venerdì 31 maggio 2013

Osama Game

 di Nobuaki Kanazawa 
Osama significa “re”, quindi il titolo del libro, edito da Panini in concomitanza della trasposizione manga, sempre dello stesso autore ma con ai disegni  Hitori Renda, è “Il gioco del re”. Trattasi di una variante del molto meno altisonante gioco di “società” conosciuto come “obbligo o verità”, a sua volta variante più spiccia del “gioco della bottiglia”, che comunque è sempre stato nei secoli un gioco truccato, dove se eri figo slinguavi la compagna di banco e se non eri nessuno ricevevi un calcio nel didietro da tutti i presenti (più o meno metaforico). Cosa ti tirano fuori i jappi combinando “il gioco del re” con le atmosfere di “The ring”? Qualcosa che sulla carta non dovrebbe essere niente male...
Un “bel” giorno, alle 12.00 postmeridiane, a tutti i componenti della prima b del liceo della prefettura di Tamaoka giunge uno strano sms. Il mittente è “il re”, l'oggetto è “gioco del re”. Il testo introduttivo recita più o meno così: “Questo è il gioco del re. Vi partecipa ogni componente della classe, ciascun ordine del re dovrà essere eseguito in modo assoluto entro 24 ore. Nota: a nessuno è permesso ritirasi a gioco in corso, quali che siano le circostanze”. Alla premessa seguono gli ordini. “Ordine 1. Gli studenti indicati al registro di classe con i numeri 4 e 19, rispettivamente Inoue Hirofumi e Nakao Minako devono baciarsi”. Considerando la natura della cosa, tra i ragazzi della 1 b è tutto un trastullarsi goliardico, una caccia a chi manda gli strani messaggi ma anche un accondiscendente voglia di aderire all'ordine, con il solare menefreghismo del “tanto non sono io”. All'esecuzione dell'ordine arriva un sms di conferma, “verifica avvenuta” ma ecco che di seguito, ogni notte, alle 12.00 in punto, arriva un nuovo ordine e le richieste si fanno sempre più morbose, sempre più pesanti. Qualcuno decide che il gioco è andato troppo avanti e non vuole aderire agli ordini. Poco prima della mezzanotte arriva un sms, “Mancano 5 minuti” seguito di lì a poco da un altro “Mancano 30 secondi”. Il messaggio che segue è agghiacciante: “Lo studente indicato sul registro di classe con il numero [...] avrebbe dovuto[...] poiché l'ordine non risulta eseguito, si proceda con la punizione per entrambi: impiccagione. Fine”. Di colpo il gioco diventa incubo. Si crede sia solo uno scherzo di cattivo gusto, ma l'insegnante il giorno dopo comunica il decesso dei due compagni di classe agli studenti. Sarà un massacro. Inevitabile. Perché il re può uccidere chiunque senza venirne in contatto, perché lo ha già fatto in passato e non si fermerà. Tra certezze e amicizie che crollano, trovare una soluzione all'ingarbugliata matassa non sarà facile.

Sono abbastanza pruriginose le premesse, così come appare leggero il contesto adolescenziale, ma Osama Game è in grado di regalare momenti davvero terrorizzanti, autentici tocchi da maestro. Rivelare oltre la trama va direttamente a discapito della lettura, pertanto mi asterrò per non privarvi del divertimento. Ritmo incalzante, gradi dosi di paura, molto splatter, se devo trovare dei difetti a questo libro, li imputo per lo più alla parte finale che chiosa con un ineluttabile, ma un po' prevedibile, “continua”. Ma non lo vedrei come un difetto, laddove le basi per una continuazione coerente della trama ci sono eccome e l'intreccio narrativo sembra piuttosto risolto. La versione italiana by Panini, in vendita appunto in abbinato con il manga nelle fumetterie, risulta di buona fattura, pur peccando di alcune ingenuità della narrazione, comunque in grado di tenere svegli nell'attesa del nuovo “ordine”, della nuova reazione, della nuova punizione. Una lettura interessante. Il fumetto ripercorre più o meno pedissequamente il libro, chi vuole leggere il manga è meglio che lasci da parte per un po' il libro (fate conto che il manga si compone di 5 numeri per questa “season 1”. I disegni di Hitori Renda sono ottimi nel descrivere al meglio le montagne russe emotive dei protagonisti, passando da un tratto di tipo caricaturale a un disegno più spigoloso e drammatico. La narrazione è piuttosto frenetico-sincopata, riproducendo alla perfezione il ritmo del romanzo. Davvero un buon lavoro. L'edizione italiana è anch'essa valida, presentando pagine di buona qualità e sovracopertina. Se certe cose da “tredicenni” potrebbero farvi da principio storcere il naso, aspettate di arrivare alla parte horror, in cui tutti si muoveranno e agiranno come scimmie impazzite. Poco adatto agli impressionabili. 
Talk0

mercoledì 29 maggio 2013

The World's End


La premiata ditta Simon Pegg- Nick Frost torna alla carica dopo i successi internazionali di "L'alba dei morti dementi", "Hot Fuzz" e "Paul". Questa volta la simpatica coppia di attori britanniti saranno alle prese con un'invasione aliena alla "Invasione degli ultracorpi". Il tutto prende avvio da una rimpatriata, durante la quale cinque vecchi amici (tra cui appunto Pegg e Frost) tornano dopo vent'anni nella città natale per compiere un giro dei pub, che in giovinezza li rese celebri. Il problema è che ben presto scopriranno che la popolazione della cittadina è stata sostituita da alieni con poteri sovrannaturali. Ce la faranno i nostri eroi a liberare la città dai marziani e completare il tour alcolico? Lo scopriremo il 26 settembre!
Gianluca

martedì 28 maggio 2013

Transformers 4




Michael Bay scalda i motori e inizia le riprese del quarto capitolo della saga dedicata ai giocattoli della Hasbro. Con un cambio di cast pressoché totale però! Niente più Shia Labeouf, con le improbabili gnocche innamorate perse di lui, niente più famigliola rumorosa (Kevin Dunn), niente più amici demenziali (John Turturro), niente più marines cazzuti (Tyrese Gibson). Le uniche conferme al momento paiono essere quelle di Glenn Morshower nei panni dell'omonimo generale e dei due robottoni Optimus Prime e Bumblebee. Il nuovo cast vedrà invece la comparsa dell'ottimo Mark Wahlberg, capace di ritagliarsi ruoli action tra una commedia e l'altra oltre al grande Stanley Tucci, attore davvero versatile. Il comparto gnocche prevede la bellissima Nicola Peltz (protagonista della serie Tv "Bates Motel", dedicata alla giovinezza del buon Norman), l'affascinante Sophia Myles (Erika nei primi Underworld) e Bingbing Li, famosa in oriente e interprete di Ada Wong nell'ultimo Resident Evil.
Rumors dell'ultim'ora confermerebbero la presenza dei Dinobots! Ciò mi rende felice, perchè in qualche scatolone in soffitta ho ancora lo stegosauro (non ne conosco il nome, mi perdoneranno i fan accaniti). State sintonizzati per aggiornamenti!
Gianluca

lunedì 27 maggio 2013

Dark Shadows



Con l'uscita in blu ray di Frankenweenie alle porte, “dovevo” moralmente recuperare la precedente pellicola burtoniana, all'epoca rimandata a tempi migliori causa una pioggia di commenti non proprio lusinghieri da parte della critica e alcuni dubbi su Alice, non solo inerenti al tremendo balletto del cappellaio matto, che comunque mi ha perseguitato per mesi fino alle luci dell'alba in cerca di un significato recondito. “Bollito” è forse l'aggettivo più tenero che i recensori di Dark Shadow hanno utilizzato nelle inquisizioni blogghesche, seguito da “film che non è né comico né drammatico, insipido”. Siccome l'aggettivo più utilizzato dai medesimi per Frankenweenie è “rinato, con qualche riserva”, ho deciso, complice un'offerta al megastore, di dare una possibilità a Dark Shadows (che pallone gonfiato magnanimo che sono...).
Ma io poi, sono un Burtoniano? Vediamo... L'ultima pellicola che davvero mi ha convinto al 100% del talento del grande Tim, il sense of wonder maximo è stata la sublimemente retrò Mars Attacks! Alieni bellissimi e spisciosi, colonna sonora evocativa (che abbiamo usato in radio per almeno 11 anni), pletora di attori sterminati anche in pochi secondi (tra cui Fox e Black), la testa di Brosnan che recita meglio del corpo intero, Nicholson presidente, tutto colorato, tutto evocativo. In misura di poco inferiore Il mistero di Sleepy Hollow, unico “western” di Burton: teste che rotolano, Casper Van Dien squartato (è la seconda volta in breve tempo che lo cito... potrebbe essere l'avvisaglia della fine del mondo post-maya), una stupenda Miranda Richardson, un silente ma implacabile Christopher Walken, un Johnny Depp bravissimo (assolutamente da guardare in inglese). Sempre con affetto invece ripenso al sanguigno Sweeny Todd, con l'improbabile coppia Depp-Bonham Carter, con un grande Baron Cohen. Le altre recenti pellicole, lungi dall'essere brutte, sono film o troppo poco burtoniani o dal tocco burtoniano minimale, nel senso che potrebbero essere scambiate per opere di un altro regista (Pianeta delle Scimmie, Big fish con riserva, Alice in wonderland) e burtoniani di secondo pelo, alla “Ligabue”, derivativi da altre opere burtoniane, cose belle ma di cui bene o male ha “già parlato” e dove il modello-base mi aveva convinto di più (La sposa cadavere deriva di Nightmare before xmas, La fabbrica di cioccolato deriva di Edward mani di forbice). Al di là di tutto la “cifra” di Burton, il suo “livello medio” è qualcosa di inarrivabile per molti registi e se non sono capolavori, perché Mars Attacks! Batman returns, Beetlejuice, Edward mani di forbice, Nightmare before xmas sono dei capolavori, le altre pellicole sono sempre ottimi film.
Di sicuro uno dei registi più stralunati di Hollywood, un tempo “genio”, sta vivendo un periodo di ripensamento, alla ricerca di una vena perduta o in qualche modo “inibita” dai produttori delle mayor. Burton allora “torna a casa”, in greatest hits di ricordi, fa un film come Dark Shadows che si ispira a una serie televisiva che guardava da piccolo, di pomeriggio, alla televisione, fa un film come Frankenweenie che è di fatto la extended edition di uno dei suoi primi corti cinematografici con la tecnica del passo uno che lo ha reso grande in Nightmare before xmas, il suo film per l'infanzia più amato (no, non la sposa cadavere...).
Dark Shadows è un manifesto dell'amore di Burton per la serie che guardava da piccolo sul divano mangiando le girelle con la copertina di ordinanza per non prendere freddo. Era una serie colossale di mille e passa puntate, un polpettone infinito che mischiava atmosfera da soap con tematiche horror classiche, quelle da sempre amate da Burton. In più è una rilettura della stessa serie, arricchita dalla passione Burtoniana per l'horror classico.


Un casato in declino, anni '70 appena iniziati, giochi di potere, tradimenti, rivalse, ma con un po' di soprannaturale extra, mostri, pazzi, psicopatici. Ecco sì, tipo Melrose Place. La serie decolla e diventa leggenda quando al cast si aggiunge Barnabas Collins, un patriarca venuto da molto lontano, da un paio di secoli prima, un vampiro.
Burton sintetizza, mette il vampiro al centro della storia, taglia, cuce, reinventa e crea il suo personalissimo Nosferatu delle quattro del pomeriggio.

Barnabas Collins (Depp, molto ispirato) arriva in America con la sua famiglia per fare grandi cose, ben presto creano una flotta di pescherecci intorno alla quale si sviluppa un'intera città. Barnabas ama Josette (Bella Heatcote, classica madonnina infilzata burtoniana, parte che in genere va a Winona Raider), ma Angelique (una magnifica Eva Green, tragica e per la quale non è possibile provare troppa antipatia), una strega dai grandi poteri, lo vuole tutto per sé. Con i suoi sortilegi, Angelique spinge Josette e suicidarsi, gettandosi sulla scogliera. Barnabas, distrutto nel vedere l'amata cadere, la raggiunge nel vuoto e i due corpi su incontrano di nuovo, con un suono orribile, in mezzo all'acqua schiumante, sangue e rocce. Ma Barnabas non muore, Angelique ha una maledizione su misura pronta per lui, l'ha trasformato in vampiro con la convinzione che, persa Josette, Barnabas si dedicherà in eterno a lei. Barnabas ovviamente non accetta, sicché la strega decide di dargli un po' di tempo per “pensarci su”, seppellendolo non-morto in una bara fino a data da destinarsi. Tempi odierni, sono passati duecento anni, la famiglia Collins è in declino, l'azienda di famiglia ha una sfiga da primato attivamente alimentata da Angelique, che gestisce una flotta di pescherecci concorrenti. La magione Collins è solo un'ombra del passato, Elizabeth Collins (Michelle Pfeiffer, che sarebbe stato bene vedere di più sullo schermo) è allea ricerca di una tata per l'irrequieta Carolyn (una sempre più brava e sensuale Chloe Grace Moretz, di cui aspettiamo con interesse le prossime performance), adolescente in piena fase ribelle, e per il piccolo e strano David, che vede di continuo il fantasma della madre defunta, sorella di Elizabeth. La tata scelta è Victoria Winters (sempre Bella Heatcote), che sembra da subito avere grande familiarità con i ragazzini e la casa. Al contempo, spinta dalla fame di espansione del suo impero, Angelique autorizza gli scavi in una zona che forse si era dimenticata di controllare. Una pala meccanica arriva così a trovare la bara di Barnabas Collins. La famiglia ha di nuovo il suo patriarca, dracula ha di nuovo il suo amore, è tempo di rifondare l'azienda decaduta.
Burton confeziona una pellicola in cui si dichiara che il tesoro più prezioso è la famiglia. In senso lato burtoniano è il “sangue” l'elemento che lega e mai tale metafora è stata meglio ripresa in una pellicola.
Gli attori, e che attori, offrono una brillante performance, i personaggi sono tutti ammantati di una dualità che li rende complessi e autentici. Depp è mattatore, ma la Green riesce spesso a rubare la scena, la relazione-scontro tra i due, che costituisce le fondamenta stessa del film, è intrigante e non banale. Gli effetti speciali sono all'altezza della situazione, con una spruzzata di trucco ad “addolcire” o “burtonizzare”, se volete, i mostri classici. Le scenografie semplicemente da incanto. Lo spettacolo risulta scorrevole e convincente, accompagnato da una colonna sonora dai brani anni settanta davvero di classe. Il film scorre, decisamente gradevole, lascia una buona sensazione a fine visione. Del resto la famiglia, la ricerca del proprio posto nel mondo, della appartenenza ad un gruppo, è uno dei temi più cari a Burton, un suo cavallo di battaglia, anche se il regista deve pur fare i conti con un'opera non sua al 100% e che nel timing complessivo deve per forza rinunciare a qualcosa. Risulta evidente che i ruoli della Pfeiffer e della Bonham Carter, pur interessanti, siano stati compressi e tritati per esigenze logistiche. Ma il vampiro e la strega sono perfetti, così come Josette/Victoria è un personaggio tenerissimo e i due ragazzi “tormentati” perfettamente descritti.

Per i suoi piccoli difetti, credo che questo film, almeno dalle nostre parti, non sia stato apprezzato del tutto, tanto dai distributori che dal pubblico che dalla critica. Ci si aspettava il 100% da Burton, un prodotto più “suo” rispetto ad Alice, si dimenticava il fatto che anche “Dark Shadows” fosse un'opera derivativa. A conti fatti ho gradito e molto lo spettacolo. Non ne sono stato “travolto”, ma ho apprezzato l'impegno profuso. 
Talk0

domenica 26 maggio 2013

Prison School

 di Akira Hiramoto

L'istituto scolastico privato femminile Hachimitsu è una delle scuole più prestigiose della prefettura di Tokyo. Una scuola nota per le sue severe regole disciplinari, ma che al contempo garantisce un'elevata preparazione, chiave ai difficilissimi esami di ammissione per accedere alle più selezionate università. Ma ora è tempo che l'Hachimitsu diventi una scuola mista; vuoi la crisi, si aprono le porte ai primi cinque studenti maschi. Con gli ormoni a mille varcano la soglia il timido Kiyoshi, l'intraprendente Shingo, il nerd esaurito Gakuto, il misterioso e perennemente con il cappuccio Joe (alla Kenny di South Park direi) e il gigantesco Andre. Siccome troppo ben di Dio fa male agli occhi, i cinque si distinguono da subito per atti di lascivo maschilismo pur di vedere le forme nude delle compagne negli spogliatoi, nei bagni, nelle camere. Ma non hanno ancora fatto i conti con il comitato disciplinare dell'associazione studentesca segreta: la psicopatica Hana Midorikawa, la statuaria bellissima e “dominatrice” Meiko Shiraki e la presidentessa, soprannominata "l'incantatrice di corvi", nonché figlia del preside. La punizione per aver sbirciato nei bagni è un mese da trascorrere nell'ala di detenzione dell'istituto, la fatiscente Prison School. I cinque staranno ingabbiati, seguiranno le lezioni da dei monitor, ogni tentativo di fuga di anche solo uno di loro si ripercuoterà sul gruppo con un mese extra di detenzione, al secondo tentativo di fuga i mesi di detenzione diverranno tre. Ovviamente nel doposcuola ci sarà tempo per i lavori forzati. Fortuna che non tutte le ragazze sono arpie senza cuore. La dolce Chiyo sembra avere un'ottima opinione di Kiyoshi.
Solo i giapponesi...

Inedita commedia carceraria-scolastica, ricca di trovate gustose e disegni superammiccanti. Non mi sorprenderei se qualcuno appendesse in camera un poster della sensualissima dominatrice Meiko Shiraki, che in Giappone sta già spopolando in versione statua, action figures e quant'altro. Donne bellissime come da tradizione, uomini per lo più fusi, completamente idioti e caricaturali, il manga si legge tutto di un fiato e si aspetta con ansia la nuova, stupidissima, puntata. Non è che ci siano chissà quali valori in gioco o dietrologie, siamo più o meno tornati ai tempi di Pierino che indugia dietro alla serratura le forme della Fenech. È quindi una comicità basica ma appagante, ideale per una lettura spensierata. Oltre all'indiscussa dote di Hiramoto di tempestare con tette e culi, l'autore non manca di abilità nel disegnare ambienti dettagliati e accattivanti, scegliendo come impostazione un'atmosfera da finto-thriller assolutamente spassosa. Star comics confeziona un'ottima versione italiana, a cadenza bimestrale, che ha il solo difetto di essere, per l'appunto, bimestrale. Per sbirciare sotto la minigonna di Mieko toccherà infatti aspettare luglio. Un tempo a dir poco insostenibile. 
Talk0

sabato 25 maggio 2013

Le storie – vol. 7 “La pattuglia”

Storia: Accatino. Disegni: Casertano



Vietnam. La pattuglia Foxtrot 2/1 del capitano John Michael Anderson è dispersa nei dintorni di Tay Ninh, cinquanta miglia da Saigon. È scomparsa da oltre un anno, a seguito di un operazione di search'n'destroy, quand'ecco che la radio trasmette, una voce angosciata che urla: “ci stano massacrando” e fornisce le coordinate per un recupero. Il capitano Artz insieme ad una nuova pattuglia andrà sul posto. La missione non dovrebbe essere troppo difficile, sono i giorni del Tet, una festività vietnamita ed è severamente vietato uccidere. Tuttavia gli uomini di Artz si annoiano e decidono di radere al suolo un villaggio e depredarlo. Artz interviene quando è troppo tardi, punisce i colpevoli, ma sulla sua pattuglia grava una maledizione. È stato versato sangue durante il Tet, lo stesso periodo in cui è sparita un anno prima la pattuglia di Anderson. Nessuno uscirà vivo.
Nuovo appuntamento con “Le storie”, gradito ritorno ai disegni di Casertano che dopo l'eccelso numero 1, il boia di Parigi, regala un'altra sfavillante prova d'autore. Paesaggi evocativi tra incubo e realtà, personaggi dai tratti trasfigurati dalla follia con influenze degne di Sin City (magistrale la caratterizzazione di Artz e il modo in cui, di colpo, vediamo il suo “secondo profilo”), fantasmi e sangue, l'impatto visivo de “la pattuglia” è forte e a tratti sconcertante, crudo e, dove serve, anche poetico. Stupenda una tavola in cui la pattuglia si muove non tra il grano, come a prima vista appare, ma tra un numero infinito di bambini-fantasma, quasi da incorniciare. Inquietante il bambino fantasma con la “scatola”. Una prova come sempre magistrale per un grande professionista. La storia di Accatino, anche lui come Casertano scuderia Bonelli, opera prevalente Dylan Dog, muove sulla linea tracciata da film come Allucinazione Perversa (l'opera che più si avvicina e che non è citata a pagina 4 nella rubrica “Story teller”), laddove si sovrappone all'incubo reale della guerra in Vietnam anche connotazioni metafisiche degne di una autentica discesa negli inferi. La maledizione ha inoltre un sapore ineluttabile, quasi di ringhiana memoria, che rende il prodotto fresco e accattivante. Un quadro decisamente buono, ma un po'manieristico nell'insieme. La prima parte è lenta, alcuni passaggi prevedibili e (purtroppo) già visti meglio altrove. È davvero necessaria la la parte di Saigon by night se poi all'economia della storia non serve a nulla? È Casertano a “portare il lavoro a casa” fino al conflitto finale, degno di uno zombie movie, dove Accatino ritrova dei guizzi interessanti per chiudere, anche se senza “il botto” la vicenda. Un numero nell'insieme ben fatto, ottima continuazione di una serie che ci sta regalando vere e proprie perle a fumetti. 
Talk0

venerdì 24 maggio 2013

Detroit Metal City



Soichi Negishi è un cantante, autore, chitarrista con molte potenzialità. Vorrebbe fare una carriera da pop star, scrivere ed eseguire canzoni sdolcinate tipiche degli idol giapponesi, magari la colonna sonora di una commedia romantica. Il cuore di Soichi batte per Aikawa, con la quale all'università condivideva il sogno di diventare cantante, ora lei è giornalista per la rivista di musica pop “Amuor” e lui è troppo timido per dichiararle i suoi sentimenti, anche perché teme che scopra un suo piccolo segreto, qualcosa che pensa la farebbe allontanare irrimediabilmente ed inevitabilmente dal lui.

Johannes Krauser II è il leader del gruppo dead metal “Detroit Metal City”, nel quale è voce e chitarra. Con Jagi, basso e voce, e Camus, batteria, costituiscono il gruppo più estremo, sboccato, malato, tecnico e carismatico del panorama giapponese. Un gruppo trucido bardato di costumi inquietanti e trucco pesante ma di qualità, in ascesa rapida e ineluttabile, il cui mito si diffonde grazie a performance musicali estreme e a leggende circa le scorribande di Krauser, autentico metal monster che imperversa per tutta Tokyo e che tra tafferugli, stupri, brutalità diffonde panico e caos. Il pubblico, ugualmente trucido, è in esponenziale aumento. Nulla può fermare i DMC.
Il piccole segreto di Negishi è che lui è in realtà Krauser. Non sa esattamente come sia finito ad interpretare quel ruolo, che trova eccessivo e volgare, ma di fatto è lui il signore del male della musica giapponese. Un personaggio di base “fasullo”, costruito a tavolino da una manager senza scrupoli, ma che grazie a Negishi, alle sue frustrazioni e alla sua (latente) consapevolezza di “essere Krauser” e spesso a scherzi del caso, diventa di colpo reale e convincente. Riuscirà il ragazzo a liberarsi di Krauser o in fondo gli piace troppo esserlo? Di fatto Negishi sta vivendo male la situazione: il ragazzo fa sempre più fatica a distinguere realtà e finzione. Potrebbe essere un horror, è invece un'opera comica di successo.

Kiminori Wakasugi confeziona una delle più divertenti e dissacranti opere a fumetti degli ultimi tempi, un fumetto che smitizza gli eccessi sensazionalistici di certa musica metal e fa fare grosse risate a chiunque lo incroci anche per sbaglio. Il disegno è morbido e molto caricaturale, i personaggi sono di una simpatia disarmante e fanno cose realmente folli. Un accorgimento prima della lettura è doveroso comunque. DMC è diviso in capitoli per lo più autoconclusivi di forte matrice umoristica e che venivano pubblicati con cadenza mensile in origine. Per apprezzarlo a pieno è necessaria una lettura dosata e non “a maratona”, fare diversamente equivale a vedere di fila venti performance di zelig dello stesso autore: si ride ma ci si stanca. Preso a piccole dosi è invece un sollucchero, al punto che vi consiglio di “conservare” la lettura a quando vi sentite un po' giù, per godere al meglio del suo “effetto placebo”. Raccontare troppo è rovinarlo, pertanto vi lascio a un paio di video. Il primo riguarda l'adattamento animato, ad opera dello studio 4c (mica cazzi..)


Il secondo riguarda il film del 2008, imperdibile! (speriamo che qualcuno porti in Italia entrambi... sarebbe spiscioso se tipo Elio e le storie tese adattassero le canzoni...)

Goen riporta DMC in Italia integralmente, in dieci volumi da 4.90 l'uno di ottima qualità. La Planeta ci aveva già provato, ma si era fermata al volume 6. Se amate la commedia “molto” demenziale dovete provarlo.
Talk0

giovedì 23 maggio 2013

Anchorman - The Legend Continues


La leggenda del mitico anchorman Tom Burgundy continua! Questa volta il nostro eroe (Will Ferrell) sarà alle prese con una rivoluzione nel campo delle notizie televisive; la nascita dei programmi di notizie 24 ore su 24, che mandarono in pensione il vecchio stile telegiornalistico basato sulle classiche notizie quotidiane. Come reagirà al cambiamento il nostro buon Tom, giornalista retrogrado e allergico a ogni forma di cambiamento? Nel cast anche buona parte dei protagonisti del primo episodio, da Paul Rudd a Steve Carrell, da Luke Wilson a David Koechner. Arricchiranno il film una valanga di attoroni che appariranno in ruoli più o meno rilevanti; siete pronti? In ordine sparso: Harrison Ford, Liam Neeson, Nicole Kidman, Sacha Baron Cohen, Jim Carrey, Kirsten Durst, Vince Vaughn, John C. Reilly e Kanye West. Attendiamo fiduciosi.
Gianluca

martedì 21 maggio 2013

Far East Film Festival 15


Parte terza

Considerazioni da gonzo e novità in arrivo: Confessions di Nakashima nei cinema e nuova linea home video


An Inaccurate Memoir di Yang Shupeng. Tizi che sembrano uscire da One Piece compongono una banda di fuorilegge che imperversa in una Cina-western sotto la dominazione dei Giapponesi. I suddetti si sono costruiti un personale undeground sotterraneo (anche il sistema di illuminazione del medesimo mi sembra una citazione diretta al classico di Kusturica) dal quale partono per le loro bravate. Un ribelle al regime giappo scorge il potenziale della gang e cerca di volgerla alla causa. Non mancano sparatorie a profusione, statue di Buddha e carri armati in questo concentrato di cultura pop roboante, ben fotografato, citazionista (da Point Break a Kill Bill passando per... Lady Gaga...). Peccato che su tutto pervada un senso di caos assoluto, sostenuto da scelte registiche da linciaggio (come quella di assecondare l'incedere dei mitragliatori a spostamenti rapidi della macchina da presa), rallenty da pena capitale e una sceneggiatura ipertrofica che non ama farsi seguire e fa di tutto per rendersi indigesta. C'è comunque del divertimento nell'insieme, magari una seconda visione può essere pure adatta a sbrogliare una scrittura tanto contorta in prima battuta. Da rivedere, anche perché più ci penso più mi tornano alla mente aspetti positivi.


Long Weekend di Taweewat Wantha.Un ragazzino con evidenti turbe mentali costituisce anche un pauroso catalizzatore di forze paranormali. Per evitare che venga costantemente “posseduto” i genitori gli hanno messo al collo una collana consacrata. Per fare il figo con una ragazzina che si trova con lui in infermeria, il genio propone “vuoi vedere un fantasma? Basta che mi togli la collana”. La bimba decide di provare l'ebbrezza, compie l'insano gesto e in un istante già fissa un muso spettrale e ringhiante al posto del ragazzino. Gli anni passano, lui è rimasto nella testa un bambino, lei è diventata una bella ragazza e si circonda dei classici amici scemi da film dell'orrore. Così un week end decidono tutti di andare nella casa di uno della compa, quello che c'ha la casa su un'isola maledetta dove in passato è stata evocata un'entità malvagia che per un errore nel rito invece che prosperità, viagra e libagioni di pesci ha portato morte e distruzione. Ovviamente ricorre quel week end l'anniversario della morte e distruzione di cui sopra. 

Tutto procede come un film horror, la musica sale, qualcuno pensa di iniziare a scopare, quando ecco che l'amico con collana consacrata decide di fare una capatina. Le scimmie della compa, ritenendo di fare lo scherzo dell'anno, lo conducono dove è avvenuto il rito maledetto, lo mettono nel loculo dove veniva evocato il mostro del rito maledetto, gli tolgono la collana e festanti aspettano di essere massacrati tutti durante il resto della pellicola. Questo film è perfetto, funziona a dovere sotto ogni punto di vista. I personaggi sono veramente un branco di idioti verso i quali è difficile empatizzare a qualsiasi livello, ma il rimo narrativo c'è, gli spaventi anche, la macchina narrativa è oliata a dovere. Il miracolo avviene anche in virtù del fatto che lo spettatore sa bene quello che di lì a poco inevitabilmente accadrà, sa che si spaventerà, ma la costruzione è così perfetta da non lasciare delusi e la visione della pellicola scorre ilare come una gioiosa corsa sulle montagne russe. Il prodotto ideale da vedere con gli amici e pop corn acclusi.


9-9-81 di Autori vari. 9 cortometraggi di 9 minuti, 81 minuti complessivi, tema horror, realizzati da 12 registi emergenti. Tutto ruota intorno ad una ragazza che decide di togliersi la vita. Come tradizione orientale vuole, da questo avvenimento partirà una maledizione di portata cosmica che inghiottirà chiunque sia accidentalmente venuto in contatto con la ragazza o il suo appartamento. L'idea è buona ma da subito presenta dei limiti, anche connessi con il risicato minutaggio complessivo, ma soprattutto in relazione della voglia di emergere dei singoli registi. Di tutta l'operazione risultano quindi ben eseguiti i primi 2-3 corti, con il resto della pellicola che fa a ritorcersi su se stessa, priva di una identità forte, come di una trovata geniale. Anche qui cala la palpebra di tanto in tanto, ed è una cosa abbastanza assurda. Quando l'idea è migliore del progetto finale.



Rurouni Kenshin di Keishi Otomo. Ecco, targata 2012, la trasposizione con attori in carne ed ossa del manga-anime Kenshin samurai vagabondo. Kenshin è un samurai che ha versato tanto, ma tanto, ma tanto, ma tanto, tanto, tanto, tanto sangue al punto di decidere che non vuole versarne più, a nessun titolo. Per non incorrere in tentazione ha deciso di invertire la lama della sua spada (ma non bastava girare l'elsa?), così che colpi mortali si traducano solo in mega “botte” non invalidanti. Ora so di poter scandalizzare qualche appassionato, ma io, personalmente, detesto Kenshin e tutti i manga su samurai “senza palle” che si sono susseguiti. Un tratto morbido, grandi occhioni dei personaggi, fiori di ciliegio a rompere in ogni inquadratura. Roba da donne. Poi nemmeno un combattimento decente, piattume statico, carisma a zero. Non pago di un tale orrore grafico, l'autore, come specificato nelle note del manga, si ispira ai comics americani. Insomma, tutti quelli che appaiono in Kenshin sono copie di Ciclope, Spiderman, Hulk, Mr.Fantastic. Grandioso, dirà qualcuno. E invece no! Non c'entrano una fava con il contesto, sono banali, irritanti e vuoti. Mai comunque come irritante e vuoto è il protagonista, con una perenne faccina dolce da ebete. Il film è esattamente la stessa cosa del fumetto. Senza continuare a spargere bile e odio per il personaggio (giacché sono comunque andato a vedermelo, questo film), la pellicola rispecchia appieno l'atmosfera del manga, i personaggi sono identici e le scene di combattimento perfettamente ricreate (e quindi fanno tutte... no, no, non voglio eccedere), con tanto di colpi riprodotti. Se amate il fumetto, probabilmente vi piacerà il film. 


Mariposa: in the cage on the night di Richard V.Somes.
Ecco IL filmone ultra splatter, brutto, sporco e cattivo del festival. Maya deve andare a Manila per via della sorella. Certo non si aspetta di doverla andare a riconoscere in un fatiscente, rugginoso e sporco obitorio. Per portare a casa la sorella le servono dei soldi per pagare il suo ultimo “alloggio”, per capire cosa le è successo dovrà mettersi in contatto con il marcio mondo dei sobborghi, tra droga, prostituzione, gangster, pazzi psicopatici. Mariposa (titolo forviante per chi abita in zona Milano) è una lenta ed inesorabile discesa agli inferi, un degradare tanto visivo quanto contenutistico fino ai titoli di coda. Visivamente forte, narrativamente incalzante, un piatto texmex per stomaci forti dove mutilazioni, sangue e violenza sono all'ordine del giorno e certi trucchi di make up non vi faranno dormire la notte. Gli interpreti sono appropriati, ma è difficile scorgerli nel vortice sensoriale della pellicola che vede solo la Manila by night come unico e inesorabile protagonista della vicenda. Un autentico pugno allo stomaco. Una pellicola che farebbe felici milioni di fan del torture porn, se solo la conoscessero. 


A story of Yonosuke di Shuichi Okita. Yonosuke arriva dalla campagna nella grande città per studiare. Vive in quei mini appartamenti-monolocali per single che abbiamo visto e rivisto in mille cartoni animati (come Welcome to NHK), abitazioni a schiera gomito a gomito con vicini di casa che non si vedono mai e per lo più fanno rumori molesti ad orari imprecisati, quattro mura in cui stipare tutto e concentrarsi sullo studio, in genere. Yonosuke sta per intraprendere il momento più esaltante della sua vita scolastica e non si sa come viene spinto da strampalati nuovi amici a frequentare il club di latino-americano. Yonosuke inizia a frequentare una ragazza ricchissima ma un po' stramba, nasce una bella love story. Sembra che tutti quelli che lo incontrano diventino persone migliori e tutto il film è un andare narrativamente avanti e indietro nel tempo, per vedere come il buffo protagonista riesca a cambiare le persone. Okita confeziona un film molto tenero, con una punta di malinconia inaspettata e in grado di travolgere gli spettatori. Un'ottima sintesi tra commedia e dramma, tra realismo e demenzialità, quasi la ricerca visiva di un “senso della vita”, verrebbe da dire. Film molto bello, splendidamente recitato, scritto con la giusta leggerezza. 


Ghost Sweepers di Shin Jung-wan. Su un'isola coreana accadono cose parecchio strane e soprannaturali. Pertanto vengono inviati esorcisti da ogni dove per investigare. Dalle fattucchiere ai bambini che predicono il futuro, tizi che vedono la gente morta, epigoni dei ghost busters moderni, con tecnologia e telecamere e sottospecie di santoni televisivi, tutte le categorie più o meno note di occultisti rispondono alla chiamata. Ma i fantasmi non sono da meno, anzi sono un vero e proprio esercito. In tutto questo marasma una giornalista è chiamata, con molta riluttanza a partecipare, anche perché un suo recente servizio l'ha messa nel mirino di gente poco raccomandabile. Ipertrofica, caciarona ma a conti fatti gustosa commedia a tinte soprannaturali, non parca nell'elargire a piene mani risate, Ghost Sweepers raduna un esercito di talenti comici ottimamente diretti e in grado di mettersi in luce al meglio. Davvero un film riuscito e divertente. 



I have to buy new shoes di Kitagawa Eriko. Un fotografo e una giornalista giapponesi si incontrano per caso a Parigi. Lui ci è capitato per caso, accompagnando la sorella in qualità di “portafortuna” per risolvere una questione sentimentale, lei ci vive da un po', ma con molti rimpianti. Accidentalmente lei scivola sul passaporto del fotografo caduto in terra per caso. Il tacco della sua scarpa si rompe, il passaporto viene nel contempo dilaniato dal tacco. Comincia così una love story garbata e tenera, forse un po' zuccherina, perfettamente diretta e recitata, con la capacità di non cadere mai nello stucchevole o nell'eccesso. Davvero uno spettacolo godibile (se siete donne potrebbe essere anche “il film della vita”...no dai, forse qui esagero). 


Saving General Yang di Ronny Yu. A chiudere le danze, viene scelto un filmone di cappa e spada ambientato in Cina ai tempi della dinastia Song, volto a descrivere al meglio l'eroismo, l'onore e la tenacia del generale Yang Ye e della sua famiglia. Il patriarca viene chiamato a reindossare l'armatura, ma cade vittima per via di sue certe “manie” nel comandare le truppe, di una tattica avversaria così basilare che la conoscevano pure i neanderthal (se attacchi frontalmente e sguarnito sui fianchi come un fesso, è ovvio che il nemico ti andrà a colpire proprio sui fianchi, per quanto tu sia eroico). Ma il generale in qualche modo si salva, pur rimanendo disperso tra le linee nemiche. Per salvarlo partono tutti e sette i suoi figli, giusto per garantire una continuità al casato. Ovviamente anche loro, pregni dell'ardore e della convinzione di riuscita della fallimentare strategia bellica già sperimentata dal padre, finiranno per essere quasi tutti tritati. Un divertente filmone epico, ricco di armature e combattimenti per lo più in zone sabbiose, mortificato da inserti di computer grafica un po' vintage e dalla reiterazione demenziale della tattica bellica degli Yang roba tipo: “andiamo all'assalto compatti e urlando” sempre seguita da “ci hanno battuti, per vendicarci andiamo all'assalto compatti e urlando” moltiplicato alla “n”. Confesso con dolore che, data la maratona filmica della giornata, qua e là mi sono abbioccato. Pertanto il film potrebbe anche essere un capolavoro.


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domenica 19 maggio 2013

Far East Film Festival 15


Parte seconda

Considerazioni da gonzo e novità in arrivo: Confessions di Nakashima nei cinema e nuova linea home video


Pellicole viste: Home di Sakveerakul. Film a episodi sul significato di “sentirsi a casa”, ossia sul legare significati affettivi ai luoghi. Una scuola di notte, l'ufficio vuoto del marito ormai defunto, la casa della propria infanzia, il ristorante di una festa di nozze. Scenografie ideali per descrivere momenti come l'innamoramento, la perdita del partner, il momento della scelta di una vita condivisa. Molto bravi gli attori, splendida la fotografia, di rilievo la mano del regista, che investe nell'opera anche lati autobiografici. Una visione dalla quale si esce sereni e felici.

See you tomorrow, everyone di Yoshihiro Nakamura. Satoru vive in un complesso di case popolari, un margine diroccato della città dal quale tutti prima o poi scappano. Ha le idee chiare per il futuro: lavorare presso la pasticceria del quartiere, una volta che avrà l'età giusta. Per questo al termine della scuola dell'obbligo Satoru aspetta “l'età per lavorare”, seguendo durante il giorno una scaletta rigidissima che comprende ronde di quartiere, ore di lettura individuale, allenamenti di kung fu. Il ragazzo è quantomai eccentrico e non si spiega la sua incapacità di lasciare, mai e per nessun motivo, il suo quartiere. Il film di Nakamura offre molto di più di quello che inizialmente sembra, una strampalata commedia su un personaggio eccentrico. La trama ha risvolti sorprendenti e non banali che ne fanno un'opera di sicuro interesse. L'ambientazione è anni '80, in piena bubble economy, periodo nel quale a fronte di una nuova ricchezza economica (un po' sullo stile della Milano da bere..), il Giappone ha iniziato a disertare le periferie per assaltare il cuore economico della metropoli. Il protagonista è simbolo di questo “nuovo che avanza” dai tratti incontrollabili e subisce lui stesso il disagio e l'emarginazione dei quartieri periferici, di cui in qualche modo è un simbolo. Non mancano momenti tragici e intimisti in un caleidoscopio molto ricco e affascinante, frutto di un'ottima prova di recitazione unita a una solida e non troppo dilatata (criticità nota delle pellicole orientali) regia. Davvero un bel film. 


The Strangers di Lawrence Fajardo. Horror filippino sul mito degli aswang, una specie di uomini lupo filippini. Famigliola felice in gita. Occacchio la macchina si ferma giusto giusto in una zona boschiva isolata. Arrivano gli aswang, i cacciatori di aswang, qualcuno viene morso dagli aswang, maccheppalle questi aswang. B-movie per appassionati di effettacci degni della Asylum, trama che pur in una esecuzione lineare riesce a essere contorta e con voragini narrative, finale che non ha alcun senso. Mi verrebbe da fare un parallelo con The Strangers di Bryan Bertino, poiché oltre al titolo la pellicola mette in luce altre similitudini, compresa l'idea di famiglia-normale-disfunzionale-divisa vs famiglia-anormale-solida-unita, ma forse sto esagerando. Vabbeh, è lo spettacolo delle nove di mattina, un paio di colpi di scena riescono a far tornare su la colazione...



The Floating Caste di Isshin Inudo. Come la serie Sengoku Basara – Devil Kings, la serie Samurai Warriors e Onimusha insegnano a ogni sano videogiocatore occidentale, intorno al 1500 (dal 1478 al 1605- fase culminante maxi-mega-battaglia-massima di Sekigahara del 1601), epoca Sengoku, si cono state una marea di battaglie che hanno portato più o meno all'unificazione del Giappone sotto un unico Warlord. Prima venne Oda Nobunaga e finì malissimo. Poi venne Hideyoshi Toyotomi (detto “la scimmia” in quanto partecipante a un noto e sfortunato programma della de Filippi) e finì anche lui malissimo. Poi arrivò, utilizzando il samurai meccanizzato Tadakatsu Honda come Pegas viene usato da Tekkaman (Sengoku Basara 3 insegna... e questa è storia) Ieyasu Tokugawa... e poi venne l'epoca Edo (dal 1606 al 1868), dal nome della capitale che a fine '800 assunse in nome di Tokyo. The Floating Castle è quindi ambientato sul finire dell'epoca Sengoku, nel 1590. Il warlord Toyotomi incarica Mitsunari Ishida (giocabile in Sengoku Basara 3, con il chara che lo fa sembrare un emo-psicopatico... questa, ripeto, è storia), personaggio strano, più un monaco che uno stratega, di prendere il castello di Oshi. 

Tanto per esagerare Toyotomi mette Mitsunari alla guida di 20.000 uomini a fronte di un avversario che conta 500 unità scarse. Narita Nagachika ha la sfortuna di succedere al padre durante questo frangente. Se la gente che conta lo vede come un bizzarro eccentrico poco affidabile, Narita trova invece grande consenso tra il popolo, soprattutto tra i lavoratori delle risaie, matrice economica di Oshi. Grazie al coraggio dei contadini e dei nobili del clan, unitamente alle inaspettate doti tattiche del novello sovrano, frutto di un attento studio della morfologia del territorio che per le sue risaie e corsi d'acqua fa di Oshi un'autentica “fortezza galleggiante” (da cui il titolo), le poche forze di Narita riusciranno a lungo a far fronte all'assedio di Mirsunari. The Floating Castle è un'opera imponente, ricca di fascino tanto per la maestosità della messa in scena nei combattimenti di massa, carichi di trovate visive e piene di colori, quando per la capacità del regista di coniugarvi scene di stampo quasi bucolico se non proprie di registro comico, ideali per far respirare l'atmosfera delle risaie, sottolineata sferzantemente dai canti popolari e dalle danze dei seminatori. Il personaggio di Narita è ovviamente quello che colpisce di più l'immaginazione, anche perché basato su una controparte storica e reale. Come atteggiamenti è spiazzante al punto da ricordare (almeno per il sottoscritto) una sorta di umanizzazione del Lupin III di Monkey Punch, similmente sotto una scorza tanto istrionica ed eccessiva presenta doti nascoste di altruismo e umanità. Non da meno il cast dei comprimari, nel mantenersi su questo peculiare registro ironico-istrionico. Ho tanto gradito questo modo così obliquo di affrontare la “Storia” che mi piacerebbe davvero che una simile opera diventasse archetipo di lavori successivi, magari anche americani, magari anche italiani. Una vera ventata di aria fresca nell'ammuffito, pedante, autoreferenziale panorama storico-filmico. Nonostante i suoi imponenti quasi 150 minuti la pellicola scorre come un fiume in piena e lascia con la voglia di una seconda visione. Davvero ottimo.vi metto pure un trailer già che ci sono.

Apolitical Romance di Hsieh Chun-yi . Tra Cina e Taiwan sembra di stare su pianeti diversi. Un ragazzo Taiwanese ha bisogno per lavoro di essere supportato da qualcuno che capisca il cinese e caso vuole che le cada dal cielo una ragazza cinese che ha bisogno di qualcuno per rintracciare il vecchio amore della nonna. Commedia sulle diversità culturali, con ovvia venatura sentimentale al seguito, piuttosto convenzionale nel ritmo narrativo, ma leggera e adatta a tutti i romanticoni. Del tutto inaspettata, a sprazzi giunge pure un accenno a tematiche politiche, aspetto che eleva un po' il valore finale dell'opera. 



Feng Shui di Wang Jing. Cina operaia-industriale, tempo imprecisato (ci starebbe bene Celentano a cantare “..e non lasciano l'erba! Non lasciano l'erba!”). Li Baoli (la bravissima attrice Yang Bingyan) lavora a Wuhan, presso un enorme mercato. È un tipo decisamente autoritario, sa farsi rispettare, si spacca la schiena per la sua famiglia giorno e notte. Nonostante tanta fatica e buoni propositi Li Baoli ha purtroppo un caratteraccio terrificante, parla senza fare troppo caso a quello che dice, spesso ferendo involontariamente l'interlocutore, le sue parole escono come carta vetrata e con la costanza di una mitragliatrice. Li Baoli è sposata con Ma Xuewu (Jiao Gang, anche lui bravissimo), capo-dipartimento di una grossa ditta, i due hanno anche un amabile pargolo. A inizio film la famigliola si trasferisce in un nuovo appartamento. La sorella le dice subito che per il Feng Shui l'appartamento porterà una sfiga pazzesca in quanto si trova al centro di una decina di strade diverse. Li Baoli non se ne cura più di tanto. Iniziano quindi tutti sereni a vivere nella nuova abitazione, un idillio con accluso un bagno vero. Sereni è un eufemismo. Li Baoli è una arpia che passa ogni istante della sua esistenza familiare a tritare le palle al marito e a vessare il figlio, che di suo sta crescendo male, ma così male che come minimo diventerà un serial killer. 

All'ennesima tritura testicolare durante la quale si è pigliato del fallito, assenteista, retrogrado, impotente, noioso, diarroico e catarroso, il marito decide di cornificarla con una gnocca del suo team di lavoro. Li Baoli li scopre mentre si insinuano in un alberghetto e denuncia alla polizia che nella stanza del fedifrago si sta svolgendo attività di prostituzione. La donna ovviamente andrà a prendere in prigione il maritino, non perdendo occasione per una nuova catramata di palta sullo stesso. Come se non bastasse la madre del fedifrago si installa fissa nell'appartamento. Come se non bastasse, nell'azienda del fedifrago ci è deciso di tagliare il personale, partendo dai dipendenti che hanno carichi pendenti con al giustizia. Il fedifrago perde il lavoro e si ammazza buttandosi da un ponte. Li Baoli, sempre più detestata in casa dal figlio, che gli imputa la morte del padre, e suocera, che ha giurato di non andarsene via mai più, deve trovarsi un altro lavoro per quadrare il bilancio e sceglie di fare la facchina. Ma non è finita!!! Roba che I Malavoglia è l'ultimo film di Aldo Giovanni e Giacomo. Magnifica prova d'attrice di Yang Bingyan, strepitosa nel creare un personaggio sgradevole ma autentico, reale. Glaciale la regia, ritmi narrativi perfetti. Il vero grosso problema della pellicola, a ben guardare, è che quando le sfighe dei protagonisti iniziano a fare il cumulo si “faccia quasi il giro” con il risultato che scene di una drammacità così cosmica risultano quasi comiche. Avete presente L'esorcista? C'è la madre della protagonista che nel primo quarto d'ora inanella una sequela di bestemmie terrificanti. Molti spettatori quando ho visto la pellicola in sala al momento in cui la figlia viene posseduta hanno chiosato: “beh, con tutte le bestemmie che dici, un po' te lo meriti...”. Stessa cosa. Bel prodotto quindi questo Feng Shui, ma il pericolo di umorismo involontario è ben oltre il livello di guardia. 

Non perdetevi la terza e ultima parte ricca di altre recensioni!

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sabato 18 maggio 2013

Far East Film Festival 15


Parte prima

Considerazioni da gonzo e novità in arrivo: Confessions di Nakashima nei cinema e nuova linea home video


Si è conclusa da poco la quindicesima edizione del festival che porta ogni anno a Udine il meglio della cinematografia popolare orientale. Come ogni anno ho trovato posto tra le file del Teatro Nuovo Giovanni da Udine per quanti più spettacoli tempo e lavoro mi hanno concesso, regalandomi la classica abbuffata. La prima novità dell'edizione, decisamente gradita, i sottotitoli in italiano, proiettati in uno spazio al di sotto dello schermo, sul quale erano come sempre ben visibili anche i sottotitoli in inglese classici. Con i sub nella lingua di Dante, scompare uno dei classici rumori che mi facevano ricordare, con affetto, il festival: le radioline con cuffie della traduzione simultanea che, soprattutto nelle ore notturne e nelle scene più lente di una pellicola, cozzavano rumorosamente al suolo, sfuggite alla mani del classico spettatore abbioccato. Non di sole arti marziali si nutre l'uomo. Forse è anche per questo che quest'anno a chiudere le serate hanno scelto di programmare dei film horror realmente terrificanti, roba da stare con gli occhi spalancati tutta notte. Bene, ora che la mia bella fesseria l'ho detta, passiamo a cose più succose.

Qualcosa di nuovo dal fronte orientale: La seconda bella sorpresa mi coglie mentre sto rovistando tra i gadget che mi vengono forniti assieme al mio accredito da spettatore, una pubblicità relativa a Confessions prossimamente al cinema e un foglio che si apre a poster che illustra le prossime uscite della Tucker Film, etichetta legata al Far East festival da sempre. Risale più o meno all'anno scorso, sempre in questo periodo, il termine della prima “ondata” dei titoli Tucker, catalogo di alcuni dei migliori film proiettati durante i Far East distribuiti grazie a Cecchi Gori in Dvd-Blu Ray e trasmessi su Rai 4 nel ciclo “operazione estremo oriente”. A seguire, l'uscita cinematografica, all'inizio di settembre, della Congiura della Pietra Nera di Woo, nelle sale e poi in dvd. Poi il nulla. Sito Morto. Niente di niente. Fino all'approssimarsi di questa nuova edizione. Ecco allora le novità:
lo sfolgorante thriller “Confessions” di Tetsuya Nakashima, film premiato nel 2011 al festival con il Black Dragon Audience Award, dal 9 maggio sarà nelle sale italiane ancora grazie a Tucker Film, e vi consiglio vivamente di non farvelo scappare, tanto che vi piazzo un bel trailer (che so apprezzeranno in molti, soprattutto i fan del filone “vendicativo”, cerebrale-horrorifico, ormai bandiera di molti manga e anime moderni). Una scuola, un delitto dalle tinte oscure, un assassino che dovrà pagarla cara.



In aggiunta a questo lieto evento, ecco la lista dei nuovi film che presto (prestissimo) arriveranno in home video. Si apre, proprio in uscita in questi giorni e presente in anteprima al festival, con il bellissimo, tenero e divertente Castaway on the moon, già strapremiato nel 2010 al festival come miglior film sia per la giuria che per il pubblico Si può essere isolati dal mondo anche vivendo a due metri dalla città. Spesso fuggire è il modo migliore di conoscersi meglio.


Subito dopo, prevista per giugno nei migliori mediaworld e non, una pellicola dall'alto tasso adrenalinico, The Man from Nowhere di Lee Jeong -Beom , film adrenalinico presente al Far East nel 2011 con una caterva di combattimenti belli tosti. A me ricorda un po' Leon, il che penso non sia assolutamente un male. Dovrebbe essersi già visto su Rai 4, mi pare, per quei fortunelli che sono stati più attenti.

Ma la lista è ancora lunga, comprende lo spaventosissimo thriller Blind (Far East 2012), il colossale kung fu movie, del mitico Teddy Chen con la star Donny ”Ip man” Yen, Bodyguard and Assassins (Far East 2012), i thriller, tra intercettazioni e inseguimenti, Overherad e Overheard 2, le estreme e inquietanti pellicole di Sion Sono, Cold Fish e Guilty of Romance, il viscerale action The Yellow Sea, i “bravi ragazzi” dagli occhi a mandorla di A Dirty Carnival e Monga. Avremo tempo per analizzarle per bene una a una.

Cose viste, mancate per poco e che mi piacerebbe vedere: Una visita veloce e castrata, quella di quest'anno. Pochi i film che ho visto, molti quelli che avrei voluto vedere. Andrò velocissimo.
Tra le dolorose pellicole mancate: A touch of zen di King Hu, Jury di Kim Dong-ho, Lost in Thailand di Xu Zheng, The Gangster di Kogkiat Khomsiri, Shackled di Upi, National security di Bernard Chauly, New World di Park Hoon-jung, The Guillotines di Andrew Lau, Ip Man Final Fight di Herman Yau, The Complex di Hideo Nakata (papà di Ring), Countdown di Baz Poonpiriya (che mi hanno detto essere figherrimo), Comrade Kim Goes Flying (raro film della Corea del Nord in coproduzione europea).

Non mancate l'appuntamento di domani per la seconda parte; recensioni e considerazioni su quanto di meglio ho potuto apprezzare in quel di Udine!

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venerdì 17 maggio 2013

Dylan Dog


 n.318 – n.319: fondo toccato?

Risale più o meno ai tempi delle scuole medie il mio primo incontro con Dylan Dog. Un periodo in cui le mie poche letture passarono dal solo Topolino ai Bonelli, tra cui in primis ci fu Martin Mystere seguito subito, appunto, dall'Indagatore dell'incubo, complice Corrado Roi, che per un gioco del destino in quel periodo disegnava tanto una ristampa di Mystere che un albo dell'inquilino di Craven road. Poi arrivò l'ondata giapponese capitanata dall'editore Granata Press con Zero e Mangazine (ne riparlerò presto, leggere il seguito di Xenon mi ha fatto partire la nostalgia..), ma Dylan Dog rimase, sempre e costante, abitudine indomita che continua ai giorni nostri, naturale e puntuale come lavarsi i denti dopo la doccia, tradizione-automazione. Vuoi per la passione per l'horror, vuoi perché il personaggio e il suo mondo, così come creato da un da un genio come Sclavi, aveva per me un che di irresistibile, ipnotico. Dylan, che si legge “Dylan” come spiegava l'autore già dai primi numeri della testata, subito è entrato nel cuore, insieme ai suoi comprimari, ai suoi mostri-umani e umani-mostri, grazie anche alla mia mania collezionistica che mi faceva seguire numeri regolari e ristampe a flusso continuo, l'albo Bonelli dalla costoletta nera era sempre presente, stipato ordinatamente nell'armadio della mia stanza. Golconda, Johnny Freak, il lungo addio, Killex, gli uccisori, le creature orribili di “dal profono”, il fantasma di Anna Never, i conigli rosa uccidono. Alcune storie originali, altre omaggi cinematografici più o meno velati, poco contava quando il livello era così alto, quando Sclavi inseriva le sue ballate macabre sulla morte puttana mi irrigidivo, provavo terrore, quasi fosse stata aperta una porta per la quarta dimensione, quasi il fumetto mi osservasse. “Chi molto ama”, recita la prima parte di un famoso detto. 
Non sono uno di quei fan scontenti e incattiviti, il bicchiere per me è sempre mezzo pieno se possibile. Così, dopo che Sclavi si è allontanato dalla sua creatura, io e molti lettori non l'abbiamo mollata, accettando gli alti e bassi di una relazione all'antica, di quelle che non prevedono il divorzio, cercando di gioire ogni qual volta un “supplente” di Sclavi imbroccava una storia buona e pertanto accogliendo con gioia la Barbato, tanto per l'umiltà che per la devozione con cui si è avvicinata al personaggio, perdonandole anche alcune brutte storie con tutto l'affetto e la stima che deve ricevere un bravo autore.
Mi pesa parlare male di Dylan Dog. Gnaghi non approverebbe.

Nonostante autori che non hanno fatto altro che ridicolizzare il personaggio, farne una vuota macchietta che elargisce morale da quattro soldi, convincerci che i mostri non esistono manco fossimo bambini di cinque anni spaventati dalla vita, nonostante il personaggio non sia mai stato tanto fasullo, nonostante tutto mi pesa parlare male di Dylan Dog.
Così i fumetti si accumulano, non è più la lettura febbrile-bisogno che si consumava dall'uscio dell'edicola fin dentro casa, con il resto del mondo che poteva aspettare. Per questo pesco oggi tra un color fest abbastanza convenzionale ma carino e una storia simpatica dell'ultimo almanacco della paura, una cosa tremenda ed innominabile come il numero 318. Taccio l'autore, perché vorrei in futuro ricordarlo per lavori più dignitosi, che finora da parte sua sono del tutto assenti, secondo il mio modesto parere. Non me la posso prendere troppo con Cossu, disegnatore in genere valido con il solo piccolo neo di non essere più capace, negli ultimi anni, vuoi per scelte proprie vuoi per ordini dall'alto, di dare forma a personaggi e creature della notte che possano davvero spaventare. Ma questo numero è moscio oltre ogni dire, raffazzonato e senza senso, con una  trama, se proprio vogliamo usare questa “grossa parola” per definire il file su cui sono state riversate le parole da apporre ai disegni, che è un autentico insulto ad ogni lettore. Mi rivolgo a te, autore di cui non voglio fare il nome perché spero in una redenzione futura. Sei veramente contento del lavoro che hai fatto? Se non fosse mancata da poca la buonanima di Bonelli, avresti fieramente fatto leggere al boss questo tuo lavoro? So bene che “il lavoro è lavoro” e non sempre si ha la vena giusta, l'ispirazione. Ma qui sembra davvero che hai preso una canzone di Elio e le storie tese e l'hai copia-incollata senza metterci nulla di tuo, senza avere nemmeno il piccolo estro di tirare dei fili, inventarti una pur assurda motivazione ad unire il tutto.
Scosso, rattristato e un po' incazzato, pesco incautamente il 319, desideroso di conferme. Ed ecco lo stesso desolante scenario. Trama sviluppata a “pensierini”, storia mortificatamente banale e 30, dico 30 pagine per dare una spiegazione al tutto e che a conti fatti risulta tremenda per sciatteria e per l'impegno creativo profuso. Ora ho in mano il 320, speriamo in bene.

Sclavi era un genio. Non si può facilmente stare dietro a un genio. Ma Dylan Dog sta lentamente e inesorabilmente affogando, deve riprendersi per tutti i lettori che tanto gli vogliono bene.
Ho una proposta, non è l'acqua di Lourdes e non credo sia nemmeno tanto originale, ma credo su mia esperienza diretta che possa funzionare. Se Dylan Dog fatica ad andare da qualche parte, “portiamolo” da qualche parte, seguendo l'esempio dei comics americani. Diamo agli autori la possibilità di scrivere degli archi narrativi. Affidiamo per sei mesi consecutivi le sceneggiature a un solo sceneggiatore. Non è necessario che ogni sceneggiatore scriva una storia lunga sei numeri, basta che ci sia la sua mano, in modo continuativo, sul personaggio. Avrà così modo di esprimerlo al meglio, di esplorarlo, di narrare più organicamente la psicologia di un personaggio complesso senza ridurlo a reiterato stereotipo.
Decidetevi anche se far o meno progredire nel tempo il personaggio. Perché va benissimo che viva in un mondo limbizzato a metà degli anni '80, ma quando gli fate affrontare i luoghi comuni della modernità è semplicemente patetico. Certo, è un problema che Tex risolve alla radice, ma qui le problematiche sono un pelo diverse. Ricordate che Dylan è sulla trentina scarsa, è stato da un “paio” d'anni buttato fuori da Scotland Yard. Se vive negli anni '80, come Sclavi voleva, liberi tutti. E già Sclavi si era posto il problema di aumentare la diaria da 50 a 100 sterline al giorno, preannunciando tempi di crisi. Ma un trentenne non può essere così vecchio, così “ai miei tempi questi calcolatori elettronici infernali non esistevano”, così “gli affidabili valori di una volta, la famiglia unita, il verde al posto delle fabbriche”, così "erano belli i film alla Poltergaist, quelli sì che erano i miei tempi...”, così “cos'è questo rumore? Questa musica metal?”. A parte che il metal negli anni '80 c'era eccome e credere che Dylan lo conosca significa che alcuni sceneggiatori hanno la testa ai tempi dei dinosauri, se Dylan vive ai giorni nostri è nato quasi nel '90: eccome che conosce i computer (ci avrà per forza anche lavorato se non a scuola presso Scotland Yard), eccome che usa un cellulare (non essendoci già nel 2000 tracce di cabine telefoniche) e probabilmente non si impressiona a vedere “quei violenti film splatter moderni”... vuoi anche che Un lupo mannaro americano a Londra è di inizio anni ottanta e Non aprite quella porta è repertorio anni '70... Anche Bloch non può dire cose tipo “non mi emoziono più dal '56...”. Modernità o Limbo anni ottanta-novanta. Vanno bene entrambe ma scegliete. Questa sarebbe una scelta da prendere con un po' di coraggio.

Avete dubbi se calcare o meno sull'horror? Temete di perdere la cricca delle ragazzine che leggono, che vogliono scene dammore ma niente mostri e niente problemi? Lanciate una collana parallela per il gentilsesso o, in via sperimentale, provate a pubblicare un paio di albi fuori collana davvero cazzuti, con sangue, demoni, roba da non dormirci la notte, il tutto sigillato in involucro “per adulti” (prendete spunto da Crossed, da Walking Dead, da Midnight Nation, da Swamp Thing, Hellblazer, Sandman, Ferals, Caligula, Ranxerox... fate voi!) e vedete l'effetto che fa. Per sedurre le donne, quelle sentimentalone soprattutto, avete completamente perso la rotta: Dylan Dog è un fumetto horror! Dovete per forza tornare a parlare di malessere della società: parlate di internet e dell'alienazione della gioventù moderna che crea avatar di se stessi. Parlate di bambini usati come merce di ricatto tra coppie disastrate, che crescono soli senza poter credere in niente. Parlate dell'inquinamento che sta uccidendo sempre più il domani avvelenando i nuovi nati, parlate di chi ci specula sopra solo per soldi, magari inventandovi una catena di hamburger che trasforma in zombie. Parlate di persone che per via della crisi escono di testa, parlate della polizia che non fa-non può fare niente e non riesce a risolvere i casi perché è ridotta nell'organico. Parlate di cosa è disposto a fare un ragazzo oggi pur di trovare un lavoro a tempo indeterminato, parlate di aziende che si permettono di giocare con la vita dei dipendenti perché loro non hanno altro per vivere. Parlate del gioco d'azzardo, che spinge i deboli a diventare criminali. Parlate dei trasporti pubblici che sono sempre più succursali dell'inferno, parlate dei medici che ti mandano a casa, malato, senza farti gli esami dopo anni d'attesa. Parlate della paura immotivata degli “altri”, degli stranieri come di chi potrebbe rubarti il posto di lavoro. Affrontate queste paure, fatele affrontare al nostro eroe. Negli ultimi tempi non state parlando di niente, niente! Dylan che si lamenta del traffico autostradale in una storia che pare una brutta e dilatata barzelletta, Dylan che va a vivere da una sua conquista dimenticando il lavoro e svolgendo attività da casalingo, donne pazze per gelosia che uccidono a nastro per pentirsi in punto di morte, parodie de “la vita è meravigliosa” usate tanto per, grovigli senza senso che si risolvono in mezza pagina, male e male argomentati mischiando watchmen, matrix e attivismo ecologista. Che diavolo state scrivendo? Sapete qual è il “ruolo” di Dylan Dog? Il mondo non è un posto bello e per esorcizzare le paure bisogna prenderle di petto, buttarle fuori, far sapere che non si è soli davanti a loro. Se compito della fantascienza è guardare con circospezione al futuro, compito dell'horror è guardare negli occhi il mostro peggiore di tutti, il presente. Gli anni '70 erano anni duri e avevano bisogno di intrattenimenti forti, polizziotteschi rudi, horror che guardavano alla disumanizzazione dell'uomo nell'epoca post industriale, commedie carnalmente orientate per esorcizzare le paure dell'epoca: sono stati la fucina di autori come Argento, Fulci, Deodato attori come Merli, Volontè e la Fenech, viva la Fenech! Opere di successo perché “raccontavano” quegli anni. Attività che Dylan Dog, abbandonato dal padre Sclavi, ha dimenticato di fare.
Ricordo uno dei primi color fest. Un racconto breve di un pazzo con l'ascia, disegnato splendidamente peraltro. Dylan diceva al pazzo che era “superato”, che non faceva più paura a nessuno, che “altri” sono gli orrori moderni. Mi rivolgo a tutti coloro che avranno il privilegio e onere di scrivere storie per Dylan Dog. Trovate il coraggio di affrontarli, questi problemi. Basta storie sui sogni mancati, basta cattivi da caricatura, basta morale da quattro soldi. Nel massimo capolavoro di Wes Craven, Nightmare – nuovo incubo, il figlio di Nancy insiste che la madre gli legga di Hansel e Gretel, di come questi affrontino la strega e la chiudano nel forno. La madre si ribella, dice che è “una storia brutta”, ma il bambino incalza, “è importante”. I mostri sotto il letto esistono, esistono eccome. Una volta Dylan li affrontava e ogni tanto perdeva, perché è così che va la vita. Qualche volta vinceva e noi vincevamo con lui. Ora Dylan non passa più al setaccio a controllare sotto i letti, per gli autori odierni non è più importante come non è più importante narrare una bella storia. Ringraziamo di cuore, nella speranza che, prima o poi, qualcuno ripensi a ridare a Dylan l'importanza di cui abbisogna. Con affetto e rinnovata speranza. 
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