia visivamente un casino, che di fatto oggi rappresentano a tutti gli effetti la "nuova tendenza"
dei giochi di ruolo fantasy. Eroi perdenti, senza volto, probabilmente pazzi e
che è un po' da pazzi frequentare. Già la prima "companion" di questo
Goblin Slayer quanto durerà? Più passano le pagine e il tempo più questa
ragazzina dai grandi occhioni si intristisce, si deprime, rimpiange gli studi
da maghetta e inizia a pensare al suicidio. E nel mentre mi diventa pure emo,
perché il Goblin Slayer c'ha sta carica "dark" che è "tanto
dark", per cui dark diventano tutti intorno a lui, pure i nemici più
improbabili, i "piccoli dark goblin", che grazie a questa opera
assurgono a ruolo da villain seri e professionali, dopo una vita di
stenti e derisioni da parte di ogni gioco/libro/fumetto/film fantasy esistente.
I goblin quasi diventano più fighi degli alien di Ridley Scott. Eccoteli
numerosissimi, prolificissimi, organizzatissimi, infidissimi,
sessualissimamente ambiguissimi e molto, molto pericolosissimi. Avranno armi
del cavolo, saranno debolini ma anche solo per il numero esorbitante con cui
"in questo mondo" sono soliti radunarsi e attaccare, appaiono come
vere e proprie piccole e infinite legioni della morte, pronte a sbucare a
sorpresa "da tutte le fottute pareti" di ogni dungeon, pronte a
tendere imboscate nel buio di ogni albero, pronte a darsi da fare creando
armi avvelenate mortali, allestendo trappole, rapendo giovani donne a uso
stupro "svuotando" di fatto i villaggi (e portando a far capitolare
le città per assenza di provvigioni), divorando uomini dalle cui ossa
intagliare nuove armi e suppellettili (le ossa umane divengono per i
Goblin favolosi elementi dei loro mobili ikea). Vaglielo tu a dire, a
questi goblin: "siete dei nemici del cacchio". E loro, proprio perché
sottostimati per anni, considerati alla stregua di una bassa minaccia a uso
"trastullo per eroi novellini", ora stanno pure alzando la testa e
sembrano diventati feroci proprio quanto gli xenomorphi di Ridey Scott. E la
cosa davvero figa di questa evoluzione dei goblin è che è "colpa degli
eroi" e in senso lato dell'intera socialità del cacchio che può scaturire
da un mondo fantasy gestito a membro di segugio. Ovviamente i soliti piccoli
villaggi rurali fantasy sono il principale terreno di caccia dei goblin, perché
gli avventurieri "seri" ignorano il problema considerandoli innocui,
perché far fuori Goblin fornisce di fatto per i "tariffari
attuali" delle gilde un bottino da poco. Ed è colpa della gilda
perché questa non legge ancora i Goblin come un problema sociale esteso e
non hanno richieste di intervento perché i villici non hanno molto soldi da
offrire. È tutto collegato... cioè, stiamo davvero parlando qui di problemi
legati al "Welfare fantasy"!! Quando avete letto di recente di
riflessioni politiche sulla gestione del problema dei goblin secondo il piano
di zona del comune fantasy tipo? Qui potete farlo!! Il problema è così
serio che gli eroi novellini (leggi: "quelli che si accontentano di una
paga da miseria") ormai è più facile che muoiano quando incontrano i
goblin, anche perché vanno ad affrontarli senza esperienza e male equipaggiati
sottovalutando il problema. E qui c'è pure un problema a livello di
"istruzione primaria e secondaria fantasy!!" Quando è stata l'ultima
persona ma volta che in un fantasy avete sentito caro il problema
dell'istruzione primaria dell'eroe medio? Qui in Goblin Slayer si parla anche
di questo!! Ma solo io sono gasato a questa cosa? Solo io sto ammattendo?
Comunque, nasce pertanto in questo contesto "per reazione" un
eroe come il Goblin Slayer e non può essere che un tizio strano e imperfetto,
con sindromi post traumatiche che non ti dico e che lo rendono afflitto da più
fragilità mentali. Un tizio diverso fisicamente e psicologicamente dal classico
cavaliere in armatura argentata pieno di onore e classe, al punto da essere
quasi straniante la sua esistenza per gli altri. Il tocco di genio nel manga,
è nel ritrarre l'eroe sempre in armatura, tocco di genio dell'anime realizzare
la suddetta armatura in computer grafica per dare al personaggio anche delle
movenze fisiche diverse rispetto agli altri personaggi disegnati in modo
tradizionale. Goblin Slayer è strano, è alieno, è per tutto il mondo un pazzo e
noi, che siamo pazzi quanto più ci immergiamo nel suo pazzo mondo, siamo
innamorati pazzi di lui, che pagina dopo pagina, scena dopo scena, ci conquista
sempre di più per le sue doti fisiche e tattiche di combattente, quanto per la
rarefatta e ferita umanità che sotto la corazza nasconde.
Mettendo
da parte in contesto narrativo, l'aspetto di maggiore interesse di Goblin
Slayer, quello che colpisce di più da subito, è poi, e per forza, la magnifica
composizione visiva, tanto del fumetto che dell'anime. C'è un intero mondo
fantasy e colorato che piano piano si spegne, come le luci di un albero di
Natale, senza però che i colori ritornino. Tutto si fa monocromatico e freddo,
claustrofobico e opprimente, come in un Horror come The Descent di Neil
Marshall o come tra i corridoi del neo-medioevale Alien 3 di Fincher. Anche qui
come in quelle belle pellicole (da alcuni colpevolmente snobbate) è tutta una
questione di torce che si fanno strada nel buio sotto terra, tra sudore che
appanna la vista e urla in lontananza. Se entrate in questo mood, Goblin Slayer
sa conquistare. Come sanno conquistare i videogame crudeli e disperati alla
Dark Soul.
E Goblin
Slayer, prima come serie di light novel (da noi inedita) e ora bel fumetto (da
noi con J-Pop) e bell'anime (da noi con VVVVID in simulcast) può
rappresentare proprio questo, il dark fantasy (che oggi trasuda dai
videogiochi come un tempo trasudava dalle pellicole alla Alien) che "si
pappa" il fantasy "classico", soprattutto di stampo giapponese,
fatto da ormai troppi vestitini colorati e personaggi simpatici (mi vengono in
mente i giochi alla Atelier della Gust, ma pure i mille harem-anime che spesso
si auto definiscono fantasy). Goblin Slayer non si accontenta di essere solo
"molto" cupo, vuole scavare nel "marcio", mettendo in scena
nelle prime tavole, un po' a tradimento, facendo prima proprio un vero
canovaccio da film horror, chiedendo la certificazione quasi di "rape'n'revenge fantasy", per solo poi (appunto e per fortuna) cercare
di elevarsi nella "fantascienza / fantasy sociale" dove
ogni evento viene percepito in rapporto al suo impatto sociale sui personaggi e
il territorio. Certo c'è molta violenza e non ho i mezzi (ho visto pochi
episodi e letto il primo e secondo numero del fumetto) per sapere quanto l'uso
della violenza sia funzionale alla trama o gratuito o foriero di schemi
"a effetto" che andranno a reiterassi. Ma di fatto questa rappresentazione
visiva cruenta e sessualmente forte è una cifra stilistica che la serie sente
come propria, al punto che il tema dello "stupro fantasy" viene
elaborato anche nella sigla di testa dell'anime. Quello che rende più forte il
messaggio è proprio per contrasto il contesto apparentemente zuccherino e per
nulla realistico su cui muove i primi passi la vicenda, che se vogliamo è
qualcosa di molto simile a quanto abbiamo già visto in Sword Art Online.
Proprio in Sword Art iniziavo a diffidare della patina da plasticoso e
multicolore mondo fantasy, trovando fragranza nella ricchezza narrativa
sottostante, quando un babbo natale deforme e "digitale" uccideva (in un mondo visivamente virtuale ma che diventava reale per davvero!!!) dei
ragazzini: player incauti, che aveva visto la vita troppo simile a un gioco.
Certo se siete cresciuti a pane e Urutsukidoji, guardando a colazione gli oav
di Devilman e Violence Jack, questo Goblin Slayer è acqua fresca. E magari ai
detrattori dei gioco di ruolo fantasy può dare qualche soddisfazione vedere
tritati i pupazzini pucciosi e ultrastereotipati reiterati in troppi gdr. Sarà
per me quindi una sfida dell'opera, tanto scritta che animata, andare oltre
allo splatter, valorizzando al meglio la affascinante struttura politica-sociale
di questo mondo, prima che tutto venga a noia, anche perché il contesto cruento
è una buona base narrativa ma l'opera può e deve ambire a di più. O mi
viene in mente quanto un po' accade oggi con One Punch man di One, che dopo una
partenza ugualmente dissacrante e intensa, piena di splatter e World
building, sta attraversando una fase da "fiato corto" (in
concomitanza con i contenuti di quella che sarà la seconda stagione animata) un
po' preoccupante dopo che di fatto il top si raggiungeva nelle prime tavole. E
se una light novel come Sword Art Online riesce a variare un po' la formula e
punti di vista in modo anche interessanti (più sì che no, almeno per me), come
potrà evolversi la novel/manga/anime di Goblin Slayer senza ripetersi dopo i
primi 12-13 episodi animati? Non è che finiranno per normalizzare/reiterate
tutto?
Ma
queste sono solo chiacchiere vane, per ora il biglietto vale tutti i suoi
soldi. E farsi trascinare in questo mondo oscuro e pieno di trappole mortali è
oggi un'esperienza esaltate, che vi invito a godere senza remore.