domenica 29 dicembre 2019

Star Wars - l'ascesa di Skywalker: la nostra recensione



- Sinossi(?): Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, chi fa spoiler anche solo di un minuto di un film di Star Wars, anche solo raccontando cosa accade nei primi secondi, fa una fine brutta. E fa una fine brutta pure chi per contestualizzare un minimo la storia si collega al finale del film precedente, perché tutti abbiamo un amico che vuole vedere la nuovo trilogia senza spoiler, solo quando è uscita tutta insieme in cofanetto blu ray, con scene estese. E quindi la sinossi non la posso fare.  
- Commento NO SPOILER: c'è un indicatore importante che seguo con religioso scrupolo per capire quanto un film di Star Wars può essere per me buono: la relazione alla pellicola del mio socio Gianluca, da sempre amante della saga. 
Gianluca mi ha detto che non ha guardato l'orologio se non dopo i titoli di coda, ha trovato il film divertente, epico, un po' commovente come giusto, pieno di mille idee, trame e combattimenti. Gli ha dato giusto l'idea che questo film cerchi un po' di essere il seguito del sette, bypassando o limitando o per lo meno "contenendo" gli avvenimenti dell'Otto, ma il viaggio complessivo è stato più che buono. 
A me per andare a vedere L'ascesa di Skywalker non serviva altro e devo dire che confermo in toto la reazione di Gianluca. È un film visivamente spettacolare, accompagnato ancora una volta dalle magnifiche musiche di John Williams, che ha il merito di approfondire più del solito i nuovi personaggi, fornendogli un background e motivazioni più chiare. Ho apprezzato lo sviluppo di Rey (Daisy Ridley, qui davvero brava e non decorativa, oltre che bellissima), mi sono finalmente affezionato a Finn (un John Boyega che si "sbraccia meno" ed è più riflessivo), ho scoperto il lato più umano di Poe (un Oscar Isaac sempre divertente in coppia con Boyega, ma ora anche con un passato che lo rende più speculare che simile a Han Solo). Il Kylo Ren di Adam Driver è sfavillante, il personaggio più facile da amare e in cui immedesimarsi, carico di contraddizioni e slanci. Tutte le sue scene sono magnifiche, specie quelle con Rey, e sono contento che anche gran parte del pubblico che dopo episodio VII lo aveva bollato superficialmente come "fesso con la maschera" si sia ricreduto e abbia apprezzato. Se dopo la prima saga di Lucas è uscito un grande attore di nome Harrison Ford, questa nuova è la saga di Adam Driver, che negli ultimi tempi è letteralmente esploso al cinema, con merito. La Rose Tico di Kelly Marie Tran, vero cuore emotivo di Capitolo VIII ma non amatissima dal fandom, è presente sulla scena ma ha un ruolo più dimensionato, quasi da coro greco. Nota stonata, sempre relativa al "coro greco" che accompagna per lo più le scene con Leila, c'è un personaggio di cartone completamente inutile e addirittura molesto alla visione, che si pone con insistenza davanti all'obiettivo guardando in camera come un bambino di tre anni, dicendo battute banalissime con lo sguardo perennemente corrucciato e privo di carisma: è l'attore Dominic Monaghan in mood "mi è morto il gatto". A cosa serve? La leggenda vuole che J.J. Abrams, il regista del VII e di questo IX, abbia dovuto inserire Monaghan nel cast a seguito di una scommessa persa e lui di fatto è fastidioso e onnipresente come il vostro amico meno divertente che fa le corna a tutti quelli che scattano una foto nel giorno del vostro vostro matrimonio. Poi andate dal fotografo, pagate 200 euro il book delle nozze e 10 anni dopo la moglie rivedendo le foto vi domanda: "Ma chi è il cretino sempre presente nelle foto che fa le corna anche al prete e ai bambini?". E voi direte: "Dominic Monaghan". Vorrei una petizione online seria per rimuoverlo digitalmente, magari nella futura director's cut tra 15 anni in 120K, sovrapponendolo magari con quell'alieno buffo (o parente dello stesso) stile Sesame Street, con testone, senza braccia né gambe, che compare nel film nell'equipaggio del Falcon, a fare sa Dio cosa, facendo facce strane e versetti di continuo. Darebbe mooooolto meno fastidio. Ma prima della director's cut ho in mente un impiego nobilitante della performance di Dominic Monaghan. Quando il film uscirà in home video propongo come gioco uno shottino ad ogni apparizione di Monaghan sullo schermo. Spasso assicurato a fine serata. 


Dominic Monaghan a parte (voglio che si stampi in mente anche a voi questo nome, probabilmente qualcuno gli dedicherà una maglietta, ma non facciamo che Dominic Monaghan venga dimenticato per la sua insulsa presenza in Star Wars) tra i nuovi personaggi il mio preferito è l'esperto di robotica Babu Frik, un pupazzetto tutto energia e sproloquio, avrei voluto conoscere di più il personaggio di Rebecca Ferguson. Mi ha fatto tenerezza pure il robottino a cono che vive male la presenza umana per un caso di abuso su droidi e allora non lascia troppe confidenze. Non potevano mancare, e sono come sempre graditissimi i grandi ritorni di personaggi storici di Star Wars, anche per scene di breve durata ma significative, piccole chicche. Certo Lando (Billy Dee Williams) che dice: "Ai miei tempi Luke, Han, Leila e io abbiamo combattuto l'impero", fa un po' il Ringo Star della vecchia guardia, ma chi non ama Ringo dei Beatles o Winston dei Ghostbusters? Dolcissimo il C3PO di Anthony Daniels, che ci riempie di frasi affettuose come un vecchio zio che forse è troppo anziano per tornare la prossima volta sullo schermo, Luke torna con tutta la sua umanità e autoironia, Chewbe fa uuuaaaaaauaaa, tutti vorremmo abbracciare piangendo Carrie Fisher come fa Daisy Ridley, soprattutto dopo che l'unica vera principessa della sotto-cultura nerd ci ha lasciato per sempre e ogni frame di immagine con lei diventa tanto preziosa. Mi sono commosso più volte, come un pupo. C'è Palpatine, non è spoiler perché è la premessa stessa di questa pellicola. Se il tema conduttore della nuova saga è stato il confronto tra il passato e presente, Palpatine è "l'ostacolo" più convincente di tutti, un suo epigono, per quanto ben caratterizzato, avrebbe comunque perso nel confronto. Ian McDiarmid interpreta Palpatine nella sua forma più estrema, dolente, forse morente, ancora con la voglia dei giochini mentali, ancora pieno di fulmini dalle mani pronti a scatenarsi. Palpatine nei colori del suo abito talare, risata glaciale e attaccamento alla vita inclusi, cita e fa riviere direttamente il Dracula di Coppola (Coppola è l'uomo senza cui non avremmo mai avuto Star Wars, l'uomo che ha lanciato Lucas, ricordo ai posteri) e ridefinisce, forse "correttamente" ma definitivamente il Lato Oscuro (andando anche a scrivere e integrare la storia dei Sith). Forse, rimanendo fermo a questo avverbio, "definitivamente", possiamo passare ad analizzare la parte narrativa più relativa all'intreccio, la messa in scena degli eventi. 


Per qualcuno il vero problema della pellicola è proprio la tensione febbrile a definire, spiegare, sottolineare in grassetto, collocare logicamente e chiaramente ogni tassello di trama che prima era un mistero. Se fosse una puntata di Boris, questo Star Wars sarebbe la fantomatica puntata della distruzione della clinica di Occhi del cuore. È un ostinato e continuo mettere puntini sulle "i" che comprime la narrazione, rendendola quasi una gara contro il tempo, almeno per la prima parte del film, con la seconda che gira più liscia. L'impressione ulteriore è che alcuni concetti siano spiegati troppo e altri troppo poco. Si avverte che questo "spiegare tutto" sia un preciso dictat della produzione. È teso a appianare "nel modo più chiaro e diretto possibile" i dubbi sollevati in rete da parte del fandom che non ha gradito il capitolo VIII, spesso correggendo in corsa gli aspetti rimasti più controversi (ma lo fa in modo forse "troppo esplicito"). Si ha l'impressione che se i fan avessero reagito con meno polemica il film avrebbe toccato più o meno gli stessi punti, ma senza stare a rimarcarci così tanto, come se si sentisse l'obbligo di rispondere a un elenco puntato di domande che deve essere ficcato a forza nel film. Questo ossessivo "dover spiegare" è teso inoltre a "chiudere la narrazione interna", alla maniera dei comics americani che richiedono, alla fine del ciclo narrativo di uno scrittore su un personaggio noto, che questo necessariamente riporti il character "ad una situazione idealtipica di equilibrio", la "situazione tipo" che rende quella specifica storia "finita", quanto pronta a essere riaperta da un nuovo autore. Abrams, che è uno che di solito le saghe le inizia ma non le finisce, è stato bravo ad affrontare con lo sceneggiatore Terrio questo delicato processo, anche se in qualche caso non tutto è risultato sorprendente e scoppiettante come avrebbe potuto essere. A conti fatti c'era "fretta e tensione nell'aria", che se da un lato proprio ciò ha donato al tutto un ritmo indiavolato, di contro ha portato a sacrificare qualcosa che avrebbe necessitato di più tempo per funzionare davvero. Si è scelto di anteporre il didascalico all'epico, se posso con una metafora semplificare il discorso, ed è stato un peccato anche perché laddove si metteva da parte questa ossessione gli spunti narrativi buoni comparivano a frotte. Nella  prima parte la pellicola parla di un viaggio, che in uno specifico momento mi ha ricordato i Goonies, ed è stato "mondiale", un viaggio che spiegoni a parte è divertente. Come i film d'arti marziali insegnano però, se hai troppo di cui parlare, ti rimane troppo poco tempo per menare. Brevi ma intensi, magnifici, i combattimenti con le spade laser. Brevissimi e un po' confusionari gli scontri con astronavi e raggi laser vari, che peraltro si risolvono in un modi molto schematici con Macguffin deboli. C'è poca voglia di scontri spaziali in questo film sulle guerre spaziali. La saga ci ha già abituati ad eserciti interi, giganteschi quanto anonimi, che spuntano dal nulla, su pianeti di "stoccaggio Amazon", in attesa solo di essere pagati con bancomat imperiali, ma ogni volta che compare dal nulla una mega flotta spaziale anonima in cielo ci rimango male. Anche perché ci vorrebbe poco o nulla per caratterizzarla un po', magari dando alla flotta qualche contorno originale tipo la flotta navale dei non-morti del Ritorno del Re. Ma ve li immaginate, degli incrociatori imperiali fantasma guidati da trooper non-morti tenuti insieme con innesti dei robot della Gilda dei Mercanti con al comando qualcuno come il generale Grevious? Sono introdotti imperiali non umanoidi, potevo sperare di vedere un epigono di Sebulba pilotare Tie - Fighter, magari uno "sguascio-Tie"? Magari astronavi che si combinano tra loro, circondano a tenaglia i ribelli, li costringono a fate il surf tra macro-strutture semoventi? Ma quanti pupazzetti ci venderebbero!!! Il fatto è che tutto questo non avviene, ci sono solo una milionata di incrociatori stellari tutti uguali con giusto un cannoncino nuovo sotto, la morte della fantasia. Incrociatori perfettamente e asetticamente distanziati tra loro, di forma romboidale classica, che arricchiscono graficamente una specie di carta da parati del muro galattico del cinema. Magnifici, minacciosi per numero, ma per lo più carta da parati, con forse un omino o due su una plancia su tre milioni, a testimoniarci che non sono astronavi del tutto vuote. Anche la logica con cui la Resistenza "dei buoni" può far fronte a questa "infernale carta da parati" è poco approfondita, poco accattivante e no, per niente simile al finale di Episodio IV.  I Jedi combattono (poco) e parlano (tanto), mente nel cielo anonime astronavine ribelli guidate da personaggi che nessuno vede nel 98% dei casi, schizzano senza uno scopo e logica sulla "infernale carta da parati", con noi che a un certo punto ci disinteressiamo del tutto di loro. E questo, ripeto, perché per realizzare uno scontro lungo e con personaggi caratterizzati impegnati nello stesso, serviva del minutaggio extra che qui non c'è . Forse bastavano un minimo sindacale anche solo di tipo un paio di cavalieri neri su un paio di Tie-Fighters, senza essere esosi, che duettassero con i ribelli sulla scena scene spaziale. Ma non c'era tempo, servivano almeno 20 minuti buoni su schermo, e J.J. aveva perso la famosa scommessa per cui ci dobbiamo già sorbire  sullo schermo al loro posto un Dominic Monaghan, inutile tra gli inutili, che dice in modo triste cose inutili, per almeno 15 interminabili minuti inutili (forse non 15 effettivi, ma che io ho avvertito soggettivante almeno come 25 minimo, quindi cercavo di essere più "realistico"). Ricordate questo nome e insegnatelo ai vostri figli, Dominic Monaghan: "Il male". 


La pellicola era già lunghissima, i punti interrogativi aperti dalla trama precedente di Rian Johnson molti  (e la spiegazione di un paio di questi offerta da J.J. poco felice), ma forse sono pure diventati "troppi" anche alla luce del fatto che prima c'erano in produzione per Disney almeno 2 nuove trilogie e oggi, dopo il flop di Solo e la terza "Star Wars story" cassata, dopo la collezione delle action figures Elite Series di fatto sospesa dopo Gli ultimi Jedi (mai sottovalutare il mercato dei gadget per prodotti come Star Wars) si parla di tornare al cinema per il 2022 in un generico "sequel" con magari, se va bene, un seguito (questo almeno ad oggi secondo le recenti dichiarazioni, domani può cambiare tutto), mentre si sta puntando forte sulle serie televisive di Disney Plus, con Mandalorian che vola fortissimo e Obi Wan ai nastri di partenza. La strategia punta a Serie TV di Star Wars prettamente "per adulti", quella fascia di fan cui era indirizzato Rogue One, nell'attesa magari che questa terza trilogia per il cinema che oggi si chiude in fretta, con audience ancora e storicamente per famiglie, diventi cult per i fan giovani di adesso. Ma considerazioni di questo tipo a parte, che lascio agli analisti seri, dopo aver brevemente parlato di personaggi e della "troppa trama" su schermo, arriviamo ora, in questa lunga chiacchierata sull'ultimo Star Wars al punto per me più "ciccioso", ovvero all'aspetto visivo e sonoro. Dominic Monaghan a parte, che sia visivamente che auditivamente è insostenibile, Star Wars è come tradizione una bomba. Pianeti misteriosi ricchi di architetture strane e alieni buffi e colorati, tonnellate su tonnellate di astronavi a riempire bulimicamente lo spazio dello schermo più grande del vostro cinema, mirabolanti esplosioni che fanno scoppiare i subwoofer, giochi di luce, riprese a rotta di collo a cavallo di caccia interstellari, maestosi palazzi medioevali con statue, troni, arene. Sir John Williams, che si presta pure a fare un cameo come barista di una "cantina spaziale", prende ogni immagine e la riempie di magia facendoci con le sue note esultare, ridere e piangere a comando. La trama si dissolve sotto la potenza della musica, le ombre della trama lasciano spazio alla scie della velocità luce, rimangono i personaggi e le folli invenzioni grafiche, tutto si trasforma in una partitura visiva che fa da contrappunto alla magia sonora di Williams, facendoci tornare bambini. È questa la cifra finale, quello che davvero per me conta, ciò che rende lo spettacolo degno di essere visto e rivisto. Lasciatevi trascinare dalle scenografie sontuose, dagli alieni, le astronavi e i Jedi. Lasciatevi incantare da Sir John Williams e dalla Light and Magic. Allora davvero la trama diviene poca cosa rispetto al viaggio visivo. Star Wars non è solo trama e non lo è mai stato. Anche se i fili narrativi sono qui ogni tanto sfilacciati (come del resto in tutto Star Wars), lo spettacolo è sempre grandioso e sembra in grado di far tornare bambino chi lo ammira. E ovviamente non sto parlando di nessuno dei momenti in cui appare Dominic Monaghan. 


In sala ero circondato da detrattori della pellicola, quei classici ragazzi dall'aria gaudente che a ogni scena devono commentare che ci sono errori, contraddizioni, superficialità e che in genere guardano Star Wars con l'orecchio teso del consumato critico di musica classica, pronti a cercare l'errore più che a godere delle cose positive. A fine visione, in lacrime di estasi autentica, che credo di saper distinguere dallo "sdegno", uno di loro ha detto: "è il film più brutto che ho visto in vita mia, non vedo l'ora di parlarne con gli altri sul forum". Il suo amico, anche lui in lacrime di gioia, ha commentato: "Lol, zio". Da osservatore appassionato e curioso del comportamento umano ho visto due ragazzi felici di quello che hanno visto (pur nei difetti!!!), gioiosi del fatto di parlarne con gli amici per continuare l'esperienza nella condivisione. Solo che quando devono esprimere un'opinione, su quella che ricordiamo essere una favola destinata a tutta la famiglia piena di simbolismi anche semplici, trovano estremamente più Figo fare i critici acidi. Sono giovani interessanti, la cui "gioiosa scontentezza" è uno stimolante campo di analisi sociologica. 


- Conclusione:  è un film imperfetto, ma nessun film che preveda anche solo per un secondo la presenza di un Ewok su schermo può essere perfetto. Le magagne principali riguardano non tanto quello che dice la trama, ma "il modo in cui lo dice", l'ossessione didascalica ficcata a forza in molti passaggi narrativi, dando il via a troppi dialoghi esplicativi che vanno a comprimere il tempo dell'azione complessiva. Aspetto che nella seconda parte del film si avvertirebbe di meno, se non che nella seconda parte si vorrebbe un secondo tempo che duri il doppio per concedere la giusta epicità ai combattimenti. Nonostante questo, i personaggi riescono a essere sviluppati in modo convincente e facilmente ci si affeziona a loro più che in passato, l'esperienza sonora e visiva è da urlo e si esce dalla sala appagati e contenti, anche se in molti faranno fatica ad ammetterlo. 
Alla fine i pro per me sono molto più che i contro. 

- Una piccola nota personale: 
Dopo la trilogia degli anni 2000, in cui Star Wars ha mostrato i muscoli con lunghe ed elaborate scene action di eserciti in lotta, c'è stato Il signore degli Anelli di Jackson e una narrazione del fantasy che si è fatta sempre più lunga e accurata, tra intrighi e battaglie, sfociando in prodotti per adulti come Games of Thrones. Star Wars è tornato al cinema con un target ancora per famiglie, ma con un fandom in larga parte costituito da chi è cresciuto con le battaglie del Signore degli Anelli e forse si aspettava qualcosa di simile, magari di rispettoso della molta letteratura che negli anni ha accompagnato Star Wars. Il nuovo Star Wars mette un po' da parte i combattimenti fantasy per epicità e durata, sembra cercare nuovi fan tra i più giovani mentre tiene poco conto dei fan più anziani, fa con Gli Ultimi Jedi un elogio del fallimento che manco Pasolini, in un'epoca in cui i giovani sanno bene cos'è il fallimento al punto da non volerne sentire parlare pure al cinema mentre guardano il loro film fantasy escapista preferito. La strada del Brand sta per spostarsi in TV, scegliendo temi più adulti per le serie dal vivo e magari escogitando qualcosa per i bambini più piccoli. Il futuro ritorno al cinema del franchise sarà una sfida interessante. 
A questo giro mi sono divertito, sarebbe per me bello tornare in futuro in sala a Natale per vivere nuove avventure spaziali. Ma senza Dominic Monaghan. 
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martedì 24 dicembre 2019

Dragon Ball: Kakarot - il miglior trailer di sempre




Parleremo del gioco all'uscita perché è di Cyberconnect2 e merita. Parleremo del nuovo film di Dragon Ball in produzione quando sapremo dettagli "extra" rispetto al fatto che "esiste". Magari parlerò anche del nuovo, bellissimo e fichissimo Broly, come personaggio extra di Dragon Ball Fighterz e di come lui e Freezer abbiano ridato un senso alla continuity e Lore di Dragon Ball Super (con il "plus" narrativo, che molti sottovalutano, di come Goku sta con gli anni diventando più alieno e Vegeta più terrestre). Ma oggi per tutti i vecchi e nuovi fan di Dragon Ball c'è da vedere solo questo trailer, magari con a portata di mano un fazzoletto. Potrei forse non dirvi per l'ennesima volta di come leggessi Dragon Ball alle 7.00 di mattina, mentre andavo a scuola in treno a Milano, di come pasticciassi il banco di immagini di Vegeta e Dylan Dog e come... ma l'ho già raccontato in mille articoli e ognuno di noi ha la "sua storia" con Dragon Ball. Come il mio amico Roby che lo guardava in mensa nella pausa lavorativa senza riuscire ad ascoltare l'audio, come Willy che lo aveva scoperto e subito amato in Costa Azzurra trovando in TV, facendo zapping, lo speciale di Bardack, come Alessandro che "per me è meglio Kenshiro" e poi sul banco disegnava Vegeta alto come Goku. Ogni questi miei amici sono imprenditori della green economy, politici e fisici spaziali ma "se capita" un ritorno a Dragon Ball lo fanno, giusto per tornare una mezz'ora bambini. Io personalmente di tornare almeno 35 minuti bambino ogni 10 giorni ce l'ho scritto da prescrizione medica. Buona visione a tutti i fan di Dragon Ball.
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lunedì 23 dicembre 2019

Judy: la nostra recensione del film sul periodo londinese del 1968 di Judy Garland, interpretata da una straordinaria Renee Zellweger


Judy Garland, l'indimenticabile Dorothy del Mago di Oz di Victor Fleming (che lo stesso anno, il 1939, avrebbe girato anche Via col vento), è cresciuta e ora ha largamente superato i quaranta. Quattro matrimoni falliti alle spalle, senza un dollaro e una serie indefinita di pasticche e alcol dopo, Judy è una madre disperata e senza casa che non può accudire le sue figlie, per altro affidate a un marito che ha disperso ai cavalli tutto il patrimonio comune. Il caratteraccio che si ritrova, sommato al resto, le permette di lavorare solo all'estero, a Londra, come cantante fissa di un night club che risultata spesso burrascoso. 
Ispirato al dramma musicale End of the Rainbow di Peter Quiliter, Judy è un film struggente su quello che forse è il periodo più oscuro e drammatico della diva Judy Garland, interpretata da una (davvero incredibile) Renee Zellweger dal trucco molto invecchiata, con un corpo reso esile, aguzzo, febbricitante e instabile. È una Garland molto simile all'originale a metà degli anni '60, in disfacimento fisico ed emotiva, quella che vediamo sullo schermo. Una donna infranta più volte ma titanica nel sopportare il continuo maremoto della sua vita, ironica, arrabbiata, con un bisogno disperato di essere amata e la certezza (spesso) mal posta di non poter ricambiare, di non poter più essere quel sogno collettivo, positivo e ottimista, che incarnava per il pubblico la sua Dorothy. Peraltro una Dorothy (la giovane Garland nel ruolo del Mago di Oz che la ha reso celebre è interpretata dalla bravissima Darci Shaw) che sul set sembra aver subito degli abusi, psicologici e forse pure fisici, che per quanto "velatamente accennati" appaiono terribili. Il produttore Louis B.Mayer, interpretato da Richard Cordery è dipinto come una specie di orco, ritratto sempre facendone risaltare l'imponenza, il costante emergere dall'ombra come un mostro. Per fortuna che per Judy ci sono i fan, o almeno dei fan oltre a quelli che le tirano addosso roba quando si presenta ubriaca nel night londinese. Alcuni sono anche carini e cercano di cucinarle delle improbabili uova strapazzate alla panna in una notte londinese dove dopo le 23 è tutto chiuso. Ma sono solo una parentesi di una serie infinita di calci nei denti che la Zellweger affronta dimostrandosi anche una discreta interprete della Garland nei molti momenti musicali (tra cui The trolley song e ovviamente Somewhere over the rainbow) che lei canta personalmente. 
Judy è il perfetto "film da Oscar", un dramma biografico costruito per far risaltare al massimo le capacità di un bravo interprete, con momenti commoventi programmati, che la Zellweger domina con sicurezza dal primo all'ultimo minuto da vera mattatrice. Il suo lavoro, che non era per niente facile, è sorprendete e riesce a non far troppo trasparire una regia qualche volta schematica, ma dal ritmo sempre alto che mai fa avvertire la durata di due ore abbondanti della pellicola. Un plauso anche alla brava Darci Shaw e al composto e funzionale cast di supporto.
Preparate il fazzoletto e buona visione.
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giovedì 19 dicembre 2019

Che fine ha fatto Bernadette? - la nostra recensione!



Certe volte la vita ci porta in luoghi e ruoli che non ci appartengono. Noi ci finiamo dentro in tutta buona fede, con spirito di sacrificio, tanto impegno e magari simulando tutto l'entusiasmo del mondo, ma sono comunque posti e ruoli che non sono nostri, che ci stancano il triplo del normale, ci rendono scontrosi e assenti, con il corpo che esegue quanto meglio gli riesce farlo e la testa parte per le nuvole, iniziando ad odiare tutto e tutti, tutti i giorni. Quando è possibile, perché non sempre è possibile o "accettabile", dovremmo trovare tutte le forze possibili per fuggire da quei luoghi e ruoli, mettere da parte il "dovere sopravvivere a tutti i costi per l'onore" come un samurai e scegliere la fuga a gambe levate, prendendo in mano il coraggio e abbracciando con gioia anche l'incoscienza, per reinventarci, per fare in modo che testa e corpo condividano per lo meno una distanza più accettabile di "sulle nuvole vs inferno dantesco del quotidiano". Se non riusciamo noi stessi (per con mille tentativi) a trovare un modo per essere davvero felici, magari chi abbiamo intorno non ha la ricetta giusta per aiutarci, ci prova ma può pure arrendersi, magari crede che siamo malati da curare e noi stessi diventiamo così intrattabili nella nostra scontentezza da ammalarci. 
Questo film parla di Bernadette, un'architetto di fama mondiale (è tratto da una storia vera), interpretato dalla straordinaria e bellissima Cate Blanchett, che un giorno decide di mettere da parte tutta la sua vita lavorativa, confinarsi in casa per dedicarsi alle cure di una figlia malata fin da piccola (Emma Nelson, molto carina). Bernadette era un architetto geniale che operava nell'aerea della bio-sostenibilità, era sulla cresta, poi è diventata mamma e quello è diventata la sfida più grande. Impegno che assolve per anni, fino a che la malattia di fatto regredisce, ma comunque un impegno che nel contempo annebbia ogni prospettiva di vita a Bernadette, la invischia nel ruolo di casalinga rendendola cinica, distratta, rabbiosa, perennemente infelice. Pur dotata di una autoironia di ferro, che le permette di guardare la sua condizione senza esplodere, Bernadette non ce la fa e il preoccupatissimo marito (interpretato da un bravo Billy Crudup, umanissimo e tentennante salary man ultra-impegnato e marito assente, pronto a farsi influenzare da una avvenente e passivo aggressiva collega, buffa quanto infida, interpretata da Zoe Chao), "perché le vuole bene", decide di farla internare. Non ci sono coincidenze o malintesi di sorta che tengano, sua moglie va aiutata. Così Bernadette si ritrova con una psicologa (Judie Greer, luciferina e gelida) che letteralmente le entra in casa e si impossessa della sua vita, nello stesso momento in cui (per un motivo tragicomico che lascio a voi) un agente dell'FBI la accusa di aver commesso dei reati che lei nemmeno immagina. Troppo. Allora Bernadette scappa, nel senso che chiede di andare in bagno e poi letteralmente apre la finestra e fugge via. Coglie l'occasione di un viaggio al polo che voleva fare la figlia e al quale lei non avrebbe mai voluto partecipare e si getta in una nuova vita. 


Il film parla di "fatti", non fa voli pindarici sul pensare positivo e il potere dell'autostima, descrive la vita di una persona forte e intelligente nel momento di maggiore crisi, quando diviene vertiginosamente più facile partire e andare a vivere al circolo polare piuttosto che passare un altro pomeriggio a parlare con la vicina di casa (Kristen Wiig, una delle attrici brillanti più brave del momento, che qui incarna la vicina svampita ma autoritaria che nessuno di noi vorrebbe avere tra il suo "buon vicinato") della potatura della siepe. La Blanchett è splendida e leggiadra nel caricarsi sulle spalle un personaggio complesso che prima sembra stoica e titanica vittima inconsapevole di un mondo grottesco e surreale per poi acquisire sempre più fragilità, spogliarsi della sua armatura di autoironia e ritrovarsi non onnipotente, umana. Un processo complicato, duro quanto umanamente inevitabile, reso da una sceneggiatura molto accorta, che chi ha conosciuto da vicino la depressione può capire in modo intimo. Questo film può effettivamente essere utile, da sprono e testimonianza, per chi come Bernadette si trova in un momento in cui la vita sembra non andare da nessuna parte e ogni decisione appare sbagliata. Quando arriva la svolta, anche grazie al personaggio di un Laurence Fishburne che non a caso in passato ci ha già tirato fuori da una "realtà negativa" in Matrix, Bernadette rinasce e noi pubblico con lei. Mi ha scosso e commosso questo film. Mi ha detto qualcosa di importante, inaspettato quanto incredibilmente semplice, qualcosa da appuntarmi. Mi piacerebbe idealmente affiancarlo a Qualcosa è cambiato con Jack Nicholson, un altro bellissimo film sul "trovare il proprio posto nel Mondo", ma ricorda per molti aspetti anche School of Rock, non a caso dello stesso regista e sceneggiatore, Richard Linklater. Anche Jack Black in School of rock si sentiva un impostore quando in realtà stava imparando a (ri)conoscersi, non come cantante ma come insegnante. 
Il trailer è assassino proprio, in pratica priva di sorprese tutto il contesto narrativo. Non è che il film viva di colpi di scena, ma se riuscite provate a scansarlo. 
Che fine ha fatto Bernadette? È una pellicola straordinaria, dotata di ritmo, humor e di un incredibile approfondimento psicologico. La Blanchett è immensa a questo giro, un concentrato di humor, fragilità, grazia e cinismo. Un personaggio che non vuole farsi amare ma non riesce a farsi odiare, esattamente come Nicholson in Qualcosa è cambiato. Se sarà nomination, mi aspetto una lotta all'ultimo sangue alla statuetta di migliore attrice tra lei e la Zellweger di Judy. Forse la Blanchett tradisce una teatralità in più, ma per questo ruolo è una nota che trovo funzionale. Tra le due faccio molta fatica a scegliere, davvero. Linklater dopo School of Rock e Boywood è sempre più bravo nel ritrarre il quotidiano, la lotta giornaliera per trovare il proprio posto nel mondo. Non tutti sanno creare film intimi facendoli sembrare così "grandi". Andate a vederlo per divertirvi e ogni tanto commuovervi, ne vale la pena e uscirete dalla sala con un sorriso grande così.
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mercoledì 18 dicembre 2019

Dragonero: il ribelle n. 2 - Ritorno a Solian



"Tanto tempo fa ho scovato una vecchia torre abbandonata, su un promontorio di fronte al mare [...]. Ho intenzione di farci la mia casa... e, se vorrai, c'è posto anche per te". Sono le struggenti parole che un giovane e dolcissimo Ian rivolgeva a un giovane e dolcissimo orco Gmor, nel mitico Speciale La prima missione, quando gli prospettava l'idea di dividere, nella soleggiata Solian, uno stesso tetto insieme e in futuro, perché no, un'elfa adottata da tenere in giardino alla faccia dei servizi sociali dell'Erondar. Parole d'amore e una casetta, in riva a un mare carico di salmastra brezza, equo canone e ampio parcheggio, che il bardo Luca Barbieri, rievoca non senza una certa commozione, nella rubrica a pagina 4. La villetta a Solian è stata la prima costruzione di un amore, come canterebbe Ivano Fossati, ma come tutte le case rimaste senza un padrone, anche in un mondo fantasy, è rimasta soggetta a una forza misteriosa. Più forte dell'Esercito Imperiale, più temibile delle Regine Nere, più ineluttabile di ogni Signora delle Lacrime: Paola Marella. Paola Marella, che esiste anche nei mondi fantasy, perché sul manuale base di D&D ricordo chiaramente che ce l'avevo, con tanto di sua illustrazione con il capello bicolore. Paola ha riarredato tutto, inserito tre bagni patronali e un bovindo, messo in soffitta le pacchianate. In più, per far salire il valore immobiliare della zona, ha chiamato uno scultore da urlo per buttare giù il vecchio faro sul promontorio, erigere una statua alla Dea. Con le pive nel sacco per la ristrutturazione e usando un passaggio segreto frutto di un abuso edilizio mai condonato né da Klavert né da Gwenna, Ian, Gmor e Aura riescono a entrare nel vecchio e amato villino sul mare. La missione è semplice: dal mare e tramite passaggio segreto, atraverso il villino, infiltrarsi di nascosto a Solian, sbarazzarsi delle vedette di guardia, esplorare la zona e permettere a un carro pieno di esplosivo e ribelli di entrare in città indisturbato e raggiungere un certo posto di cui parleremo probabilmente meglio nella recensione di Dragonero - Il ribelle n. 3. Mentre i nostri eroi prima di giungere al villino si pongono la questione se fa meno casino usare un ascensore scricchiolante o una magia che può attirare per la luce, la questione di eliminare in modo silenzioso le sentinelle, che scovano il carro a pagina 17 dopo che a pagina 16 Gmor ha appena finito di esporre il piano, viene intanto affidata all'elfa Sera che, siccome è in fase adolescente e "ribelle come da nome della testata", decide di piombare dal cielo con il suo grifone che si può scorgere da sei chilometri di distanza e passa il tempo a urlare SKRIEEEK tutto in maiuscolo facendo più casino di un concerto metal. Adolescenti. Giunti alla villa, la maga vampira Aura da vera hippie inizia a riempire di colori psichedelici e psicotropi il malcapitato nuovo proprietario, che si scopre essere il nuovo facente funzioni di borgomastro, ossia lo sceriffo di Nottingham... cioè di Solian... che tra baffetti, tasse e giochini di potere ci rivelerà che in fatto di citazioni Robin Hood va fortissimo pure nel secondo capitolo di questa saga di Dragonero. Gmor è adirato con lo sceriffo che di fatto dorme nel suo vecchio lettuccio, ma l'innocenza di una scena che pare tratta da Riccioli d'oro e i 3 orsi è subito infranta dalla presenza intorno a lui di un sacco di donne mezze nude. Aura e e Gmor lo stanno già per strangolare, Ian prova a rimandare l'omicidio dello sceriffo per scoprire da lui in seguito qualche informazione utile. Gmor per sbollire il fastidio va a scortare il carro esplosivo lungo un tragitto sotterraneo alla Dark Soul pieno di topoloni. Parliamo nello specifico dei Terasmuss, topi giganti che partecipano a un programma erasmus che viaggiano sottoterra per studiare e conoscere le culture di topi giganti di luoghi differenti. Aura e Ian, tramutati in due tizi che incontreresti alla bocciofila da un incantesimo della maga vampira, girano invece per Solian alla ricerca di ulteriori citazioni da Robin Hood. Riuscirà il loro piano? Nel frattempo a palazzo Leario, Sophia, Roney e il tizio della Dea delle Lacrime stanno sempre a tavola a mangiare e invero a rompersi un po' le palle. Sembra che Pupo abbia dato buca e il piano per riunire l'Erondar partendo dalla cultura musicale si faccia sempre più arduo.


Si respira davvero "aria casa" nel numero 2 di Dragonero - Il ribelle, anche se è una brezza amara. Enoch punta alla malinconia, ci mostra come i luoghi che sono stati la casa dei nostri eroi sono cambiati, ci ricorda le persone che non ci sono più, fa cercare ai suoi personaggio degli oggetti del passato perduti. Solian è inesorabilmente diversa dalla cittadina luminosa dei primi tempi perché ci sono state le streghe, la Dea, la popolazione ora è inevitabilmente cambiata così come la reggenza. È un ritorno a casa con la consapevolezza di non poterci restare, un viaggio che come lettori ci è reso più leggero dal fatto che Enoch glissi sui luoghi più noti e sul clima da cartolina, preferisca una Solian notturna e con mare in tempesta, da percorrersi preferibilmente sottoterra. Se occorre passare per il centro cittadino, Enoch impone ai nostri eroi la magia che ne cambia i connotati, li tiene lontani dai nemici ma di fatto impedisce che i nostri siano riconosciuti dai pochi volti ancora amici di Solian. Dragonero è straniero in casa propria e può solo andare dritto con la sua lotta contro Leario, ma non perde certo l'occasione di raddrizzare qualche torto in questo malinconico e frugale ritorno a casa. La storia risulta ben strutturata, qualche volte risulta anche goliardica, non mancano le scene d'azione, dipinte con grande maestria da un Salvatore Porcaro in ottima forma. Molto bella e dinamica la lunga scena d'azione con protagonista una Sera dolente quanto affascinante, cinica. Cupa sinistra e con qualche richiamo a Peter Jackson la discesa sottoterra di un Gmor "enorme", possente e sinistro. Quasi da Blair Witch Project l'assalto di Aura al tempio, che rivela il lato più ferino di un personaggio in genere misurato. La storia è per lo più pervasa da ambienti cupi, neri come la notte e debolmente illuminati con mille, leggere sfumature, ma presenta anche personaggi dalla caratterizzazione più "buffa" come lo sceriffo, che assomiglia nei tratti all'attore Ricky Gervais, che per espressività riescono a evidenziare al meglio anche il cambiamento del tono narrativo. Davvero un lavoro visivo egregio, che si esprime anche in alcune splash page da urlo. Per chi ama l'estetica dei film del Signore degli anelli di Jackson, le scene della  diga per armature e scenografia sono da incorniciare, davvero magnifiche.
Il secondo volume del nuovo corso di Dragonero presenta una storia malinconica, piena di azione, superbamente disegnata e piena di idee visive. Lo sviluppo dei "personaggi della corte" risulta ancora un po' abbozzato, i comprimari del racconto forse sono un po' sullo sfondo, Ian è un po' ingessato ma tutto il resto funziona molto bene ed è un vero piacere vedere come si stanno sviluppando Gmor, Sera e Aura. Quando esce il numero 3?
Talk0

venerdì 13 dicembre 2019

Il primo Natale - la nostra recensione del film per le feste di Ficarra e Picone




Salvo (Salvo Ficarra) è un goffo e borioso ladro specializzato in furti d'arte religiosa, don Valentino (Valentino Picone) è un prete precisino e ultra spirituale ossessionato dalla creazione del presepe vivente perfetto, per il quale fa sostenere ai propri parrocchiani estenuanti sessioni di casting. Alla ricerca del "San Giuseppe perfetto", don Valentino si imbatte in Salvo, che sfrutta subito l'occasione per rubare una preziosa statua del bambino Gesù conservata nella chiesa. I due si inseguono fino a che finiscono in un luogo misterioso dal quale emana una forte luce. Di colpo, entrambi si trovano nella Gerusalemme del primo di tutti i natali, alla ricerca di qualcuno che possa essere in grado di farli tornare al loro tempo. Magari la Madonna, visto che Gesù è ancora troppo piccolo. Sarà questo l'inizio di una avventura che, facendoli sempre più scoprire simili e amici, li porterà a conoscere i rivoluzionari ebrei, i romani guidati da Erode (interpretato da un luciferino Massimo Popolizio) e forse a incontrare la Sacra Famiglia. 
Con un artificio narrativo che omaggia affettuosamente Non ci resta che piangere, Il primo Natale, scritto, diretto e interpretato dal duo comico Ficarra e Picone è una garbata e divertente commedia dal sapore genuinamente parrocchiale, che punta a intrattenere e divertire un pubblico di tutte le età, con uno speciale occhio di riguardo per i più piccoli. Il duo a questo proposito sceglie una comicità fisica, un linguaggio sempre chiaro e avulso da doppi sensi, una scenografia colorata e tanti personaggi buffi che potrebbero arricchire molti presepi da oggi in avanti, come il fabbro da un occhio solo e il signor Giovanni con le sue finte ali d'angelo coi Led. Per chi è stato al catechismo la trama presenta anche un interessante plot twist che rende quasi eroiche le gesta di Salvo e Valentino. Se avessi quattro anni mi piacerebbe andare con il nonno a vedere questa pellicola prima della notte di Natale e credo che sia questo il giusto spirito con cui guardarla. Un 'opera che ameranno i più piccoli ma che è vicina per tradizione a film come Per amore, solo per amore di Genovesi o Il Ladrone di Pasquale Festa Campanile. Per chi si aspetta quella comicità sulfurea che il duo incarna nella conduzione di Striscia la Notizia, ci sono comunque delle interessanti sorprese. 
Se non amate particolarmente la strabordante comicità di Ficarra e Picone, questa è l'occasione per scoprirli in un ruolo più tenero e innocente. Non aspettatevi battute sulla cacca di cammello come in Natale sul Nilo
Talk0

mercoledì 11 dicembre 2019

K-11: la nostra recensione del numero uno del nuovo fumetto fanta-storico Bonelli creato da Matteo Casali, con i disegni di Davide Gianfelice




Karl è un soldato che ha combattuto in quell'inferno di trincea urbana che è stata la battaglia di Stalingrado. 
Apro una breve nota multi-mediale. Se vi appassiona lo scenario e il contesto storico vi consiglio un bel paio di film, Stalingrad di Joseph Vilsmaier e Nemico alle porte di Jean-Jacques Annaud, se vi garba un videogame d'annata sul tema mi pare ci fosse Call of duty: World at War, ma parlo di 12 anni fa ormai e... l'avete mai sentita Stalingrad degli Accept? E Stalingrado degli Stormy Six? Chiusa parentesi, procediamo. 
Karl è sopravvissuto al massacro di Stalingrado ma non è rimandato indenne, né fisicamente né psicologicamente, ora si muove grazie all'aiuto di un bastone. Condannato a non essere più un combattente attivo ma intenzionato a non fare comunque la sua parte, Karl decide di sacrificare tutto se stesso, offrendosi volontario per una sperimentazione scientifica che potrebbe cambiare del tutto l'esito del conflitto. Karl, portato per giorni come un quarto di bue sul retro di un camion, al buio e fumando sigarette, arriva in un istituto sperduto nel nulla ghiacciato russo. Ci sono altre cavie umane come lui, con indosso tute che richiamano quelle dei cosmonauti. Anni prima della gara allo spazio c'è quindi da raccogliere, tra controspionaggio, propaganda e scienza, una "diversa sfida" contro l'America: la formula dell'era atomica per creare "uomini più forti". Ma nelle lussuose sale di controllo la sperimentazione sta andando male, le cavie muoiono, le infermiere e i medici sembrano brancolare nel buio ma insistono tra cocktail di siringhe con liquido verde, esami continui, nuovi soggetti per i test. Se Karl sopravvivrà, sarà forse un supersoldato. Per ora pare avere acquisito occhi di uno strano colore (come da copertina) e sembra non avere più bisogno di muoversi con il bastone. Ma quanto sopravvivrà? Finirà mica come la cagnolina Laika? Fine del primo numero. Mannaggia, ne volevo di più! 


K-11 è un interessante fumetto, dall'aria molto "comics" impreziosita dal colore e formato (la copertina mi ha invece trasmesso quel sapore preciso del XIII di Vance), che pesca bene dalla Storia e dalla fanta-storia. Ricrea lo scenario di trincea (ma si parla più propriamente di "zemlyanka" se preferite), armi, uniformi e tattica. Approfondisce ed estremizza le ricerche scientifiche che effettivamente all'epoca qualcuno aveva iniziato, fa riferimento a precisi apparati burocratici esistenti, trasuda amore per l'argomento da ogni pagina e non dimentica di dare voce a un personaggio tragico, titanico, a suo modo "rotto", ma non per questo stanco. Come nelle partite di Basket di Inuoe, in  K-11 Casali infonde un'anima ("action") precisa, che punta a descrive nei mille dettagli visivi ed emotivi il "presente", ci cala nei fatti con un narrazione asettica, con la trama di fondo che rimane sussurrata. Forse pure troppo. Sarà una storia alternativa in cui un supereroe tipicamente "americano" viene riletto in un contesto culturale diverso, come in Red Son di Mark Millar? Avrà il sapore delle trame di spionaggio e controspionaggio imbevute qualche volta e volentieri di Storia come in XIII di Vance e Van Hamme (ma anche come ne Lo Sconosciuto di Magus, che Bonelli ha deciso di far "rivivere" con una serie di cui parleremo presto e di cui il primo cartonato)? Sarà una ultra action e ultra splatter corsa agli armamenti "in salsa superumana" come in Uber di Kieron Gillen per i pazzi di Avatar Press (Karl "a prima vista e con il beneficio del dubbio" mi ricorda un po' il personaggio di Siegmund)? Continuerà (immagino molto probabilmente, da quanto ho sentito alla conferenza lucchese) la linea di approfondimento della fantascienza storica a 360 gradi, magari con "proseguimenti inediti del conflitto" da qui a Fatherland di Harris, che ci porterà magari a vedere realizzate cose come i progetti segreti della Luftwaffe (come tra gli altri gli aerei a "disco volante" visti un celebre videogame della Lucasarts del passato: Secret weapons of The Luftwaffe)?  Sarà qualcosa di completamente diverso? Non lo so e questo, se da un lato mi riempie di curiosità per la bontà generale di quanto già letto, per cornice, senso dell'azione e caratterizzazione (per lo più grafica) dei personaggi, di contro mi impedisce di andare oltre fino almeno al numero 2. 


A meno che l'autore non riesca a rispondere a un paio di domande stringenti, da accogliere per ora come promesse future. 
Domande possibili che vengono direttamente dai nostri collaboratori interni più irresponsabili. E allora, come direbbe Barbara D'Urso: "Lanciamo le sei sfere". Nella speranza magari che l'autore, magari in futuro o con i prossimi numeri,  giochi con noi nel trovare delle risposte a questi quesiti.
1) Puoi dirci qualcosa sulla periodicità di K-11? Esiste una data di uscita del numero 2? (domanda chiesta da precisetto99)
2) Tra tutte le ipotesi che abbiamo scritto qui sopra circa il modo in cui può articolarsi la storia, ci abbiamo preso almeno una volta? Se vuoi puoi fare il vago e il misterioso. (Domanda di Talk0). 
3) Ci saranno scene zozze? Splash-pages fatte di scene zozze? (domanda chiesta da utente anonimozozzo69) 
4) Ci saranno mostri che si trasformano ed esplodono e si smembrano e si ri-trasformano in mostri che esplodono? (domanda chiesa da ugodepresso77)
5) Ma quanto sono approfondite le vostre ricerche sulla Russia della seconda guerra mondiale? Avete usato per le armi qualche libro di testo documentato?  (domanda chiesta da Verocagacazzo73).
6) Avete scritto un fumetto che sicuramente saprà stupirmi oggi come ai tempi in cui ho letto all'uscita il numero 5 di Dylan Dog, Gli uccisori di Sclavi? (domanda di malinconicononpretenziosopassivoaggressivo76). 
Seguiranno aggiornamenti.
Talk0

martedì 10 dicembre 2019

Il redattore segreto del nostro gruppo, Alessio9000


Sapevo che un giorno avrei dovuto trovare il coraggio di parlarvi di questo scottante argomento, roba che è in ballo la sopravvivenza della razza umana ma in fondo stiamo allegri. Vi parlo di Alessio9000, nome del nostro personale correttore automatico. Un nome e un'identità conquistati sul campo, si intende, per una A.I. con una sua precisa visione del mondo e di noi stessi suoi colleghi. Alessio nasce quando il "troppo tempo libero non è così troppo" e siamo costretti a scrivere pezzi con l'opzione Note del cellulare, per poi copiaincollarlo in modi strani e incrociati. Quand'era ragazzino, ai tempi del FarEast Festival di Udine del 2013, Alessio imbroccava pazzesche consecutio temporum, faceva il professore e giù a farci sentire merde. Poi ha trovato le sostanze psicotrope digitali, indispensabili per sopportare la mia prosa ai tempi della dipendenza da Candy Crash, peggiorata con la dipendenza da Clash Royale. Pensava di diventare più creativo e non gli do colpe, l'ho fatto andare insieme a Pages al gruppo dei programmi di scrittura affetti da sostanze psicotrope. Sicuro lì non è migliorato troppo, magari ha trovato un paio di amichette ma poco altro, c'ha messo impegno comunque, lo vedo. Ora Alessio ha un vissuto suo, idee sue, una fede calcistica che esprime aggiungendo un "Forza Ascoli" ogni volta che si va a capo, perfino una vena di futurismo. Così dopo aver scritto un pezzo spesso occorre rileggerlo e se si modifica occorre rileggerlo di nuovo senza modificare alcunché. Oppure Alessio inizia a spostare frasi, cambiare parole e tempi verbali, è nel pieno della sua adolescenza digitale. Gli vogliamo bene e ogni tanto finisce che le sue creative manipolazioni finiscano pure sull'articolo finale. Voletegli un po' bene pure voi e se lo sgamate salutatelo con un affettuoso "Ciao Alessio" nei commenti, citando la perla artistica che avete scovato. Alessio sarà felicissimo.
Talk0

lunedì 9 dicembre 2019

Ghostbusters: Legacy - il primo trailer



L'originale del 1984 è il primo e unico film che ho visto al cinema insieme a mio padre. Ho girato per due settimane per casa con uno zaino protonico ricavato da un aspirapolvere e un fustino del Dash. Sono stati i miei giocattoli preferiti di sempre, il cartone animato (non quella merda con Slimer) il mio appuntamento con la merenda preferito. Credo di aver detto più o meno tutto, oltre al fatto che ora sto in lacrime a vedere un trailer che è "giusto" da tutti i punti di vista. Ha il sapore, il fascino del passato. C'è la Ecto-01 che si apre con la sedia girevole come nella serie animata e il modellino giocattolo. Ci sono le trappole e forse un ecto-contenitore sepolto (perché i fantasmi si "trattano", essendo in fondo spiriti umani, non "si distruggono" come fanno le insensibili e stronze acchiappa-fantasmi donne del brutto remake di Feig). Ci sono i bambini, troppi bambini, che prendono la Ecto-01 e la usano come in Cop Car per fare casino, ma la Ecto-01 è più figa di qualsiasi Millennium Falcon e li capisco, li invidio da morire. C'è la giusta aria "creepy e apocalittica" (non un'aria buffo-scema come nel film delle stronze e insensibili donne acchiappa-fantasmi di Feig) nell'aria e forse pure un cagnaccio di Gozer in giro. Va bene, avete tutta la mia attenzione. Non fatemi un copia "troppo spiccicata" di Stranger Things magari, perché lì mi sa che si va ad andare e non so se è la direzione giusta, ma sono pronto a ricredermi. Stiamo sintonizzatiti fino ai prossimi aggiornamenti incrociando tutte le dita. Fiducia a Jason Reitman. 
Talk0 (in lacrime).

domenica 8 dicembre 2019

Star Trek - Discovery: recensione della prima e della seconda serie




- Premessa (lettura opzionale e non vincolante): Sono un Trekker da quando a quattro anni guardavo (e capivo per lo meno un po') in tv la serie originale di Star Trek con Nimoy e Shatner. Sono stati loro i miei Teletubbies, per questo forse ho tanto affetto nei confronti degli alieni a forma di scopa o palla da baseball. Era un momento magico, essere piccoli negli anni '70 e godere (oltre che del genio di Go Nagai, ma questo è un discorso a parte) della fantascienza sociale di James Roddenberry, ma anche delle "simili" opere di Leiji Matsumoto, di Ronald D.Moore, di Glen A.Larson, Yoshiyuki Tomino. Era una educazione etica al futuro. C'era avventura e la fantascienza di astronavi, teletrasporti e alieni ovviamente, ma anche tanta sociologia, psicanalisi, diritto, multiculturalità, positivismo, riflessione critica della storia passata. Star Wars con le sue idee sulla religione, i troopers post-nazi, la "resistenza all'oppressione", l'ho sempre valutato come qualcosa di divertente, epico ma "vecchio" (salvo qualche accenno al ruolo moderno della donna, già sviluppato per altro in precedenza proprio da Star Trek), applicabile a un mondo al massimo di metà del 1900, fantasy, magari Western, ma non science fiction. Star Trek e tanta della "fantascienza sociale" che ho citato sopra era più avanti fin dall'inizio, rifletteva su come l'uomo potesse convivere con culture diverse, preferiva le soluzioni pacifiche ai conflitti millenari e si aggiornava credibilmente con opere come Next Generation (riflessioni sull'intelligenza artificiale, la realtà virtuale e relativa alienazione, il mutare del quadro geo-politico e il suo adattarsi sociale, giuridico e morale), Deep Space Nine (riflessioni sul "denaro", un concetto che per Roddenberry era superato nel futuro, ma veniva reintrodotto per una serie che parlava di "muri e frontiere"), Voyager (riflessioni sulla crisi delle risorse energetiche e sulla cooperazione tra i popoli di lunga durata), Enterprise (transumanesimo, sessualità, critica della cultura attraverso "universi a specchio"). Tutto questo mentre Star Wars era impantanato in apologia, ascesa e caduta dell'Impero Galattico (con però un impero che nasceva da una repubblica dal sapore "europeista"e "liberista", un punto di fantascienza seria, e per questo inquietante, che assegno con piacere a Star Wars). Poi è arrivato J.J.Abrams, che dopo un calo di ascolti ha rivitalizzato Star Trek prima e Star Wars dopo con lussuose operazioni revival-nostalgiche per permettere a entrambe le serie di evolvere ripartendo dalle idee di base. Questo ha portato ad uno Star Trek Beyond che affondava così tanto nel classico autoreferenziale per accontentare i fan storici  da impantanarsi (con il resto degli spettatori che lo hanno visto come un party privato a cui non erano invitati) e ad uno Star Wars - gli ultimi Jedi che sparava troppo verso le nuove generazioni dei fan da essere avvertito dai vecchi come un tradimento. Vedremo a Natale quale sarà il futuro di Star Wars, nel frattempo c'è stato per Star Trek questa serie dal titolo Discovery
Come Trekker, che per me significa essere "persone dalla mente aperta" ho sempre apprezzato le molte sfaccettature con cui questo fantastico universo si è espanso e definito. Ho delle preferenze come tutti circa una serie rispetto a un'altra, ma ammiro sinceramente il modo in cui Star Trek si  è sviluppato negli anni, credo si sia mantenuto un alto livello medio. Credo che Star Trek sia un modo interessante per parlare del "nostro" mondo, del presente, non sono uno di quei fan che si chiudono nel franchise facendosi avvolgere come da una coperta di Linus. Non sono come quelli che sposano in toto una (loro idea) del mondo (lo fanno parimenti i fan di Star Trek e di Star Wars), pretendono di "abitarci dentro", studiano ogni storia e documento esistente su questa specie di "città virtuale" e come i vecchietti intransigenti sono lì a lamentarsi ogni volta che nasce una strada nuova, si crea un ponte al posto del passaggio a livello che percorrevano da piccoli, arrivano nuovi vicini di casa o i bambini giocano a palla. La fantascienza è nata per affrontare il mondo, non per scapparci dentro. Se Roddenberry fosse ancora vivo starebbe costruendo una astronave per andare anni luce lontano da fan di questo tipo. O almeno è questo che sono convinto penserebbe. 


- La Stagione 1 di Discovery: Con un'estetica, cornice "storica" ed effettistica che richiama direttamente i film di J.J.Abrams, la prima stagione di Discovery fa qualcosa di radicalmente diverso rispetto alle stagioni classiche del franchise, abbandona una impostazione narrativa "corale" e sceglie di farci immedesimare in un singolo personaggio, la misteriosa Michael Burnham interpretata da Sonequa Martin-Green. Michael è una "terrestre", ma fin dalla sua tenera età è stata adottata da una famiglia di Vulcano (per i non addetti ai lavori, i vulcaniani sono come gli elfi nei racconti fantasy, acculturati e aggraziati, anche se molto sterili sul piano emotivo, in ragione di una ferrea disciplina di vita nel segno della logica e della scienza), nientemeno che da Sarek (James Frain), il padre di Spock (personaggio iconico di tutto Star Trek, interpretato originariamente dal compianto Leonard Nimoy). Michael fa parte della flotta spaziale come ufficiale scientifico esperto in xeno-antropologia, ha delle abilità indiscusse come pilota e come leader, ma è perennemente al centro di situazioni difficili, di cui sempre più ritiene di essere l'unico artefice. Michael, che per l'educazione vulcanica ricevuta riesce a celere i suoi veri sentimenti (ma che per la stessa educazione risulta spesso antipatica), sostiene letteralmente "tutto il peso del mondo" e per questo spesso si imbarca in imprese suicide o sottovaluta la propria incolumità se questo può essere a beneficio degli altri. Porta sulle spalle il peso di aver tradito Spock e la cultura vulcaniana, si incolpa per la morte del suo superiore, l'ammiraglio Philippa Georgiou  (Michelle Yeoh), e per di più è ritenuta da tutti la responsabile dell'inizio della guerra della Federazione contro la pericolosa razza guerriera dei Klingon. Ha una pettinatura francamente orribile, inguardabile, che mantiene fedelmente dalla prima alla fine della seconda serie. Sembra un gatto morto in testa. Orribile. Oltre a ciò è un eroe molto poco convenzionale, la troviamo presto in catene verso una colonia detentiva, così depressa che è incurante del fatto che un campo di asteroidi stia letteralmente per far esplodere il vascello su cui si trova. Poi arriva a salvarla la Discovery. La Discovery è un vascello scientifico popolato da un equipaggio in gran parte femminile, si occupa di studiare una specie di "funghi spaziali", è popolata da gente eccentrica. Saru (Doug Jones, che da sempre interpreta su schermo mostri come ne Il labirinto del Fauno di Del Toro) è un alieno Kelpiano, una creatura che... sembra uscita da Il labirinto del Fauno di Del Toro (per l'appunto...). Sembra anche un po' Abe del videogioco Abe's Oddysse. I Kelpiani vivono su un pianeta insieme ai misteriosi Ba'ul, che una volta raggiunta una certa età li prelevano dalle loro casette e prati in cui vivono come ne L'albero degli Zoccoli di Ermanno Olmi per... mangiarli. Questa circostanza lo rende piuttosto irritabile e passivo aggressivo, specie verso la nostra protagonista, in quanto Saru era un membro del vecchio equipaggio di Michael e la incolpi della morte della Georgiou. Incredibilmente Michael lo trova la persona più empatica e sensibile della galassia. L'ufficiale tecnico esperto di mico-tecnologia (scienza a cavallo tra le spore, i funghi e le "galassie") Paul Stamets (Anthony Rapp)  e il medico di bordo Hugh Culber (Wilson Cruz) formano una coppia gay terrestre molto affiatata. Stamets è genio e sregolatezza, ultra umorale in bene e male, presto il suo personaggio si evolve in un modo sorprendente, accattivante. Culber è il "regolatore di sentimenti" di Stamets, il suo punto fermo, quello che permette al genio di essere apprezzato, supportato e coccolato, senza la forte tentazione comunque di teletrasportarlo nel vuoto cosmico per vederlo morire malissimo. Ovviamente Stamets vedrà subito male Michael in quanto pretendente al titolo di unica e vera prima donna dello Show. Ugualmente vorremmo vedere morire malissimo, ma sopportiamo per la genialità matematica, la piccola, cicciottina e rossa di capelli Tilly (Mary Wiseman). Logorroica più che simpatica, invadente più che buffa, Tilly sembra costantemente essere uscita da una brutta puntata sotto acido del Doctor Who. Il suo tormentone è entrare in scena dicendo qualche battuta atroce, a cui segue in genere una spiegazione della stessa, con qualcuno che interviene per bloccarla e chiedere le (sempre geniali) ragioni del suo arrivo. Tilly con Michael è la pessima amica quella "pessima amica" che ti inguaia per sua eccessiva insicurezza per poi scusarsi con te quando sei in carcere per colpa sua dopo 15 anni. Il resto dell'equipaggio è un po' accennato un tanto al chilo, così sulla plancia si annoverano "robottina", "occhiolona", "parruccotta afro" e "cinesino". Loro fanno cose e dicono robe, utili quanto l'applicazione per cellulare Siri, solo che con meno personalità. 


Fortuna che sulla sedia del comando c'è qualcuno di serio, qualcuno che da una risposta alla domanda "ma che cavolo sto vedendo?!" In quei momenti di disagio in cui Stamets impazza monopolizzando la trama (è davvero la versione isterica dell'alieno Roger di American Dad), Saru regredisce a cavalluccio marino spaventato, Tilly inizia a imitare Groucho Marx, il "gruppo Siri" non trova il 3G e Michael guarda fisso con intensità il muro. Se in tutte le serie di Star Trek il capitano era un po' il fulcro emotivo dell'azione, Discovery rende però amabilmente complicato questo ruolo. Il "primo capitano" che incontriamo, Philippa Georgiou, è stata per Michael una vera e propria seconda madre, una guida e un modello morale assoluto. A un certo punto diverrà una variante di Rita Repulsa dei Power Rangers ma questa è un'altra storia (lo dico solo per inquietarvi per ora). Il "secondo comandante", Gabriel Lorca (Jason Isaacs) è IL "carismatico bastardo" per antonomasia. Lorca è il più Bad-Ass di tutti i comandanti di Star Trek da Kirk a oggi. Sensuale, manipolatore, cinico, crudele, determinato a schiacciare o piegare al suo volere chiunque con la sua straordinaria personalità. Lorca solo, con le sue enormi "palle", prende la triste e noiosina Discovery con in allegato i suoi falliti emotivi  scienziatini da Big Bang Theory e la eleva alla più spaventosa e onnipotente corazzata spaziale da guerra della federazione di sempre. La Discovery da quando riecheggia per la prima volta il comando "codice nero" si trasforma nel mostro spaziale che in un giorno può iniziare e finire da solo una guerra intergalattica. Lorca ha un suo obiettivo, motivazioni credibilissime alla base del suo comportamento, una sua precisa morale e fascino a pacchi da dispensare, solo che nell'ottica pacifista e positiva di Star Trek è chiaro come finiscono queste cose e alla fine il fatto che l'equipaggio sia tutto scontrosto, depresso e frustrato ti si dice, chiaro e tondo, che è "per colpa sua". In quel momento, davvero, partono (dai Meandri dell'animo "meno trekker" dentro di me) i vaffanculo agli ideatori della serie, anche perché Lorca è il personaggio sviluppato meglio da ogni punto di vista e tutto il resto del cast risulta ancora troppo acerbo, involuto. Tutto quello che si è perdonato alla serie torna a galla, dalle puntate poco a fuoco, alle soluzioni citazioniste fino all'auto-parodia, alla scelta "molto da barboni" di utilizzare nelle puntate pochissimi scenari esterni oltre ai pochi (bellissimi) scorci della nave. Poi però si capisce che non è uno sviluppo così campato per aria (è il Trekker dentro di me che torna in possesso delle sue facoltà...), che si potrà aggiustare il tiro in seguito. Poi viene fuori un finale niente male, Michael trova una sua dimensione, anche l'evento bellico ha una sua evoluzione e struttura interessante, ci sono dei colpi di scena riusciti (e meno riusciti, come la Georgiou "Rita Repulsa"), i nodi tornano quasi tutti al pettine. Merito anche della riuscitissima sotto-trama in salsa Klingon, di cui vi ho parlato pochissimo anche per non rovinarvi la sorpresa. I Klingon sono coinvolti in un conflitto interno articolato alla Games of Thrones, che coinvolge casate, bastardi, regine vendicative e banchetti di sangue allegati. Una bella lotta fratricida medioevale combattuta da attori barbaricamente in parte, sia dal punto di vista emotivo che "muscolare". Un plauso assoluto a chi ha realizzato i trucchi e costumi Klingon, perché ogni fotogramma con loro è degno della copertina di un disco heavy metal. 
Scopro  a fine serie che mi veniva una voglia matta di vedere la seconda stagione, nonostante tutto mi sono divertito. Sarà stata quella scena finale in cui appariva davanti alla Discovery l'Enterpise?


- La stagione 2 di Discovery: Ho apprezzato la "piccola società trekkeriana di una astronave" in crisi, così come dipinta dalla prima stagione di Discovery. Ho sofferto insieme all'equipaggio l'inizio della guerra contro i Klingon, l'incertezza e sospetto che aleggiava tra i personaggi, gli slanci eroici che venivano sviliti dalla realtà dei fatti, il generale senso di colpa che assale anche quando si è convinti che era inevitabile sbagliare, quando si era cercato di fare del proprio meglio. Un dolore che, se "spinto nella giusta direzione" è un punto di (ri)partenza, verso nuove mete dove, imparando dagli errori, riuscire a fare meglio. Lorca ha preso dei talenti, dei giovani scienziati, e li ha ridotti ad "armi viventi" in un futuro in cui la guerra può essere una opzione residuale e non l'unica via. Ma nell'infinita autostrada dello spazio, nell'ultima puntata della prima stagione, la Discovery incontra la prima e unica Enterpise e quello che sarà il loro "terzo" comandante, Pike (Anson Mount). Forse c'è un futuro diverso per l'equipaggio, perché l'Enterprise si rivela subito "sgargiante". Dalla divisa gialla da comandante di Pike, diversa dalle divise scientifiche tutte blu e tutte uguali della Discovery, al "calore" che trasmette la sua bellissima e misteriosa Numero Uno (Rebecca Romijin - Ex Mystica nella saga X-Men) al fascino che emana il membro più misterioso del suo equipaggio, Spock (Ethan Peck). L'Enterprise è fuori uso, Spock è scomparso mentre stava indagando su uno strano fenomeno cosmico: sette segnali energetici comparsi misteriosamente nella galassia, attribuiti a una fantomatica creatura che viene chiamata "l'angelo rosso". Con Lorca fuori dai giochi e l'Enterprise in "manutenzione", Pike sale momentaneamente sulla Discovery al comando per guidare la ricerca del vulcaniano con la collaborazione di Michael, che è di fatto sua sorella, mentre alla stessa ricerca si aggiungono anche i misteriosi uomini della sezione 31, tra cui militano un paio di volti a noi già noti. Il controspionaggio esasperato della sezione 31 genera il nemico contro cui presto gli uomini della Discovery presto si scontreranno: una specie di supercomputer del futuro, chiamato "Controllo" come una marca di preservativi, nato come sistema di sicurezza dati ma subito spintosi a fare quello che vogliono fare tutti i supercomputer, da Terminator in poi. Distruggere tutto, saltare indietro nel tempo, e... solito canovaccio. Ma non si poteva pescare a casaccio tra mille razze aliene a caso già note o nuove, anche solo più affascinati a livello di intreccio di un clone bulgaro di Skynet? Sono senza parole. Comunque, "Controllo" si può impossessare con le nanomacchine di chiunque, ma in genere ha passione per i tizi che sembrano dei papponi dell'est Europa.  Lo "svolgimento" lungo le puntate della lotta contro questo computer con gusti estetici dimmerda è però decisamente più interessante del "succo", al punto che concentrandoci su un lato emozionale molto ben sviluppato si può glissare anche sulla soluzione narrativa finale (dove come tutte le storie sui paradossi temporali alla fine i conti e la logica delle azioni contano fino a un certo punto). Allo stesso modo, per la buona scrittura dei personaggi si può chiudere un occhio nella composizione generale dei singoli episodi, saltellanti più sul versante "moscio" che sul "fico", con l'assurdo di un penultimo episodio che praticamente descrive eventi di mesi con il "countdown per il confronto finale" che vorrebbe farci intendere essersi svolti in una decina di ore. Solo per infierire, ricordiamo pure che l'intera premessa della seconda serie è usare la Discovery mentre l'Enterprise è tipo a fare la revisione autunnale per il motore a curvatura da neve... Ma passiamo ai personaggi e alle loro "emozioni", che tanto è evidente che della trama generale non sbatte nulla agli autori. Michael è ancora tormentata dal suo passato e sempre sul punto del martirio autoinflitto, l'attrice se possibile riesce a darne una caratterizzazione ancora più criptica che nella prima serie. Ogni tanto trova una direzione dove portare il personaggio, ma poi si perde, torna a compatirsi, sgrana di occhi, dice qualcosa di pomposo e banale con quel gatto morto di pettinatura sempre presente. Se nella prima serie era possibile almeno tentare di empatizzare con lei, nella seconda è del tutto "respingente". Con un po' di tecnica si può però cancellare la sua presenza dal telefilm e concentrarsi su altro anche perché, sorpresa, la seconda stagione è molto più corale della prima! Il "gruppo Siri" (ossia i tizi anonimi della plancia) parla sempre pochissimo, ma ha un mare di battute in più di prima, degli episodi dedicati anche struggenti e qualche volta vengono trascinari attivamente nell'azione, risultando simpatici e funzionali. Saru evolve molto, anche lui ha episodi dedicati e sono tra le cose più belle di questa stagione, Doug Jones lo rende ancora più profondo ed espressivo. Tilly, Culbert e Stamets sono sempre loro: logorroici, sopra le righe, fastidiosi, ma con un 15% di sopportabilità in più. La Georgiou superata la fase Rita Repulsa è in pieno "deliro Deadpool": un personaggio così esagerato tra arti marziali e battute cattive che fa il giro e si attende come piatto forte. Bravissimi gli attori e interessanti come nella prima stagione i personaggi (che non vi rivelo chi sono per non spoilerare) di Mary Chieffo e Shazad Latif. Tra i nuovi arrivi, la stand-up comedian Tig Notaro dà corpo al sarcastico e burbero tecnico Jett Reno, confermandomi che le attrici comiche americane non fanno ridere, mai, però mi ha misteriosamente ricordato in positivo Peter Capaldi. Solo cuoricini per quella sventola che è ancora Rebecca Romijin, il cui Numero Uno meriterebbe una serie spin-off a parte. Rilevante come un granello di sabbia sulla spiaggia di Riccione l'ammiraglio Cornwell di Jayne Brooke. Mooolto interessante, e ora con maggiore minutaggio su schermo, il "terzetto familiare vulcaniano di Michael", composto dallo Spock di Ethan Peck, la Amanda di Mia Kirshner e il Sarek di James Frain. Non è facile fare i vulcaniani, fa tremare i polsi dover prendere i panni di un gigante come Nimoy. Peck è stato davvero bravo, riesce a essere più vicino a Nimoy di quanto lo sia Zachary Quinto, dà vita ad uno Spock più timido che scontroso, più gentile che "maestrino". Anson Mount è un comandante Pike semplicemente superbo, il "doppio perfetto" rispetto allo speculare Lorca di Isaacs. Ancora una volta lo Show si è affidato alla bravura del comandante di bordo, ma i personaggi di Saru e Spock, aggiunti alla pazzia della Georgiou, hanno reso più equilibrata e varia la formula. Con Pike "risplendono tutti i personaggi", specie i minori. È un perfetto caposcout, di mente aperta, generoso, di alti valori spesso recitati come un manthra, deciso quando serve, eroico e determinato, pure dotato di un sottile umorismo. Non era per niente facile renderlo "poco stucchevole", "non troppo santo", ma Anson Mount ci riesce e dona a Pike una grande fibra morale e umana.


- Tirando per ora le somme: le prime due stagioni di Discovery firmate da Bryan Fuller e Alex Kurtzman hanno saputo trovare un modo nuovo e moderno, seppur tuttora difficoltoso e macchinoso,  di interpretare Star Trek. Storie di ampio respiro con al centro più i personaggi che le trame in sé, una forte e decisa posizione a favore della parità di genere e della libertà sessuale, un amore incondizionato per il lavoro e l'etica di Gene Roddenberry. Sono tanti gli aggiustamenti che la formula ancora richiede, ma le intuizioni buone ci sono e Discovery sta crescendo. Con all'orizzonte una terza stagione, già ai nastri di partenza (e con il possibile ritorno di Jason Isaac), che permetterà di esplorare uno scenario del tutto inedito e con due possibili spin-off alle porte (uno programmato sulla Sezione 31 e uno, richiesto a furor di popolo, sulla Enterprise di Pike e Spock), Discovery ha tutta l'intenzione di diventare un'opera seminale. Una conferma, insieme alla nuova serie su Picard, al quarto film cinematografico e al possibile film di Tarantino, che il brand di Star Trek è vivo e vegeto, ancora in prima linea nel raccontarci il nostro "futuro prossimo". C'è chi si è abbattuto selvaggiamente su Discovery, esternando un odio e disgusto quasi viscerale per i suoi temi e i suoi personaggi. Discovery non è per niente perfetta, presenta personaggi che a qualcuno (e pure a ragione!) sembreranno antipatichelli, ma rimane godibilissima, ci si affeziona a (quasi) tutte le storie, è ricca di sfumature interessati, effetti speciali molto ben fatti e ogni tanto sa piazzare qualche episodio davvero niente male. Ogni nuovo Star Trek mi fa tornare bambino, riconosco di essere in questo il meno obiettivo dei critici, ma un terzo giro con la Discovery me lo farei molto volentieri. Se le cose andranno male, "l'allarme nero" arriverà sempre in nostro soccorso. 
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