La signora Crawley è la nuova cliente di Dylan Dog, l'indagatore dell'incubo di Craven Road. La donna lamenta nella sua immensa magione, Rock Manor, la presenza di svariati spiriti, ma sostanzialmente si trova davanti al nostro eroe per salvare il suo imminente divorzio. Di fatto i fantasmi, con cui la Crawley ha di recente abbastanza legato, essendo tutti "spettri di famiglia", temono che l'ormai prossimo ex marito, un pagliaccio arrogante e ipocrita (Italiano e con i baffi come Super Mario... che esclama pure "Mamma Mia!!" Stiamo iniziando a prenderci in giro da soli), possa non arrivare vivo, per questioni di debiti di gioco contratti con oscuri figuri, al giorno del divorzio. Con la conseguenza che verrebbe ad abitare come spirito errante, per sempre, a Rock Manor. Cosa che romperebbe le palle a tutti. Così il nostro eroe, che riesce a sentire i fantasmi meglio della signora Crawley perché "esperto del ramo", dovrà collaborare con tutti gli abitanti di Rock Manor al fine di salvare la vita all'ex marito della sua cliente. Riusciranno a salvare il divorzio?
Ci hanno raccontato i fantasmi in molti modi. I fantasmi vivono nelle case dove sono cresciuti insieme a tutti gli altri che ci sono vissuti prima, fino a creare un affollatissimo condominio, come ci ha ricordato nel recente la prima stagione del bel telefilm American Horror Story e i qui più appropriati film "fantasmo-comici" anni ottanta come High-Spirits Fantasmi da Legare e BeetleJuice - Spiritello Porcello. Non tutti i fantasmi sono cattivi, come nell'altrettanto comico, ed anni ottanta, S.o.S. Fantasmi con il grande Bill Murray e spesso continuano ad andare in giro per il mondo, anche uscendo di casa, ma seguendo peculiari abitudini che avevano in vita, come nel Jacksoniano Sospesi nel tempo o in Quattro fantasmi per un sogno con un Iron Man imberbe. Molte volte, come i fantasmi dei casati di Harry Potter, custodiscono i loro manieri preservando e proteggendo la salute degli inquilini. A volte si pongono a difesa di qualche mortale cui sono legati, magari anche solo dal destino, come in Ghost. Insomma, salvo il minimo comune denominatore che i fantasmi non possono andare nell'aldilà fino a che hanno problemi in sospeso, il cinema e la tv li ha espressi in ogni modo e ogni forma, anche nelle declinazioni "fantasmi da ridere", oggetto, fin dalla copertina di Stano, che fa molto famiglia Addams, di questo nuovo numero, scritto da Mignacco e disegnato da Gerasi. E Gerasi sembra aver visto e voler citare un po' tutte le pellicole sopra menzionate (la questione degli "specchi" però è interessante e per me originale).
I "fantasmi da ridere" salvo poche eccezioni, alcune già nominate formalmente nel post, a me, personalmente, non fanno poi molto ridere.
Nel senso che per il sottoscritto la tragica figura dal mantello bianco per funzionare deve avere comunque, anche in un contesto divertente, delle motivazioni, pur in minima misura, tragiche. Ed allora è riuscitissimo Beetlejuice, dove i fantasmi vanno oltre al basilare, cioè la volontà di "non volersi staccarsi dal mondo perché attaccati alla loro roba", in senso Verghiano del termine, con la casetta appena restaurata con amore vittima della futura invasione di nuovi inquilini. Il talento di Burton in Beetlejuice sta nel rendere i fantasmi consapevoli che tale attaccamento è in fondo una cosa cretina, nel fargli accettare che la loro vita è finita, un argomento che spaventa e destabilizza lo spettatore che si immedesima più di mille bambine giapponesi dai capelli lunghi che escono dalla tv. Il fantasma può essere giocherellone, ma anche il piccolo Casper prima o poi deve scomparire, tragicamente. Oppure i fantasmi sarebbero solo dei buffi supereroi aggiustatutto, che passando tra i muri aiutano i loro parenti a salvarsi da qualche spaventoso "estraneo-invasore". High Spirits, in cui i fantasmi aiutano a rimettere in pista l'albergo di famiglia diventando loro stessi attrazione come personale di un "castello stregato" a me non fece per nulla ridere.
E mi convince pochino anche questo albo di Dylan Dog che ci prova con tutta la passione del mondo a risultare buffo, simpatico, sopra le righe. Probabilmente Mignacco ha visto High Spirits e a lui è piaciuto. Qui i fantasmi passano i muri, leggono nel pensiero, si mutano all'occorrenza in modo mostruoso, sembrano i dannati X-Men. E' un male? Potrebbe non esserlo, potrebbe piacervi come impostazione, in molti troveranno simpatici i fantasmini della magione con le loro idiosincrasie e umorismo alla Monty Python. Questo numero sono sicuro che piacerà a molti, che lo troveranno una boccata di aria fresca nella plumbea narrazione degli ultimi numeri. Ma all'esito di una narrazione per me troppo allungata, garrula negli intenti ma per me moscetta, la storia non mi ha convinto, come non mi ha convinto il twist finale (che cita anche lui qualcosa nell'elenco dei film scritto sopra), che per me è troppo affrettato e involuto. Un finale che disperatamente vuole in due righe dare un gusto diverso alla storia, fallendo nella tempistica, ma pur provandoci, il che è comunque onorevole. Servivano più pagine... ormai lo scrivo con una frequenza disarmante su questo blog... anche quando parlo di videogames. In questa storia, un po' abbozzato risulta anche il nostro eroe e il suo mondo. Dylan in pratica serve solo a guidare, meccanicamente, le scene action. Non si pone nessun problema sulla natura spettrale del gruppo, dei motivi che lo lega alla magione, dannazioni eterne et simila, ma questo può starci nella visione comica di insieme dell'albo. Certo che sembra spesso che il nostro eroe sia sulla scena unicamente per "vedere meglio i fantasmi", risultando ininfluente alla trama. Più che un personaggio un collirio per gli occhi. Qui se al suo posto c'era chiunque altro era dannatamente uguale e il tentativo di inserire Rania e Carpenter in due tavole mi è parso un po' meccanico (peraltro le "premesse" del loro arrivo sulla scena non si potevano davvero liquidare in due pagine!! Leggere per credere; ma in fondo era forse anche questo un aspetto umoristico della storia), come l'ultima pagina del numero peraltro, foriera di una battuta finale di Groucho che forse è l'unica cosa che mi ha fatto ridere, amaramente, in tutto l'albo. Mi è piaciuto invece, e tanto, il sicario e la sua storia, un elemento narrativo niente male. I disegni di Gerasi sono belli e pure discretamente complessi, tra architetture elaborate, personaggi espressivi e dinamici (ottimi anche per lo stile umorstico), oggetti e veicoli molto curati e l'effetto di trasparenza dei fantasmi. C'è pure una notevole scena di inseguimento che mi ha ricordato S.O.S. fantasmi. Un ottimo lavoro.
Alla fine, un numero che potreste trovare molto divertente. Oppure siete degli ombrosi misogini come me. Talk0
Trama come la avevo capita dal trailer. Quello che durava più di 7 secondi. Una ragazzina, Casey Newton (Britt Roberts... che recita maaaaaaale, urla sempre ed è odiosissima come odiosa è la sua doppiatrice, sempre tutto sotto IMHO, ovviamente) finita nei guai per un qualche motivo che la pellicola andrà a indagare, sta per essere scarcerata. Nel ritiro degli oggetti personali, in una scena alla Blues Brothers, oltre a tante cose buffe trova a suo deposito una spilletta "magggica", che sembra risalire ai tempi dell'expo americano degli anni '60 e che le permette, di colpo e con risvolti "drammatocomici", di vedere una realtà alternativa nascosta ai più da complicati ologrammi virtuali. Oppure la spilla è solo un fantascientifico ma stupidissimo gps che non calcola la presenza di muri e segna solo la destinazione, stile bussola ma più scomoda. Decidete voi, ma questo non è il punto. Chi ha la spilla ce l'ha perché qualcuno lo ha ritenuto degno, è un genio che ha "fatto cose", invitato per questo da altri geni che hanno "fatto altre cose" (e il film non sarà mai più specifico di così...) a partecipare alla vita comune in una città, Tomorrowland, quella roba gigantesca fatta di torri e luci stile capitale di Cybertron che si vede in lontananza se si ha la spilletta (sembra gigante!!! chissà quante millemila persone si incontreranno laggiù... forse...). Una roba sullo stile di Hogwarts. Ma fatta di soli geni e piena di roba geniale un sacco scientifica, un "botto" scientifica. Una cosa piuttosto triste se si tolgono i due cretini in jetpack e le piscine fluttuanti della morte... in pratica una enorme stazione centrale di Milano abitata da gente in uniformi della gioventù hitleriana. Caro vecchio Walt Disney... Un posto che conosce anche George Clooney (annoiatissimo, al contrario di chi lo interpreta da piccolo e dalla sua controfigura in cga, che ci crede un sacco e vola con il jetpack...). Il trademarker Nespresso, ora ritiratosi probabilmente nella provincia comasca, la spilletta sa cos'è, perché da piccolo ha visto cose e conosciuto gente, ed è successo forse nella sequenza più bella dell'intero film, ambientata a Disneyland e nella expo, che fa tanto Rocketeer, e che se il film era tutto così era una bomba. A fare incontrare i due sarà una ragazzina che si chiama Athena interpretata da Raffey Cassady. Giovane attrice di sicuro interesse. Sguardo magnetico e piuttosto brava, un po' Dakota Fanning e un po' Audrie Hepurn da piccola..per il resto non mi esprimo finché non sarà maggiorenne; e quel giorno arriverà presto... intanto è qui protagonista, nonostante l'impegno, poverina, di una storyline davvero, ma davvero, creepy con Clooney... roba da rabbrividire chiudendo gli occhi... anche per un certo escamotage brutto e "burocratico" con cui hanno reso possibili certe scene "oltre"... Athena, come la dea della scienza, che dall'alto del suo metro e una mela picchia come un fabbro maestro di kung fu, dice cose strambe e non sembra invecchiare nemmeno di un giorno. Con lei, la piccina geniale che urla sempre e l'attore del Batman più triste (fino al prossimo capitolo) avranno a che fare con una cosa stranissima, scienziosa e complicata che riguarda il futuro dell'umanità quanto questa Tomorrowland. Può una utopia ecc. ecc.. in cui tutti volano con jetpack, c'hanno i robot dall'aria buffa, amano i missili spaziali per la scoperta delle cose spaziali, fanno il passo dell'oca ecc.ecc... riuscire a cambiare il mondo reale? Una maxi comunità di scienziati, servirà a un cacchio di qualcosa? Probabilmente no, perché nel paese geniale dei genietti c'è anche il Dr House, Hugh Laurie in persona, che interpreta il senatore Nix, a cui avrebbero dovuto dare più battute e più divertenti. Nix è il classico tizio che delira di superomismo dimostrandosi capo ottuso, poco illuminato, ovviamente razzista ai limiti dell'autolesionismo e seguito da una massa compatta, muta ed uniforme in secondo piano di gente che non vedremo mai (il film è davvero cheap... descrive un mondo e fa interagire solo due persone in croce, una tristezza sconfortante...), in visibile conflitto con George Clooney su come dovrebbe andare il mondo, tra deliri da razza alpha dominante e la possibilità malata di espandere con i giocattoli hi-tech che già si hanno la ricerca spaziale del "paese degli 'gnuranti". Sulla terra è uguale, nel senso che è tutto un discorso di interesse personale e non di ricerca del futuro, c'è gente che vuole chiudere, smantellare e in un certo senso "fermare il futuro" abbattendo con le ruspe una stazione spaziale, quella di Cape Canaveral, che zzz... e... zzz... e poi c'è la gente cattiva che non capisce le cose "scienziali" degli scienziati, cattivi trattati come barattoli insensibili ed esplodibili a necessità zzz... e poi... qualche altro luogo comune... e lo yogurt al cioccolato che è un rimedio contro l'invecchiamento????????. Tra Clooney e Laurie c'è fervente scontro ideologico, di ispirazione basilare bene vs male. Nel mondo c'è sostanzialmente totale disinteresse e l'unica persona intelligente pare la bambina protagonista. Ma nessuno che vuole oggi, per il bene dell'umanità, divenire scienziato, nonostante quello che costa studiare?
ora non fate i volgari...
Leggiostre!!!! Datemi leggggiostre!!! Bene, come avrete capito siamo di nuovo (come marchio Disney impone) alla presenza di un film dalla sbalorditiva veste visiva, arricchito dalla presenza di attori di calibro, musiche evocative e un soggetto, un tema, di sicuro richiamo, che presentarono come la versione per nerd stronzi di Harry Potter. Peccato che tutto sia stato messo nelle mani e nella "scemeggiatura" (sì con la "m") di Damon "satana" Lindelof... Che. Dannato. Orrore-Errore. La macchina capitalista americana ha di nuovo dato carta bianca al potentissimo quanto "canissimo" sceneggiatore, per trasformare in un "nulla di niente", miliardi di dollari di produzione e sponsorizzazione. Che ci sia stato da eliminare dei fondi mafiosi? Io a veder buttare così dei patrimoni mi incazzerei...
Ma facciamo un saltino indietro.
Tomorrowland nasce come un sogno. Il sogno di Walt Disney di spillarvi tutti i soldi che avete in tasca a Disneyworld. Negli anni cinquanta un'ala del parco a tema "denaro" più famoso del mondo è stata impiegata per dare ai visitatori la sensazione di vivere nel futuro imminente dei romanzetti "Urania americani" dell'epoca, i cui lettori vedevano imminente la gioiosa era dello "spazio spaziale". Perché il futuro degni anni cinquanta vedeva il futuro come una roba tutta macchine elettriche per andare al lavoro, razzi spaziali per incontrare la suocera, astronavine monoposto per fare i bulli il sabato sera con una birra di troppo, sommergibilini per sfruttare al meglio le risorse marine. Presente i Pronipoti? Erano la versione futuristica e che faceva cagare dei Flinstones (sempre IMHO), e vivevano in quel mondo lì, più o meno. Così il parco simulava nuovi possibili mezzi di trasporto, una nuova visione del mondo "verticale" e pure situazioni di "cazzi amari" a tema "la nave spaziale va nei casini e qui si muore tutti male, devo fare testamento o mia moglie non potrà pagare la protesi per la terza tetta". Ogni aspetto era naturalmente foriero di intriganti interpretazioni giostraiole, puntualmente "branderizzabili" nel caso Disney nel concreto producesse cartoni o film o pupazzi a tema spaziale. Un po' come hanno fatto per i Pirati dei Caraibi, dove hanno sostituito i pupazzi muffi con nuovi pupazzi con fattezze di Johnny Depp e Orlando Bloom. Uguale volevano fare con Eddie Murphy e La Casa stregata, ma è andata male. Così non sorprende che nella area shopping della Tomorrowland odierna si trovino riferimenti a Star Wars, con tristi figuranti agghindati da troopers imperiali obesi che paiono i gladiatori del colosseo che ti chiedono cinque euro per la foto. Non sorprende che i viaggi subacquei che un tempo richiamavano tra tentacoli e armature da palombari il disneyano 20.000 leghe sotto i mari con Kirk Douglas oggi siano tutta un "pixarroso" foruncolo colorato e pupazzoso a sfondo Alla ricerca di Nemo. Ma in fondo i parchi giochi sono tutti uguali, basta avere le zone e pretesti da nulla, per divertirsi è tutta questione di movimento e quanto sei in vena. Anche a Gardaland abbiamo (o avevamo... non ci vado da troppo tempo) la zona spaziale con il disco volante che gira, frulla sui lati i passeggeri messi alle estremità e si inclina (un giorno ci sono stato e aveva dei sinistrissimi posti non accessibili rimarcati con dei cordoni tipo scena del delitto) o il celeberrimo razzo che ci entri dentro, ti siedi e guardi un filmato stile puntata del telefilm U.F.O. ma racconata da Piero Angela (e ti rompi un po' anche i coglioni). La "zona spaziale" del futuro Disney comprende quindi una specie di roba triste con macchinine per bambini, roba che La vecchia miniera di Gardaland è a confronto un film di Indiana Jones...
una pallosissima monorotaia, un coso da parco giochi brutto che gira su se stesso con le astronavine a due posti che si alzano e si abbassano, stile calcinculo, la "roba subacquea" che fa tanto "avventura in canoa" (sempre di Gardaland) e strazia i testicoli sotto il caldo di agosto, soprattutto dopo ore di coda, qualche mercatino con onnipresente roba di star wars sui bancali e nascostissimi pupazzi di John Carter dalla Terra, sicuramente qualcosa a tema Buzz Lightyear e le montagne russo che dicono essere più fighe di sempre. Peccato non si veda uno stracacchio di nulla.
Ed effettivamente non si vede uno stracacchio di nulla.
Clooney durante tutto il film in pratica....
Un regista di nome Uccello con la passione per il vintage. Ricordo come fosse ieri la prima volta che ho visto lo straordinario Gigante di Ferro di Brad Bird. Un film su un bambino che incontra un potenzialmente mortale robot alieno con la voce in originale di Vin Diesel, ambientato negli anni ruggenti delle science fiction. Seguono cospirazioni, militari, un po' di e.t. rimedi vintage contro attacchi atomici (basta mettersi al sicuro sotto una sedia) e la "scena di Superman"... e io piango... Capolavoro. Datemi il blu ray!! Sto valutando il fatto che Vin Diesel nei Guardiani della Galassia con Groot abbia ri-fatto, con meno vocaboli, lo stesso identico personaggio con la stessa voce... al 100%... plagio o citazione... mistero...
Vintage space - opera da urania anni '50, grandi sentimenti, robottoni. In un attimo è diventato uno dei miei film preferiti di sempre. Anche perché il robottone oltre ad essere fighissimo era pure tenerissimo. Ovviamente in Italia è passato dritto home video senza un passaggio al cinema. Naturalmente non è passato inosservato anche alla Pixar Animation, che ha scritturato il regista per re-interpretare i più "vintage " dei supereroi, i Fantastici 4 senza avere i diritti dei fantastici quattro. Sapete tutti cose ne è uscito, quella piccola gemma degli Incredibili. E Bird è sempre andato avanti a tuono fino allo splendido Ratatouille, che era ambientato in Francia, e quindi vintage. Incredibilmente, espressione non a caso, Bird è riuscito a rimanere grande anche nel passaggio agli attori in carne ed ossa, con lo stranamente non vintage (ma per me l'attore principale ormai è decisamente vintage) Mission Impossible: protocollo fantasma.
Un altro film inspiegabilmente creato per poter mostrare Tom Cruise a torso nudo. Però bello.
Ed ecco quindi che Bird ha il pedigree perfetto (come Triple H... questa è per un nostro assiduo lettore... chiedo scusa a tutti gli altri e mi cospargo di ceneri...) per un film che ricordi, sogni ed elogi la tecnologia del passato, quando futuristico faceva rima con cose allegre e volanti e non (come ci ricorda nel multisala oggi una sala a tre metri da questa, ora) con Mad Max. Una pellicolache peraltro ha al centro l'attore in qualche modo vintage per eccellenza, una specie di Cary Grant e che è altrettanto un buon attore. E poi c'è Hugh Laurie, che è perfetto per questo tipo di fantascienza, che ho sempre sognato di vedere un giorno nei panni del Doctor Who perchè sarebbe "definitivo". Insomma, bastava questo. Il gigante di ferro in salsa Harry Potter con Clooney e Hugh Laurie. Bastava fare un Bioshock per bambini, sostituendo i pazzi assassini con robottini buffi e big daddy con dei Wall-E giganti... più o meno... Tanti popcorn assicurati, nuovi pupazzi per sostituire i muffi a Tomorrowland. E se va bene magari dieci seguiti, uno spin-off alla Wherehouse 13 e invasori alieni nell'imminente futuro.
Ma allora perchè questo film, costato come il Pil annuale del Sudan, è, pure giustamente, un incontenibile bagno di sangue al botteghino? Roba che è stata già doppiata e ha chiuso il weekend con il soldi del primo giorno di riprese? Avrà a che fare in qualche modo con la volontà di farne dieci seguiti?
L'hanno chiamato di nuovo... perchè? Uno dei più grandi e oscuri segreti di Hollywood è l'esistenza di Damon Lindelof. Il "trita-sceneggiature". Quando un prodotto ha un senso, è bello e compiuto dei produttori misteriosi decidono che le cose non vanno per niente bene. Il film finirebbe, la gente andrebbe felice a casa e loro dovranno trovare nuove idee per sbarcare il lunario. E allora chiamano il killer, Damon Lindelof. Me lo immagino che si presenti di notte a casa della sceneggiatura (sto idealizzando... ma la sceneggiatura di Star Wars per me, con tutti quei soldi, potrebbe benissimo avere una casa, una macchina e uno smat box per le terme...). Passamontagna, salta il vialetto e si nasconde nel buio. Suona una sola volta il campanello. La sceneggiatura, con i bigodini in testa e l'accappatoio, apre, convulsamente, l'ora è tarda. Non vede nessuno, incede per due passi nel buio della notte e fa per ritornare in casa, inquieta. Quando Lindelof ghignante la blocca, la imbavaglia con una pagina del finale di Lost, la prende alle spalle. Praticando sesso non concordato e non protetto. Lei è inerme. Grida di orrore nella notte, ululati di lupi siberiani, sangue. Il giorno dopo la sceneggiatura è in stato allucinatorio, non si ricorda più nemmeno se era stata scritta per un film western o un horror, non ricorda il nome dei personaggi, telefona piangendo alla madre e chiama il fabbro a blindare la casa, pensa di comprare un cane, si impasticca e non va dall'analista. Ma ormai Lindelof è passato e il suo ghigno sadico, la sua pelata che insieme agli occhiali Hipster luccicava del bianco della luna quella notte, quando compiaciuto si è tolto il passamontagna, non sono cose che si scordano. E qualcuno, giù a Hollywood, permette tutto questo. Ancora e ancora.
Lindelof è così, va al risultato con l'obiettivo di sorprendere un pubblico di distratti cerebrolesi. Toglie elementi di comprensione al testo, fa compiere ai personaggio cose cretine perché ha programmato che in quella scena, a quel minuto, i personaggi facciano cose cretine, che i produttori lo vogliono e tanto alle raffinatezze la massa non pensa. La massa va a vedere World War Z e lo acclama, comunque. Non si cura di tirare i fili alla fine del suo sporco lavoro, di dare unità al tutto di spiegare perché dal punto "a" si è arrivati al "b", a lui non interessa. Semplifica, taglia, distrugge. Buoni contro cattivi. Cose che fanno boom. Serve una scena apocalittica in un legal drama? Dalla porta fa entrare un elefante che schiaccia la segretaria dell'ufficio legale. Al 30simo piano. La gente non capisce. Ma fa wow!! Si chiederà per sempre, sotto sotto, come quell'elefante sia arrivato lì, perché, superando in che modo problemi tipo ascensori stretti et simila, ma nessuno avrà la risposta, perché non la ha neanche Lindelof. Ma ha fatto wow e Lindelof ha vinto. Il suo lavoro creativo è finito alla frase "entra l'elefante". Tanto laggente è scema e si dimentica le cose in tre minuti grazie alla formula della coca cola che uccide le cellule cerebrali (siete complottisti anche voi vero...?)
Quanti bei copioni sono senza senso a colpa sua? Prometheus , World War Z, Cowboys & Aliens (qui in parte, siamo onesti), il serial tv Lost... con quel finale "liberi tutti" da codice penale, truffa aggravata e circonvenzione di incapace... Tutta roba sulla carta fighissima, la merce di Lindelof, che mentre la vedi sortisce certamente l'effetto di stupire perché... cacchio!... c'è un dannato elefante che entra in un ufficio legale al trentesimo piano schiacciando la segretaria!!! E' dannatamente epico!!! Ma poi? Ed eccoci qui, al lavoro svolto dal nostro eroe per questo Tomorrowland...
Mamma mia... no dico... mamma mia!!!!!! Dopo un'ora di presentazione... si arriva al finale... manca il film... manca il maledetto film!!!!! Ecco, ci siamo, di nuovo. Nel museo degli orrori Lindelofiani non eravamo mai arrivati a tanto. Ecco la mostruosa novità. Nella possibilità che si faccia un seguito che spieghi tipo... tutto!! Si omette l'intero corpo centrale del film. Si passa da premessa a una lunghissima introduzione dei personaggi che diventa un eterno road movie slegatissimo a... il finale!!! Senza un minimo di sviluppo, contesto, approfondimento, il nulla. Tutto è uno stanco inseguimento, banale e ripetuto all'estremo, mentre i personaggi ripetono, in loop, le stesse ed identiche cose per quasi due ore. "Salviamo il futuro", "Dobbiamo arrivare a Tomorrowland", "Tu non credi nel futuro", "io non credo nel futuro", "dobbiamo arrivare a salvare il futuro". Roba che se non siete lobotomizzati in tre minuti, un po', annoia.
La partenza del film è pazzesca e fa vedere che c'è anche Bird dietro al tutto, ti fa sperare le meglio cose del mondo, torni bambino che stai guardando E.T., sogni dei Goonies spaziali e in cuor tuo andrebbe alla grande pure uno Zathura... magari roba alla Gremlins qua e là.. E Bird è bravo, sa tessere di magia il tutto, ti aspetti, da smaliziato videogiocatore moderno, una specie di Bioshock (un gioco sulla deriva della tecnologia ambientato in una utopia sottomarina piena di scienziati pazzi e folli) per famiglie, ci credi. Poi il film va avanti stancamente, inizia a trascinarsi, si ferma e dopo un'ora suonata non si è ancora visto nulla della fantastica città spaziale del titolo, solo per pochi secondi, anche meno che Godzilla nell'ultimo Godzilla. Solo un susseguirsi di scenette che allungano alla follia il brodo, in cui i nostri eroi scappano da dei tizi piuttosto ingessati e poco espressivi . Poi arrivi al clou, mentre il tuo pallottoliere di cose che non tornano supera i livelli di guardia, come nei più bei (brutti) film di Lindelof, e scopri che non c'è nulla, nel senso che la sceneggiatura è di colpo inesistente per tutto il resto della pellicola in un susseguirsi di avvenimenti slegati, abbozzati, superflui, banali e nonsense. Un semplice muoversi in linea retta senza spiegare e contestualizzare nulla. Roba che riesce mille volte meglio all'ultimo Mad Max in poche e chiare scene mute. E come una meteora ecco giungere il finale, così roboante che passa e manco ce ne siamo accorti. Titoli di coda. Ci si sente davvero truffati. Personaggi bidimensionali, pochi e poco accattivanti, un'idea di futuro così all'acqua di rose e poco approfondita che suona davvero nella definizione che gli scienziati sono "persone che fanno cose", senza specificare nulla. C'è un argomento di fondo di un qualche peso, ed è la consapevolezza che il futuro bisogna accettarlo senza esserne spaventati, vivendo in funzione di esse e magari non inquinando, migliorandoci con il nostro rapporto con la tecnologia. Come diceva Bilbo un grande viaggio parte da un piccolo passo. Il senso è quello, non deve spaventarci tutto quello che abbiamo davanti. Ma è un filo abbastanza debole per reggere tutta la trama, stiracchiatissimo e alla fine pure ipocrita. Il parto di una brutta idea di base. E naturalmente alla fine, come tutta la produzione Linedelof, i pezzi del puzzle non tornano e la trama rimane cripticamente campata per aria, una implausibile e irritante sequenza di assurde coincidenze per piegare il tutto ad un finto stupore. Nota: su Imdb c'è un sacco di gente accreditata in questo film, ma sappiate che non si vede mai e il tutto ruota miseramente su quattro sole persone... una tristezza invereconda per un "mondo futuristico ed ingarbugliato".
Area spoiler... roba da pazzi. Leggete a vostro rischio!Cosa ha combinato Lindelof per l'effetto "elefante improvviso"? Di ogni. faccio una breve lista di quanto di peggio la memoria rammenta.
1) come cacchio funzionano le spille? In sostanza le spille sono degli oggetti unici, legati con il dna del proprietario, che lo portano presso la fantomatica Tomorrowland per un periodo di tempo limitato. In pratica il possessore toccando la spilla si trova in un campo di grano infinito con all'orizzonte Tomorrowland, assecondando la prospettiva che "dalla terra è nata una nuova speranza per il domani", cioè lui. Fuor di metafora il mondo in cui vivono i possessori di spilla è reale e al posto di distese di granturco ci sono muri, scale, auto e un sacco di cose che possono finire sul grugno andandoci a sbattere con i più divertenti esiti di sempre. Per arrivare a Tomorrowland quindi bisogna tenere buona la destinazione e usare la spilla a mo' di bussola e punto: la tocchi, vedi la direzione, ti avvicini, la ritocchi e controlli. Ora le spille porteranno come meta ad un mega spiazzo, un parcheggione verde. Solo che il parcheggione con la spilla attiva ha l'aspetto di una città con scale , sali-scendi, veicoli, persone. Non è per nulla tutto in piano. Solo che quando scade l'effetto della spilla per limiti di tempo la nostra protagonista, magicamente, si accorge di stare guadando un laghetto!!!! Il che è impossibile!! A meno che la spilla non abbia dato accesso ad una realtà parallela con conformazione di terreno diversa (ma quanto sono sfigato-nerd a perdermi in questa cosa), realtà su cui è stata "proiettata" Tomorrowland, che in quella "forma" è di fatto una specie di cinema dinamico interattivo (sì, sto morendo dentro a scrivere questo post...).
2) Come si coprono gli sporchi piani dei robot cattivi? I robot cattivi sono una specie di Men in Black, solo che polverizzano la gente. Ma lo fanno in modo buffo, che il film è per tutta la famiglia. Si intuisce una qualche copertura politica, si intuisce roba cancella memoria alla Men in Black per il solo fatto che "assomigliano" ai Men in Black, ma di fatto questi uccidono per strada la gente e nessuno dice nulla. Mai. Di fatto non se ne parla, perché è un film per bambini, ma che fine hanno fatto i precedenti possessori di spilletta reclutati da Atena, e si parla di una dozzina di persone? Probabilmente sono tutti morti male, ma non lo sapremo mai.
3) Il pazzesco piano pazzeschissimo sulla sorte dell'umanità. Ma che cos'è? In pratica Clooney ha creato su Tomorrowland una cosa che riesce a vedere nel futuro su scala mondiale tipo mappamondo interattivo predittivo. Si è scoperto che la fine del mondo è imminente e questo è (forse?) uno dei motivi che hanno spinto Clooney ad andare sulla Terra a morire segregato in una "stanza della paranoia" senza fare nulla, collegato con un hacking spaziale (questo davvero fantascientifico) con la sua macchina che si trova transdimensionalmente su Tomorrowland. La sola cosa che può salvare il mondo sono invece gli scienziati con idee positive, in grado di mutare la tendenza della fine del mondo da 100% a un dato più confortante. Quando la ragazzina incontra Clooney manca una cinquantina di giorni alla ora "x". La ragazzina dice una cosa tipo: "ehi zio, non fare il pessimo" e di colpo la tendenza della fine del mondo scala a 99,9%. E Clooney dice che è la prima volta che gli accade, in trenta anni di monitorizzazione del fenomeno. Il che ci fa pensare che la gente reclutata prima da Athena oltre ad essere morta male non sia servita a un cacchio nemmeno alla voce "entusiasmo". Su Tomorrowland non vogliono aiutare i terrestri a cercare una via di salvezza perchè loro sono la classe prescelta e loro zotici, e ci stanno i politici corrotti, e il futuro è più figo se in una classe di nerd non ci entrano i bulli ecc.ecc. Ma il countdown continua, inesorabile. Solo che è un countdown che sulla terra poteva vedere solo Clooney, che stava in casa a fare un cazzo ed allenare un cane virtuale fatto male. Tomorrowland vuole la fine della terra, sta magari uccidendo dei geni "buoni" da anni ed è sostanzialmente un regime militare comandato dal Doctor House (una specie di prequel del doctor house...ma questa la riservo solo a quei cinque che erano in sala con me)!!! Come farà l'umanità a salvarsi? Per Lindelof basta distruggere il megacomputer predittivo... Cioè????????? Ma soluzioni alternative? Serviva non smantellare il programma spaziale? Si potevano sedare le guerre in africa con azioni umanitarie? Eleggere Bono degli U2 a presidente della terra con vice Al Gore? Trovare un vaccino ai mali del mondo? Creare trasporti veloci o teletrasporti verso la dimensione di Tomorrowland per salvare quante più vite possibili? Ci sono scienziati che fanno cose scienziose, ci sarà qualcosa che, cacchio, possa salvare il mondo?? O no? No. Basta distruggere la macchina predittiva che conoscono solo Clooney e Laurie su tutto l'universo. Si fa così ed è ok! Apocalisse scongiurata. Nostradamus, puppamelo! A fine film si scopre (ma non è chiaro) che quel dato dei cinquanta giorni era pura paranoia, al punto che tutti se ne sono sbattuti i coglioni e l'azione si sposta ad un intero anno dopo senza che nessun cataclisma, guerra mondiale, epidemia, asteroide in caduta libera, si sia verificato. Per aiutare Tomorrowland hanno chiamato in causa pure il padre di Casey, che fa l'astronauta... ovvio no... perché Tomorrowland non è un cacchio di mega - stato composto unicamente da scienziati in fondo???? Ma stiamo scherzando?????????? Si può fare un film su persone intelligenti essendo di base dei cretini??? Pur comprendendo la visione contrapposta tra chi vede il futuro come cosa definitiva e non mutabile, un male inesorabile, e chi crede che il futuro possa sempre cambiare a secondo della volontà delle persone, diventando una opportunità (roba che va anche in ambito religioso), questo non è un finale, ma un chissenefrega!! Ma che roba ho guardato fino ad ora? Dove sono le scienze pazze con i jatpack e le roba che si muove a vortice? Occorreva davvero scomodare la torre Eifelle, Newton, Tesla e compagnia per una porcatina come questa? Occorreva spenderci tanti soldi? No. E Bird clamorosamente fallisce, mettendo un brutto neo sulla sua brillante carriera. Probabilmente è colpa degli studios e di chi da soldi a Lindelof.
Titoli di coda. Bird sogna di tornare agli Incredibili e per il futuro pensa all'animazione tradizionale in due dimensioni. I film dal vivo con "forti interessi della major" hanno trattato male un altro regista, dopo Whedon (Avengers), dopo Padila (il reboot di Robocop), dopo Stanton (collega di Bird in Pixar, distrutto dal flop immeritato di John Carter dalla Terra). Un colossal di fantascienza che oltre a nutrire una interessante malinconia per lo spazio, blande speranze per le intelligenze artificiali e qualche suggestione ecologista, non riesce davvero a dire molto. C'era già tutto, e meglio, in Wall-E. Non voglio però fare a tutti i costi il cinico, qualcosa di buono c'è. Gli attori non sono male, alcune scene action sono pure riuscite e il sense of wonder della prima mezzora è davvero niente male. In certi momenti della prima parte magari, qua e là, vi potreste pure divertire. Peccato che poi il film non ingrani e vada a sbattere contro un albero. Come giocare a Bioshock, scendere con l'ascensore dopo il primo secondo di gioco e scoprire che il gioco è già finito lì, prima di partire. Perché il film ripete per due ore "voglio andare a Tomorrowland" e fa davvero poco di altro, anche solo per convincerci che sia bastato, che abbiamo già trovato bello e appagante anche solo il "viaggio". E per pietà non vi ho parlato di tutti i momenti in cui situazioni fortemente da film per adulti sono state bastardizzate male per rientrare nella pellicola "per tutti".
Una brutta giostra...
Talk0
Ah, c'è pure una scena in un negozietto di roba per nerd (e i nerd presenti in questo film sono delle caricature così brutte che sarebbero da querela), carico carico di pupazzi di Star Wars, pupazzi di Iron Giant e degli Incredibili!! Tutta roba che parla o spara con gli effetti sonori ufficiali!! C'è pure la lapide spaziale di Han Solo!!! Quella è una scena divertente, ma non troppo.
Il suo nome è Max, il suo mondo è un deserto che puzza di benzina, pelle bruciata e sangue, una terra distrutta senza speranza. Non ci sono terre del domani domani, non ci sono case a cui ritornare, tutto è sparito e chi cerca di razionalizzare la cosa, di tirare avanti, è solo un folle. Certo l'uomo esiste ancora, tra tribù nomadi popolate di cannibali e guerre continue per accaparrarsi le poche risorse, a colpi di mazza. Prospera la religione, ovviamente, in tanto dolore, ma regredita al culto della morte e dei guerrieri, ai cancelli del Valhalla. Se morte deve essere, perché prima o poi comunque arriva, che sia splendida, eroica. In un certo modo anche l'energia che muove le città c'è ancora, grazie alla merda di maiale, le donne ci sono ancora e anche se le malattie, regalo della radioattività imperante di mille centrali atomiche esplose, corrompono il corpo e l'anima di tutti, si tira avanti. Anche grazie ai motori, in grado di portarti lontano, a sognare che nell'immenso nulla si trovi qualcosa. Max era un poliziotto. Max parla poco e vive ossessionato dai fantasmi, cocci di una vita spezzata dalla grande barbarie. L'eroe lo incontriamo così, più capellone che in Hair. Sta fissando negli occhi il nulla, per un altro giorno ancora, mentre una piccola preda mutante gli si avvicina, incauta. Diventerà presto il suo pasto. Ma da lì a pochissimo capiterà lo stesso a Max. In un mondo dove il pesce grande mangia il piccolo, e chi è solo è sempre morto, nonostante la potenza del motore, lui e la sua auto truccata Interceptor nulla possono fare contro una torma in festa di morte, di cacciatori motorizzati in cerca di sacche di sangue, flebo umane per cercare di far tirare avanti corpi malati. Se Max non voleva un futuro, ecco che il domani ti presenta sempre una opportunità. Fuggire non serve ma forse fuggire, se ti è data una pur piccola possibilità di fuga diviene tutto. E così inizia la nuova corsa di Max, il suo nuovo viaggio in fuga dal futuro. Per sopravvivere e poco altro. Per preservare la sua "roba", nel senso più "verghiano" del termine. Sperando che gli incubi non tornino a tormentarlo mentre deve schivare pallottole.
Mad Max è tutto qui, è sempre stato tutto qui da quando la strana, ispirata pellicola Rape-and-revenge del '79 è mutata a fantasy. Pura atmosfera, elegia della follia di un uomo che grida nel deserto che sta morendo, che l'acqua è finita, che la morte sta arrivando. Un deserto che è futuro e ci è orribilmente, realisticamente, sempre più vicino se non nella forma nella sostanza. L'autodistruzione del genere umano. Un musical sulle auto corazzate, novelle armature medioevali, interpretato dalla carne e dal metallo, sangue e bulloni in continui amplessi amorosi, che piacerebbero a Cronenberg. Cinico, disperato, inutile. Ma per questo pure titanico, epico, quasi con derive mistico-messianiche. Usando al meglio le sue abilità di combattente e pilota, la sua arte di sopravvivere ingurgitando carne di cane di un'era passata in scatola, Max dà l'esempio, ispira chi è con lui. Qualche volta riesce a cambiare delle vite, qualche volta il futuro inghiotte tutto. Ma lui non gode della gioa altrui, continua a vagare, come un dio sotto mentite spoglie, un deus ex machina alla Violence Jack (chissà chi sarà nato prima, a livello creativo..). Il resto è tutto una lunga corsa per la sopravvivenza, a bordo di veicoli ultraveloci, ultratruccati e ultratamarri, che sprecano al poca benzina del domani con infinite bocche di fuoco, per le desolate terre, un tempo australiane ora africane. Eroi in fuga dalla crudeltà, ebbri di speranza, guidati da Max, anche se controvoglia. Attaccati da punk pieni di borchie e animati da qualche indomito, inestirpabile, istinto predatorio.
Un deserto per giocare alle corse, un enorme campo di battaglia tra tribù diverse per accaparrarsi benzina, donne e merda di maiale (per il metano). Qualcosa in grado di folgorare sulla via di Damasco ogni bambino. Che guarda questi film vietati ai minori sognando un boomerang tagliente.
Per me come per molti, brutti inutili nerd anni '80, e oggi semi-quarantenni "evaporati", il futuro di Max è venuto dopo, nei ricordi e nei sogni più esaltati-esaltanti (anche se cronologicamente precede) al futuro di Ken il Guerriero, l'opera più destabilizzante e potente dell'animazione giapponese anni '80, quella che spiccava su tutte per magia, epica. Quando poi ho scoperto Max, interpetato da Mel Gibson nella prima "trilogia", tutto è stato un continuo urlo di gioia: "Wow". Ricordo che ho attaccato con il bostick degli spuntoni alla mia bicicletta "saltafoss". E come mi piacevano le protezioni per i ginocchi, appoggiati come spallacci. Senza il kung fu hokuto di Ken, in Mad Max c'era già tutto e tutto era più cattivo, più veloce, più deprimente.
Ma è durato davvero troppo poco.
Poi, dopo Masterblaster e il capitano Walker però le luci finivano.
Mel Gibson andava a fare Arma Letale e un sacco di altra roba che non valeva la metà della metà della metà della metà di Max.
Il regista George Miller entrava nella leggenda, ma subito dopo decideva di uscirne, passare ad altro. E così dopo un interessante film sulle streghe con Cher e L'olio di Lorenzo, Miller passò alla favola Babe, al pinguino ballerino Mambo. Sempre al top, sempre bravo, ma cacchio... E giù lacrime, qualche imprecazione e smarrimento quando in Happy Feet 2 per un'ora dei pinguini ballerini devono ballare tip tap per sciogliere un ghiacciaio. Per una dannata interminabile ora. Perché George? Perché, davvero, un talento visivo così e legioni di tizi infoiati con gli spallacci di Ken lo volevamo fisso sui motori e gente disperata post apocalittica che mangia carne per cani e tira boomerang. Fortuna che poi, adesso, è tornato. Ci ha fatto aspettare trent'anni questo ritorno, anche se nel 2000, prima delle Torri, l'idea era tornata a stuzzicarlo. Ma erano tempi brutti. Oggi il nuovo Mad Max è qui, di nuovo in corsa. Speriamo accada anche per Ridley Scott in ritorno a Blade Runner. Ma siamo fuori tema. Mad Max fury road è magnifico. La dimostrazione di una chiara, precisa, capacità tecnica e narrativa. Un film nato e cresciuto tutto nella mente del suo autore, con gli attori che ogni giorno andavano sul set e non capivano cosa stavano facendo, in mille ciak per oltre sette mesi. Tutto è orchestrato, limato, perfezionato tra suono, sangue, epica e musica. Uno spettacolo di due ore che vengono sparate a tutta velocità tra invenzioni visive continue che spalancano gli occhi e ci fanno tornare increduli. Registi così non ce ne sono. Registi così ispirati non li vedevamo da tempo. Mad Max fury road è "opera totale", in grado di guardare dall'alto verso il basso tutto il cinema pur apprezzatissimo degli ultimi anni.
Ottimo Tom Hardy nell'ereditare la parte di Gibson, il suo Max è dolente, acciaccato, incazzatissimo e svitato. Ma così perfetto che non potevamo chiedere di meglio. Ha firmato anche per i sequel e la cosa ci piace.
Stupefacente Charlize Theron, che di fatto è, con la sua Furiosa, il personaggio principale di questa storia nonché la più riuscita eroina del grande schermo dai tempi di Ripley di Sigurney Weaver. Lo hanno detto più o meno tutti, ho notato, ed è per un fatto inconfutabile: è vero. Lei è l'eroina del film, il cuore, gli stunt più fighi e la storia più bella, anche se non narrata di fatto e relegata nell'intuizione dello spettatore, come Miller ha voluto. Un tempo si parlava di un sequel chiamato Furiosa, ora si parla di un sequel chiamato Wasteland e di una Theron che non vorrebbe tornare sul personaggio. Come andrà a finire non lo sappiamo, ma questo ruolo è la ennesima dimostrazione di quanto Charlize sia unica, una delle donne più belle del mondo e una delle attrici da film action più cazzute di sempre. Una dea.
Bravissimo Nicholas Hoult con il suo stralunato, disperato e tenero Nux. Da Warm Bodies ci piace sempre di più. Anche perchè in X-Men first class lo avevamo visto come un bambolotto e nulla più e ne Il cacciatore di giganti aveva un look così orribile che faceva distrarre dalla sua interpretazione (comunque scarsa). Qui è decisamente bravo, portà fare grandi cose e non siamo con lui a supportarlo e promuoverlo da qui all'infinito.
Poi c'è tutto un circo colorato di mostri, nani e giganti, tettone da mungere (vero), guerrieri malaticci sbiancati, omologhi di Dracula e gnocche da calendari che fanno una versione tutta loro del car wash. E un pazzo con chitarra elettrica che sputa fiamme, assicurato con catene su una specie di palco mobile fatto di casse sparate a palla. Lo spettacolo è servito.
Non voglio raccontarvi altro, che sia il vostro viaggio disperato e folle. Questa è la pellicola dell'anno. Un Kolossal del tutto analogico (ma allora si possono fare ancora!!) che viene dritto da un simpatico vecchietto, in grado di dire più di mille nuovi registucoli inetti della nuova guardia (anche perchè magari legati mani e piedi da un pg13 e tizi in giacca e cravatta di multinazionali che li trattano come registi di spot di cereali. Miller è un dio dorato e può andare oltre tutto questo). Puro mito visivo.
A tutti coloro che confondono George Miller con Frank Miller e che credono questo sia il nuovo film dell'autore di Sin City e 300... Dio abbia pietà di voi.
Futuro. Il mondo del passato è finito. E' il tempo del mito. Il tempo dei mostri. Il tempo dei giganti.
Nel deserto un uomo coperto da un lungo mantello si muove lento con sulle spalle, in piedi, una ragazza bionda. Una creatura angelica chiamata Prome. Che sotto un vestitino trasparente sembra essere praticamente nuda. La sete è la peggiore delle nemiche, il cibo scarseggia da giorni e il gigante non riesce più a tenere il passo. La ragazza, solennemente, dice che potrebbe sanare i suoi bisogni, con quello che è in grado di produrre il suo corpo. Il gigante declina imbarazzato e incredulo si lancia, felice, in quella che appare, all'improvviso, come un'oasi. Ma che in realtà è solo il capo, mimetizzato, di un mostro minaccioso. Pieno di denti. E ora pure arrabbiato. D'un tratto però, fulminee, figure intabarrate, a cavallo di coleotteri giganti, giungono sul posto. Uccidono con dei dardi il mostro e portano a cospetto del capo del loro popolo la strana coppia di viaggiatori. Legati come dei salami. Il loro villaggio risiede in una specie di fiore del deserto gigantesco, uomini ed insetti vivono in armonia. Il gigante è portato in un'arena, ad affrontare un tizio piuttosto arrabbiato, che lo accusa di essere un invasore. Ma il gigante, che si chiama Delos, non sembra voler ferire il suo avversario, si limita a parare i colpi, incassare. E quando ha studiato a dovere il suo antagonista, si prodiga in uno stile di lotta mai visto, fatto di prese e proiezioni atte ad indebolire l'avversario senza ucciderlo. Uno stile di lotta magico che si chiama wrestling.
Non vi dico troppo per non rovinarvi troppo.
Questa è una storia ambientalista, di wrestling, di giganti e di ragazzine nude che pilotano una specie di essere gigante come ai tempi di Iczer One (per quei sei che lo ricordano... diciamo una specie di "suggestione" alla Jim Mazinger di Violence Jack... per quei sette che lo hanno in mente...). Una storia leggera, divertente, carica di azione, piena di disegni bellissimi, letteralmente "enormi" per dettaglio e cura (vi consiglio la versione da fumetteria, quella da edicola "non rende"), abbastanza scollacciata come si conviene al tipico marchio di fabbrica dell'autore. Quel gigante che corrisponde al nome di Kentaro Miura, l'uomo dietro alla eterna epopea di Berserk.
Il nostro non ce la faceva più, gli occorreva una pausa e così ha messo momentaneamente in stand by la sua saga storica che dedicarsi a questo fresco volume, auto-conclusivo ma con tutte le potenzialità di diventare a sua volta saga. Il disegno di Miura ormai è impressionante, spettacolare e unico. Si è messo in testa di ritrarre un wrestler ed ecco che il nostro eroe si prodiga in prese, submission, proiezioni e catene ben riconoscibili e amate da chiunque segua anche distrattamente queste discipline. Alla faccia di chi dei giganti ci ha fatto un lavoro senza saperli disegnare a dovere, Miura allestisce tavole letteralmente vertiginose, dove le proporzioni delle colossali creature esplodono sotto gli occhi del lettore. Un autentico orgasmo visivo che migliora e si impenna di tavola in tavola.
L'atmosfera è più dalle parti di Nausicaa nella valle del Vento che in quelle di Ken il Guerriero, bello il messaggio dietro al viaggio dei nostri eroi e la relazione con uno stile di lotta come il wrestling (aspetto che non vi rivelo, gustoso), ci sono poi molti riferimenti ai miti greci, come suggerisce il titolo e la combinazione dei nomi dei due personaggi. Prome e Delos hanno un suono molto simile a Prometeus. Sarebbe un peccato se tutto finisse così, ma è stata davvero una bella lettura. La dimostrazione che Miura è un grande e il nostro amore per lui è sempre ben riposto. Nonostante ci faccia costantemente dannare con i ritardi di Berserk (di cui ogni era geologica parliamo..).
Planet Manga, come sopra già menzionato, pubblica di quest'opera (per ora auto-conclusiva) una versione "piccola" da edicola sui 5 euro e una edizione grande formato e carta migliore da fumetteria a 7.50. Vi consiglio al cento per cento quest'ultima. E se la copertina non vi convince o vi sta sulle palle Miura che "perde tempo invece di farmi Berserk", vi invito a sfogliare le pagine dell'opera prima dell'acquisto, soprattutto le tavole della parte finale. Sicuri di voler ancora lasciare il volume dal fumettaro?
Il gruppo del pistolero è di nuovo in viaggio verso una meta che permetta al nostro eroe di scaricarli da qualche parte. O almeno così la pensano Rosa, Seba e Nue. C'è aria di tortellini e zanzare nella calda estate italiana. Il gruppo non si è ancora ripreso dalle "visioni erotiche" del numero passato. Motivo per cui Ringo sta più lontano possibile dai bimbi e soprattutto dalla bimba, per lo più appollaiato a qualche campanile con la scusa di "scrutare il territorio", alla Assassin's Creed. Motivo per cui i due bimbi fanno a gara a chi fa la voce più grossa con la femminuccia. A dare pace agli ormoni ecco quindi giungere una possibile minaccia. In una città deserta arrivano loro incontro un gruppo armato di ragazzini con intenzioni bellicose. Ringo è a terra e prigioniero, il suo gruppo è invece oggetto di curiosità degli autoctoni. Odiano gli adulti, gli hanno mentito, li hanno abbandonati e sono morti. Da allora sopravvivono con piccoli scambi ma nessun adulto può uscire vivo dal loro territorio. Ma forse lasceranno in pace Ringo e li lasceranno andare, se il gruppo riuscirà in una difficile impresa che farà a tutti guadagnare qualcosa. Recuperare un oggetto prezioso in un posto che puzza di fantasmi.
Un po' Mad Max oltre la sfera del tuono, un po' Il signore delle mosche, il nuovo numero degli Orfani parla di bambini dal futuro rubato, costretti a vivere tra le macerie e rovine allestite dai loro padri. Gli adulti sono giocoforza banditi dalle tavole o costretti dietro a sbarre, il mondo non è più loro e in quei pochi rimasti permane la pena di non essere riusciti a fare qualcosa di più, di non aver saputo costruire un domani per chi viene dopo di loro, ignari, nudi. Molto bello il personaggio del medico, grandiosa ma dai piedi di argilla il capobranco dei ragazzini, la leonessa. E ha un senso anche Bologna, culla di cultura universitaria, che non riesce nel futuro recchioniano a essere più luogo di sapere, ma solo di arti (tecnologiche) passate e pericolose per la salute. Un brutto biglietto da visita per il futuro.
Anche i corvi vanno al mare in Riviera!
La scrittura di Vanzella ci piace, trasforma l'incubo in favola, quasi un sogno decadente, un paradiso perduto e questo grazie anche alle tavole di Genovese e ai brillanti colori della Leoni. Oltre agli straordinari scenari urbani, l'acqua pervade molte tavole, innaffiandole di vita, ma come nell'ultimo Dylan Dog (corsi e ricorsi della programmazione recchioniana sia di Dylan che degli Orfani?), potrebbe essere un elemento non sicuro. Così come possono essere oscuri i volti a prima vista amichevoli, a prima vista ammiccanti dei ragazzini. Vanzella descrive una nuova società intransigente, incline all'imbarbarimento, ma forse non ancora spacciata. E questo in piccola misura ci gratifica. Sul lato del gruppo di Ringo, vediamo tra i suoi figliocci una sempre maggiore coesione, al di là della esplosione estivo-ormonale del momento. Sempre meno bambini, sempre più uomini.
Molto belli i disegni di Genovese, precisi, dettagliati, persino sexy. Straordinarie le scenografie, molto bella la caratterizzazione. I colori della Leone virano spesso in un magico balletto dal rosso al verde tra stupendi cieli azzurri e caldi tramonti, sognanti, magici.
Si sta dimostrando un viaggio interessante. Un altro bel numero.
1871, Califonia. Siamo nella città di San Juan de Coronado ed è giorno di cappi al collo autorizzati dalla legge. Il boia ha mandato il suo garzone e lo sceriffo teme l'inesperienza del ragazzetto, ma quello passa il convento. Già al primo ceffo arrivano i casini, il cappio è fatto male, non si rompe e potrebbero essere grane. Ma siccome la storia della grazia se il cappio si rompe è tutta una fesseria di propaganda, il ragazzo boia si butta addosso al condannato per farlo cadere nel buco e lo sceriffo, a scanso di equivoci, pianta una palla d'acciaio in fronte al penzolante. A San Juan oggi si sta con le palle girate, non si prevede nulla di buono da sperare per il destino degli altri due tizi in coda per il patibolo, che vediamo solo di spalle grazie ad una vignetta diabolica. Certo per finire lì qualcosa di brutto lo si è fatto ed è adesso che la storia va a ritroso di un mese, a farci ipotizzare chi siano i due sventurati a un passo dal grande salto. Quando almeno in copertina i personaggi sono tre. Uno più basso, certo, ma non andateglielo a dire, potrebbe incazzarsi.
Ecco un bel western del genere "brutto e cattivo". Sogni infranti e azioni vietate ai minori che portano gli eroi dalla parte sbagliata. Gente sconfitta ma con un barlume di orgoglio che fa riecheggiare i momenti più belli del classico con l'immenso Dean Martin (e il solito noioso Wayne) "Un dollaro d'onore", il cui prezzo è richiamato per me non a caso in locandina. L'aggiunta di una seria e sentita dose maxi di nichilismo edulcorata da un pizzico di fascinoso humor nero. E almeno un personaggio davvero cult, il sergente Lester Y.Durrett, rissoso piccolo amabile bastardo da autentico colpo di fulmine. Chissà per cosa starà quella "Y" nel nome... Molta azione, molte scorrettezze, zero buoni all'orizzonte ad arrivare con la cavalleria. Fare l'eroe in questo mondo di carta è una questione di palle, ma le palle non serve bastano a sottrarsi dalla forca.
Accatino, vecchia (ma non troppo) conoscenza di Dylan Dog, attanaglia da subito il lettore e non lo molla fino all'epilogo. Dimostra di conoscere benissimo i meccanismi del western crepuscolare e cattivo e ci mette anche una vena moderna accattivante. Dipinge gli indiani come fantasmi inquietanti, capaci di scomparire in un istante e attaccare alle spalle. Usa la satira per farci credere di assistere a una favoletta, ma è sempre pronto ad assestare il colpo gobbo. C'è molta gente che muore male qui dentro, sparata, impiccata, inforcata e bruciata. Alle matite il bravissimo e gotico Bacilieri. Da me amatissimo sullo sfortunato (ingiustamente) Jean Dix e sull'altrettanto (ingiustamente) sfortunato Napoleone, entrambi del grade Ambrosini. Eccelso nel romanzo a fumetti Sul pianeta perduto e conoscenza recente anche per l'indagatore dell'incubo. Bacilieri, con le sue figure classiche-vintage, quasi gommose, a cui accompagna espressioni quasi lombrosiane è inconfondibile, tra Chester Gould ed Hergè, con una punta del nostro amato Mike Allred. E qui forse prende pure un po' da Jacovitti. A noi piace il suo mondo plastico e carico di dettagli, quasi espressionista. I suoi confederati hanno il fascino di soldatini di piombo sanguinolenti, i sui anti-eroi hanno sguardi penetranti e molto meno buffi di quanto a prima vista appaiano.
Accatino e Bacilieri danno vita a un numero delle Storie perfetto, ottimo per ritmo, strepitoso per i disegni, cattivo come piace a noi per la storia cupa e sgangherata da commedia nera. Li vorrei davvero vedere su Tex. Prima o poi.
Sono passati tre anni dall'attacco dei Chitauri a New York. E' stato il momento in cui i più forti eroi della Terra si sono uniti e hanno scoperto di essere destinati a sfide sempre più grandi e difficili. Questo grande evento li ha cambiati, ribaltando quelle che credevano le proprie certezze. Qualcuno ha scoperto come si possa combattere per il proprio paese anche se i suoi governanti sono corrotti. Qualcuno ha scoperto che è bello essere un uomo, anche se sono solo creature fragili. C'è chi ha deciso di poter essere migliore, anche se lo hanno addestrato a essere un mostro. C'è chi non ha ancora accettato il fatto di convivere con un pesante lato oscuro. C'è chi trova la sua forza nella famiglia, anche se non ha poteri. C'è chi teme per la sua famiglia nonostante vesta di una armatura invincibile e cerca di creare una armatura più grande, che possa difendere tutto il mondo. In tre anni non c'è più lo Shield (qualcuno avverta quelli del telefilm), il trono di Asgard non è più stabile come si potrebbe immaginare, i terroristi hanno saputo dire la loro contro supposti superuomini. E nello spazio qualcuno trama di cambiare gli equilibri dell'universo, per amore della dea delle tenebre.
Niente è più stabile e i poteri di una giovane strega arrivano a far vacillare il già debole animo di un vecchio fabbricante d'armi. Tony Stark ha paura di quello che potrà accadere in futuro e la sua armatura a protezione del mondo, le "sentinelle" Iron Patrol, sono insufficienti allo scopo, deboli. Così in un attimo di follia decide di applicare una a noi già nota e pericolosa fonte di energia aliena al suo programma di intelligenza artificiale. Ma l'energia si scopre avere una sua coscienza, derivata da tutte le paure del vecchio Tony e nel fondersi con la tecnologia del milionario nasce allora Ultron. Un essere che crede come la soluzione ai problemi del mondo sia nell'evoluzione. E sia necessario averla subito. Anche a costo di alcuni sacrifici. O molti.
In pratica sono tre anni che aspettavamo questo film ed ora che pubblichiamo l'articolo penso avrete visto quasi tutti la pellicola. Gli Avengers sono tornati, con al timone quel geniaccio di di Joss Whedon. Ed è già record di incassi, speculazioni sul futuro supereroistico cinematografico Marvel, gente che fa il gesto dell'ombrello alla Dc Comics. Perché Avengers: Age of Ultron è una pellicola esaltante, divertente e che più di una persona andrà a vedere nelle sale più volte. In pratica una scelta obbligata per distendere i nervi in questo periodo pre-estivo, magari da gustare in Imax, con un cesto di popcorn gigante e bibita acclusa (con pupazzetto omaggio magari). Ci si diverte, si torna bambini, ci si esalta forte, si piange pure un po'. Forse non è il film perfetto. Forse la forbice di 50 minuti ha creato più di un guaio con la continuity narrativa. Forse il fatto che deve restare anche un film per bambini ha imbavagliato la produzione e il regista in primis (Che ha preso malissimo il final cut e dico MALISSIMO). Forse alcune cose sono forzatissime ma chissene. Il cattivo alla fine non è poi così cattivo, è quasi simpatico, ama Pinocchio della Disney (c'è in rete Ultron che canta canzoni Disney ed è da spisciarsi... se trovo il link... sono quei grandi di How should have ended)...
... e pure è parecchio sfigato anche se fatto di effetti speciali fighissimi. Ma cavolo che spettacolo che è con le sue armature multiple cattive. Ma quanto è tosta la strega Wanda poi? Ma quanto è bona, pure? Ma quanto è immenso Visione? Ma quanta classe, quanta personalità? Siamo lontani dai tempi in cui le A.I. dei film erano robe ottuse e prive di fantasia. L'era di Skynet è finita (quasi...). Si vede che siamo nell'era della applicazione Siri, che oltre ad indicarti la strada ti chiama "cucciolo" quando sbagli strada... Ma quanto è geniale quella cosa tra Hulk e la Vedova Nera che pare la versione sexy del gesto di sottomissione del Pianeta delle Scimmie? E la scena di Quicksilver col treno che mi sono immaginata montata con la scena di Spiderman vs Dr Octopus sul treno? E la fattoria? No, la fattoria non è così epica ma è puro "cuore", dà il senso a tutto il film, la ragione morale per cui si fanno le cose, la paura che le cose belle si perdano. La fattoria è una grande scena. Certo c'è poi Thor e le acque termali predittive, che hanno dovuto spiegarmela e non ci sono riusciti. Quando un bambino a fianco ha capito tutto al volo dicendo "Thor fa cose mistiche asgardiane e scopre cose". Forse bisognerebbe davvero vedere di più questi film con occhi da bambino. Noi adulti abbiamo comunque qualcuno con cui identificarci, quel Clint Barton che a peso si trova dentro ad un mondo in cui la gente vola attraverso un martello o viene sbrinata come i ghiaccioli dalla seconda guerra mondiale. Quel Clint Barton che ci ricorda come da grandi poteri derivino grandi responsabilità e ci fa venir voglia di comprare un arco.
E poi c'è la Hulkbuster versione Tekkaman con tanto dei pod di R-Type e componenti cambiabili alla Jeeg Robot d'acciaio. Wow.
Insomma tanta, tantissima roba.
Niente di troppo profondo, ma il messaggio, bello, alla fine c'è. E pure tanta autoironia a stemperare dove serve. Lasciando spazio anche alle lacrime, dove è giusto che ci siano. Un pacchetto completo per famiglie allora, con la proverbiale consapevolezza di essere infine sempre un fumetto. Di quelli colorati e non troppo pensosi.
Merito dell'ottimo cast e di un regista che ha sempre saputo mettere i sentimenti davanti a tutto. Nonostante l'alto numero di personaggi, il film riesce a svilupparli bene (quasi) tutti. Un merito non da poco. E poi ci sono le scene che combattono tutti insieme, volando, scambiandosi le armi e picchiando nello stesso tempo venti nemici al rallenty. Cosa si può volere di più? Sì, una scena delle terme più chiara la volevo anch'io...
Buon divertimento a tutti quelli che non hanno ancora invaso le sale.
Sparizioni misteriose di tuffatrici, morti improvvise al bar e inspiegabili, terrificanti, lavatrici a gettoni che corrodono chi incautamente cerca di aprirle. Tutto sembra legato all'acqua ed è terribilmente inquietante. Tanto che il commissariato di Gubbio Scotland Yard 2.0, nelle vesti di Nino Frassica Ranya cerca l'aiuto di Don Matteo Dylan Dog, il famigerato accalappia-polli-creduloni che nasconde, sotto il suo aspetto naif, le qualità del vero detective. Riuscirà il nostro eroe a risolvere l'ingarbugliata matassa, che cela oscure pratiche alchemiche appannaggio di ancora più oscuri figuri, senza incorrere nelle ire di Flavio Insinna un sempre irascibile ispettore Carpenter?
Premessa: Scotland Yard 2.0 non ci piace. L'assetto dovremo farcelo piacere in là con i numeri ma per ora il siparietto tra Ranya, Carpenter e il Soprintendente sul chiamare o meno Dylan a partecipare dei casi ci ha già rotto. E' vecchio, non è divertente, ha solo lo scopo di allungare "col nulla" intere pagine. Mettiamo tutto sotto IMHO, non sia mai, non stiamo demolendo tutto il "lore" (ormai noi giovini parliamo di "lore", di atmosfera generale... ma che pischelli che siamo) di Recchioni. Ma cheppalle. Certo Ranya ci piace come personaggio, non è per niente banale, è sexy e questo 344 ce la rende ancora più intrigante, familiare, grazie alla scrittura di Simeoni.
Fine parentesi. Arriviamo al numero e al suo terribile, spaventoso mostro del mese. L'acqua.
L'argomento stimola le paure più primordiali, ci fa sentire piccoli piccoli, inermi. Ci torna alla mente persino un film di M.Night Shyamalan, E venne il giorno, uno di quelli del periodo buono (che speriamo ritorni con The Visit). L'acqua è la vita stessa, noi stessi siamo "sacche piene d'acqua" o così almeno ci descriveva un alieno-robot-qualcosa al capitano Picard in una puntata "nonmelaricordo" di Star Trek Next Generation (azz che precisione nelle citazioni che abbiamo oggi...). L'acqua killer è un mostro spaventoso, un assassino fulmineo, inesorabile, in grado di cancellare letteralmente la vittima in una scena, annullarla. E Simeoni allestisce queste scene di uccisione in tavole dove "urla" il silenzio, quasi si disconoscesse il classico cliché del momento horror perfetto quale l'attimo in cui la musica si alza a manetta e l'orrore si manifesta. E in fondo è così che ci sentiamo nell'acqua quando viene a mancarci il respiro, avvolti dal silenzio, il vuoto siderale. E le morti, così come le scene action, di questo volume hanno una strabiliante potenza anche perché a volte le vediamo solo nella testa, ci immaginiamo quello che verrà dopo, sono pure suggestioni che vivono nella testa del lettore. Il violento stacco tra pagina 6 e pagina 7, che gioca solo sul tempo che passa per farci prefigurare qualcosa che di fatto non abbiamo visto (visivamente poi è come se il personaggio fosse stato cancellato con una gomma dalla tavola). Le ciabattine della nuotatrice che a pagina 8 vengono buttate nella spazzatura, non sono forse un segno potentissimo, quasi un omaggio agli "oggetti dimenticati-segni di chi non c'è più" di Hitchcockiana memoria (ripresi nel concetto in Schindler's List... vedi il cappottino rosso). La scena a pagina 70, con l'acqua che esce dalla lavatrice a gettoni non potrebbe essere di per sé buffa graficamente, in un qualsiasi altro contesto? Ma qui no, qui l'acqua uccide e pure una sequenza "empirica", come quella a pagina 63 è dirompente, così come diventa di colpo una scena spaventosa quella di pagina 93. E allora si ricrea, in forme nuove, la stessa magia di E venne il giorno, dove una folata di vento che apre una finestra riesce a impressionarci più di un maniaco che brandisce il coltello. Al di là delle scene horror c'è anche l'indagine, legata a determinati oggetti sempre ben rappresentati in scena. Un acuto osservatore può scovare, come nei migliori numeri di Detective Conan, l'esatta relazione causa-effetto degli eventi, scoprendo "l'assassino". E questo è frutto anche della accuratezza delle tavole di Pontrelli. Che abbina a una così alta sensibilità del dettaglio figure estremamente fluide, tratteggiate. Quasi se stessimo a guardare tutto il mondo narrativo attraverso un bicchiere di vetro.
In tutto questo gioco di immagini e paure primordiali veniamo guidati verso un finale magari classico, ma carico di mistero, che rimanda quasi certamente a un futuro scontro. Figure sempre più potenti tramano nell'ombra, nel futuro del nostro Indagatore dell'Incubo.
Speriamo sono che Dyan sappia affrontarla senza perdersi, come nella suggestiva e ironica copertina di Angelo Stano, nel proverbiale bicchiere d'acqua.
Continua il viaggio di Ringo insieme ai suoi tre figliocci nell'Italia post - post - atomica - apocalittica nata dalla fantasia di Recchioni. Ed è il turno di Rosa, l'unica ragazza del gruppo.Il personaggio più interessante a mio parere; materna, coraggiosa, ma in fondo ancora fragile, una bimba nel corpo di una donna. Una bimba sexy che un po' tutto il gruppo si vuole fare, scopriamo un po' inorriditi grazie a un escamotage niente male messo in scena da Vanzella. In pratica c'è un matto che riesce con roba a metà tra Strange Days e i poteri di Scarlet degli Avengers (andate a vedere Avengers: age of Ultron e ditemi che cacchio è la scena di Thor nella fontana che non l'ho capita...) ad addormentare e incasinare le menti dei nostri eroi. Penso per poi pubblicare tutto su Youporn. E si scopre come di fatto tutto il mondo dei nostri eroi giri intorno a Rosa. Che sarà la madre, la figlia, la "vita" in senso lato in un mondo di morte...eccheccazzo!! Non vi dico ovviamente come finisce, ma Ringo... il nostro eroe - padre... se ne esce con la celebre battuta sulla paternità di About a Boy!!! Una petizione per far arrivare del calmante agli ormoni dei maschietti dei prossimi numeri. SI può indire un numero verde?
Anche i corvi hanno pensieri sconci...che non vogliamo indagare...
Il nuovo numero è psichedelico ed intrigante quanto basta, con un paio di twist narrativi di rilievo che mi hanno pure commosso. Serviva una pausa all'azione concitata degli ultimi numeri e qui abbiamo il break riflessivo che ambivamo. E poi ci sono le poppe, che valgono quanto ciliegie. Molto flashati i colori, splendido nelle tavole l'uso delle ombre, ho apprezzato il lavoro di cesello di Genovesi nel rappresentare al meglio personaggi in bilico tra passione e pudore, i temi scottanti di questo numero, delicati da trattare anche in ragione del pubblico dei più piccini. Quelli che pensavano dalla prima stagione che il fumetto sarebbe stato una cosa alla Halo. Il mx funziona e la mancanza di scene d'azione non pesa più di tanto. Ed è stata intanto annunciata con tavole inedite la terza stagione!!! E noi siamo felicissimi!!!
Un tizio che pare Dolph Lundgren è il più cattivo del carcere e tutti hanno una paura fottuta di lui. Solo che bastano due fessi per incrinare il regno di terrore del nostro eroe al di fuori della prigione. Dolph non ha più le spalle protette e decide di evadere per sistemare le cose, bagnando di sangue ogni superficie piana delle tavole dell'albo. Perché lo hanno fatto incazzare come Keanu Reeves in John Black. Uguale uguale. Ah, poi in città c'è pure un avvenimento storico random a dare la giusta cornice storica.
Ragazzi, i disegni di Giordano sono una bomba! Quest'uomo dovrebbe disegnare un nuovo ciclo di Daredevil con testi di Bendis o Hitch, sarebbe fighissimo. Tratto deciso, cazzuto, dettagliato ma quasi intagliato nella carta. Azione, di tipo guerriglia urbana, chiara e dinamica, volti dei criminali dai tratti lombrosiani che ci fanno tornare alla mente Dick Tracy.
Puro stile.
La storia opera della mia comunque sempre amata Barbato è convenzionale, ma ottimamente sbilanciata, come John Black appunto, sul lato action. La Barbato è al servizio di un grande disegnatore e il risultato finale è un divertissment crudo, dinamico e divertente. Una bella storietta action quindi.
E siamo a sabato. Ultima giornata di festival. Con qualche bella sorpresa e qualche conferma. La conferma è che la commedia filippina non fa per noi, è decisamente l'incarnazione del "male" insieme alla commedia greca, spagnola e francese. C'è chi l'ama comunque, ma noi qui la si salta sereni. Non ce ne vogliate, preferiamo spettacoli diversi, come ad esempio una lavanda gastrica.
Unsung Hero di Masaharu Take è una commedia giapponese dalle forti inclinazioni action. Ed è una vera bomba! In pratica la versione Power Rangers di The Wrestler!!!
Honjo è il classico combattente "rosso", il capo, e anche sul lavoro, nella serie live action per ragazzi Dragon Four, viene da tutti chiamato "leader" per autorità, professionalità e cuore. Solo che lui è di fatto il leader di una schiera infinita di combattenti - stunt-men senza nome, quelli che una volta che l'attore vero e "fighetto" si trasforma divengono la sua controfigura, in genere con un casco in testa. Ad attori fotomodelli si alternano quindi, a spaccarsi le ossa, gli eroi stunt-men, che con una specie di codice del samurai vivono l'intera vita anche oltre la carriera. Si parte da mostro gommoso "cattivo", si passa a fare l'eroe e si vive con stoicismo il ruolo, perché se uno non è abbastanza "alto" per essere il ranger rosso, potrà a vita ambire solo al giallo o, peggio, al rosa. Hanjo, come tutti gli stunt-men, sogna di vedere per una volta il suo volto, il suo nome in cartellone, senza il casco. E sembra che una versione cinematografica di Dragon Four sia pronta per il grande schermo. Solo che all'ultimo viene scelto per la parte "a viso aperto" un attore - fotomodello - fighetto. Il leader dovrà quindi insegnare a costui come ci si comporta da veri eroi in calzamaglia, compresi gli allenamenti e lo stile di vita di chi abbraccia la grande famiglia dei live action per ragazzi. Gente disposta a tutto perché i loro calci volanti entrino nel cuore delle nuove generazioni.
Sono richieste indagini, vi faremo sapere, perché c'è qui dietro molta storia degli spettacoli live action giapponesi. Lo spettacolo è invece bellissimo quanto disarmante. Il mondo degli stunt è duro, carico di lividi e brutte lastre e quasi non riconosciuto in Giappone, visto poi nel mondo quasi come una cosa strana (che strana di fatto lo è. Davvero).
A Hong Kong per lo meno le stelle marziali si vedono in volto e non combattono dinosauri rosa. Il film poi ha un finale fantastico, da panico, indimenticabile, in cui il nostro eroe accetta, per andare incontro a un regista - bambinone americano, a un lungo stunt senza cavi, senza cgi e senza materassi di protezione. Una scena pazzesca che lancia nell'Olimpo delle scene pazzesche questa pellicola. Bravissimi gli attori, straordinari gli artisti marziali coinvolti e ci sono scene e pupazzi stile Power Rangers... una figata cosmica.
Forget me not di Kei Horie è una tenera storia d'amore dalle forti vene malinconiche. Azusa Oribe è una ragazza altruista che fa volontariato in un centro che cura gli anziani, è solare e gentile con tutti, ma ha per uno strano caso del destino, su di lei una maledizione. Le persone non si ricordano di lei, la dimenticano in poco tempo. Anche se compare nei registri della scuola, anche se ha una casa dove abita, nessuno si ricorda di lei. Per questo riesce a vivere solo con i vecchietti che perdono la memoria.Un giorno Azusa incontra un ragazzo e spera di potersi innamorare di lui. Ma lui riuscirà a non dimenticarla?
Il regista Kei Horie ribalta con venature fantasy il classico filone degli "amori smemorati" che per di più mettono in scena i brutti effetti di una malattia terribile come l'Alzheimer. Un argomento caldo, purtroppo, che il cinema ha anche il dovere di trattare. Qui funziona tutto al contrario e forse l'impatto può sembrare diverso, ma il problema affrontato è il medesimo.
Horie dirige splendidi interpreti e molto astutamente non lascia che il tutto si risolva come nelle favole, perché è come se la realtà bussi alla porta. Interessante, curioso, il segno che il giovane regista farà sicuramente parlare di nuovo di sé. Buona la messa in scena, dal piglio investigativo quanto surreale; meriterebbe una seconda visione.
E siamo all'ultimo film del festival, un kolossal bellico di Hark Tsui che si basa su una storia vera, a sua volta già rappresentata nel teatro tradizionale e cita a piene mani capolavori come Indiana Jones.
The Taking of Tiger Mountain.
Cina, 1946. L'esercito giapponese non c'è più ma sulle montagne, nelle vecchie roccaforti, si annidano schiere e schiere di briganti al soldo del fantomatico lord Falco. L'esercito popolare di liberazione è in caccia, ma il nemico è terribile quanto il freddo e la ristrettezza delle provviste. Ma a dare man forte ai soldati arriva una superspia di nome Zhang Hanyu, che pare Sean Connery da giovane. Questo riuscirà a infiltrarsi tra le file nemiche per trovare un varco nella impenetrabile fortezza di lord Falco. Ma per giungere alla meta dovrà dimostrare il suo coraggio, affrontando una spaventosa tigre gigante. La posta in gioco è alta, lord Falo brama una mappa con i vecchi avamposti militari cinesi. Se la missione fallisse ci sarebbe in giro un nuovo War Lord. Con le situazioni più classiche del war movie (da Ryan in poi passando per John Woo) condite dalle mega - trappole ambientali dei film di samurai come 13 Assassins, arricchite da un clima sempre teso e minaccioso, come nei migliori western e uno spruzzo da Indiana Jones (uno così eccessivo da essere inteso dalla stessa pellicola come un what if), l'ultimo film del gigante Hark Tsui spacca di brutto.
Grande ritmo, mirabolanti trovate visive, un'azione incessante realizzata da super soldati rotanti e incazzati contro brutti ceffi che paiono usciti da Ken il Guerriero. C'è sì la sotto - trama con il bambino perduto che fa un po' melo, c'è sì l'infermierina action, c'è ovviamente una valanga di patriottismo alla Michael Bay e un unico abbraccio di storia passata e presente sull'orgoglio militare cinese. Ma il film è figo e divertente, tra tizi che si lanciano dalle montagne con gli sci, a carri armati che scatenano frane, falchi orbi mangiatori di carne umana e assurde bombe fatte in casa che fanno più danno del plastico, un combattimento con la tigre da storia del cinema. C'è poi un ricercato effetto tridimensionale dell'azione che mi fa pensare che non fosse male la versione 3D.
148 minuti che volano via in un attimo, davvero galattico! Questo se non lo portano ufficialmente in Italia è un delitto. Ci si può leggere dietro politica e quant'altro, ma se mi hanno propinato Pearl Harbour di Bay, io voglio vedere questo, che è cento volte più divertente e meglio girato. Viva i rollercoaster! Dall'ultimo Avengers a questo The Taking of Tiger Mountain. Non poteva esserci finale migliore a questa splendida rassegna di cinema pop asiatico. E' stato un anno all'insegna dell'action, gli horror ci hanno poco colpito e i film drammatici e comici si sono dimostrati niente male. Bello anche l'impegno nel proporre i documentari, in una collocazione oraria interessante e con una scelta di temi intrigante. E' stato bello esserci!