martedì 30 settembre 2014

Dylan Dog ad un passo dalla rinascita, tra vecchio(speciale n.28) e nuovo (n.337)




Siamo ad un passo dal grande salto annunciato da ormai più di un anno. Abbiamo già speso un sacco di bit nel commentare, anelare e un po' sfottere il cosiddetto "nuovo corso". Ora il nuovo corso è tra noi, basta girare alla quarta di copertina del numero 337, una diretta citazione da una storica copertina di Spiderman da cui prende in prestito, parafrasando, pure il titolo: "Mai più, ispettore Bloch". Vedremo quello che sarà, saremo in prima linea. Nonostante questa estate non abbiamo avuto animo per parlare dell'ultimo soporifero Dylan (Ace) Color Fest, stiamo sempre sul pezzo, al collo dell'inquilino di Craven Road e dei suoi spesso bislacchi e spaesati autori.
Speciale 28, Scritti nella (noiosa) sabbia: Così, con pochissima pubblicità e con una nostalgica copertina sulla spiaggia che ci ricorda vigliaccamente di come le vacanze siano finite, ecco che compariva intorno al venti, in pochissime copie peraltro, lo special numero 28. Contributo audio.

Partiamo subito dalla copertina di Stano che rielabora un'immagine di spiaggia reale con dei disegnini stile cartolina economica. Da suicidio.

Bene. Il nostro indagatore dell'incubo è in macchina con destinazione un posto chiamato "World's End". La meta è un albergo sperduto in riva al mare, dove lo attenderebbe una cliente, che ha pagato in anticipo. Ma arrivato a meta il nostro eroe si accorge subito, insieme al lettore, di trovarsi in una tediosa, infinita, tremenda, maxi-metaforona spacca-cazzo sul senso della vita. L'ultima reiterazione di quel filone insostenibile di storie esistenzialiste che non danno premesse, non danno risposte, in pratica non vanno da nessuna parte. I disegni di Freghieri sono belli, ma la trama di Di Gregorio (guarda che ricorderò il tuo nome!!) fa gridare vendetta. Anche perché parte bene, ma è sul finale, quando si compone un po' il quadro complessivo e si intravvede il senso, che parte il classico, temuto, odiato, maxi-spiegone-definitivo di 15 pagine. Per lo più scritto tutto in un indigeribile e difficoltoso corsivo. Un blob di noia compressa, estenuante, intollerabile, all'inno di "quanto erano belli i tempi andati..". Di Gregorio, mi rivolgo a te. Sei del '73 e quindi penso di poterti dare del tu. Ma ti rendi conto di quanto è vecchio e stantio il modello narrativo che proponi? Hai nostalgia di Bandiera Gialla pur essendo nato decenni dopo? Alla tua età già mi spari boiate da ottuagenari etilici al baretto stile: "Qui una volta era tutta campagna"? La cosa fa incazzare, ripeto, perché fino all'orrido spiegone il racconto funziona, e quasi bene, si legge veloce e un po' affascina. Poi arriva il finale e cascano le palle. Un horror poi dovrebbe almeno buttare un minimo di brivido. A meno che non trovavi orrorifici i film balneari con Gigi e Andrea, qui la tensione è zero. Potevi chiuderla in modo anche più banale ma sanguigno, l'idea delle lettere poteva essere interessante. Peccato.
Dylan Dog n.337: Spazio Profondo (e a colori). Questo non è effettivamente il nuovo inizio ma sono le premesse, un interessante work in progress, potremmo dire.
Siamo nel futuro, quello dell'era spaziale (ma anche quello dell'editoria bonelliana). Lo spazio, (estensione orrorifica dell'edicola), pullula di nuovi mostri moderni, un po' spettri, un po' mutanti, sicuramente presi di peso da videogame come Dead Space conditi in salsa Alien.
Insomma, un'idea nuova, moderna, che Riz Samaritano millenni fa già così descriveva: sono esseri anormali, cadaveri spaziali. Poi l'ha rifatta anche Elio, ma l'originale ha fascino...

Per affrontare nuovi mostri, (ossia accalappiare nuovi orribili bambini video-telematici che non leggono più nemmeno il lato dove infilare le batterie del walkman e si annoiano di tutto in 3 secondi), occorre un nuovo eroe. Anche perché quello vecchio è morto da anni (e in edicola  i pargoli non se lo cagano, solo ragazzine infoiate e traditrici che in un secondo passano a quei gellati smandrappini dei manga tipo Death Note o L'attacco dei giganti, soprattutto in versioni sconce..).
Ma la storia insegna che in fondo gli eroi non muoiono (tranne quelli disegnati da Carlo Ambrosini) . Così per affrontare i nuovi mostri di cui sopra il governo del futuro (La Bonelli)  ha clonato Dylan Dog, l'ultimo acchiappa-mostri di cui ci sono tracce (se volessero leggere gli arretrati...), diari, dna (ai ragazzini in fondo basta che ci sia qualcuno che combatta dei mostri, mostri possibilmente belli e colorati come nei videogame).
Ma potendo clonare Dylan, l'esercito esagera e ne fa più versioni (come la Bonelli sta facendo oggi con la serie regolare, Dylan Old Boy, Dylan del futuro, Dylan Fish'n'crock"...). Così sulle astronavi spaziali strapiene di cadaveri spaziali vengono mandati dei Dylan-team. Svariati Dylan Team, perché clonare Dylan costa meno che perdere delle costose astronavi solo perché infestate da mostri. Dei Dylan Team composti tra mille variabili da Dylan-cervellone (modello eroe intelligente alla Death Note per intenderci), Dylan-donna (oggi anche i supereroi marvel hanno versioni femminili, quindi perché no), Dylan-Marv (perché i grossi spaccano sempre), Dylan-Silver-Surfer (perché fa più ammerigano...). Tutti Dylan creati per dimostrare cosa potrebbe diventare il personaggio se si mischiasse la formula (dimostrazione di apertura di Bonelli alle nuove idee) . Se Dylan fosse cervellotico, se nerboruto, se transgender, se fatto di plastica. Poi naturalmente c'è lui. Il clone old-fashion. Il Dylan-Dylan. L'unico che fa cose intelligenti (dimostrazione di apertura di Bonelli alle nuove idee).
ci stanno pure le scie di luce alla Star Trek by J.J.Abrams..
Nella nostra storia il Dylan-Old-fashion si chiama n.5 come il robottino di Corto Circuito. Ma la storia è piena di citazioni a millemila fumetti e film. Mi piacerebbe dire che cita anche da Moon di Duncan Jones, mi piacerebbe davvero, credetemi,  ma non si può,  sarebbe troppo bello.
Nicola Mari disegna da paura e Lorenzo De Felici colora da paura. Dal punto di vista visivo questo volume è davvero bello, compatto, cattivo. Debitore di mille influenze fumettistico-cinematografiche ma sticazzi... Davvero qualcosa di bello, imperdibile. E poi quando Mari vuole disegnar qualcosa tanto di horror che di fantascienza è un mostro. Non faccio in tempo a elogiarlo per Le Storie, per Il principe di Persia,  e già devo per forza elogiare qui il suo nuovo straordinario lavoro. Credo che sia il mio disegnatore preferito del momento.
Ugualmente l'idea di fondo della storia di Recchioni è figa, splatter-tamarra, reiterabile all'infinito in contesti diversi. Si possono avere soprattutto storie imprevedibili, perché tutti i personaggi sono sacrificabili e con un gettone nuovo, ripartendo con una nuova storia, se ne hanno di nuovi. Se Deadpool aveva un suo Deadpool-Team, anche Dylan può averlo. Certo un Dylan-Marv che palpeggia Dylan-woman forse non è il massimo del politically correct. Ma ci può stare, misticismo e fantascienza, alieni, fantasmi ed esoscheletri da combattimento. Anche la caratterizzazione di questi Dylan è stimolante, così simili ma così diversi. Il Dylan-Marv non è nemmeno vegetariano e ama le armi pesanti. Potrebbero funzionare anche stand-alone. Un'ottima idea commerciale, giocosa, senza pretese ma anche no. Peccato che in un volume solo la storia si faccia stretta per 5 (e più) Dylan. L'idea viene sprecata in poche pagine, tutto avviene troppo velocemente e meccanicamente senza permettere momenti assolo ai nostri eroi. Anche la storiella alla base della "infestazione del giorno" è debole, mal strutturata. I Dylan sembrano davvero buttati nel mucchio senza che sappiano fare qualcosa, senza che l'esercito li abbia davvero preparati, ed è deprimente, bastava poco a fornire un tocco di realismo in più, renderli più veri e credibili. Ma servivano forse per strutturare al meglio mooolte più pagine e comprimari, dei bravi flash-back, un bel po' di sparatorie. Anche il nemico non è chiaro, rimane abbozzato e personalmente mi sono accorto di avergli dato io più corpo di quello che aveva, traendo spunto dalle mie esperienze filmico-videoludiche. Insomma, se avete giocato a Dead Space o visto Punto di Non ritorno colmerete facilmente i buchi di trama, il senso della stessa, con qualcosa di vostro, appagante. Ma gli altri non potranno e prenderanno per buona un'idea così così. Uno spreco di potenziale, davvero. Però ripeto, un modello riutilizzabile. Anche se bieco (la dimostrazione che l'unico Dylan che funziona è il classico), il progetto mi ha affascinato, anche per merito di alcune influenze action ben sfruttate.
Bene, con qualche riserva, ma un albo comunque a mio giudizio potrebbe piacere, vuoi solo per i disegni da urlo. Diciamo che questo numero sta a Dylan Dog quanto Alien vs Predator sta ad Alien.
Va preso con il giusto senso dell'umorismo e della tamarraggine.
Conclusione:  Dylan Dog in questi due numeri non poteva essere trattato in modo più diverso. Lento e calcolato nello special, con il limite di un finalone brutto. Veloce e convulso nel numero 337, con il limite di essere forse troppo veloce o superficiale. Il risultato finale complessivo poteva essere migliorato anche per pura scelta di fogliazione-editoriale.
La via maestra non può che risiedere nel mezzo. Auspichiamo il meglio per il futuro. Consci del fatto che per Dylan ci sarà sempre posto nelle nostre collezioni.
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House of cards - stagione 1 in home video


Francis Underwood (Kevin Spacey) e la moglie Claire (Robin Wright) sono una coppia di bastardi, spietati, mostri alla continua ricerca di potere nella Washington dei giorni nostri. Lui è un politico manipolatore e vanesio. Lei un'imprenditrice ossessionata dall'apparenza e insensibile alle miserie umane. Insieme vivono nella loro squallida villona di svariati milioni, anche se di fatto si frequentano per pochi secondi al giorno, tanto sono presi nel loro lavoro, intessere innumerevoli ragnatele nelle quali far cadere delle prede.
Poi un giorno arriva al piccolo Francis un potente schiaffo in piena faccia. Nonostante sia l'uomo di punta del nuovo presidente neo eletto, gli hanno fatto le scarpe e hanno preferito a lui un altro pavone per l'incarico di segretario. Ma il nostro non ne ha a male. Questa è solo una ghiotta occasione per mettersi a giocare a scacchi contro i vecchi amici per dimostrare chi è ancora il più potente. Le sue armi sono affilate e letali. Le pedine di cui muove i fili, una giornalista malata di arrivismo (Kate Mara), un politico suddito per vocazione (Corey Stoll)  e un'intera corte al suo servizio sono pronti a compiere, volontariamente o meno, tutti i suoi più torbidi intrighi. Perchè in fondo la Casa Bianca non è nulla di più che un instabile castello di carte e Francis è l'uomo giusto.
Dovrebbe solo dedicare un po' di tempo extra a tonicizzare la pancia con il suo nuovo vogatore.


David Fincher e Beau Williman producono una delle nuove serie di culto della ABC, lo show imperdibile sui giochi di potere che ha come spettatore nientemeno che il presidente Obama ed è guardato con molto interesse perfino dai nostri politici.
Basato sul libro Best Seller che oggi ho molta voglia di recuperare, House of cards è pungente, spietato, ironico e appassionante. Splendidamente recitato, splendidamente diretto, accompagnato da uno score martellante e da una messa in scena sontuosa, fatta di inquadrature estatiche e fotografia esautorata, metallica, non distante dalle atmosfere con cui Fincher ha riletto il capolavoro di Larsson, Uomini che odiano le donne. Il grande regista dà ampio spazio a Kate Mara (sorella di Rooney, la Lisbeth cinematografica). Il cuore emotivo dell'opera, forse l'unico personaggio ancora ammantato di un'umbra di purezza. Non per questo meno sgamata, scaltra, pronta a sfruttare le debolezze umane al punto da mettere nel sacco anche le prede più improbabili. Il suo personaggio compie nel primo arco narrativo una autentica scalata verso l'alto, priva però apparentemente di paracadute. Se fossimo in un romanzo di vampiri, e non siamo poi così lontani come potremmo pensarlo, lei sarebbe la damigella indifesa che morsa dal vampiro diventa sua succube. Anche se in questa storia la damigella deve ricorrere a un push-up per attirare a sé un signore oscuro, la trama in fondo non può che ripetersi. Il potere inebria e corrompe, al punto che dei buoni propositi rimane infine davvero poco.


Perché, bisogna ribadirlo, non ci sono che squali in questa serie. persone pronte ad aggredire la preda fino a spolparla, renderla inoffensiva, semi-morta. Una preda che è così inconsapevole e manipolata che prima di esalare l'ultimo respiro non potrà che ringraziare il proprio carnefice. Un terreno favorevole per la bellissima, algida e regale Robin Wright. Sempre impeccabile, persino in pigiama, persino con una tuta invernale da jogging con sex appeal apparentemente annullato. Potente come una divinità greca agli occhi delle ignare formichine che lavorano per lei, il suo personaggio, rincuora nelle situazioni difficili, infonde coraggio ma allo stesso tempo non si fa scrupoli nell'uccidere i suoi sudditi e le loro piccole esistenze. Mandare alla mensa dei poveri o a sgomitare alle casse di McDonald's impiegate quasi sessantenni con famiglie a carico non è un problema, non intacca il fascino di parole come "progresso" e "cambiamento" cui ha dedicato la sua esistenza. Il suo personaggio non è però crudele, è più alieno, meta-umano. Il male che commette forse non è accompagnato da una effettiva consapevolezza. Quanto forse solo dall'esigenza di eliminare dalla sua vita qualcosa che stoni rispetto al suo abitino Armani.


Da sempre fare i "cattivi" è un vero spasso per gli attori. In House of cards, Kevin Spacey si diverte un mondo, come non mai. Come un attore Shakespeariano (e come Deadpool, ma citare qui Deadpool mi faceva brutto...), Spacey abbatte sovente la quarta parete, dialogando direttamente con gli spettatori. Come Pluk o un novello Riccardo III, il suo Francis si fa beffe dei nemici, ci anticipa le loro mosse e ci strizza l'occhio quando accade esattamente quello che aveva previsto. Un gioco infinito che per contrappasso ci fa tornare alla memoria un'altra interpretazione di Spacey, il suo sfigato perdente protagonista di American Beauty. Anche lui parlava con noi, spezzava la quarta parete, ma il suo top della giornata era farsi una sega sotto la doccia mattutina in attesa di andare a girare hamburger. Francis ha decisamente fatto i compiti. Ha sicuramente anche lui problemi con il gentil sesso, ma nessuno è perfetto.
Me la sono davvero goduta questa serie.
Ne avevo sentito parlare molto e bene ma non avendo la pay non mi ci ero ancora imbattuto direttamente. So ora di aver fatto male, perché sono già in spasmodica attesa delle nuove puntate. 13 puntate a stagione infatti sono davvero pochine e mentre la seconda stagione è già finita in Usa e si parla di terza, la prima esce incredibilmente alla fine di questo settembre. Per lo meno a un prezzo davvero contenuto, concorrenziale. Una ventina di euro e poco più e vi portate a casa un bel mini cofanetto dei sogni.
Spacey mi è piaciuto tantissimo. Si divora da solo la scena. Un vero monarca cattivo di altri tempi. La Wright è una perfetta regina nera e vendicativa. Mancano dei buoni. La Mara non mi sembra per ora una pretendente al trono e Stoll non ancora motivato. Ma c'è tutto per il dramma. E per scenografia una Roma moderna, che sia appoggia alle sue statute di influenza romana per compensare i suoi bassissimi palazzi. Se mi dicessero che questa è la trasposizione di un'opera di Seneca sull'impero romano ci crederei, perchè l'impostazione è molto teatrale, epica, potente, universale. Come lo è la banalità del male e il suo indubbio fascino.
Consigliato. 
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sabato 27 settembre 2014

Bad Milo! - come imparare ad accettare il piccolo mostro che c'è in noi


Sinossi: Duncan (Ken Martino, un viso che avrete sicuramente già visto in giro...) ha una bella moglie (Gillian Jacobs), un lavoro da contabile e una strana massa nel colon. Niente di apparentemente grave, semmai qualcosa di strano, probabilmente dovuta allo stress.
Così il nostro riluttante Duncan viene spedito dalla moglie dallo psicologo (il grande Peter Stormare, mattatore di "Fargo" e uno degli attori più gettonati quando cercate un istrionico pazzo), sperando che questo possa aiutarlo a vivere meglio.
Milo è una creatura dagli occhi dolci, simile a Gismo dei Gremlins per carineria. Paffuto, tutto rosa e con l'innata capacità di infilarsi in posti molto più stretti di lui. Vive in una casina accogliente e vuole bene al suo papà, tanto bene. Al punto da intervenire direttamente per lui nei confronti delle persone che gli fanno male.

e canticchia pure come Gismo!!

Quando è in modalità attacco diventa tremendo come un Critter e non si fa problemi a fare a pezzi i nemici di papà. Sfoderando le sue unghiette e i suoi dentini carini trasforma ogni luogo di vendetta in un autentico mattatoio. La polizia ritiene che sia un procione, un procione psicopatico.

Milo a piena potenza
Duncan è la persona più buona del mondo, ma ahimè un lavoro stressante, un rapporto con la madre grottesco, una crisi coniugale in atto per impossibilità di avere figli, un collega pazzo. Questo non fa che peggiorare i suoi disturbi corporali, al punto da essere alla costante ricerca di un bagno dove placare momentaneamente il suo nervoso. Dopo pirotecniche evoluzioni sul water Duncan è in genere sudatissimo ma rilassato.
Duncan e Milo hanno qualcosa in comune. Una sorta di coabitazione.

Dai paesi bassi: Inaspettatamente ecco che arriva anche in Italia, in dvd Sony, una delle più strane commedie horror americane. Giuro, tra tanti film che non passano il confine, vedere arrivare questo, non me lo sarei mai aspettato. Peraltro un film simpaticamente inaspettato, che combina sapientemente due elementi vincenti. Diciamo che tutto parte dai paesi bassi...


Le gag sulle chiappe e sul loro "colorato" mondo... le toilet... sono sempre gettonatissime. Ogni tanto, come nel caso di Delta Force, certe inquadrature "ambigue" sono addirittura latrici di importanti messaggi socio politici. Per sottolineare la portentosità dell'esercito Usa, in questa pellicola infatti Chuck Norris dimostra che quando bisogna combattere i terroristi, lui è in grado di scoreggiare razzi...


Ma non c'è solo virilità. Le fondamentali metafore legate al mondo della toilet riescono a volte anche a rappresentare dell'altro. Addirittura del sentimento. Grazie ad una toilet un povero bambino di South Park cui è vietato per questioni religiose celebrare il Natale come i suoi amici, può ogni anno, se ha mangiato abbastanza fibre, incontrare un amico...


Insomma..le chiappe ed espletamenti collegati... hanno una certa storia filmica e televisiva alle spalle... Che dire dell'importante metafora sociale dietro a questa scena dei Goonies? Proletariato contro classi altolocate, quasi come un urlo della terra in rivolta...


Viva i pupazzi: Il secondo elemento che rende imperdibile questo Bad Milo! è l'amore per i pupazzi dei film anni '80. Milo è un pupazzino bellissimo, che ricorda E.T., Gismo, i Critters, i goblin di Labyrinth, Chucky e tutta una serie di buffi pupazzetti animatronici che un tempo spopolavano al cinema, prima di essere soppiantati da creaturine realizzate in digitale. Il gusto del bambolotto artigianale, realizzato e controllato da burattinai, protagonista sovente di scene raccapriccianti, rimane negli anni inconfondibile, al punto che James Wan, tra un Saw e un Insidious passando per Dead Silence e l'Evocazione, mette sempre qualche bel bambolotto in scena (chissà cosa farà per Fast'n'Furious... io almeno un pupazzo sullo specchietto retrovisore me lo aspetto)
So che non lo ammetterete in pubblico... ma quanti di voi hanno il cofanetto con tutti e quattro i dvd dei Critters?

Bad Milo! punta a quei fan storici... e naturalmente agli amanti delle chiappe. Una combinazione vincente!

Più commedia che horror: In aggiunta a questi fattori immediati vi è una sceneggiatura con buoni tempi comici, degli attori assolutamente in parte, effetti speciali adeguati. Il film per questi motivi si rende da subito simpatico, peraltro sfoggiando pure una discreta dose di scene splatter. Tuttavia le meccaniche diventano subito un po' ripetitive e presto la pellicola vira verso tematiche più tranquille e meno tragiche di quanto inizialmente si potrebbe aspettare. Prevale infine la componente più sentimentale dell'opera e il potenziale omicida di Milo viene di molto ridimensionato.
Il film è carino ma lascia alla fine un po' insoddisfatti. Anche quando si ride lo si fa sovente con il freno a mano tirato. Il pupazzo rimane bellissimo, davvero un amore.  Vederlo entrare e uscire dalla sua "abitazione" è un vero spettacolo.
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mercoledì 24 settembre 2014

La principessa splendente - nuovo trailer in inglese


La principessa Kaguya è un racconto popolare giapponese del decimo secolo, amato e conosciutissimo nel Sol Levante da grandi e piccini. Per wikipedia addirittura il più antico esempio di narrativa nipponica, la fiaba della buona notte per eccellenza. Si hanno tracce del racconto anche in Cina e Tibet, probabilmente diffuso su audiobook. Roba che si menano ancora per attribuirsene la paternità, comunque, anche se pare che il Giappone sia il referente più accreditato. Io l'ho sbirciata, per puro caso, una vita fa. Poi ne avevo visto una "versione"anche in un film di Inuyasha. A me la storia comunque ricorda un po' anche una nota fiaba europea, con cui condivide alcune "meccaniche", ma non voglio andare oltre, non vik voglio rivelare sorprese.
Non è esattamente una favola tradizionale per come la intendiamo noi, anzi è parecchio strana. In reta la trovate in milioni di salse ma vi consiglio di non spoilerarvela, di aspettare la sala. Metti poi che il Ghibli touch la migliori...


Piano piano sta arrivando il momento di vedere nelle sale di tutto il mondo una delle più ambiziose opere dello studio Ghibli, il suo atto d'amore massimo per la narrativa popolare. Lucky Red peraltro ha già confermato che la porterà anche da noi in Italia e gentilmente ringraziamo.
L'interesse è molto in ragione della lunga gestazione, dell'enorme costo produttivo, di uno stile visivo unico, antico quanto modernissimo, della notorietà della storia in Giappone e soprattutto del ritorno alla regia, a quasi 15 anni di distanza dal suo ultimo lavoro, gli Yamada (ancora inedito da noi... ma non credo per molto, spero) di Isao Takahata, cofondatore con Miyazaki dello studio Ghibli.  Takahata ha peraltro firmato un capolavoro come Una tomba per le lucciole e il (solo) simpatico Pom poko.  Ma purtroppo c'è dell'altro, un triste rovescio della medaglia. Come I cancelli del cielo di Cimino fece la fine della United Artist, La principessa splendente l'anno scorso fu disastroso per il Ghibli. Costato 5 miliardi di Yen, ne incassò solo la metà a fine corsa, febbraio 2014, patendo anche la concorrenza nelle sale di un film acchiappapubblico come Frozen, autentica rinascita del brand Disney, più visto quasi di Titanic. Con il senno di poi (ma anche di prima, direi) putare a sbancare il botteghino con una opera tanto autorale, così diversa da roba colorata commerciale acchiappapubblico,  poteva essere un azzardo. Ma con la Città incantata ai vertici degli incassi giapponesi di sempre, lo studio ha voluto tentare la carta, riconfermarsi, ribadire la superiorità della animazione nazionale. Andata male. Quella che ne è seguita è la crisi interna Ghibli che ancor oggi tra conferme e smentite angoscia i fan della storica etichetta di Totoro.  Oggi però il film sta per essere visto nel resto del mondo, in America dal 17 ottobre, poi non si sa. C'è ancora la possibilità che a livello internazionale il film riesca a portare buoni incassi.  Speriamo di non dover attendere molto noi italiani per poter gioire di questa perla, di cui qui in calce reco il trailer, datato 22 settembre, freschissimo...


Sembra davvero eccellente, peraltro con in americano le voci della bellissima Chloe Moretz e del sempre mitico James Cann. Chissà, magari anche da noi vorranno stupire con effetti speciali chiamando Anna Tatangelo e Flavio Insinna!
Già pregusto quanto questo tratto bellissimo, sinuoso e artistico, possa rendere al meglio nella alta definizione. Roba da metterlo in fermo immagine e far credere ai nostri vicini che al posto del televisore abbiamo comprato un quadro.
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Spygames - di Morvan e del grandissimo Jung- Gi Kim - da ottobre in edicola con "Prima"


Parliamo troppo poco su queste pagine delle Bande Dessinée, forse questo post è una delle prime volte. Il motivo è presto detto, è difficile per me trasmettervi a parole la potenza visiva delle migliori opere delle Bande Dessinée e rischierei di annoiarvi, o convincervi poco, con la semplice sinossi delle trame dei racconti. Questo perché il fumetto di impostazione franco-belga è prettamente visivo, con tavole spesso stracariche di mille dettagli in cui perdersi o un utilizzo del colore all'avanguardia. Mondi visivi spesso confezionati in volumi dal costo di svariati euro, di una quarantina scarsa di pagine, la cui periodicità può essere di anni di distanza l'uno dall'altro. La storia c'è, spesso è bella, ma per apprezzarla bisogna appunto aspettare, parecchio.
Ma il bello rimangono appunto i disegni, sempre ricchi e spettacolari, in cui perdersi per minuti interi in contemplazione. Siano di stampo cinematografico che favolistico, le tavole spaccano la mascella di sovente. Con gli anni tali capolavori visivi sono stati sempre più affidati ad artisti di tutto il mondo, da giapponesi a italiani, da sudamericani a coreani. Esattamente come succede per i comics americani, il fumetto francese è ora più che mai cittadino del mondo, nonstante rimangano diversissime le tecniche e modalità di realizzazione del raccconto. 
Morvan, scrittore poliedrico delle Bande Dessinée, ha scovato talenti pazzeschi negli anni. Lui orchestra le trame ma lascia ampio spazio all'estro delle penne più spettacolari del mondo. Presto parleremo del suo Zaya (pubblicato integralmente da Panini Comics, in tre numeri),  per gli stupendi disegni cyberpunk del cinese Huang-Jei Wei, a metà tra Akira, Ghost in the ShellBlade Runner. Presto parleremo anche di Hercule (sempre catalogo Panini Comics, a novembre una seconda uscita delle dodici previste, probabilmente con cadenza di una all'anno), per i disegni di Looky e Thill Olivier, una pazzesca rivisitazione sci-fi di Hercules, tra Riddich e Terminator. Entrame queste opere se fossero realizzate al cinema sarebbero probabilmente dei block buster.
Oggi, in occasione della sua uscita all'inizio di ottobre, sulla collana Prima di Mondadori Comics, disponibile in edicola come in fumetteria, parliamo di Spygames, sempre di Morvan e con i disegni assolutamente fuori scala del coreano Jung-Gi Kim.


La storia si svolge ad Hong Kong, dove si tiene una specie di maxi sfida tra agenti segreti internazionali, chiamata Kontest. In palio la possibilità di torturare qualcuno per scoprire scomodi segreti di stato. Tante armi e tanti personaggi incazzati e determinati. Uno scenario urbano, decadente quanto brulicante, affascinante nel suo essere al contempo vecchio e nuovo, da poco entrato nelle vostre retine se avete visto in sala Transformers, L'era dell'estinzione. E poi dicono che Bay non fa cultura!
La storia potrebbe poi continuare con un laconico: "e poi tutti sparano qua e là ", non fosse per le straordinarie scene d'azione architettate da Jung-Gi Kim.
Questo disegnatore è un mostro di bravura. Possiede un innato  senso del dettaglio, della fotografia, dell'azione e della scansione delle scene di forte matrice cinematografica, da megaproduzione. I suoi disegni comunicano profondità, vertigine. Ma al contempo rimangono frutto di una certosina, genuina e strabiliante tecnica manuale. Con uno stile che richiama in qualche modo Otomo e Kon,  davvero sorprendente.
Volete vedere come lavora quest'uomo? Vi do un contributo.

Ecco, questo è un esempio della potenza visiva delle sue tavole. Roba da far schizzare la testa. Muscolare quanto raffinata, ironica quanto realistica. Questo è quello che succede quando a un bravissimo disegnatore viene lasciato un tempo di realizzazione lunghissimo, tipico del fumetto francese. Tavole da urlo, che costano di più ma rendono anche di più per spettacolarità. Questo mi fa pensare inevitabilmente a quanti compromessi debbano prendere i disegnatori dei manga, costretti da una scaletta ristrettissima tra una uscita e l'altra a lavorare a supervelocità. Certo di contro da un progetto di Bande Desinée non trarrano mai una serie a cartoni da tre milioni di puntate, ma in fondo questa non è una gara, quanto la dimostrazione che nel mondo esistono realtà diverse per le nuvole parlanti. Nonchè dimostrazione che Jung-gi Kim spacca.  E in rete digitando il suo nome troverete una marea di altri esempi. Anche applicati a Spygames.


Bene. Ora sapete perché per me dovete correre a prenotare in edicola o fumetteria una copia di Spygames, prossimo volume della collana Prima. Certo il prezzo è sui dieci euro, il numero 2 non so quando prenderà luce o quando arriverà da noi (alle brutte io inizierei a studiare francese pure...) e la storia potrebbe essere solo abbozzata in così poco spazio. Ma questa è esattamente la filosofia da seguire se si vuole iniziare a seguire le Bande Desinée, abituarsi a lunghe attese, magari di anni, e spese più ingenti del solito. Di contro potreste imbattervi in tavole a fumetti bellissime. Roba che vale la pena avere.
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lunedì 22 settembre 2014

Deadpool: sempre più vicino il suo film...


Chissà cosa avevano bevuto Fabian Nicieza e Rob Liefeld. Chissà, magari la stessa cosa che avranno offerto a Daniel Way, Dillon, Cullen, Kelly, McGuinness, Duggan, Posehn, Tony Moore e tutta la gentaglia che ha messo la propria testa matta su Deadpool. Ma il cocktail funziona ancora, nonostante sembri a tutti pazzesco.
Wade Winston Wilson è canadese e un guerriero temibile. Dalla forza considerevole, veloce, letale tanto con le armi da fuoco che da taglio, spietato quanto affidabile. Il mercenario ideale, non fosse per il suo essere un logorroico e insopportabile cretino. Questa perfetta ma intollerabile arma di distruzione però avrebbe avuto vita breve. Un brutto male alla testa, incurabile. A meno di sottoporsi a un'operazione radicale, dolorosissima e senza ritorno a spese del governo canadese. Un trattamento che lo avrebbe reso pressocchè invincibile, la stessa panacea che scorre nel sangue di Wolverine.


La cura magica della rigenerazione dei tessuti. L'immortalità o quasi. Ma dagli effetti collaterali abbastanza disastrosi. Un corpo e un volto perennemente sfigurato alla Freddie Krueger. Un tumore al cervello in stato avanzato in maniera stabile e perenne, inoperabile in quanto "autocurante", che lo ha reso assolutamente pazzo, vittima di momenti di assoluta allucinazione con tanto di complesso da personalità multipla come extra. Senza contare la maledizione peggiore di tutte, quella di avere coscienza di essere un personaggio di carta. Condizione che lo spinge al punto da perdere sovente tempo a parlare con i lettori, Dramma psicologico che lo porta, per attirare in qualche modo l'attenzione dei suoi "autori", a compiere spaventose stragi con vittime gli altri eroi di carta, siano essi disegnati o descritti in un romanzo, con l'unica colpa di essere come lui, ma inconsapevoli, su carta.
Come ha preso questa sua nuova condizione? Con una grossa risata, dandosi un nome che ricordasse sempre il casino, fisico e psicologico, che è diventato per colpa dei canadesi, indossando una bella tutina rossa e nera da fare invidia a Spiderman, ricoperta di un sacco di armi. 


Nessuno del marvel-verso vuole avere a che fare con lui. Perfino le versioni di se stesso provenienti da universi alternativi hanno poca voglia di perderci del tempo. Qualcuno ogni tanto ci prova, qualche ragazza o donna disperata si avvicina, ma poi mollano tutte o impazziscono in modo irrecuperabile e Wade, senza una missione per conto dei "buoni", senza una donna per cui fare la cosa giusta, torna alla sua professione di sempre. Uccidere in modo sanguinolento per soldi, per ogni committente, anche per chi sta dalla parte sbagliata. Ma in fondo Wade è un eroe e se spinto con le motivazioni giuste può fare la differenza e rendersi utile anche all'interno di squadre come i New Mutants,  X-Men, X-Force oppure Thunderbolts. Ma tutto è sempre precario e il mattino dopo Deadpool ritorna in un mondo tutto suo, a mangiare cereali da solo in qualche topaia mentre guarda i cartoni animati, nell'attesa di essere chiamato per ammazzare qualcuno. Cercando di non uccidere per caso il ragazzo delle pizze mentre gioca con le sue armi.


Creato come un mix malato tra Deathstroke e Lobo, impreziosito da una suit fighissima e iconica, Deadpool era programmato per sfondare.
Con la sua testa pazza si può fare di tutto, dal comico allo splatter, dal drammatico al cartoon. E a volte escono pure perle come La guerra di Wade Wilson di Swierczynski, fumetto che dovete assolutamente fare vostro. Oppure storie come il trittico di Cullen Bunn sulla morte, Deadpool Kills, in special modo il dissacrante secondo ciclo, in cui il mercenario, dopo aver ucciso gli eroi a fumetti va a sterminare anche gli archetipi che ne sono ispirazione, i personaggi dei romanzi classici come il Capitano Nemo, Dracula, Achab, Don Chisciotte e Tom Sawyer... se questo non è meta-fumetto...
Senza troppi giri di parole, Deadpool è di fatto uno dei personaggi più amati della Marvel. Nel senso di amatissimo da parecchi ma odiatissimo dai suoi pochi detrattori. Soprattutto da chi cerca eroi a tutto tondo, classici e sempre uguali, sempre astuti e morigerati e non ama i minchioni. Ma noi li amiamo i minchioni, anche i più disperati come Wade.  Deadpool esce dagli schemi, in ogni senso. Fa battute idiote e si comporta sempre in maniera volgare, i suoi fumetti non sono adatti ai più piccoli perché, pur in una cornice abbastanza patinata tipica della Marvel, sono pieni di sangue e allusioni sessuali, comportamenti scorretti e cinismo. Ma pur nel suo essere sempre dissacrante, eccessivo, inutile, pur nel suo rappresentare al massimo la valvola di sfogo di sceneggiatori e disegnatori condannati alle infinite e noiose soap di Vendicatori e Mutanti, Deadpool vende, tantissimo. Ancora oggi. Ma la sua fama già qualche annetto fa superò incredibilmente ogni livello di guardia immaginabile. Ogni fumetto in usicta Marvel aveva addirittura una "variant" di copertina con Wade a fare il fesso.  Tanta fama, tanti soldi. Hollywood ci pensa. Al punto che quando Ryan Reynolds comparve come guest star nel primo film spin-off di Wolverine, tutti iniziarono a trattenere il fiato. Reynolds era l'attore perfetto per fisico e ironia, aveva pure la faccia giusta, l'allenamento giusto, tutte le scene in cui appariva erano fichissime. Tutto spettacolare, pure troppo per il simpatico e nulla più film con Hugh Jackman che fa il montanaro dal cuore infranto. Poi però arriva la parte finale della pellicola. Una bestemmia. La dimostrazione di quanto lo sceneggiatore e regista di Wolverine non avessero capito nulla del personaggio, al punto da compiere quasi l'irreparabile. Al punto di far buttare via ogni possibile sviluppo futuro. Il motivo è comprensibile ma non per questo meno abbietto. Deadpool per Hollywood andava bene come cattivo, come buono era difficile da catalogare, soprattutto sfogliando le pagine del fumetto in cui, con quella faccia mostruosa e il sangue grondante ogni tavola,  squartava dei panda-zombie canticchiando I singin'in the rain.


Ma Reynolds ci credeva ancora, i fan ci credevano ancora. Ma il tempo passava e gli impegni come Lanterna Verde portavano l'attore altrove, cioè verso un film orrribile. Ora  Reynolds dopo il floppone cosmico può tornare a vestire i panni per cui è nato. Intanto Deadpool approdava ai Videogame. Nei giochi rpg degli X-men suggerisce ai giocatori dove trovare le armi speciali, perché lui a questi giochi ha già giocato. In Marvel vs Capcom 3, rivolgendosi ai videogiocatori direttamente guardandoli nel monitor, prende per il sedere i fan del picchiaduro imitando in modo effemminato colpi e versetti di Ryu di Street Fighter. Gente in visibilio.  Poi un videogioco di Deadpool  scarsissimo ma divertente, frutto del lavoro di un team scarso, usciva e faceva il botto di vendite. Anche in questo caso Deadpool sapeva di trovarsi in un gioco bruttino. Senza contare i fumetti, sempre ai top. Quel tipaccio di Deadpool non ha mai smesso di piacere con gli anni, superando agilmente anche gli alti e bassi della produzione, e tra poco la testata italiana, dedicata a lui, a furor di popolo dopo anni di ospitate su varie testate, arriverà a ben 40 numeri. E in America è uguale. Perfino nei più grossi eventi cross-over-trita-palle Marvel uno spazio per Deadpool c'è sempre. Così zitta zitta la Fox, che ha disperso in rete per anni voci di corridoio sul progetto, ha diffuso in rete (è stata lei ma non lo ammetterà mai) questo test per una pellicola stand-alone del mercenario chiacchierone. Un progetto cullato anche da Tim Miller (già dietro alla regia del secondo Thor). Per vedere di nascosto l'effetto che fa, ora che gli X-men sono tornati a rullare.


Sì non è il classico personaggio Marvel. Sì, è decisamente sopra le righe e cretino. Ma voi sapete resistere a una faccina buffa come la sua? Non la vorreste vedere una pellicola con lui, fosse anche una cosa della Troma, casa di produzione che un personaggio simile a lui è strano non l'abbia ancora avuto? Il filmato test è piaciuto. E abbiamo già una data prevista per il febbraio 2016, tre mesi prima di X-Men Apocalypse. E credo che il terzo Wolverine non si lascerà scappare una reunion di vecchi amici, anche se la prima era finita male...
Come indole del personaggio, gli sceneggiatori assicurano alla rete che anche questo Deadpool saprà benissimo di trovarsi in una pellicola, come saprà la fine che gli era stata imposta dal film di Wolverine... un film che non gli era piaciuto...
Purtroppo si dice in giro che il film sarà meno violento del previsto per battere cassa. Maledetti americani. Ma siamo ottimisti
Incrociamo le dita per avere Reynolds, che non ha mai voluto abbandonare il personaggio.


Nel frattempo vi consiglio di recuperare in fumetteria la run contro gli ex presidenti... una chicca...
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sabato 20 settembre 2014

Tartarughe Ninja - Teenage Mutant Ninja Turtles - il nuovo film prodotto da Bay


Sinossi: New York, di sopra. April O'Neil (Megan Fox) sogna di fare carriera nel giornalismo di inchiesta, ma siccome è gnocca Canale 8 preferisce impiegarla in rubriche di ginnastica in cui, insieme a un personal trainer, compie esercizi aerobici su un tappeto elastico. Con conseguente sballonzonamento di tette. I suoi servizi piacciono e il suo cameraman, Vernon (Will Arnett), la paragona nell'ottica del notiziario alla panna sul caffè. Metafora che lo farà andare in bianco. April è desolata dalla situazione ma agguerrita, al punto che sta autonomamente indagando sui traffici loschi che riguardano i cantieri del porto e sembrano coinvolgere una spietata organizzazione criminale nota come il clan del Piede. Se avrà successo potrà magari ambire ad intervistare lo scienziato e magnate Eric Sacks (William Fichtner), un tempo collega di suo padre, ma che non vede da tanto tempo. Dal giorno che il laboratorio biologico è esploso e lei è riuscita a trarre in salvo solo quattro tartarughe da sperimentazione. 


New York, di sotto. Nelle fogne, collegati alla città da un dedalo di cunicoli e scivoli, vivono quattro ninja. Da sempre osservano il mondo di superficie, preparandosi al meglio per diventare abbastanza forti, salire e fare la differenza. Sconfiggere il terribile clan del Piede. Il loro maestro, Splinter, ha insegnato loro a destreggiarsi con delle armi tradizionali orientali, cercando di valorizzare le caratteristiche di ognuno e spingendoli a migliorarsi, rendersi indispensabili l'uno per l'altro. Forse non è ancora giunto il tempo che i ninja vedano il mondo. Il maestro ha buoni motivi per proteggerli, la gente non è ancora pronta ad accoglierli senza discriminarli. Sono dei diversi, il loro aspetto è singolare. Ma i quattro ormai hanno deciso, sono grandi, hanno un grande spirito di giustizia e sulla pancia una bella tartaruga scolpita. 


Ora sono abbastanza grossi da combattere il clan del Piede e Shredder, il suo spietato, corazzatissimo e fortissimo leader (Tohoru Masamune). 
E, come il mondo dei personal trainer insegna, la tartaruga tira da sempre anche gnocca.


I ruggenti anni '80: Essere adolescenti negli anni '80, significava avere in casa almeno un paio dei gadget delle tartarughe ninja. Chi un astuccio o una cartella, chi un pupazzo, chi delle armi di gomma, chi dei timbrini o l'intera raccolta di figurine. Le tartarughe erano anche protagoniste del primo gioco decente da sala giochi della zona, un beat'em up a scorrimento con pulsantiere per quattro persone. Così inevitabilmente parlare di tartarughe ninja fa scattare i ricordi, perché quando ero piccolo, in una forma o nell'altra, loro c'erano sempre. Col tempo scoprii che c'era alla base anche un bel fumetto underground, duro e sanguigno. Lo incrociai sulle pagine di Spawn e Savage Dragon della Star Comics in un episodio crossover. Ma sono rimasto sempre legato al ricordo del cartone classico, al punto che non mi sono interessato delle successive serie animate o dell'ultimo film in animazione computerizzata.  Poi è arrivato Bay con la sua mission di riportare in auge il brand, pomparlo (in tutti i sensi) e farne un baracco colorato, veloce e acchiappasoldi come la saga di Transformers. Per ora i numeri sembrano dargli ragione. In neanche una settimana le sue Tartarughe hanno già reso 5 volte quello che sono costate e il seguito è già schedulato per il 2016. Ma com'è questo film?  Beh, per cominciare direi onore al merito degli ideatori grafici. Le tartarughe non sono mai state tanto fighe e massicce.


Tartarughe ninja 2.0: Il film segue la tendenza moderna del "reboot", la schizofrenica volontà di riscrivere tutta la storia da capo. Così assistiamo a una nuova genesi delle tartarughe e del loro maestro, alla quale si accompagnano anche nuove meccaniche relazionali.  Il lavoro grafico di restyle sui nostri eroi è evidente e principale attrattiva del pacchetto. Una volta le tartarughe erano tutte uguali, non fosse stato per diverso colore delle bandane e diverso armamentario. I disegnatori hanno invece qui cercato di differenziarle profondamente le une dalle altre. Leonardo, che incarna il soldato, indossa abiti che sembrano un remix delle armature dei samurai, con tanto di spallotte e gonnellino. Raffaello, il guerriero, ha una stazza e dimensione muscolare maggiore ai suoi fratelli, cicatrici in volto, una bandana rossa che copre tutta la testa. Michelangelo sembra un rapper, ma nel suo caso la caratterializzazione è in larga parte merito del motion capture. Donatello, da sempre il tecnico del gruppo, ha una corporatura magra, quasi emaciata, ma si porta appresso un mare di gadget. Visivamente funzionano. Meno ispirati gli altri cambiamenti in corso d'opera. I ninja del Piede originali parevano fatti di polvere al punto da sbrindellarsi al tocco delle armi delle tartarughe, la città era piena di vigilanti mascherati e armati con mazza da hockey, gli alieni facevano presto la loro comparsa e la misteriosa sostanza chiamata Ooze creava tantissimi tipi di mutanti diversi, amici e nemici. Ora i ninja sono tutto e per tutto dei tizi vestiti da ninja che quando colpiti vanno a terra, gli alieni non sono ancora arrivati, i mutanti sono solo i nostri eroi. Non è detto che il sottobosco di personaggi del cast originale non possa, se pure in modalità differenti, riproporsi in futuro. La serialità ormai prevede che lo sviluppo narrativo sia per lo più diluito. Ma per me qualcosa qui è venuta a mancare e dispiace: la comicità, anche involontaria, dei "cattivi". Bebop e Rockstady, qui criminalmente assenti, erano dei mostri di comicità involontaria e donavano alle scene un sense of wonder extra: il combattimento tra mostri con battutacce. Nella pellicola è presente ad ogni modo Shredder, ma lo è in una versione diversa dal solito.


Una armatura meccanizzata con lame retrattili, elmo da combattimento cattivo, capacità motorie potenziate. Un mostro. Stupendo da vedere in movimento per tutti i mille dettagli che lo contraddistinguono, devastante nelle scene di combattimento, letale. Solo che questo non è Shredder. L'originale era un tizio con un costume ridicolo che urlava ordini e le prendeva spesso di santa ragione. Un tizio che giocoforza doveva comportarsi da mollusco alla presenza di cattivi più dotati di lui, degradandosi al ruolo di spalla. Shredder si esibiva in una miriade di dialoghi da matto esaltato che lo rendevano ancora più patetico, questa sua versione 2.0 quasi non sembra che parli, agisce con la determinazione di una falciatrice, è incredibilmente grosso e potente, pare ammantato da un alone di immortalità. Un personaggio decisamente diverso. Le scene in cui appare sono bellissime, ma non è lui, questo specie di mega ninja robotico è un personaggio nuovo e un po' monocorde.
Megan Fox è perfetta invece. Nonché una delle dimostrazioni concrete dell'esistenza di Dio.

Lost in translation Personalmente ritengo che il nuovo assetto narrativo impoverisca un po' il materiale di partenza, oltre a non apportare significative implementazioni dal punto di vista della logica narrativa. TMNT parlava di eroi-freak che vivevano nelle fogne combattendo nell'oscurità della notte spaventosi nemici mutanti e ultraterreni. Il Maestro Splinter era, prima della trasformazione, un uomo, un uomo saggio che viveva ai margini del mondo e combatteva a suo modo la sfrenata alimentazione di un suo alter-ego corrotto. Le sostanza mutagene erano terribili quanto definitive, le persone che venivano in loro contatto mutavano e non tornavano più umane. Poi il cartone animato presentava molta ironia, ma c'era di più alla base. Malinconia. Aspetto che viene ahimè sacrificato molto in questa pellicola, ed è un male. Sembra che abbiano tolto proprio quelle piccole cose che davano cuore all'opera in virtù di una narrazione sovraeccitata che si ha paura possa essere già dimenticata a una seconda visione. Una narrazione che condisce di battutine un continuo correre da un luogo all'altro, meccanico quanto un po' prevedibile. Non cercavamo Dickens, ma avemmo voluto avere più tempo in compagnia delle tartarughe bambine, vederle intimorite dal mondo esterno, vedere motivate da sottotrame le problematiche all'origine della loro così diversa caratterializzazione, in qualche modo segno di percorsi di vita differenti. I modelli poligonali raccontano di fatto storie diverse, ma forse sono storie che potremo conoscere solo in una futura pellicola. 


Pur con queste differenze e piccoli difetti da rifinire con il tempo, il film gode di una trama semplice da seguire anche per un bambino, ultra lineare.  Un po' di umorismo che non guasta, tanti colori ed effetti speciali,  un buon numero di sequenze di combattimento davvero spettacolari, roba così dettagliata e veloce che necessita di un paio di visioni per convincere la vostra retina che tutto quel casino è accaduto davvero. Sì. il top è la scena sulla neve, come avrete letto su altri cinque milioni di post sulla rete. La scena della neve tra scivoloni e suv che si spiattellano. Ma c'è anche moooolto altro da vedere e forse le uniche scene un po' deboline da questo punto di vista sono quelle iniziali, dove l'azione è volutamente confusa per non rivelare da subito la fisionomia dei nostri eroi. Se volete divertirvi al cinema, magari con una Coca-cola gigante al seguito e pop corn, il film non vi deluderà, state tranquilli. Portate sereni anche i pargoli, comprategli i modellini magari, così di nascosto potrete giocarci anche voi. E a fine serata pizza per tutti.
Il film non ha grandi pretese. Ben girato, patinato, infiocchettato, sostanzialmente innocuo. Forse così innocuo da non lasciare il segno ma i botteghini sembrano urlarne già ai quattro angoli della Terra il successo. Magari serviva un po' di cuore in più. Magari un po' di cattiveria in più non sarebbe guastata. Il fumetto avrebbe così avuto il suo obolo di sangue.


Ma questo è intrattenimento per famiglie e Robert Rodriguez continuerà a girare i suoi Machete, stando alla larga da tartarughe verdi. Tartarughe che come massimo approfondimento psicologico sanno di essere mutanti, ninja e adolescenti. Ma poco male. Il verde è tornato di moda.
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mercoledì 17 settembre 2014

Le Storie vol: 24 - La voce di un angelo - Storia: Vietti; disegni: Buscaglia


Dicembre 1944, Londra. Sotto una fitta neve il capitano Anderson guarda due bare di fango. Sua moglie e sua figlia. I tedeschi hanno bombardato e quella che era la sua famiglia era sotto la linea di tiro. Due parole con un prete e il capitano è nella sua vecchia casa, seduto sulla sua poltrona a osservare la parete del soggiorno, divelta dalle bombe, dalla quale si possono ammirare solo rovine. In giorno dopo, più morto che vivo, viene svegliato dal sergente Angus e da una tazza di caffè caldo offerta da un caporale. C'è una nuova missione e nulla è meglio che uscire da quel soggiorno.
I tedeschi si stanno facendo forti, sembra che ci sia in giro un'arma di propaganda molto efficace. Una stazione radio dalla quale viene trasmessa, a una certa ora dopo il tramonto, la voce d'angelo di una ragazza  (ehi, sono riuscito a mettere il titolo dell'opera in una frase!!! Non mi riesce dai tempi di Superman 4!...cit. per i più affezionati dei nostri lettori...). Una voce che legge ai soldati tedeschi al fronte delle lettere scritte dai loro famigliari più cari. Persone che però sono tutte morte da tempo.
Insieme a un esperto di telecomunicazioni, il maggiore Anderson e la sua squadra dovranno così paracadutarsi in territorio nemico, alla ricerca della radio e del suo mistero.
Devo essere onesto. la prima reazione alla vista della copertina è stato un sincero "cheppalle". Ancora con gli occhi sul bellissimo numero 24 della collana, temevo una di quelle infinite menate belliche old-school. Sono pertanto felicissimo di essermi sbagliato.
L'ambientazione è abbastanza canonica forse, ma i personaggi e il racconto sono davvero di classe.  La ragazza della radio è un personaggio non convenzionale, eroica quanto innocente, delicata quanto spettrale. Attorno a lei si muovono tutti gli altri attori in scena, quasi condizionati dall'aura che emana. Il capitano Anderson è un personaggio che dovrebbe agire di impulso, per vendetta, ma che davanti a una nuova prospettiva si trova a ritrattare con il suo ruolo, con le sue azioni, arrivando ad una autentica crescita emotiva. A soldati intabarrati e armati si contrappongono i civili, le persone che nonostante tutto vivono la loro vita continuando i loro piccoli riti. Bambini che corrono in una stalla inseguendo una gallina, contadini e orfani disposti a preparare da mangiare a persone che potrebbero ucciderli. Sono loro le persone da proteggere, il futuro da preservare ma molti film bellici se lo dimenticano. Si temono gli esiti più nefasti di uno scontro a fuoco che li coinvolga, ma l'intreccio narrativo va oltre; cerca, e trova, pur dietro pesanti divise nere, una radice di umanità, insacrificabile, che dovrebbe essere normale ma spesso non lo è. E per questo è abbagliante. Vietti, puntando sul cuore e non fallendo, esordisce quindi alla grande sulla testata antolgica come, allestendo quella che a tutti gli effetti è, una favola.
Buscaglia, autore dei disegni, è una nostra vecchia conoscenza per via di Dragonero. Il suo lavoro qui segue e comprende le logiche del racconto.  Muove davvero le corde emotive, puntando molto sull'espressività dei volti, sulla malinconia della neve che cade, sulla costruzione di un ambiente rurale baluardo di una innocenza da preservare. Ma non dimentica l'azione, da sempre il suo pezzo forte anche sulla testata fantasy Bonelli. Azione sempre chiara ed esaltante, armi, mezzi ed esplosioni. Un altro bel lavoro che conferma la sua versatilità.
Un altro numero da avere della collana, differente dagli altri quanto ben realizzato.
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martedì 16 settembre 2014

Orfani n.12: Rock'n'roll - finale di stagione

Ed eccoci finalmente alla resa dei conti! Chi sopravvivrà allo scontro finale? Ma fate attenzione!!! MANEGGIATE CON CURA L'ALBO O RISCHIATE DI FARVI SPOILER DA SOLI!! Con bene a mente questa avvertenza, vi introduco per sommi capi all'albo, come di consuetudine diviso tra passato e presente con una scansione netta di una cinquantina di pagine consecutive per volta, prima il passato poi il presente.
Nel passato è tempo di partire per la grande missione spaziale all'interno dell'enorme astronave a forma di fallo. Ma prima c'è tempo per dei preparativi e in un pomeriggio assolato Ringo si ritrova a scrivere versi poetici su un quadernetto, roba scarsa e banale da pseudo-intellettuale fallito, fesserie  che non lo aiuteranno mai a trombare durante una rassegna di cinema russo. Incuriosita dall'armeggiare di Ringo su un foglio, interviene  Juno che che lo credeva intento come suo solito a disegnare il pene con la faccetta. Valutando la svolta emotiva del compagno, Juno lo bolla come sfigato e se ne va. La sera Nakamura incoraggia i suoi soldatini con il celebre motto: "Noi non facciamo arte... noi facciamo cadaveri" e questo porta incredibilmente bene, considerato che il giorno dopo il convoglio che porta i nostri sul megapene viene abbattuto da generici dissidenti terzomondisti. Rimasti miracolosamente incolumi, i nostri aprono il fuoco sul mal caratterizzato nemico, mentre Boyscout e Pistolero trovano il tempo per ribadirsi a botte un concetto ben noto dal numero 1: si stanno sul cazzo.
Nel presente siamo arrivati invece alle botte finali e al patetico cliffhanger che porta all'inizio della seconda stagione del fumetto, che inizierà direttamente ad ottobre. Chi vincerà?
Chi vincerà lo scontro finale???
Partiamo dai punti positivi. La copertina di Carnevale e le tavole di Mammuccari per i colori della Leoni sono la dimostrazione di un comparto grafico da urlo che fin dall'inizio della vita editoriale della testata non ha mai perso un colpo. L'ultimo numero aggiuge inoltre delle splash-page a tavola intera di fortissimo impatto. L'azione è sempre chiara e brutale come gli ultimi numeri ci hanno insegnato, i personaggi sono caratterizzati visivamente al meglio e le tavole hanno bellissimi e ricercati sfondi. Mi piacciono poi sempre le tavole sul passato con gli orfani bambini ritratti come sulla confezione di una scatola di cereali americana degli anni cinquanta. L'occhio è appagato e corre già a cercare informazioni sul proseguo della saga.
Recchioni invece poteva crederci di più.
L'epilogo della storia, forse troppo influenzato dall'imbastimento del "sequel", è moscio oltre ogni dire, banale e telefonato nello svolgimento, per nulla appagante, privo di un qualsiasi colpo di scena, banale, meccanico, freddo (ma non "freddo figo"). In questo numero, devo essere sincero, riponevo molte aspettative. Volevo dialoghi, seri confronti verbali, anche se "armati", anche se intervallati dal tirarsi granate dietro trincee, che dessero un senso logico a tutta la concatenazione di eventi degli ultimi numeri. Manca un centro emotivo a giustificare le azioni dei personaggi e i nostri contendenti finali falliscono miseramente nell'offrirci ragioni per portarci dalla loro parte quanto per odiarli, divenendo null'altro che burattini funzionali al susseguirsi degli eventi. Probabilmente questo anche in ragione della struttura-limite della serie, la sopra ricordata divisione a 50 pagine delle due linee temporali narrative. La parte nel passato aveva per me poco da dire, al punto da essere "riempita" con un evento stiracchiato. La parte nel presente avrebbe meritato molte più pagine per approfondire personaggi che non smuovono un passo dallo stereotipo, non si giustificano o riflettono mai, non si umanizzano neanche di fronte a lutti inaspettati, bassezze e vigliaccherie, ideali non ben chiari ma sentiti. Solo puro "starsi sul cazzo". Burattini sprecati in una brutta narrazione che nemmeno per un istante pensano alle mani sporche del sangue dei loro compagni. Perfino le tavole a impostazione onirica sono una presa in giro per la loro visione totalitaria del mondo e in questo Recchioni fa forse un pelo di autocritica.
Gli Orfani chiude la sua prima stagione con un numero brutto, insignificante.
Un vero spreco per tanti bellissimi disegni.  Un pezzo Rock'n'Roll, ma sfigato...

Anche se tanto male finisce questo numero, l'operazione "Orfani" nel complesso ci è piaciuta e molte delle atmosfere che la saga ha regalato, anche merito di straordinari artisti grafici, ce le terremo dentro per un po' di tempo.
La seconda stagione si presenta da subito di una banalità offensiva con un interesse alla lettura nullo.
Ma noi non siamo soliti dare giudizi preventivi e una occhiata al seguito lo daremo. E, come sempre, se ci sarà qualcosa di bello, non avremo timore a raccontarvelo.
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lunedì 15 settembre 2014

Dragonero n. 16 - Discesa nell'inframondo


Continua il soggiorno di Ian e compagni nella capitale. Dopo aver sventato l'attentato al principino lussurioso, Ian viene messo in gattabuia dal loschissimo cancelliere Ausofer per la maxi menata che a corte non si può accedere armati e lui per stendere i cattivi ha usato una enorme arma tecnocrate non scoperta all'ingresso, nascosta non si sa dove tra le sue natiche. La pena per il porto abusivo d'armi è ovviamente la morte, ma Ausofer si rammarica della possibilità di non poterla eseguire considerato che il principino stravede per Ian e ora lo vuole alla sua presenza mentre sta frustrando a morte tutta la corte alla ricerca dei traditori.  Distrutto dalla perdita delle sue due mogli e non avvezzo alla calma già di base, il principino sta provvedendo un po' a caso frustrando tutti quelli che gli stanno sul cazzo, ma all'improvviso, subito dopo l'arrivo nelle sale del palazzo da parte di Ian arriva Alben. Il mago ha il potere di riconoscere chi dice la verità utilizzando la magia, privando così il principino del divertimento. La questione è un'altra e urgente. Come sono riusciti i sicari ad avere accesso alle vie del palazzo? Ian allora racconta ad Alben, ben in disparte dagli altri, che il giorno prima nella sua cameretta rosa aveva fatto irruzione in modo misterioso Zhabèle, conosciuta anche da Alben, e non solo, come la lupa di Vetwadart. La nota mignottona locale, lapdancer smutandata, sembra essersi passata tutto il Vetwadart più volte, Alben compreso, prima di diventare la moglie del generale Gurwhal e diventare così una donna aristocratica e di classe.


Ian, in lacrime per il tradimento involontario di Gmor, confessa al mago di essere caduto vittima di Zhabèle prima di poter indossare il pigiamino con annessa cintura di castità di lavorazione orchesca. Il mago, al quale non hanno ancora assegnato la nuova agognata monaca combattente in topless, vuole di corsa andare da Zhabèle perché dall'ultima volta che c'era stato aveva finito la raccolta punti e dovrebbe avere diritto ad una prestazione extra. Al cospetto della lupa l'interrogatorio si fa serrato. Dove avrà mai trovato i passaggi segreti che le hanno consentito di arrivare nella stanzetta del povero Ian per approfittarsi di lui?  Sulla mappa vicino al camino, di proprietà del marito, che se scrutata alla luce del fuoco rivela anche dove sono nascoste le stelline bonus e la spada bastarda + 7.  Per accedere a questi passaggi, di natura mistica, bisogna però attraversare dei cancelli magici che fanno accedere al mondo dove vengono realizzate le copertine dei Supertramp. 

Dopo che la mappa è stata rivelata a corte e si è incolpato della "svista" il marito della Lupa, finalmente il cancelliere Ausofer ha qualcuno da incolpare ed esce di scena ridendo come un cattivo dei cartoni animati. Ora però Ian e soci devono seguendo l'aura mistica dei sicari andare a ritroso e scoprire da dove sono entrati. Naturalmente facendo nuovamente accesso al mondo dei Supertramp.


Al termine del racconto segue una storia breve su Zabèle, nella quale la nostra eroina mostra il suo coraggio e le migliori capacità. Ma cosa è in grado di fare Zabèle sul campo di battaglia? Beh, funziona più o meno come Jillypuff...
Nuovo bellissimo numero di Dragonero le cui cose interessanti da dire partono già dalla copertina, del mitico Matteoni, che ritrae una bellissima Myrva in completino in lattice aderente. La storia, di Enoch, si scopre mano a mano costituire solo un piccolo tassello di un mosaico più grande che con il tempo andrà a delinearsi. La corte è piena di serpi e il principe un odioso pistola, la situazione potrebbe degenerare da un momento all'altro. In più c'è qualcosa di molto grosso all'orizzonte e noi non vediamo l'ora di scoprire le nuove trame. La storia della mappa magica fa un po' acqua da tutte le parti, ma il racconto è avvincente e non mancano alcuni colpi di scena. Olivares si conferma disegnatore eccelso e crea tavole di altissimo livello ricche di spettacolari architetture, personaggi sempre definiti ed espressivi e scene dal forte dinamismo.
Il racconto breve su Zabèle, sempre scritto da Enoch e simpatico e la nostra eroina si dimostra di una grazia infinita grazie ai bellissimi e sensuali disegni di Gregorini.
Un altro bellisimo sumero per il nostro Dragonero.
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