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Sinossi: Nel magico oriente, tra le dune del deserto e i comignoli dei palazzi
arabi, è nascosta la caverna delle meraviglie. È un luogo che cela
incomparabili ricchezze e una lampada magica recante un misterioso potere. Chi
può entravi senza rischio è solo un prescelto, una persona che reca in sé la
natura di un diamante allo stato grezzo. Forse a nascondere queste qualità è
Aladdin (Mena Massoud), un ladruncolo di Agrabah che per un gioco del destino
si incontra e innamora della bella principessa Jasmine (Naomi Scott). La
lampada può avere il poter di farlo diventare un principe per chiedere la sua
mano, ma dovrà fare i conti con il perfido Jafar (Marwan Kenzari), un potente
e manipolatore Gran Visir. Ad aiutare il ragazzo ci sono però una scimmietta,
un tappeto volante e la misteriosa e potentissima entità che vive nella
lampada, un genio dalla pelle azzurra (Will Smith).
- E vai
di Amarcord: C'è una materia importante alla base di questo live-action, ed è
ovviante il film animato del 1992. A tutti gli effetti parliamo di un film
fantasy con Tom Cruise, più vicino idealmente ad un I predatori
dell'arca perduta, fumi magici, fanatici di potere e scimmietta compresa,
che a un Raperonzolo. C'erano gli inseguimenti, gli scontri con le scimitarre,
i templi maledetti pieni di "tracobetti" e gli inseriti grafici in
computer animation Made in Lucas Film stile Star Wars (e parlo di quello
classico, la seconda trilogia sarebbe arrivata quasi un decennio dopo).
Ovviamente a un certo punto la storia virava troppo sul sentimentale, ma
rimaneva comunque un cartone animato più "per maschietti" che per
femminucce, al netto di una colonna sonora grandiosa, anche se in un paio di
casi sdolcinata, ma sempre supportata da scenografie da paura con tappeti che
volano in tre dimensioni. Ed avere un film Disney con protagonista non una
principessa ma anche "un eroe adulto normale" e non un
"bimbetto-frignetto" era all'epoca un vero lusso. C'era stato giusto
Taron e avremmo avuto Hercules solo nel 1997. E per un ragazzino non farsi
trovare per una volta in sala a vedere un Disney con principesse protagoniste
era già allora molto importante! E ho parlato delle musiche? Anche quelle erano
per la maggior parte di argomento "maschile", sull'amicizia e il
potere e non sul principe azzurro e sul lavare i piatti. Aladdin era ed è
tutt'oggi un cartone animato bellissimo. Un colossal di stampo e filosofia
hollywoodiana con bene in testa i colori e costumi dei "film di
sandaloni". Con al centro una creatura folle, libero da ogni schema e
realizzabile solo con l'animazione: il genio. Il genio è un film nel film.
Rompe la quarta parete, fa riferimenti alla cultura degli anni '90, imita
attori, si sdoppia, strizza, scompone, lancia fulmini, coriandoli e crea dal
nulla scenari da quiz show o balletti di Broadway. Il genio c'è solo in Aladdin
ed è la cifra anarchica che rende unico lo spettacolo, spesso il motivo più
ghiotto per una seconda visione. Io il film lo avrò visto dieci milioni di
volte e credo abbia definito un preciso look che ha influenzato negli anni cose
come la saga di Prince of Persia (che nell'edizione del 1989 non è che avesse
poi tutto l'appeal di questo mondo), le Mummie di Sommers e il ritorno dei film
"sandaloni" come i vari scontri tra titani. Ma all'epoca, nel 1992,
Aladdin era per me molto di più, era l'equivalente di una gita da 90 minuti al
parco giochi di Gardaland (i parchi a tema Disney all'epoca erano solo in
America). C'era la caverna che sembrava la Valle dei Re, i voli sul tappeto che
sembrano montagne russe, le sfilate, i pappagalli, la zona bazar con al centro
il celebre self service arabeggiante: il self service Aladino. E questo fatto,
per ogni bambino del 1992 era da andare giù di testa dalla gioia. Ho di recente
visto a Londra il musical di Aladdin, ritrovando tutti i colori, humor e
musiche originali al netto di una trama abbastanza fedele che accennava anche a
qualcosa di inedito (i fratelli di Aladdin). Come i migliori musical di
Broadway.
- Guy
Ritchie alla regia: Si può fare oggi un film di "sandaloni" con
attori mascelloni americani tutti biondi con occhi azzurri che fanno personaggi
asiatici, greci o arabi e portano costumi che "sarebbero di duemila anni
fa" che sembrano bikini o mantelli da super-eroe? Per qualcuno "fa
brutto" e quella che è una ingenuità stilistica passa spesso per
furto/fraintendimento/offesa culturale. Quindi i costumi e gli attori per un
generale politically correct atto a evitare l'onta del cosiddetto whitewashing
devono adeguarsi a un maggiore supposto "realismo". Quindi dell'Aladdin
originale e un po' dell'Aladdin musical bisogna sottrarre qualcosa in tema di
umorismo yankee, stile di ballo e costumi sgargianti, magari scegliendo abiti e
movenze più simili ai musical di Bollywood e giochi di parole più
"internazionali". Quindi invece di un Aladdin che cita graficamente
Tom Cruise nel protagonista quanto Vincent Price nell'antagonista, bisogna
cercare attori più vicini al contesto etnico arabeggiante. Queste scelte
infliggono da sole per qualcuno delle ferite mortali alla riuscita del film,
modificando sensibilmente l'aspetto visivo quanto il feeling. E qui arriva pure
Guy Ritchie, che decide di infondere elementi pur interessanti ma che vanno in
parte a discapito della leggerezza originale. Ritchie, similmente a quanto
fatto per King Arthur e per ogni altro suo precedente film, decide di infilarci
nella realtà più suburbana e criminale dello scenario. Aladdin diviene quindi
un film in cui si fronteggiano due ladri venuti dal basso, il protagonista e
Jafar, alla ricerca di un loro senso speculare di "realizzazione
personale". Il potere è avere un oggetto come un titolo, il modo di
ottenerlo è un "furto", in un contesto sociale in cui le regole sono
graniticamente legate a chi è nobile ed è formalmente giusto ribellarsi.
L'obiettivo indugia nella prima parte spesso su gioielli, bastoni
ornamentali, pietre preziose e altri simboli "materiali" di ricchezza
per poi trasformarsi in un secondo momento in una variante di My fair lady, con
il genio che insegna ad Aladdin il modo migliore con cui "apparire come un
principe". È tutto un balletto tra la "forma e sostanza" del
concetto di potere, che coinvolge presto anche Jasmine, nella forma una
principessa da "vendere in sposa" per ottenere un'alleanza, nella
sostanza un capo politico forte che rivendica giustizia per il suo ruolo
femminile contratto. Anche il genio è una vulcanica espressione di potere, che
a sua volta vive il contrappasso di essere uno schiavo. Anche i "tre
desideri" sono un simbolo della temporalità / fugacità del potere. Sono
temi nelle corde di Ritchie e la sua personale cifra artistica che eleva la
storiella di fondo a qualcosa di più tridimensionale. Peccato che la leggerezza
del cartone animato fosse il suo vero potere, la sua capacità di sintetizzare
in poche immagini e qualche canzone un ragionamento che Ritchie non riesce
proprio a far suo, rimuginando scena su scena in ragione di un
maggiore realismo nella rappresentazione. Servono alle volte più tappeti
volanti di quanti il regista ne faccia volare.
-
Commento finale: l'ex Signor Madonna innesta il suo personale crime-world fatto
di piccoli e grandi ladri, inseguimenti e donne forti nel cuore da 90 minuti
dell'originale film animato Disney del 1992 per la regia di Clements e Musker.
Ne esce un balenottero da 128 minuti. La favolosa colonna sonora di Alan Menken
cerca di sposarsi con i balletti di Bollywood, risultando però spesso
schiacciata su se stessa. La pelle bluastra da genio, che fu di Robin
Williams, prova a rianimare l'ancora simpatico Will Smith, regalandogli, come
ai tempi d'oro, anche dei brani di musica pop - rap adatti alla sua ugola. Gli
effetti speciali e i balletti danno brio alla miscela, le scenografie sono
molto particolareggiate e sontuose, ma la trama risulta forse troppo pesante
alla prima visione (come spesso capita a Ritchie) e il povero Mena Massoud,
che si sforza con impegno di imitare il sorriso beffardo di Tom Cruise che
ispirò l'Aladdin originale, non scalda troppo i cuori e in alcuni frangenti non
è chiaro nelle intenzioni (mentre cercano di ammazzarlo buttandolo da un
balcone pare che rida). Ugualmente è impietoso paragonare il Jafar animato, a
metà tra Vincent Price e Christopher Lee, con l'interpretazione un po' troppo
trattenuta e seriosa di Kenzari. Il resto del cast lavora con diligenza, la
Jasmine della Scott plasma e approfondisce bene il carattere indipendente e
"politico" del suo personaggio (che sposa alla perfezione il
Ritchie-pensiero). I costumi di scena per il sottoscritto vivono troppo nell'indecisione
generale di stare tra la finzione più smaccatamente hollywoodiana (scelta
stilistica chiave del cartone animato) e la ricerca della tradizione di
Bollywood. Come vale per tutti i live-action di Disney usciti negli ultimi
tempi, la visione risulta un compendio molto succoso e
"affettuoso" per i fan, che troveranno approfondimenti sui personaggi
e variazioni musicali dei brani più amati (qui anche con un pezzo del tutto
nuovo per Jasmine). Ma forse si sono persi nel troppo "diluito" e
"umanizzato" la bellezza di quei 90 minuti perfetti e stilizzati del
film animato, il fascino di quei paesaggi dai colori caldi e definiti, il ritmo
sempre incalzante di musica sfolgorante e mai ridondante nonché, infine, la
pura e meravigliosa anarchia grafica del genio creato dalla penna di Al
Hirschfeld, la voce di Williams (in italiano il nuovo doppiaggio poi è
conseguentemente del doppiatore storico di Smith Moneta, con la voce di Marco
Manca per le musiche, e non c'è quindi più Proietti) insieme al team di
animatori capitanato di Eric Goldberg, si è un po' persa. Willie però è
simpatico e gli vogliamo bene.
A volte capita: il Goku Day si è
celebrato il 9/5 in tutto il mondo, con grande partecipazione popolare sui
social. Tra le sorprese di questo evento, l'annuncio, inaspettato quanto
"maldestro", da parte dei canali informativi di Xbox e quindi probabile
al 98%, del nuovo combattente presente nel futuro DLC del fighting game Dragon
Ball Fighterz, che è uno dei motivi per cui Goku oggi è più famoso che mai. Si
parla del mitico, temibile, "diavolo vestito di rosa con gli
scalda-muscoli " Janemba, villain del film Fusion reborn (da
noi "il diabolico guerriero degli inferi"). Ne parleremo a tempo
debito quando la notizia sarà al 100% affidabile.
Il pezzo che state per leggere per il
Goku Day c'era, era pronto. Ma il pc in cui era racchiuso è stato coinvolto in
un rapimento alieno e solo oggi ha fatto ritorno, probabilmente con qualche
sonda misteriosa nascosta al suo interno di cui ancora non siamo consapevoli.
Visto che questo pezzo rocambolesco è già stato rinviato e rimaneggiato più o
meno sei volte, aumentando i chilometri di testo a ogni passaggi, o lo
pubblichiamo oggi o diventa lungo come un libro. Buona lettura a tutti i prodi
e valorosi lettori che si avventureranno nella lettura!
Per
volere della Japan Anniversary Association il 9 maggio è ufficialmente il
giorno dedicato a Goku e al successo della serie a fumetti e animata di cui è
protagonista, Dragon Ball. Dragon Ball è una delle opere maggiormente seminali
degli ultimi trent'anni, per qualcuno è stata l'infanzia, per qualcuno è stata
meglio dell'epica omerica, per qualcuno ha acceso la passione per l'Oriente (nonché lo spunto per studiare proprio quel "Viaggio verso Oriente",
che aveva ispirato Toriyama quanto Matsumoto e mille altri), per qualcuno è
ancora oggi la saga preferita, il videogame più giocato, il pupazzetto del
cuore che sta nella stanza. Si può parlare di Dragon Ball a vari livelli e per
i vari prodotti in cui si è declinato come il brand milionario che
effettivamente e meritatamente è. Quale occasione migliore per uccidervi di
parole con la mia famigerata logorrea?
- E
quindi qui vi beccate il solito preambolo inutile sul mio rapporto con Dragon
Ball, se volete andare alle parti salienti del pezzo saltate felici tutto
questo paragrafo: qualche tempo fa su queste pagine mi sono imbarcato nella
notizia più "pacco" da quando abbiamo aperto questo blog, la
"cospirazione della cancellazione del videogame Dragon Ball Fighterz".
In pratica, due giorni dopo che ho pubblicato tale notizia "calda e
sconcertante", tutto il caso si è sgonfiato, il gioco è vivo e vegeto e ha
già avuto in dote dagli sviluppatori un season pass 2 con nuovi personaggi
disponibili, svelati peraltro a fine gennaio, alle finali di Los Angeles del
maxi evento di E-sport ufficiale legato al gioco, sponsorizzato da Red Bull: il
Dragon Ball Fighterz World Tour. Anche solo a ripensarci oggi, alle
mini-cospirazioni e intrighi vari che hanno messo momentaneamente il gioco
nell'oblio (Leggete qui), mi cospargo di ceneri e vi
chiedo scusa in ginocchio per la supercazzola propinatavi, pur in buona fede e
con tutto l'amore del mondo. Mi ero forse preoccupato troppo e a vuoto. Perché
Dragon Ball per me è amore. Un amore che mi porto dietro da piccino, da
quando lo guardavo su Junior TV e c'era la sigla giapponese, la prima,
leggendaria, "Makafushigi Adventure!", cantata dal grande Hitoki
Takahashi... e non quelle varie merde sonore di Giorgio Vanni venute dopo sulle
reti Mediaset.
Purtroppo sulla storica e sfortunata Junior TV lo vidi
solo di sfuggita e nei folli orari di una folle programmazione da rete locale.
Ma fu amore. Un amore sconfinato per Bulma, per lo scimmione gigante, il
cattivo Pilaf, e il grande Muten. Un amore che si è riacceso quanto nel 1991 a
Nipponia, fumetteria-centro culturale giapponese di Milano, ormai chiuso da
anni, vidi la prima figure di Goku Adulto (da assemblare e colorare). Da
allora toccai con mano i primi film, alcuni in giapponese, alcuni mi pare in
spagnolo (arrivavano direttamente così nelle prime fumetterie che trattavano
gli anime... ricordo che vidi pure, un paio di annetti dopo, il primo film su
Broly all'epoca, dopo pochi mesi che ne ammirai la silouette in bianco e nero,
tratta da un fotogramma dell'anime, tra le pagine del glorioso magazine
Mangazine di Granata Press (quelle erano le fonti, ragazzuoli
miei, internet non esisteva). E fu un nuovo amore la scoperta di Z, frutto della visione di quei film in lingue improponibile o
senza sottotitoli, frutto del carisma che emanavano i Sayan biondi, il
"grande mago Piccolo" (che in effetti detto così fa ridere), quel
nano bastardo di Vegeta. Un amore che aveva per me un po' giocoforza la forma
della sigla in spagnolo di Dragon Ball Z!
"Luce, fuego e destrusione, pel mundo puede esse
la ruina!!" se mi fossi perso anche uno solo di questi film!! Il mio amore per
la saga ha poi nuovamente arso come fuoco vivo quando è uscita la prima
edizione italiana del fumetto, il primo manga "non ribaltato" della
storia dell'editoria italiana (anche se penso che un paio di fumetti erotici
di contrabbando prima ci avevano già provato), che leggevo nel tragitto
dalla stazione alla scuola superiore la mattina presto, intorno alle 7.00,
dalle parti di parco Sempione, per poi disegnare schizzi dei personaggi durante
l'intervallo, quando ancora sognavo di fare i fumetti "da grande". Un
amore che si è fatto quasi pazzia quando ho comprato a Console Generation,
altro storico negozio di Milano chiuso da anni, per Super Nes (lo avevo
americano, funzionava anche come Super Famicon, attraverso uno strano
accrocchio di prese di corrente combinate e con una cartuccia speciale a due
uscite con la "cartuccia-madre" di Street fighter 2), a un prezzo
semplicemente "delirante", Dragon Ball Z Hyper Dimension, che trovo
ancora bellissimo, e Chrono Trigger (preso in versione USA, pagato oro pure
lui, gioco scelto perché aveva il chara di Toriyama, ma che considero a
tutt'oggi, oltre che visivamente stupendo, anche il mio gioco di ruolo
preferito di sempre). Nel frattempo "è successo". Mediaset ha
ri-portato l'anime in Italia, con i nomi dei personaggi cambiati accazzo (perché Oscar al posto di Olong?? Yamcho??? Junior??????), con le censure... e con
le sigle merdose del Vanni.
Le parole disposte in modo cretino, le frasi in inglese
incomprensibile gettate nel testo fin da subito, fa tutto già schifo al primo
ascolto e fa male constatare che moltissima gente ha avuto come primo contatto
questa sigla e giocoforza voglia "un po' bene" a tale abominio
musicale. Un minuto di silenzio. E dire che una volta ci stavano a fare le
colonne sonore dei cartoni animati persone come gli Oliver Onions, i Cavalieri
del re, i Cartoon Kids, Specrta, Massimo Dorati... E poi arrivi tu Vanni, dopo
che siamo ancora provati da "L'uomo pipistrello che si avvolge nel
mantello" di Cristina D'avena... Vanni, di cuore, ma vai a cagare!!!
Riprendiamoci. Allora, Mediaset prende Dragon Ball e di colpo il
"mio" fumetto preferito era il fumetto preferito di tutti. E sapete un
po' com'è... c'è quella strana meccanica di quando sei adolescente e il tuo
gruppo rock misconosciuto preferito inizia a girare sulla bocca di tutti... io
quel cartone animato in italiano l'ho visto poco e male. Il fumetto era fico,
era veloce, era divertente. I film erano divertenti, i videogame erano
divertenti. L'anime, vuoi perché lo trasmettevano e ritrasmettevano in
continuazione, vuoi per il modo diluito in cui narrava i fatti, vuoi per
l'animazione così così, vuoi per le sigle sempre e per sempre merdose del
Vanni, vuoi anche per la pesantezza della voce narrante (che abbiamo solo in
Italia così logorroica!!!), vuoi che da feticista non apprezzavo i cambiamenti
ai nomi dei personaggi... Insomma, l'anime italiano era un po' una cagata. O
almeno così io la percepivo all'epoca e per uno strano imprinting anche
oggi, piuttosto che avvicinarmici, mi ammazzerei. Un giorno tristemente
impacchettavo la mia adolescenza insieme alla fine della saga di Buu tradotta
in italiano, dopo che avevo letteralmente amato le saghe di Freezer e
Cell. Mediaset continuava le repliche, io ero diventato adulto e in
questo Toriyama e Go Nagai (il suo Devil Man a fumetti mi ha cambiato la vita,
è stato come partecipare al concerto storico di Woodstock) mi avevano
"formato" quanto Omero, Dante, Boccaccio, Manzoni, Verga, Leopardi e
Pascoli. Sentii di nuovo parlare di Dragon Ball mentre facevo l'università, si
vociferava di nuova serie tra le fanzine di settore, Dynit garantiva l'home
video.
Dragon Ball GT mi sembrava però sbagliato in tutto,
dalla caratterizzazione dei personaggi alle musiche, a tutt'oggi non ne ho
ancora visti abbondanti pezzi (ma ho recuperato in cofanetto, tipo
"ieri"). E poi ovviamente arrivò il Vanni...
Se per il Vanni con Dragon Ball GT "siamo tutti
qui, non c'è un drago più super di così!", io mi sentivo ancora meno parte
del gruppo. Vecchio. Come quell'assurdo e sbagliato "Goku vecchio
trasformato in bambino", simile a Fantozzi che si tinge i capelli e cerca
di sembrare un ventenne.
Mi sono sentito di colpo, come quel Goku vecchio
finto-giovane, inadeguato al fandom. Negli anni mi sono sentito sempre
più "fuori tempo massimo" e da allora il mio unico e timido ritorno
al brand, è avvenuto con il gioco abominevole Dragon Ball Final Bout per PS1.
Mi aveva fatto sentire quasi "sporco" quell'esperienza videoludica.
Come se con quell'acquisto avessi voluto bruciare dei soldi sull'altare del
marketing più infame, in cambio di pupù. Anche i videogiochi legati alla
serie negli anni erano diventati mainstream, al punto che Dragon Ball
Budokai per PlayStation 2 era regalato con i menù da McDonald's!!! La serie
Budokai non era male, ma ero in un mood tale che ci avrò giocato al massimo
quattro ore. Poi, storia recente, è arrivato Dragon Ball Super di Toyotaro e
Toriyama, anime e fumetto, preceduto dal film Dragon Ball Z la battaglia degli
Dei e dal film La Resurrezione di F. Toyotaro era il primo fan di Dragon Ball,
l'autore di una delle "fan fiction più amate". Toriyama cercava dalla
fine della saga di Buu il modo giusto per proseguire il brand e Toyotaro era
forse l'alleato giusto. Non che i primi passi di questa operazione fossero
comunque rivoluzionari, si partiva come premessa da un timidissimo filmetto il
cui vero scopo era essere una specie di volantino della commissione affari
culturali del Giappone da esportare a qualche convention sullo slow food o da
esporre al salone del mobile di Osaka (storia vera), ma con questo pur
timidissimo film si cancellava virtualmente quell'abominevole GT e si ripartiva
a narrare la storia dalla saga finale di Dragon Ball Z, quella di Buu, come se
nulla fosse. E questo bastava di brutto alla maggior parte dei fan, come
bastava a me: il Goku vecchio bambino era stato cancellato dalla faccia
dell'universo da uno spot lungo sulla cultura del sushi. Qualcosa in me è
risbocciato, la produzione del nuovo corso di Dragon Ball è iniziata
ufficialmente, fumetto compreso, e in un attimo sono tornato il ragazzino del
liceo che leggeva le saghe di Freezer e il Cell Game. Non che Super e compagnia
siano stati degni di allacciare le scarpe alle saghe più storiche e amate di
Dragon Ball, tanto a livello di disegno come di animazione, bene inteso. Molti
episodi proseguivano in modo un po' stanco, gli avversari dei nostri eroi non
erano tutti così memorabili e anche le "trasformazioni" dei Sayan
sembravano più che dei veri upgrade fisici degli estemporanei cambi di tinta da
uno shampista. Anche dal punto di vista narrativo la salsa "più action e
quasi splatter", che saltuariamente nella serie classica faceva capolino
per regalare un po' di tensione extra, sembrava essersi esaurita e si dava più
spazio all'ironia più ingenua propria della primissima saga, rendendo l'insieme
carino ma forse manco troppo accattivante. Ma Super mi ha comunque preso
bene. Forse perché quei personaggi straordinari di Toriyama, dopo tanti
anni, mi erano mancati e nemmeno me ne ero reso conto. Super non inventava
molto, ma arricchiva bene, ti faceva "sentire a casa" (cosa in cui GT
per me falliva). La storia andava avanti appunto dopo la saga di Buu e
recuperava i personaggi più iconici. Se ancora adesso non riesco a empatizzare
con quel tipo assurdo di invincibile gaudente che è Goku (del resto
anche Ruffy di One Piece non è che mi faccia impazzire), tornavo a vedere con
interesse gente come Vegeta, come Freezer, persino C17. Vegeta da "eterno
secondo" stava iniziando a crescere come marito, come genitore, come
possibile nuovo leader di nuovi Sayan. Stava iniziando a fare gioco di squadra.
Sorprendentemente pure Freezer tornava in scena e aveva qualcosa da dire una
volta che sceso dal piedistallo si faceva più sfaccettato, rimanendo sempre
pericoloso, dimostrando in qualche sporadico caso onore. C17 da ragazzino
arrogante era diventato un uomo responsabile e altruista. Certo si può
liquidare queste evoluzioni con un salomonico "sono tutti più
buoni", ma andava bene così, non c'era niente di davvero
rivoluzionario in Dragon Ball Super ma lo storytelling girava bene, i
personaggi si facevano amare e qualche guizzo narrativo ogni tanto
sorprendeva in positivo. Vuoi anche l'idea trita e ritrita (ma si dovrebbe
dire pure "rituale" e "sempre bene accetta") di organizzare
un super torneo o duo, che anche se non originalissima sapeva sempre donare una
onesta razione di azione senza inventarsi troppo e intrattenendo al
massimo.
Poi è
arrivato Dragon Ball Fighterz, realizzato dai geni della Arc System Works di
Guilty Gear, il primo videogame di Dragon Ball dopo una vita intera, dopo Hyper
Dimension, che finalmente vedevo realizzato bene per i miei standard. Perché
era per una volta picchiaduro in stile cartone animato e non una specie di
simulatore di volo in grafica poligonale spoglia. Fighterz riusciva davvero a
nobilitare visivamente e ludicamente il materiale vecchio e nuovo di
Dragon Ball, fino a mandarmi in estasi. Ed era lì che ci sono rimasto male per
il fatto
che il gioco poteva chiudere e mi è venuta la voglia di scrivere quel pezzo. Ed
ecco che siamo ad oggi, alle novità.
Fine del preambolo.
-Dragon
Ball Super: Broly. Se ancora ve lo siete perso, non c'è modo migliore di
celebrare il Goku Day che gustarsi il nuovo film cinematografico. È il terzo
film del nuovo corso, inaugurato con quello spot al sushi che fu La
battaglia degli dei (anche se figura come il primo film ufficiale di
Super), è collocato direttamente nell'arco narrativo di Dragon Ball Super
più recentemente animato, la saga del Torneo del Potere, ed è l'esordio,
nella "continuity ufficiale", del personaggio di Broly, conosciuto e
amato storico villain apparso per la prima volta sullo schermo nel film Dragon
Ball Z: Il Super Sayan della leggenda, del 1993. Broly è sempre stato nella
saga filmica del brand il sayan "più grosso", una gigantesca montagna
di muscoli e rabbia fuori controllo, un gigante di inesorabile potenza,
concepito per riuscire a schiacciare chiunque gli capiti davanti. Una specie di
Hulk, con tanta voglia di menare le mani e con un passato succinto ma preciso.
In un flashback si spiegava la rabbia di Broly come conseguenza di un disturbo
della primissima fase dello sviluppo. Poiché il suo vicino di culla
spaziale, Goku, piangeva sempre e gli rompeva le palle, il piccolo Hulk aveva
sviluppato un inconscio odio verso quest'ultimo. Broly visivamente era
l'espressione di come sarebbe potuta essere la trasformazione fisica più
"gonfia" in Super Sayan, quella per capirci che ha visto lo
sviluppo del "Trunks gonfio" nell'epoca di Cell. In un epoca vicina a
quella di Vialli alla Juve, quando tutti sembravano evolversi in montagne di
muscoli e anabolizzanti come Kenshiro. Per chi è nato negli anni '80 di
Scharzenegger una specie di must, per tutti gli altri, Toriyama stesso (pentito) e il buon senso comune, una esagerazione grafica interessante ma naïf, ma che andava benissimo limitare e magari relegare come "curiosità"
a giusto un personaggio. Appunto Broly. Grande successo, pupazzetti venduti
ovunque, altri due film meno belli sul personaggio, ma comunque di successo, e
tanto amore per lui nei successivi quasi trent'anni, presenza quasi fissa nei
videogame e si arriva a un Broly aggiornato al presente, anno 2018.
E viene fuori che può non essere neanche poi così villain, può non urlare tanto
e incazzarsi tanto, può esserci "un Banner dietro all'Hulk". Il film,
uscito con successo nelle sale anche in Italia, ci mostra un Broly molto più
protagonista che antagonista, molto più umano che bestiale, quasi amabile al
punto di essere inquadrato come una bestia con al suo fianco una
interessata e invitante bella (che ci mostra quanto sexy possono essere
le tute spaziali dell'esercito di Freezer). Insomma, un taglio molto diverso,
anche solo dal punto di vista visivo, del Super Sayan della leggenda. Anche
qui, come per Vegeta, Freezer e C17, tutti "ripescati celebri" di
Dragon Ball Super, siamo in un'ottica di sfruttamento/approfondimento di più
lunga durata e il film assume da subito i contorni di una introduzione del
"nuovo personaggio di Broly", la sua origin story, piuttosto che
essere come rilegato come nei film di Dragon Ball del passato al ruolo sporadico
di cattivo di un evento a sé. C'è molto "World building" nella prima
parte della storia, circa un'ora, di quello convincente ed esaltante, che lega
e arricchisce il passato della saga, sa sviscerare il carisma delle parti in
causa, prepara a prospettive ghiotte di sviluppi futuri. Ci sono guerre,
intrighi, mondi che esplodono, grandi rivalse, pure qualcosa di Shakespeariano.
Poi le botte arrivano, tutte insieme, dopo un siparietto buffo sulle
motivazioni di Freezer e Bulma per evocare nuovamente Shenron. E l'ultima parte
è davvero un lungo e unico combattimento, travolgente, di quasi 40
minuti. E lì si mena, non si parla più, il carattere dei personaggi prende
forma nella loro arte marziale, con un tappeto sonoro sullo sfondo incessante,
tra la techno e il coro da stadio, idealmente vicino al celebre "inno
dance" di Mortal Kombat. Certo i fan storici più integralisti che amano
pensare Broly alla stregua della migliore incarnazione del villain
dragonballesco definitivo, ci resteranno magari male, ma per tutti gli altri
questo nuovo corso, la prospettiva quasi anti-eroica del nuovo Broly,
funziona, ha solide fondamenta, urla "dateci su di lui una saga
spin-off". E la cosa non può che esaltarci. Visivamente il film non è
niente male, la trama è abbastanza lineare ma corretta, si parte un po' lenti
come è giusto, si decolla e verso il finale ci arriva pure a un paio di belle
sorprese (che sono già state rese mesi fa segreto di pulcinella, ma tant'è).
Forse la prima parte e l'epilogo riempiono di più la testa e sollecitano la
fantasia. La maxi zuffa del secondo tempo esalta, ma forse in qualche punto fa
tirare un paio di sbadigli e gli inserti in animazione 3D sono gustosi quanto
svilimenti a momenti alterni.
Di
sicuro vedere questo spettacolo al cinema dà soddisfazione e la ricca platea in
sala con me sembrava più che soddisfatta del risultato (poi tutti i bimbiminkia,
che un secondo prima urlavano in sala esaltati, usciti dalla sala commentavano
"chemmmerda raga!!!" Per darsi un tono, un po' da veri bimbiminkia,
come se fossero stati lì per veder Kubrick e avessero sbagliato sala).
- Dragon
Ball Super, l'arco narrativo del Prigioniero della pattuglia galattica: dopo
l'arco del Torneo del Potere (che ancora tiene banco nel numero 7 della
versione italiana del manga, edito da Star Comics, mentre è già interamente
stato trasposto in animazione), dopo il film Dragon Ball Super: Broly, è
partita una nuova saga in cui il principale antagonista dei guerrieri Z sembra
essere un alieno dal volto caprino potentissimo di nome Moro. E siamo subito
nello spazio, su pianeti lontani ad "ambientazione western" come nel
migliore scenario da pianeta sabbioso con taverna di Star Wars (o saloon da
Captain Harlock). Tra assalti a treni gravitazionali per Juma, scontri all'arma
da fuoco inquadrati come Mezzogiorno di Fuoco e criminali evasi con astronavi
da penitenziari ultra-sorvegliati. La pattuglia galattica crede che per fermare
Moro l'unica possibilità sia quella di risvegliare il Daikaioh, essere supremo
che risiede all'interno del corpo di Majin Buu. E quindi prepariamoci a una
nuova evoluzione - approfondimento dell'amabile Fat Buu. Mi sta piacendo questa
saga, e pure parecchio. Tutto funziona come dovrebbe, meglio che nei numeri
passati sul torneo. C'è molta azione, una bella ambientazione, un po' di
thrilling e sembra per ora lontano l'effetto "mischione" che ha un
po' caratterizzato il manga di Toyotaro. Assolutamente da recuperare la
versione italiana di Star Comics, appena sarà in edicola. Un'ottima occasione
per riprendere in mano il fumetto in questo Goku Day.
- Dragon
Ball Fighterz - il Season pass 2 trova il suo terzo combattente: dopo la
premiazione finale del Dragon Ball Fighterz World Tour è partito il primo
trailer della stagione due del season pass dei contenuti a pagamento del
picchiaduro Bandai-Namco-Arc System Works, in vendita dal 31 gennaio. Sono in
totale 6 i combattenti del pacchetto che andranno in questi mesi ad
aggiungersi ai personaggi giocabili. Due sono già acquistabili nei negozi
digitali, Jiren e Videl, due sono già stati rivelati come le ultime due uscite,
il nuovo Broly e Gogeta blu, due erano ancora avvolti nel mistero fino
all'altro ieri.
Videl è
la terza "ragazza" selezionabile del gioco (le altre due, C18 e C21
sono donne cyborg). Come C18, Videl può usufruire di un aiuto nel combattimento
da parte di un secondo personaggio e nel suo caso si parla di Gohan, vestito
per l'occasione come il suo alter-ego supereroistico Super Sayaman. I due hanno
divertenti attacchi combinati tra cui una super in cui si lanciano in aria per
poi realizzare degli attacchi sincronizzati alla maniera di Shinji e Asuka
dell'episodio 9 di Evangelion (scena poi copiata ovunque e da chiunque). Videl
è la figlia di Mr Satan (Videl è anagramma di Devil), nonché moglie di Gohan
e madre di Pan (eroina di Dragon Ball GT), ed è un personaggio molto amato
quanto poco rappresentato nei videogame. Spesso perché relegata troppo
rapidamente nella storia a "donna di casa", la stessa sorte
capitata a Chichi, tanto nell'anime quanto nel manga. È interessante vederla
come nuova aggiunta ai combattenti, ha delle animazioni fantastiche, fa delle
"monate" molto scenografiche con il Super Sayaman, ma tra tutti i
personaggi da aggiungere dell'intero franchise e ancora non rappresentati non
era esattamente ciò che cercavo. Fossi stato in Arc System l'avrei scelta dopo
altri 90 possibili personaggi. Anzi no, non vorrei apparire troppo femminista,
ma diciamo che probabilmente non la avrei mai scelta in tutta la vita. È
comunque veloce e divertente da usare? No, non lo è, almeno per me. Però è
abbastanza originale e con il tempo magari mi ci divertirò. Ma non credo. C'è
la possibilità di selezionarla con i codini (e in quel caso Gohan compare con
in testa, al posto della bandana, il casco di Sayaman). È più interessate così?
No, per niente, e ti fa ancora più incazzare pensando che "C'è il Great
Sayaman", con animazioni e tutto e non puoi usare direttamente lui.
Jiren (da ren-ji : "caldaia") è il più forte dei Pride Troopers dell'universo
11, una specie di gruppo di difensori della pace con tanto di divisa
rosso-nera. Ha fatto la sua prima apparizione nell'arco di Super del Torneo del
Potere ed è di fatto lo sfidante definitivo, quello più grosso e potente. Jiren
visivamente è un "grigio", ossia uno di quegli alieni con gli
occhioni che dicono ogni tanto si facciano un giro sulla Terra, solo che a
dispetto della corporatura magrolina e idrocefala del "grigio medio",
Jiren è ultra-palestrato e inguainato nella sua tutina da supereroe (ma che fa
anche un po' Star Trek per accostamento cromatico). Idealmente è interessante,
incarna al contempo un alieno quanto un power ranger quanto un supereroe di
tipo americano (tutti i pride troopers richiamano un sacco il corpo delle
lanterne verdi dc), ultra muscoloso e pieno di pose plastiche. Anche il fatto
che sia "duro come una roccia" e profondamente cupo di carattere come
un Kenshiro è interessante. Visivamente e caratterialmente, Jiren (che
comunque mi piace un sacco per la sua diversità rispetto al rato del
cast) forse poteva essere "più interessante", almeno "per
ora" (nel fumetto si accenna a una strana storia che riguarda il suo
maestro e sarebbe interessante approfondire). Non è amatissimo tra molti fan di
Dragon Ball, almeno tra quelli occidentali mi pare, forse perché lo vedono (cosa che effettivamente è) come uno stereotipo molto diretto dei tizi dei comics
americani supereroistici (non considerando che in fondo non è neppure troppo
diverso dalle serie Super Sentai, e quindi "giapponesissimo come
concetto", ma vaglielo tu a spiegare...). Però è grosso (un po' più di
Goku, non certo "enorme" come C16, Cooler o Broly), ha delle mosse
interessanti (non facili da padroneggiare, basate molto su contromosse e
attacchi media distanza) e uno stile unico. Arc System ha fatto davvero un gran
lavoro con lui, replicandone anche le movenze più strane, come il vezzo di
saltare arrotolandosi su se stesso, prediligendo movimenti netti e
plastico/scultorei del corpo, creando barriere respingenti che si
materializzano dalle fiamme dei suoi occhi. Non è facilissimo da usare, regala
gioie solo se si entra nell'ottica di idee di gestire un personaggio con
pattern molto diversi dal solito, più difensivo e spinto sui contrattacchi. È
un po' "per esperti", ma ben venga, può dare soddisfazioni.
Di
Gogeta e del "nuovo" Broly, che arriveranno pare alla fine del
season pass, sono state presentate solo alcune sequenze animate riprese
dall'ultimo film ed è quindi difficile prevedere come saranno i personaggi
finiti per ora. Certo Gogeta potrebbe assomigliare a Vegetto in qualche misura,
ma Broly potrebbe essere davvero "ogni cosa". Nel roster è già
presente il Broly tratto dal film Il supersayan della leggenda, nella sua forma
più enorme, muscolosa ed esplosiva. Forse un po' lenta. Il nuovo Broly potrebbe
essere una versione più piccola e umana, magari in grado di diventare enorme e
hulkesca in limitati periodi di tempo come mossa speciale. Certo se fosse
unicamente un reskin del Broly già nel gioco sarebbe una delusione.
Vedremo.
Infine è
confermato, dopo un paio di mesi in cui si sono seguire informazioni tuttora
parziali sul personaggio, l'arrivo come nuovo combattente nel roster di Kid
Goku, difettante della serie GT. Sì, il Goku bambino vecchio stile Fantozzi
tinto, sarà il prossimo eroe giocabile e sarà rilasciato proprio il 9
maggio, in occasione del Goku Day. È il primo personaggio della serie GT a
essere preso in considerazione dal gioco, alla faccia di chi diceva che
"non può esistere, perché la serie non è canonica" e questo apre
virtualmente la strada per il futuro a un sacco di personaggi, che mi fanno un
po' cagare come background ma sono visivamente fighi e perfetti come
combattenti (cosa che mi fa benissimo perché parliamo di un gioco di
combattimento), come Baby-Vegeta, Omega Shenron, Super C-17, gli altri draghi
ecc. ecc.. Secondo quanto trapelato Kid Goku GT avrà come secondo costume la
classica tuta arancione della serie originale (per renderlo meno indigesto),
pare potrà usare il bastone allungabile classico e possa attingere a tutto il
repertorio di mosse appreso nelle saghe della serie Z, con l'aggiunta di un paio
di colpi iconici della serie GT, compresa la Genkidama finale e la super
kamehameha. Si è fatto mistero, su V-Jump, il mensile che in anteprima ha
pubblicato le prime immagini, su una mossa di livello 3 "segreta".
Per molti fin da subito sarebbe potuta essere una trasformazione temporale (o
"install" in gergo), come quella che muta Freezer in golden Freezer.
Si parlava nello specifico del fatto che con questa mossa il piccolo Goku
potesse mutare nell'adulto SSJ4, con tutto il suo specifico e spaventoso set di
mosse. Il SSJ4 è forse una delle cose più fighe di GT, il fan medio ha subito
sperato di poter splittare velocemente il Goku-baby-vecchio in ragione del
sayan peloso. C'era gente che letteralmente ha orgasmato su questa possibilità,
non nego che pure io sarei in estasi se si concretizzasse, anche perché il goku
versione minchietto non mi esaltava poi troppo di per sé. Se ci fosse la
possibile trasformazione in SSJ4 in questi termini, e questo renderebbe Kid
Goku a tutti gli effetti un personaggio "doppio", credo pure io, a
mani basse, che sarebbe facile il personaggio più fico e divertente da usare di
sempre, nonché il regalo più bello per il Goku day. Ma già dall'epoca della
news non sono l'unico ad avere enormi e spaventosi dubbi sul fatto che
ciò possa realizzarsi, sembrerebbe troppo bello per essere vero e quei
maledetti di V-Jump, anche il mese dopo, hanno rimarcato tale ambiguità. La
trasformazione effettivamente è stata rivelata, ma ha tutto l'aspetto di una
cinematica e non di un set di mosse autonome. Poi è arrivato il trailer.
L'ambiguità rimane e probabilmente solo all'uscita del
personaggio sapremo come sarà effettivamente. Rimane nel season pass 2 ancora
un personaggio misterioso da svelare. Ne parleremo quando sarà rivelato, ma
dubito accada prima di luglio. Nella mia wish list, e ve lo racconto come se
fossi tornato per un istante un bambino di undici anni con cui parlate durante
l'intervallo, al top c'è Janemba. Questo perché, argomenterei con in mano
un tegolino, manca finora nel season pass 2 un vero "villain" e
Janemba è visivamente e per stile tra i più interessanti. Apprezzerei ad
ogni modo tra i villain anche Darbula, Omega Shenron, Vegeta-Baby, C19+C20,
Zarbon+Dodoria. Se capitassero i "vecchietti", cioè Mr. Satan o
Muten, sarei comunque contentissimo, come se arrivasse a sorpresa un Toppo o (e sarebbe un vero colpo di genio) Ribrianne. Ma alla fine mi andrebbe bene
davvero tutto, anche i magari più "scontati" Kefla o Radish, anche
Jaco. Perché appunto spero, come spero che in futuro il Mulino Bianco torni a
produrre il "Soldino", che questo gioco continui ad essere supportato
ancora per tanto tempo, con una terza e quarta stagione da dieci personaggi
l'una. Magari con l'aggiunta di livelli extra come la stanza dello spirito del
tempo e il pianeta di re Kaioh, magari con l'aggiunta di bonus stage da
integrare in una possibile modalità arcade, in cui sia possibile scontrarsi con
mostri enormi come gli Ozaru (magari che si muovono come Galactus in Marvel vs
Capcom 3). Credo che queste ultime cose non servirebbero magari a una fava
nelle competizioni mondiali del gioco, ma il mio bambino interiore, con le mani
tutte zozze di Tegolino, sarebbe felice un botto di vederle.
-Dragon Ball Project Z: ed eccoci al nuovo gioco legato
al franchise di Dragon Ball, in uscita per questo 2019 è che quindi per questo
Goku Day possiamo solo immaginare. Dovrebbe essere un action - rpg in grafica
Cell-shading, dovrebbe integrare più componenti narrative tratte dalla serie Z
(in pratica dalla saga dei Sayan a quella di Majin Buu, ma dai filmati si è
visto giusto l'arco di Freezer), dovrebbe essere fico. Dovrebbe essere fico
perché a lavorarci copra sono i Cyberconnect2, un gruppo di veterani nel campo
degli rpg (la fortunata saga cross-mediale ". hack" ma anche
il simpatico SolatoRobo) quanto nella trasposizione di anime in Game (la
quadrilogia di Naruto Ninja Storm, JoJo All Star Battle), quanto
sperimentatori di curiosi ibridi tra anime e videogame (come il
bellissimo, imperfetto e sfortunato Asura's Wrath). Ci aspettiamo grandi cose,
ma è ancora troppo presto per esprimersi sensatamente, il materiale divulgato è
davvero poco.
Ora
dovrei parlarvi di Dragon Ball Heroes, di Dragon Ball Xenoverse, di Dragon Ball
Legends, magari di Jump Force, che (anche se orribile) ha pure al suo interno
dei personaggi di Dragon ball e dei villain disegnati da Toriyama... ma sono
territori che non frequento e per i quali vi rimando alla rete e agli
appassionati.
Certo fa
strano celebrare il Goku Day.
Certo fa
strano che nel 2019 Dragon Ball sia ancora tanto di moda, quanto al centro di
mille progetti, così come il fatto che lo stile grafico di Toriyama continui ad
impazzare anche su altri prodotti di successo come la saga di Dragon Quest. Ma
tutto questo non può che farmi piacere e farmi tornare un po' alla memoria le
mattine assolate di ormai troppi anni fa in cui andavo a scuola. Forse alla
prima ora ci sarebbe stata l'interrogazione di greco, ma per una buona mezz'ora
ero tra le pagine di Dragon Ball con Goku, sul pianeta Namec, a raccogliere le
sfere per evocare Polunga cercando di non farmi scoprire dal terribile Zarbon.
Buon Goku Day a tutti i bambini attempati e a tutti i bambini autentici che
ancora oggi sognano di volare su una nuvola dorata.
Sinossi: in un mondo parallelo al nostro
dove la violenza è accettata e istituzionalizzata esistono assassini che vivono
come star della TV, famosi e stimati come gladiatori moderni. John Wick, il
"Baba Yaga", "l'uomo nero", il più terribile dei killer (Keanu
Reeves) aveva deposto le armi e la sua brama di sangue per ritrarsi a vita
privata. Ma quella forza quasi mistica non poteva certo placarsi facilmente ed
è bastata una goccia per risvegliare il demone che si riteneva ormai sepolto
dentro un uomo dallo sguardo triste. Il ciclo di morte frutto delle elaborate
danze di sangue di Baba Yaga era ripreso, in un turbinio di lame e pistole,
anche se il lato umano nell'ultimo periodo emerso da quella strana creatura lo
aveva fatto percepire agli altri come debole, manipolabile, pronto da
sottomettere e ricattare. Un grave errore di valutazione di pochi uomini
ambiziosi in grado di sgretolare e distruggere tutto il piccolo mondo parallelo
in cui vivono. La precedente pellicola si chiudeva con tutto il mondo in caccia,
per soldi, della testa dell'uomo nero. Il killer aveva violato le sacre regole
dell'albergo/rifugio Continental, il direttore Winston (Ian McShane) aveva
concesso un'ora di tempo a John per scappare prima di mettere sopra di lui la
più grossa taglia di sempre. Sembrava questione di minuti, il fatto di
abbattere un piccolo uomo che in virtù delle regole violata non poteva più
disporre dei privilegi dei vip-killer: cure, armi e rifugi. Ma tutti si erano
dimenticati del fatto che quel piccolo uomo un tempo era soprannominato Baba
Yaga.
Cardio-action-comics-movie: si fa sempre
più astratto e supereroistico il piccolo e sgargiante mondo action-criminale
nato quasi per caso dalla pellicola low- budget realizzata dalla coppia di
registi stunt-man Chad Stahelski e David Leitch, nuovi re Mida dell'action
moderno (insieme al sodale Tim Miller) con ora a curriculum oltre ai
John Wick, robetta come Atomica Bionda, Deadpool, il nuovo spin-off
di Fast'n'furious e presto, forse, il rilancio di Highlander. In queste teste
matte rivive tutta la follia della anarchica coppia Neveldine/Taylor negli anni
2006/2012, ma forse con meno atteggiamenti interpersonali stile Oasis e una
progettualità più solida e "solidale". Una follia nobilitata anche da
interpreti, ricordiamo Rainolds, la Theron e Reeves (ma anche The rock e
Statham non sono da meno) che si sono buttati nei loro action con tutto il
corpo e la testa, scommettendo sugli stunt in prima persona e sulla
preparazione fisica. In un mondo dove Daniel Craig si rompe una gamba facendo
una corsetta leggera nella produzione del prossimo Bond, attori anche premi
Oscar che si riempiono di lividi buttandosi dai palazzi per un action
commuovono e fanno lacrimare i bulbi dello scrivente. E Keanu Reeves commuove
per quanto "ci crede", per quanto si impegna fisicamente nelle arti
marziali e scommette sul carisma di un personaggio che ormai, sveliamolo, punta
senza troppa vergogna a essere un'immagine alternativa del Neo di Matrix,
quanto lo è Violence Jack per Devilman (mi scuso con tutti quelli che non sono
fan delle opere di Go Nagai e che quindi non hanno davvero capito questa
metafora). Perché ormai siamo "a quel punto" con questa pellicola
numero 3 di "n" pellicole future già programmate (non si parla quindi
di trilogia in questo caso), al punto in cui per sopravvivere la trama si deve
evolvere ancora su qualcosa di scala più vasta. Dopo che John Wick ci ha
presentato un mondo con proprie regole, propri luoghi di potere, propria
moneta, proprie classi sociali, arriviamo anche alla conferma di una peculiare
"religione" e "fisica dei corpi". Tipo che assume un senso
il fatto che Wick dopo aver steso un avversario si premuri di "sparargli
alla testa", come se fosse quello l'unico modo di "uccidere davvero
qualcuno" senza che possa essere curato, "sconnettendolo
neuralmente" dal mondo di John Wick. Siamo davvero "a tanto
così" da Matrix, e non solo per un paio di citazioni gustose e la presenza
nel cast anche di Lawrence Fishburne. Il personaggio di Asia Kate Dillon
ricopre un ruolo che se sarà sviluppato in un certo senso non sarà troppo
dissimile da quello dell'agente Smith di Hugo Weaving. Tra le dune del
deserto, potrebbe nascondersi anche una specie di "architetto". È un
gioco infinito di rimandi, che bene si appoggia per la profondità di analisi e
suggestioni filosofiche annesse alla nostra memoria storica legata alle opere
delle sorelle Wachowski, ma è un gioco che funziona. Una trama che come sempre
pare uscita da un lavoro a fumetti di Brian Azzarello, la scenografia sontuosa,
gli abiti firmati e le macchine veloci, permettono alla nuova pellicola di
Stahelski di essere quello che ha sempre voluto rappresentare al meglio: uno
showcase esaltante di arti e artisti marziali intenti a fare al meglio il loro
lavoro, forniti di tutto l'arsenale che potrebbe sognare un feticista di lame e
pistole. Tra il kung-fu della Hong Kong classica degli Shao Brothers alle sue
"evoluzioni moderne, il "gun-fu"e "car-fu" della Hong
Kong di John Woo. Con un occhio alle arti indonesiane del "vate"
Gareth Evans e senza dimenticare la esecuzione fulminea di lame e le lacrime
dei Twilight Samurai di Yamada (c'è pure un piccolo ruolo per Hiroyuki Sanada)
e del Freeman di Koike/Ikegami portato su schermo da Gans. Forme marziali che
da sole rappresentano universi interiori, come le spade che forgiano l'essenza
del samurai. Non è un caso che nel "pacchetto John Wick 3" ci siano
persone legate alle loro armi quanto ai loro ruoli. Come il grande Yayan
"Mad Dog" Ruhian armato dei suoi cari Karambit a mezza luna, visti
tra gli altri in The Raid. Come Mark Decascos che si affida ad una katana da
samuari, che di recente ha impugnato anche per il videogame For Honor. Non è un
caso che alle arti marziali si alternino, con pari attenzione per
l'esecuzione quanto per le ecchimosi frutto della dura pratica, i balletti
classici della tradizione del Bolshoi. John Wick, ancora di più in questo terzo
film, è una sinfonia di corpi danzanti coperti di ferite e sudori mossi al
ritmo incalzante di un musical. Nessuno si risparmia, tutti si impegnano per
uno spettacolo che non lascia fiato e riempie di pugni e calci ogni minuto.
Reeves dal primo al terzo film è più veloce, più competente, più aggraziato
nell'uso anche delle armi più strane. Non è un caso che al posto di quadri e
scultore il mondo di Wick esponga alle pareti pistole, armature e coltelli e
qualsiasi cosa (anche gli animali!!) possa di fatto essere usata e venga usata
come arma. Le bocche di fuoco preferite dalla pellicola sono le armi a
ricarica, i nemici senza volto della parte finale hanno corpetti
anti-proiettile così pesanti da sembrare armature medioevali.
- Conclusione:John Wick 3 è l'apoteosi
feticistica del film di genere action. Che amiate i film di calci e pugni,
pistole, inseguimenti e spadate, qui trovate davvero di tutto e in proporzioni
generose. Uno spettacolo di acrobati eseguito con passione, tecnica e amore e
abbastanza stile nella confezione da sembrare raffinato come cinema mainstream.
Il composto Lance Reddick (lo vedrei bene in un film di James Ivory), il
sornione e luciferino Ian McShane, la divina Anjelica Huston (qui
davvero straordinaria), il sempre più matto e lunare Fishburne (quasi un umano
gatto di Cheshire), la sensuale Halle Berry e l'androgina, eterea Asia Kate
Dillon (brava, quasi una novella Tilda Swinton!!) donano, con la loro bravura,
ulteriore credibilità al contesto. Reeves alla fine di questa pellicola, con un
colpo di scena potente quanto surreale, spalanca le porte alle future
iterazioni di quello che ormai è un franchise di successo. Se siete spettatori
sensibili e non amate una rappresentazione, pur così
parodisticamente/innocuamente "esagerata" della violenza, è
decisamente un film da evitare. Così come è da evitare se cercate qualcosa che
per profondità vada oltre a un magnifico fumetto colorato di supereroi o
simili. Non si può pretendere Shakespeare da persone intente a danzare come
forsennati per due ore filate, godetevi il balletto e portate i popcorn.
Jeff Fowler, il direttore del reparto animazioni di Nel Paese delle creature selvagge ora passato alla regia, ha deciso
di regalarmi altri incubi notturni con questo spaventoso Sonic umanizzato ultra
creepy. Bisogna riprendersi un attimo dopo la prima, ma anche la seconda, terza
e quarta visione del trailer. Poi ci si concentra sul paesaggio,
sugli attori umani, su quel roboante "dai produttori di
Fast'n'furious" che sembra per connessione neurale la più ovvia e giusta
delle idee. Allora inizio a pensare positivo. Degli otto tizi che sono dietro
la sceneggiatura, scopro che almeno uno, Oren Uziel, ha scritto roba
interessante come Freaks of Nature, 22 Jump Street, The Cloverfield Paradox ed
è pure accreditato, già ora, alla sceneggiatura di Detective Pikachu 2. Il
cast, tra cui volti abbastanza poco-noti come James "Ciclope"
Marsden, Neil "l'ho visto in mille film" (era anche Dum Dum Dugan in
Captain America) McDonough, mi regala poi con un tocco di genio, surreale e
inaspettato, una gioia/sogno proibito: Jim Carrey. Jim Carrey, che
diventava noto al grande pubblico nei panni di Ace Ventura l'acchiappa-animali,
impersona qui Ivo Robotnik (per i nippofili il Dr.Eggman), lo scienziato che
acchiappa gli animali per trasformarli in robot da combattimento e dominare il
mondo. E allora questo Sonic the movie magari mi può conquistare, anche se
vince subito facile la trasposizione da videogame con personaggio animato più
brutto di tutti i tempi. E oggi ogni ora che passa rivaluto il Super Mario Bros
con Bob Hoskins, da gustare magari in combo con Brazil, per fare un po' gli
hipster... ma torniamo in tema. Visualizziamo: Sonic The Movie come Ace Ventura
3, con inseguimenti e look visivo da Fast'n'furious, idealmente nello stesso
girone infernale delle guilty pleasure come le nuove ( e già
decadute) tartarughe ninja o i criceti spie alla G-Force della Disney. Magari (come appunto per le Tartarughe Ninja e G-Force) con un "tocco di Transformers", a rendere più tridimensionali e succulente le creazioni
robotiche del perfido scienziato. Chissà! Ho paura che esca come Monster Trucks
di Wedge... nel senso che possa uscire direttamente in home video per tamponare
il disastro di una nuova bella idea gestita male, ma voglio aspettare di saperne
di più. Magari nel frattempo mi faccio una partita ad uno dei giochi più fighi
della mia infanzia...
Siamo
tutti un po' ragazzini, da queste parti sul blog, quando parliamo di Mortal
Kombat. Anche se siamo già adulti da un sacco di tempo, questo gioco ci smuove
passioni "pruriginose". Il senso del proibito che emana
questo titolo da adulti attrae da sempre generazioni di ragazzini,
spesso al di sotto della soglia di età richiesta dalla censura. Ci attirano la
violenza visiva (anche se ultra-eccessiva al punto da essere parodistica), i
contenuti più sessuali (anche se sono solo un paio di bikini succinti), il
tema della lotta tra bene e male (anche se è affrontato come una faida tra due
schieramenti di lottatori non dissimile dalla "trama" di una stagione
di wrestling). Mortal Kombat è così eccessivo da essere innocuo. Davanti agli
occhi di un ragazzino però è davvero roba mitica.
Donne succinte e splatter, un po' di epica, mostri a
quattro braccia, ninja, uomini serpente e Christopher Lambert. Un tempo, anno
del Signore 1995, con la regia di Anderson pre-Resident Evil, pre-Event Orizon,
pre-Death Race, Mortal Kombat è diventato un film di successo e pure una hit
musicale da discoteca quasi tuttora intramontabile.
Ma facciamo un passo indietro. Oggi parliamo della
"sensualità in Mortal Kombat", analizzandola come uno dei (presunti)
"pilastri del proibito" in virtù dei quali il gioco potrebbe di fatto
avere il seguito di fan che ha. È un po' un delirio e un po' una supercazzola,
come molti dei pezzi che scrivo per voi alle due di notte. Partiamo.
Quando uscì il primo Mortal Kombat, gli oggi storici e
un po' mitologici sviluppatori, Ed Boon e John Tobias nel 1992, lavoravano
per Midway, la casa di Rampage (da cui il brutto film recente con The Rock),
ed erano nel pieno della fase storica di maggiore sperimentazione dei videogame
con grafica digitalizzata, con NBA JAM che sarebbe uscito nel 1993.
La digitalizzazione è un processo che permette a
partire dalle foto di attori veri (o da modellini) di imbastire in sequenza,
frame by frame, delle animazioni di gioco. Se la grafica pixel, quella dei primi
Street Fighter per intenderci, ha molto più a che fare con la tecnica del
disegno a mano (cosa che si sta peraltro recuperando oggi con il cell shading
che rielabora su base tridimensionale, come in Guilty Gear Xrd e Dragon Ball
Fighterz), la grafica digitalizzata cerca di convertire al Game una tecnica più
"cinematografica". Il gioco di combattimento Pit-Fighter di Atari
aveva nel 1990 fatto scalpore più di altri prodotti simili che sfoggiavano
questa tecnica, per il fatto di calare i giocatori in una atmosfera da film
action b-movie anni '80. Roba muscolare, esagerata, scorretta e
ipersessualizzata, tra il wrestling e il combattimento da strada, con l'appeal
generale di una serata particolarmente truzza davanti alle peggiori discoteche
di provincia. Gente mezza nuda che urla, birra ovunque, tre metallari e due
punk, ci stava benissimo (nel senso che non c'è ma se c'era era ok) come
colonna sonora un pezzo a caso dei Baltimora tipo Woody Boogie, oppure qualche
b-side di Michael Sembello.
A monte di una grossa progettualità e investimento di
risorse Mortal Kombat arrivò a costare il doppio rispetto agli altri cabinati
da sala giochi. Venne ripreso un certo appeal da Pit-fighter, Boon e Tobias
rielaborano un po' la tecnica e fecero sembrare gli esseri umani digitalizzati
qualcosa di meno simile a delle scimmiette salterine in bianco e nero. Certo a
dirlo oggi sembra strano, ma vedere su un cabinato delle scene di presentazione
che sembravano uscire da un film, anche se in definizione
laidissima, per l'epoca era roba da orgasmo multiplo. E Mortal Kombat ce le
aveva! E pure "attori veri!!".
Soprattutto decisero di ficcare dentro al loro titolo,
oltre a questo "digitalume" (per certi aspetti anche amabilmente
trash), un marasma di roba nerd citazionista che guardava ai film di
Bruce Lee quanto a Grosso Guaio a China Town, Predator, tanto Van Damme e
Michael Dudikoff. Tutta roba che Quentin Tarantino e in genere ogni ragazzo
cresciuto negli anni '80 poteva volere da un intrattenimento digitale in
ambito di sesso, droga e rock'n'roll. Nasceva così una roba psichedelica e
ultra-splatter che ambiva a collocarsi permanentemente nei cuori come gli amati
film horror vietati ai minori che trasmetteva su Italia 1 lo Zio Tibia dopo
Festival Bar. Se il rock'n'roll e la droga erano rimpiazzate/surrogate dal
furioso ritmo di gioco e dall'atmosfera mistico-psichedelica, di sesso non ce
n'era però ancora tantissimo, in quel del 1992. C'erano una masnada di uomini,
alcuni mezzi nudi, ma di donne giusto una "eccezione meritevole",
inserita all'ultimo per evidente mancanza di genere femminile (si racconta che
per introdurre il personaggio si sacrificò "Stryker", che esordì solo
in Mortal Kombat 2).
Il principale personaggio femminile del
picchiaduro, Sonya Blade, era ispirata nelle forme e pose all'attrice
marziale Cynthia Rothrock. Con quella specie di tuta da palestra alla Jane
Fonda che indossava, era decisamente diversa e "interessante" (personalmente non la trovo nemmeno troppo "sessualizzata") rispetto a
quelle "combattenti mezze nude" che già imperversavano in altri
giochi di combattimento (in realtà pochissime e per lo più pure loro
copertissime). Con Mortal Kombat II, del 1993, arrivarono come
rappresentati del gentil sesso le più "scoperte" donne-Ninja. Le
mitiche Kitana, Meelina e Skarlet.
Non è che potevamo parlare ancora quindi di "donne
troppo scoperte". In compenso in Mortal Kombat 3 nel cast femminile
trovarono posto anche la quasi punk-Queen, un po' milf e un po' Crudelia, Syndel, ma soprattutto la mitica Sheeva. Sheeva era una
guerriera della razza Shokan, a cui appartenevano altri storici personaggi
della storia di Mortal Kombat, Goro e Motaro. Erano creature primitive e
muscolose, con 4 braccia, tre dita per mano, aria cattiva. Erano combattenti
tostissimi, che andavano in giro mezzi nudi come i barbari dei racconti fantasy.
Sheeva era il primo Shokan ad essere giocabile, gli altri in sala giochi ti
picchiavano e basta, in genere picchiavano molto duro. Non si poteva usare
Sheeva nelle versioni console perché era un personaggio troppo difficile da
convertire (e in effetti l'home computer gaming all'epoca era un piccolo
martirio). Se Goro e Motaro erano un inno e omaggio alle creature fantasy dei
film di Larry Harryhausen, pupazzi realizzati con l'animazione della tecnica
passo a uno, pur mantenendo una certa cifra "grottesca" Sheeva
risultava una figura femminile molto sensuale, una specie di culturista dal
corpo sproporzionato ma armonioso e attraente, anche grazie al generosissimo e
striminzito costumino che ne copre del corpo giusto nelle parti più intime. Ma
sarebbe stato strano vedere Sheeva vestita diversamente, gli Shokan hanno una
visione della moda tutta loro
Arriviamo all'era del "primo 3D" di Mortal
Kombat. Messe in soffitta le foto e filmini di modelli e pupazzi, Boon e socio
sperimentarono i primi rudimenti di picchiaduro in 3D. Il focus era ancora
sulla valorizzazione dei movimenti del corpo (probabilmente grazie al motion
capture), lo sviluppo dei vestiti non permetteva ancora particolari
raffinatezze e si limitava quindi a completini molto aderenti o squadrati male,
con pochi elementi di vestiario adatti a essere mossi dall'azione legata al combattimento. Visivamente i personaggi maschili erano un
po' inquartati in goffe armature decorative (che nascondono goffe
articolazioni), mentre i femminili erano tutti molto simili, un po'
standardizzati/stereotipati e cartooneschi nelle forme, ma avevano comunque
quella sensualità da Lara Croft prima maniera, che su qualche rotondità
di fatto indugiava, giocando sulla fluidità delle animazioni ma anche sulla
sinuosità della colorazione metallizzata dei (pochi) completini con cui erano
vestite. È da qui che Mortal Kombat è sempre più diventato uno scenario
ideale per vedere belle ragazze digitali in costumi da bagno più che in vestiti
adatti alla lotta. La bella "Ninja verde" Jade, con il suo costumino
striminzito, guanti e stivali con tacco e vezzoso mascherino ninja era in
pratica una combattente con l'animo della lap-dancer ultra sexy. E il palo da
lap-dance era la sua arma.
Da qui Mortal Kombat, complice se vogliamo la
difficoltà di creare al meglio i tessuti dei vestiti femminili dei personaggi
3D (evitando cose grottesche alle volte come le gonne che sembrano
"origami"), ha in effetti un po' sessualizzato soprattutto le
sue ninja (al netto di una laracroftizzazione che ha toccato pure la tenuta
militare di Sonya). Che poi le Ninja sono già di loro personaggi super sexy in
tutti i picchiaduro, compresa Ibuki di Street Fighter che peraltro usa
vestiti molto più castigati.
I
comandi di gioco in ambiente 3D risultarono alla fine un po' scomodi, la voglia
di sbattersi nel fare un buon gioco andava e veniva, con l'impressione generale
che si lavorasse un tanto al chilo. A un certo punto in Mortal Kombat si arrivò
non si sa come, a programmare come extra del gioco principale roba come quella
qui sotto documentata.
Oltre al super go-kart, brutti spin-off di genere
action adventure che ho i brividi anche solo a citare. Tutto crollò a picco,
Tobias andò per altri lidi, Mortal Kombat andò in stand-by fino a che si
apprestò a rinascere a nuova forma con un nuovo investitore.
Si
arrivava al nuovo corso di Mortal Kombat, con il capitolo "9" del
2011, con alle redini solo Ed Boon che si ergeva a capo del nuovo studio
"Netherrealm", per la produzione di Warner Bros Interactive
Entertainmant.
Ora la
tecnologia 3d riusciva a creare oltre che modelli 3d più convincenti anche
figure femminili meno stereotipate e più simili alle attrici digitalizzate dei
primi episodi. Ora gli sfondi abbandonavano una impostazione tridimensionale
libera (diventando subito così dettagliatissimi e meno confusionari da
affrontare), scegliendo le "2 dimensioni e mezzo" che sposavano
appunto il 3D dei personaggi e sfondi con movimenti e meccaniche più legati ai
giochi di combattimento 2D. Potevano quindi essere in qualche modo
ri-considerati i personaggi femminili, ora che la tecnologia permetteva
maggiori dettagli, compreso il fatto di animare in modo dinamico gli effetti sui corpi e vestiti di ogni colpo e taglio? O le "Ninja in
bikini" ormai erano standard accettato e selling Point di Mortal Kombat
quanto le fatality splatter e il contesto da b-movie fantasy? Nel dubbio, Ed
Boon e soci presero questa strada...
Skarlet era davvero "Mortal Kombat all'ennesimo
potenza". Un personaggio tanto splatter (in pratica è "fatta di sangue
vivo") quanto sexy (micro - bikini rosso fuoco, il vestito più sexy fra
tutti nella serie). Sembrava ancora più convincente come "stripper
combattente" di quanto lo fosse Jade nei primi Mortal Kombat 3D. Forse per
via della fatality che faceva tanto Flashdance.
In quel
periodo Warner Bros Interactive, dopo l'ottimo rilancio di Batman Arkham Asylum
realizzato da Rocksteady Interactive, del 2009, si stava riscattando da una
carriera produttiva un po' moscia, giochi branderizzati Lego a parte. Aveva
investito tantissimo sul rilancio di Mortal Kombat, già dai primi trailer e
demo era evidente lo sforzo e la qualità produttiva, di sicuro puntava a
preservare il brand come lo conoscevano i fan. Poi arrivò Injustice, sempre
commissionato a Boon e al suo NetherRealm, un "Mortal Kombat senza sangue
e senza donne svestite con protagonisti i personaggi dei fumetti DC
Comics". Un'idea che non andava troppo lontano dall'interessante (ma
criticato già allora per assenza di sangue e "tette", per usare un
termine tecnico) "Mortal Kombat vs DC universe" del 2008, prodotto da
Midway sotto le mani di un Boon ancora già nel ruolo di leader del gruppo di
sviluppo interno. Ma un'idea che si aggiornava al motore del Mortal Kombat del
2011, visivamente anni luce in avanti. Era inevitabile il successo. Da allora
Boon a periodi alterni si è occupato di nuovi capitoli di Mortal Kombat o di
Injustice e quindi diveniva progressivamente inevitabile che i due brand
iniziassero ad avvicinarsi sempre di più anche a livello concettuale. Se lo
storytelling di Mortal Kombat ha abbracciato anche la prospettiva
dell'incontro "generazionale" (sviluppando il buon seme
narrativo proprio di Mortal Kombat vs DC Universe, già approcciato
ulteriormente in Mortal Kombat 9), presentando sullo sfondo dei combattimenti
le vicende di genitori e figli impegnati nella eterna lotta tra bene e male
(che è uno dei cavalli di battaglia classici dei fumetti DC Comics), era
inevitabile che qualcosa di Injustice influenzasse anche Mortal Kombat. Anche
perché, svelando l'inevitabile velo di ipocrisia, al di là della differenza di
target di utenti cui i due prodotti sono formalmente destinati secondo il visto
censura che sfoggiano in copertina (Mortal Kombat "vietato ai
minori", Injustice "per tutti"), i giocatori di entrambi i
prodotti sono gli stessi. E Warner Bros ovviamente sa questa cosa e ci gioca,
come nell'ultimo film su Shazam, dove il "supereroe bambino" come
primo atto di "essere diventato grande" gioca con un suo amichetto a
Mortal Kombat (siamo lontani dai tempi in cui Renato Pozzetto, in Da
grande, come segno di essere diventato adulto voleva "Il Lego
grande").
E
torniamo a Skarlet, personaggio fatto di sangue, bikini e pelle gioiosamente,
spudoratamente esposta... vediamo come appare da Mortal Kombat 9 al nuovo
Mortal Kombat 11 uscito il 24 di aprile di questo 2019. Vediamo il suo nuovo
"set di vestiti" selezionabile, giusto per vedere se nel suo camerino
ha ancora stivali rossi e micro-bikini allegato...
C'è da dire che dal 2011 al 2018 il passo in avanti
nella modellazione dei corpi, vestiti e volti, è pazzesco. Skarlett sembra una
attrice vera, con tratti etnici e somatici riconoscibili, forme realistiche e
un suo preciso carattere e sex appeal. Tuttavia i vestitini e bikini sono
spariti del tutto in ragione di abiti ultra-coprenti. Allo stesso modo con cui
il vestitino sexy di Miss Marvel si è trasformato nel competo quasi integrale
da motociclista di Captain Marvel nell'ultimo film Marvel-Disney. Oggi
presentare personaggi femminili con troppi centimetri di pelle esposta è
"male". E ciò che si può dire per la nuova caratterizzazione di
Skarlet vale per tutte le donne di Mortal Kombat 11, per una scelta motivata
dal produttore stesso, nel senso di creare "figure femminili più reali e
meno stereotipate". La cosa può forse sembrare ancora più strana, se
vediamo come i personaggi maschili siano tuttora rappresentati da parecchi
uomini mezzi nudi.
Niente
sesso, "siamo moderni".
Se
nasceva fieramente come "piacere proibito per adulti" (che poi non
erano cosi adulti), Mortal Kombat sta ora passando "dalla serie b alla
serie a" anche a livello di contenuti. Si sta "laccando", sta
diventando mainstream e quindi cerca di essere più accettabile per
tutti. Anche perché condivide sempre più personaggi con Injustice (che usano
più la magia che le mosse splatter). Così le combattenti digitali sono
corse a coprirsi di corazze di foglie di fico, aspetto che per me non pesa
forse troppo, perché il Mortal Kombat degli inizi aveva appunto una sessualità
piuttosto blanda. Certo posso capire che la cosa pesi su quanti sono cresciuti
con le versioni di Mortal Kombat più scollacciate, è in effetti una censurata
questa nuova visione del brand, oltre ovviamente che una
modernizzazione.
MA è un altro l'aspetto di Mortal Kombat che presto credo sarà
soggetto di modernizzazione più profonda: la componente splatter
dei combattimenti. Da sempre il gioco presenta delle mosse finali, le
cosiddette Fatality, con cui è possibile letteralmente fare a pezzi
l'avversario sconfitto, nei modi più perversi ed eccentrici possibili. Da
quando le storie che riguardano lo sfondo dei combattimenti di Mortal Kombat,
(dal capitolo 10 per l'esattezza, il capitolo che ha seguito il primo
Injustice) hanno iniziato a mettere sul ring genitori contro figli (o fratelli
contro fratelli), per molti giocatori è iniziato a sembrare sempre più
inaccettabile che tra personaggi con questo legame si potesse di fatto
realizzare, pur per finta, pur per gioco, pur in modo de tutto opzionale e non
necessario, una Fatality. Allo stesso modo, in questi giorni YouTube sta
oscurando, con la richiesta obbligatoria di accesso ristretto ai
maggiorenni per la visione, ogni filmato di Mortal Kombat 11 che riguarda
l'esecuzione di una fatality. Le fatality sono sempre più scomode. E Injustice
(sempre più la Coca zero di Mortal Kombat) è lì, con le sue "mosse finali
non violente" a dare una risposta al possibile contenimento di questo
ulteriore aspetto caratterizzante di Mortal Kombat. Il passo da fare è breve e
fattibile, probabilmente sarà pure indolore. Ma in questo modo un altro tratto
esagerato quanto specifico di Mortal Kombat andrà, prima o poi, a cadere.
Presto un gioco di Mortal Kombat avrà molto più in comune con i film di
supereroi che con i film action del passato. Non che vedere Subzero che estrae
da un nemico sconfitto la colonna vertebrale abbia un profondo valore
simbolico, formativo o filosofico, bene inteso. Era solo un'amabile stronzata
che richiamava al film Predator (Predator che oggi è un personaggio extra di
Mortal Kombat XL, da citazione è diventato "cover autorizzata"). Forse
presto genitori e figli giocheranno insieme a Mortal Kombat, mentre noi quando
eravamo piccini facevamo una fatica boia a nascondere quel "gioco
proibito" dagli occhi dei nostri genitori. Perché quel gioco era
"nostro" quanto proibito, come svegliarsi di notte, bere coca cola e
stare a vedere un horror fino alle due del mattino. Roba da ragazzini. E
qualche madre al posto di comprarci quel gioco, ha pure tentato di limitare la
nostra "violenza interiore e voglia di essere adulti", propinandoci
un gioco di golf