giovedì 31 maggio 2018

Hotel Gagarin: la nostra recensione




Il professor Speranza (Giuseppe Battiston) insegue la "speranza" di andare lontano dal liceo romano in cui insegna storia e dirigere un film importante sulle sue origini (da parte di nonno) armene. Il "paradiso" per il dott. Paradiso della truffaldinamente inventata Tindaro Productions, è riuscire a intascare, con l'aiuto di un politico compiacente, delle sovvenzioni europee che si attiverebbero iniziando le riprese di un film italiano in Armenia. Non serve per intascare che il film arrivi a conclusione, basta che "parta". Così l'intrallazzatore, con l'aiuto di un suo "generale sul campo" (Barbara  Bubulova), manda in Armenia una piccola armata brancaleone cinematografica, per lo più composta da gente disperata incontrata per strada, allo scopo di fare i primi sopralluoghi della fantomatica pellicola. C'è un elettricista (Claudio Amendola) che è pronto a riciclarsi come tecnico luci, c'è un fotografo un po' troppo fumato è pieno di debiti  (Luca Argentero) che potrebbe essere un ottimo direttore della fotografia "perché ha la faccia giusta", c'è una ragazza un po' coatta e un po' evaporata che si prostituisce in periferia che avrebbe la faccia giusta per la protagonista di Speranza, una giovane donna armena con una forte empatia per i cavalli. È tutta una truffa ma Speranza ci crede così tanto che parte anche lui, trovando in Armenia anche un paio di membri extra per il team, una ragazzina punk incinta e uno specie di "sherpa" che parla una lingua incomprensibile e veste pesantemente con delle pelli di animali pelosi vari. Destinazione come "base riprese", l'hotel Gagarin, avvolto nel niente artico a due passi da una centrale nucleare. Dopo un mese scoppia la guerra e la troupe è costretta a stare in albergo, poco dopo si scopre la truffa e il produttore Paradiso scappa in un paradiso fiscale, segnando tutti i contatti con quei disperati che un po' si dispereranno, un po' si innamoreranno, un po' si perderanno tra la neve  e un po' scopriranno su se stessi cose che non sapevano. Incredibilmente, inizieranno tutto a lavorare insieme alla ricostruzione del teatro abbandonato collegato all'hotel. Poi arriverà qualcosa che finalmente accenderà la speranza che tanto stava "attaccata" al nome del professore. Da un villaggio vicino arriva un omino che dice di aver sempre voluto essere Yuri Gagarin. L'omino chiede alla troupe cinematografica se può realizzare il suo sogno e loro fanno "qualcosa": tra assi e trucchi di scena e un po' di green screen, l'omino si sente in un sogno in cui lui impersona Gagarin. Felice, l'omino diffonde la voce che all'hotel Gagarin realizzano sogni. Il giorno dopo tutto il villaggio fa la coda per farsi realizzare dalla troupe italiana il proprio sogno personalizzato. 
C'è un'idea di cinema escapista controvoglia che ci rimanda al Mediterraneo di Salvatores, con analoghi eroi dimenticati" che ritrovano un senso alla propria esistenza in un paese lontano dall'Italia. C'è un'idea di cinema che intesse i sogni con tanta buona volontà e cartapesta che rimanda ai geniali e "analogici" film fatti casa del Be Kind Rewind di Michel Gondry. Nel mezzo c'è un po' di confusione generale sulla giusta direzione da dare alla pellicola, che la fa perdere lo spettatore  in sotto-trame poco sviluppate  e non gioca bene, se non letteralmente nei "titoli di coda", la carta surreale alla Gondry. A sovrastare il tutto, una colonna sonora invadente che cosparge di melassa e uccide ogni ritmo narrativo. Sono un po' arrabbiato. Per molta della visione, fino a quei titoli di coda "salvifici", mi è sembrato di assistere ad un film-truffa che parla della realizzazione di un film-truffa senza avere con me la giusta ironia (che dovrebbe sempre esserci!!) per apprezzare il contro-pacco, come avrebbe detto Nanni Loy. Non è colpa degli attori, tra cui un ottimo Battiston, un Amendola un po' compassato e un Argentero forse spaesato ma simpatico. Non è colpa della location, perché è bella ed evocativa, anche se un occhio attento (che non deve per forza essere di Wes Anderson) avrebbe aiutato a valorizzarla di più. È la scrittura il punto debole, laddove ci priva senza un motivo chiaro di un possibile (e da me sperato) cuore emotivo del film. In sintesi, i personaggi passano dall'essere dei dilettanti assoluti a "creatori di sogni" senza che ce ne accorgiamo e senza che, fino alla fine, ci sia concesso di avvertire un anche minimo mutamento in loro. Vediamo questo fiume in piena di gente che arriva all'hotel per "realizzare il loro sogno", immaginiamo delle meccaniche alla Be Kind Rewind, ma non vediamo mai la troupe che lo realizza concretamente. È come se il film avesse la parte più interessante che all'ultimo è finita tra le forbici del montaggio. In Mediterraneo, per fare un parallelo, vedevamo il tenente Montini (Claudio Bigagli) che restaurava la chiesetta locale alla bene e meglio, inserendo sui murali "a fare i pastorelli"i volti dei suoi amici. Qui non vediamo in una singola scena Battiston che dirige un film o Argentero  o Amendola con le luci. Abbiamo una scena con l'attrice in scena di mezzo minuto al massimo e in genere non c'è mai un guizzo (quello che c'era a frotte in Gordy) che ci faccia sapere che la nostra armata Brancaleone cinematografica è davvero in grado di fare qualcosa di buono. Mancando questo aspetto io non riesco proprio ad appassionarmi a questi personaggi, che per altro non sono nemmeno messi nella condizione di esprimere appieno i loro sentimenti perché sovrastati di continuo da una colonna sonora invadente e mellifua che ne copre i dialoghi (l'ho già detto, qui lo ribadisco). Rimane una grande idea di fondo, quella che l'arte sia in grado di permettere di sopravvivere anche alle guerre, concetto alto urlatoci anche da Boccaccio e Shakespeare e qui ripreso con garbo, sul finale, con un'ottima intuizione (e non copia) alla Gondry. Però il lavoro poteva essere più solido con un piccolo sforzo in più e il rammarico finale è forte. Argentero e Amendola, dopo Noi e la Giulia del 2015, sono di nuovo insieme in un film dal grande potenziale inespresso che parla di fughe, parla di seconde occasioni, parla di amicizia ma alla fine si perde nel parlare di tutto, ma troppo poco. Peccato. 
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P.S. O forse il film ci ha preso tutti in giro, facendoci pensare fino alla fine che i suoi personaggi fossero in realtà diversi da quanto ci saremmo aspettati, mostrandoci che anche dalle premesse più ostili può nascere l'arte. Mi piace che si possa leggerlo anche in questo modo in fine ed è interessante poterci ragionare sopra.

venerdì 25 maggio 2018

Deadpool 2 - la nostra recensione




Il mercenario invulnerabile e ultra-letale Wade Wilson (Ryan Reynolds), il mutante  più scemo, incompreso ed eroicamente romantico degli X-Men, alla fine del primo film era riuscito a trovare in qualche modo il suo posto nel mondo. Ma oggi, per festeggiare il capitolo 2 degnamente, viene precipitato dalla sceneggiatura nella fase più bassa della sua vita, quella in cui tutto si è tramutato in schifo e lui è l'unico responsabile delle sue recenti sventure. Tutto è perduto, Vanessa (Morena Baccarin) non c'è più, perfino l'impegno nel dimostrarsi una persona migliore non viene ripagato.  Per di più c'è un altro attore con cui dividere il minutaggio su schermo, un attore che per altro ha interpretato di recente Thanos, rubando la scena a tutti gli eroi Marvel/Disney in un film solo: Josh Brolin. Brolin è Cable, un soldato mutante e cybernetico che arriva dal futuro come Terminator in cerca di una sua Sarah Connor, nello specifico un mutante di nome Fire-Fist (Julian Dennison) che negli anni diventerà una minaccia per l'umanità stile fanatico religioso alla Manson. Se Fire-Fist è il male, Cable è la sua cura e la affronterà da eroe serio come gli X-Men più seri, da eroe mutante di razza tragico, irrisolto, distrutto, incazzato, con famiglia distrutta alle spalle, voglia di vendetta, sguardi truci e corpo devastato. In più  è pesantemente armato e il suo potere mutante lo rende letale e inesorabile come un carro armato umano. Solo che Fire- Fiat è di fatto ai giorni nostri solo un ragazzino mutante sovrappeso di nome Russell, una vittima perenne di bulli e molestatori seviziata per anni tra le mura di una casa di rieducazioni per mutanti prima e all'interno di un complesso di sicurezza poi. Russell sarebbe il classico ragazzino che gli X-Men dovrebbero aiutare: incompreso, in cerca di affetto, spaventato, dal grande potenziale ma generoso. Solo che i mutanti hanno guardato altrove fino ad ora e lui sta crescendo davvero male. Così male che Deadpool, che si imbatte per caso in lui, ci si riconosce tanto da trovare se stesso e volerlo aiutare. Così Deadpool e Cable finiranno per trovarsi uno contro l'altro. Il primo convinto del fatto che Russell potrebbe non diventare il più pericoloso criminale mutante del futuro, il secondo convinto che uccidendo Russell adesso potrebbe fare qualcosa di buono quanto uccidere un piccolo Adolf Hitler quando era ancora in fasce. Ma visto che il mutante corazzato è un osso davvero duro e ha più presenza scenica di un cattivo con il nome di un detersivo, Deadpool a questo giro avrà bisogno di creare una sua squadra, magari dal nome meno "sessista" di X-Men e di tutta la "fortuna mutante" che può offrirgli una supereroina come Domino (Zazie Beetz) Chi avrà la meglio? Ma, soprattutto, vedremo di nuovo a supporto di Wade qualcuno degli X-Men? In gioco non c'è solo il futuro dell'umanità, ma anche il riconoscimento della musica dubstep. 


Deadpool 2 arriva al cinema negli stessi giorni di quella che è forse l'espressione massima (per alcuni,  la minima) del fumetto supereriostico americano di massa, ossia quella colorata e fracassona Royale Rumble di Avengers Infinity Wars, pellicola spacca - record al botteghino nonché il massimo-crossover-supereroistico-immaginabile-in-assoluto-wow-paura dai nerd fin dal 2008. Infinity Wars è la celebrazione finale del fumetto supereroistico nel senso più classico e disimpegnato e poteva contrastarlo in sala solo qualcosa che apparisse altrettanto disimpegnato. Chiaro che la Fox non aveva davvero voglia di combattere Thanos e la politica Marvel/Disney del "volemose bene" con i pipponi classici del film X-Men "politicamente impegnato" sulla emarginazione, i vaccini, razzismo, diversità di genere, antisemitismo, valore della scuola e annessa critica sociale ponderata sulla storia, i valori americani, la religione ecc. ecc.ecc. Ovviamente era meglio che arrivasse Deadpool con il suo carico di cretinate, battutine e battutacce e la sua filosofia da cartone animato vietato ai minori pieno della azione e delle teste mozzate che fanno impazzire ogni teenagers. Ma ancora una volta, e sempre inaspettatamente, Deadpool arriva in sala ed è pronto a sorprendermi oltre le aspettative, dimostrando di essere più della somma di singoli sketch cretini e delle scene con gli stunt-man con cui appare assemblato. Gli autori di John Wick, Atomica Bionda e del capitolo uno di questo curioso anti - eroe hanno classe e anche questa volta riescono per me ad alzare il tiro. Sotto una azione a rotta di collo, esaltante, incessante e spassosa da vedere (e per me da rivedere in home video all'infinito), sotto una montagna incantata edificata da migliaia di battute grevi e più o meno spiritose e/o scorrette (che però non so se funzioneranno un domani, quando i riferimenti culturali per capirle magari saranno più gravosi), sotto gli effetti splatter esagerati e le infinite allusioni sessuali e sessiste Deadpool non si dimentica affatto di essere un film sugli X-Men. E io da estimatore degli X-Men godo. Godo perché, sbucciando il film dalle sue fesserie più immediate, ritrovo la splendida costruzione della relazione sentimentale tra Wade e Vanessa (aspetto che dava già al capitolo un un realismo invidiabile per un cinecomic), leggo una critica sensata e seria alle istituzioni (reali) che dovrebbero "rieducare" e trovo una tragicità di fondo nei personaggi che riesce a commuovermi in modo genuino. Brolin con la stessa naturalezza con cui indossava i panni digitali di Thanos riesce a infondere umanità e potenza a un ugualmente monolitico e assurdo personaggio come Cable, trasformando la sua incursione ai giorni nostri in una "bella" copia (ovviamente ultra - citazionista) di Terminator. Reynolds ormai quando indossa la tuta rossa di Deadpool riesce ad assomigliare quasi il migliore Jim Carrey, quello che dopo una faccetta stupida ti ammazza con uno sguardo drammatico che ti prende il cuore. E se il lato action funziona come nel primo film grazie a stunt-man ed effetti speciali molto ben integrati, se il lato citazionista/battutaro c'è sempre e funziona  (anche se sulla "tenuta nel tempo" dello stesso ho i miei dubbi), se il lato più "drammatico" funziona pure lui (e per me pure meglio), l'aspetto più prettamente grottesco è quello che davvero mi fa amare il film, da brutto quarantenne appassionato dei filmacci action - splatter anni '80 quale sono. Senza fare spoiler (perché è pure una bella sorpresa) in questo film c'è un personaggio che se ti dice "ti apro in due", poi lo fa veramente. È incredibile come l'esito pratico di questa battuta faccia rimanere sconvolti e renda di colpo credibili tutte le minacce dell'area "ti stacco le braccia e ti ci meno", ma  la sequenza che segue "all'esito dell'apertura" è, se vogliamo pure, più sconvolgente per il modo grottesco con cui è gestita (e pure a lungo), in un vero tripudio di amabilissimo cattivo gusto. In alcuni punti del film sembra davvero di guardare quasi Il Vendicatore Tossico della Troma, tanto le scene trasudano di divertimento e di una scorrettezza visiva carica di arti maciullati, vomiti acidi, gente con lo sguardo da matto e splatteramenti più o meno ricercati a imbrattare le superfici piane. L'aggiunta di un personaggio come Domino, in grado di manipolare la fortuna, trasforma poi tutte le sue scene in sequenze sullo stile dei Final Destination più elaborati e, ovviamente, splatter. Oggi c'è questa mania di fare film sugli anni '80, Deadpool 2 "è" un film action sullo stile degli anni '80, tra Commando e Terminator senza dimenticare una punta di Troma. Sul lato più smaccatamente nerd, c'è una battuta sul fatto che Cable si porti sempre dietro un marsupio che è la madre di tutte le prese in giro al personaggio creato da Liefeld. Da lì in poi per un periodo infinito tutto gli eroi di Liefeld avevano diecimila borse, borsine, cinturoni, zainetti, cartucciere e oggettistica varia "porta qualcosa" disseminata perennemente sui loro costumini colorati. Tutti porta-accessori senza senso che di fatto non venivano mai utilizzati e su cui tutti ci domandavamo un po' il contenuto, erano per lo più una sboronata del tipo "se Batman ha la bat-cintura, io sono più figo perché ho bat-cinture su tutto il corpo". Ecco Cable ha un marsupio... e lo apre!! I cultori poi dei fumetti più recenti non di saranno fatti sfuggire l'orsacchiotto che il mutante corazzato porta con se, compreso il nome di chi dovrebbe esserne la legittima proprietaria. Anche  se sui "dettagli di sotto-trama" qui non si va mai in fondo, ci sono nella pellicola disperse  mille chicche che rimandano dirette a personaggi X-Men nella loro incarnazione più fumettistica che cinematografica, roba che dimostra una certa competenza e amore della materia. Il primo film di Deadpool funzionava bene ma tradiva un budget limitato e un villain un po' al di sotto delle aspettative. Deadpool 2 migliora tutto, acquisisce un character di peso e bravura come Brolin e getta le basi del già annunciato film sulla X-Force. Nel processo non viene perso lo spirito anarchico, la sgangheratezza e il divertimento senza i quali di fatto Deadpool non sarebbe quello che è. A quanto pare i film di supereroi hanno ancora tanto da dire e tanto di cui farci divertire. 
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p.s.: e vi invito a non commuovervi almeno un po' mentre sentite questo pezzo degli A-ha


Mentre vi ricordo la vera filosofia che dovrebbe accompagnare la visione di ogni film di  supereroi, esposta da Deadpool stesso in questo contenuto promozionale per il film Logan.


Spesso i costumi distraggono troppo da quello che un eroe dovrebbe fare veramente!

martedì 22 maggio 2018

Famiglia allargata - la nostra recensione della commedia di Emmanuel Gillibert




Antione (Arnaud Ducret) e Jeanne (Louise Bourgoin) sembrano la coppia perfetta, al punto che non sembra vero fin dal primo incontro. Lui è uno scapolone gaudente e spensierato con un lavoro affermato e una bella casa in affitto in centro. Lei è una ragazza timida e affascinante che grazie a un gioco del destino si trova ad essere la sua nuova coinquilina e parrebbe destinata ad esserlo per molto tempo. La casetta diverrà trombodromo e noi spettatori ci aspettiamo a vedere una versione divertente di Ultimo tango a Parigi (di recente restaurato e di nuovo al cinema, andate a vederlo se lo avete perso)? No amici miei. Il film non è questo ma una "commedia coi nani". Sì fratelli, avete letto bene. I nani.

Specifichiamo, perché non parlo di roba fantasy o del popolo piccolo, parlo dei "bambini" e del cinema che guarda ai bambini con stupore e indulgenza per farci "tornare a essere bambini", allestendo scene impossibili di distruzione e bullismo domestici in cui i suddetti non sono di fatto rappresentati come creature umane e simpatiche (se non nell'ultima parte della pellicola in genere), ma come "nani bastardi e petulanti". Omini odiosi (se non nell'ultima parte della pellicola in genere) a cui auguri di vedere la gente morta. A proposito, se volete vedere una commedia con bambini in cui compare un fantasma per davvero, non perdetevi il sequel del remake americano di una commedia francese con bambini come questa (ma con bimba simpatica) al secolo Tre uomini e una culla. Il film è Tre scapoli e un bebè.


Guardare al secondo 43 dietro alla tenda. Ecco in genere i film di questo tipo mi interessano solo se si trovano in rete su di loro delle urban legends su presunti fantasmi reali comparsi a schermo. Perché i film con i bambini che fanno i piccoli anticristo (fino all'ultima parte della pellicola in genere), saga di Jurassic Park in testa, io li detesto. Chiarito questo doveroso e personale problema del mio carattere, Famiglia Allargata è esattamente un film di questo tipo. Antoine scopre in una scena (ma voi dal trailer e dalla locandina dovreste averlo capito prima) che la sua nuova coinquilina ha due figli piccoli che si porterà nel nuovo appartamento condiviso con il nostro scapolone protagonista. È una ragazza separata in fondo dal cuore d'oro, lo scapolone non ha le armi giuste per difendersi dalla "home invasion" dei nani ed ecco che inizia l'inevitabile convivenza, che si svilupperà nell'inevitabile conversione dello scapolone nell'uomo perfetto con cui costruire una solida famiglia francese. Nel "mentre" c'è il film, e devo dire che pur nella sua struttura prevedibile sa essere gustoso e riesce a farsi vedere senza troppi patemi. Lo scapolone è simpatico nel modo con cui resiste indomito al suo voler continuare a essere il bambinone numero uno della magione. I bambini, soprattutto nell'ultimo atto ma in fondo anche prima, sono davvero amabili nella classica "lotta al telecomando del televisore di casa" e la mammina divenuta single è il classico carattere rigido che si stempera appena si scrolla di dosso tutte le responsabilità del mondo e inizia a volersi più bene. La scena più dolce è la classica vomitata etilica in cui sputa fuori, come in un esorcismo, la mammina per bene che si è impossessata di lei. Il film quindi riesce e il percorso a ostacoli di questa genitorialità anomala ma funzionale riesce a dare anche un bel messaggio. Consigliato. A patto che le home invasion con bambini le sopportiate. 
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lunedì 21 maggio 2018

Solo - piccola riflessione tragica che spero sarà smentita dalla visione in sala



Attenzione, quello che sto per raccontarvi è frutto di voci contraddittorie girate in rete, che non provano in genere niente, che qualcuno presto provvederà a insabbiare. Prendetelo come un gioco e nulla più, ma sappiate che tutto questo, forse, è capitato. C'era una volta, nelle Guerre Stellari di Lucas "vagamente" ispirate a Buck Rogers (causa legale vinta da Buck Rogers per plagio, vi ricordiamo) e Valerian (causa non iniziata per "sportività" per vedere "fino a dove Lucas andava a finire", che è finita con Lucas che ha ri -copiato pure tutta la storia dei cloni nel 2000 e con J.J. Abrams che copia ancora il materiale di Valerian), un pirata spaziale cazzuto il cui numero di telefono figurava nella rubrica di un cavaliere Jedi ancora più cazzuto. Guidava il Millennium Falcon, l'astronave spaziale più figa e veloce del creato, aveva un compagno altissimo e pelosissimo come solo negli anni '70 si poteva averne uno sulla Terra (e infatti era un hippy alieno) e forse (o forse no) aveva sparato per primo a un tizio di nome Greedo (e per questo secondi gli addetti del marketing il pupazzetto non andava bene quanto Boba Fett). Il volto era quello dell'allora già attempato ma ancora sconosciuto Stunt-man Harrison Ford, un tizio dal ghigno simpatico che da lì a poco è rapidamente diventato uno degli attori più amati di sempre. Alla Marvel / Disney/ Lucas hanno pensato di dedicare un film a questo pirata spaziale nella serie di spin - off Star Wars Stories. Con l'intento di stuzzicare i fan di vecchia data e coinvolgerne di giovani, i capoccia hanno scelto di creare una commedia action- space-western affidandola ai registi di commedie action più in voga nell'ultimo periodo, Phil Lord e Chris Miller. I due si mettono ai testi e alla poltrona da director e trasformano la produzione del film in una stand-up comedy surreale e trascinante, così trascinante che se ne lamenta un po' lo sceneggiatore Jonathan Kashdan, figlio del potente e co-sceneggiature "lucasiano" Lawrence Kashdan. Mi piace ricordare di come padre e figlio insieme abbiamo realizzato, al di fuori della Lucas Film, il primo ai testi e il secondo come attore, quell'abominio di L'acchiappasogni, film liberamente tratto da un libro di King in cui gli alieni, di notte, escono dal culo degli umani inseminati. Il piccolo Jonathan, che come sceneggiatore "solitario" ha all'attivo tre (brutte) puntate di Dawson Creek e sogna oggi di realizzare un film di Star Wars con Lando pansessuale e protagonista, vede quindi che sul set di Lord e Miller ci si diverte un casino mentre danno fuoco con le improvvisazioni alla sua sceneggiatura. Vede che Alden Ehrenreich assomiglia più a Vince Vaughn o Seth MacFarlane rispetto a Harrison Ford e si spaventa. Un giorno va giù di testa e se ne lamenta con il papà, che fa prontamente insorgere la fanbase di Star Wars con dichiarazioni tipo "il film è fuori controllo" e di conseguenza queste chiacchiere svegliano il sacro drago protettore della saga, Kathleen Kennedy, che decide di bloccare tutto, rimpiazzare i registi, approvare una nuova linea di script più decorosa e meno ridanciana per modificare una trama già praticamente girata e decide di ingaggiare nell'operazione un regista-amico come Ron Howard, un simpatico ragazzo dai capelli rossi che come regista negli ultimi vent'anni imbrocca un film su quattro. Non sempre happy days quindi, ma una sicurezza in più. Howard ri- gira e ri-monta, gli danno poco tempo per aggiustare le cose e, nel timore che tutto vada a rotoli, fissano la data di uscita a pochi giorni dall'ultimo Avengers, così che in caso di flop gli investitori Disney possano comunque contare sugli introiti di uno dei mesi più fruttuosi di sempre per l'azienda, dimenticando velocemente eventuali ammanchi. Il nuovo film, riportano le cronache internettiane, sarà meno comico e più action, più cupo e più "rispettoso dello spirito della saga", qualsiasi cosa questo voglia dire.  Il nome del personaggio protagonista del film e che dà il titolo allo stesso ve lo faccio cantare da un noto personaggio immaginario di Team America.



Ecco, io da "non" fan di Star Wars, mi trovo ad affrontare l'uscita in sala un po' con lo stato d'animo del "personaggio immaginario" che canta nel pezzo di Team America qui sopra. Se le premesse di questo film non mi attiravano troppo (ma anche Rogue One non mi attirava molto, per poi piacermi parecchio di fatto), se il mio interesse a tutta la produzione è per lo più legato ai pupazzi del merchandising (e misteriosamente con il film in uscita non c'è ancora traccia di una singola figure della Disney Elite Series , che ha fino ad ora proposto i modellini dei personaggi di tutti i film e che per maggio ha in programma solo "Darth Vader senza casco") oggi mi sento perplesso ancora di più dopo aver letto le reazioni della stampa specializzata che ha già visto l'opera in anteprima: toni tiepidi. E credo che non ci sia niente di peggio che l'indifferenza nel giudizio su un'opera. Se un film "è una merda" significa che qualcosa di lui ti ha nel bene e nel male scosso o disturbato o per lo meno ti ha condotto a un ragionamento esistenzialista su come butti via il tuo tempo libero. Ma se un film è "così così" significa che di quella sera ti ricorderai al massimo il frullato alla fragola che hai preso a McDonalds mezz'ora dopo la visione e, fidatevi, è peggio. Poi è giusto andare sempre al cinema, prendendo le opinioni di altri per lo più per quello che sono, "di altri", ma andare a vedere un film "tiepido" non è mai un bel biglietto da visita. Non so se Disney stia aspettando il giorno d'uscita per promuovere questo Solo, magari organizzando una tre giorni di spettacoli pirotecnici in cui il mondo intero sarà invaso da figuranti di Chewbecca... ma sta aspettando decisamente troppo. Può essere comunque una strategia di marketing richiesta dalla azienda forse... metti che per "ricapitalizzare" il brand in Disney hanno deciso di fare una prova estrema e pubblicare Solo: 
1) fuori dalla finestra tipica degli ultimi Star Wars (il Natale) 
2) in diretta concorrenza con un loro prodotto forte (Avengers) 
3) lanciato direttamente in sala privo di merchandising (nessun pupazzo, scatola di cereali, astronavina, maglietta o altro all'orizzonte, a parte i Funko, che hanno realizzato anche su di me però...)
4) con costi pubblicitari pari a zero 
5) divulgando in rete notizie che rendano evidente che la sua produzione è stata un martirio
6) usando il trailer più triste e meno di impatto che si poteva immaginare. 
Se Solo sopravvivesse a queste sei  "prove mortali" e incassasse un botto, Disney potrebbe pensare di fare undici film di Star Wars al mese. Magari è questo il piano.
Ma tutto questo non ha niente a che fare con la qualità finale del film, di cui vi parleremo appena sarà nelle sale. Buttiamoci un po' alle spalle il karma cattivo generato dalla rete e prepariamoci a volare sul Falcon un'altra volta, alla scoperta del significato nascosto di quei dadi dorati che abbiamo intravisto in Gli Ultimi Jedi. Non vedo l'ora di salire di nuovo su quella astronave rugginosa e dal probabile odore della stanza di un adolescente, piena di cianfrusaglia, scacchi spaziali e con una stiva che forse può tenere nascosto un mostro tentacolare. L'attore scelto per Solo è giovane, se il film va bene potremmo trovarlo ancora, prima che faccia salire sulla sua nave Luke Skywalker. Potremmo conoscere se aveva davvero motivi per sparare per primo a Greedo, comprendere la sua ostentazione nei confronti delle principesse spaziali e ragionare sul suo infinito bisogno di ricchezze spaziali. Una delle cose più riuscite di questa saga di astronavi e monaci spaziali arturiani in fondo era proprio lui, il cowboy che si contendeva con il cavaliere (almeno fino al secondo film) il cuore della principessa. Di sicuro amo Han Solo anche per quello che Ford è stato "dopo Solo", ma il pilota del Falcon rimane uno dei miei pupazzi lego preferiti.


In bocca a lupo film di Solo. Ci vediamo in sala. 
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lunedì 14 maggio 2018

Avengers - Infinity War: la nostra recensione spoiler-free o quasi





E infine, frantumando ogni record di incassi nei cinema, a Maggio 2018 è arrivato Thanos. Il nuovo villain del nuovo film degli Avengers lo avevamo già intravisto in piccoli spezzoni dispersi in alcuni precedenti film Marvel. Per lo più in brevi scenette in cui stava seduto ozioso sul suo trono volante, andava dal suo personale gioielliere a comprarsi un guanto dorato, ascoltava annoiato i capricci delle figlie Nebula e Gamora, si fidava come un anziano degli sgangherati piani di investimento immobiliare cosmico orditi da televenditori scarsi come Loki e Ronan. Nell'ombra, pensoso, inquadrato per lo più dal punto di vista del suo enorme gomito viola e con il broncio, Thanos per lo più si annoiava a morte. Ma qualche volta ci ha sorpreso sfoderando un sorriso ammiccante e immenso, rivolto diretto in camera, ultraravvicinato, che prevedeva da solo per estensione di denti l'intero schermo di una sala imax. Thanos sorrideva guascone in camera e ogni spettatore era subito sedotto da lui, la risposta Marvel al classico "sorriso George Clooney" depositato in SIAE per i tipi della Nespresso. Ci faceva arrapare (anche i più maschi tra noi cadevano davanti al suo stile) e, sicuri del potenziale, in Marvel quel sorriso ce lo hanno fatto sospirare e agognare per anni. Fino a che Thanos finalmente è arrivato al cinema in un giorno di maggio, in quello che in fondo è un film tutto suo e tutto per i suoi fan e per chi lo sarà in futuro. Un film per chi ama i tizi in calzamaglia Marvel e vuole vederli eroicamente pestati, ma anche un film per chi non li sopporta e aspira a vederli presi a calci nei denti fino a vederli sdentati. Thanos può farlo, in un film divertente e cazzone, ma che sa essere inaspettatamente "enorme ed epico", senza per una volta tirare fuori dal nulla noiose canzoni sui nani. Il film più grande di tutti i film Marvel finora pensati, quello che i nerd del futuro, quarantenni e senza donna, racconteranno nell'equivalente futuro (e per ora impensabile) delle polverose fumetterie del domani, ai futuri quarantenni e senza donna del dopo-domani. "Io c'ero e ho visto un film Marvel in cui il cattivo faceva il cattivo per davvero! Un cattivo serio quel Thanos, non un dio gracile o un pinocchio di mezza età. Un tizio di livello simile a Darth-spaccaculi-Vader che trasforma la solita colorata parata Marvel in L'impero colpisce ancora. Dopo di questo nulla è stato più lo stesso, recuperalo in olo - neural - blu ray e fammi sapere!!!". Questo potranno raccontare i nerd del futuro, appoggiati all'equivalente futuristico di una pila di ingialliti numeri di Zagor. Perché Thanos è più che un villain colorato da voler collezionare in versione funko, è più che un personaggio potente al punto che sarà oggetto di battaglie meme contro Goku e Saitama, è più che l'ennesimo tira-pugni di Iron Man. Thanos è un personaggio "adulto", almeno per la concezione nerd di diventare adulto, che significa realizzarsi nella vita quanto l'imperatore Raoh di Ken il guerriero. È un personaggio "enorme e potente", riflessivo, complesso più che complicato, come vorremmo essere la versione supereriostica e non noiosa dell'Innominato dei Promessi Sposi. È soprattutto è per la prima volta davvero un avversario serio, la prima vera minaccia per gli eroi in calzamaglia. Thanos sembra uscire da qualcosa che ci immaginiamo scritto da Shakespeare, anche se di fatto non abbiamo mai letto niente di Shakespeare, parlare di lui dà a un nerd un patentino culturale quanto il Batman di Nolan. 


E che dire poi del suo il mento scrotale (citazione)? Thanos "tira". Thanos, opinione personale, ha fascino però anche perché è in fondo "vecchio stampo". Semplice da capire, con un suo onore e una modernità degna di un generale spartano. Un cattivo anacronistico ma romanticamente epico, che in fondo per questo fa meno paura (sempre secondo me) di un "Mandarino", che seppure irriso sui social (da chi guarda il dito e non la mano che indica il cielo) è un cattivo che spaventa davvero perché "non è quello che sembra", è impalpabile, invisibile e si burla di noi, presentandosi al mondo con una maschera quando in fondo rappresenta tanti piccoli uomini nascosti e cattivi, che potrebbero essere il nostro vicino di casa e rovinarci la vita senza neanche conoscerci, spostando dei titoli di investimento. Fa meno paura anche di uno "Zemo", che mostra quanto gli eroi in calzamaglia siano piccoli e insicuri e gli sbatte sulla faccia la realtà e i danni collaterali delle loro imprese eroiche. Fa meno paura di un "Ego", che è un essere disposto a divorare i suoi figli per continuare a vivere, con un gattopardismo inquietante e attuale che ha anche un nome: "gerontocrazia". Il Mandarino, Zemo ed Ego (opinione personale) spesso non sono accettati da chi, almeno al cinema, in un cinefumettone e per due ore, vorrebbe che si capisca chi è buono e chi cattivo, lasciando che la realtà con la sua complessità rimanga fuori dal multisala, in coda per i popcorn. Thanos è indubbiamente cattivo ma degno dell'onore delle armi, elegante, paterno, a suo modo leale. Anche la sua follia, il motore che spinge tutti gli eventi del film, è quasi inquietante ma quasi rassicurante, accettabile e in grado di garantire che  Thanos sia sì folle e  cattivo, ma in fondo "non così folle e cattivo" (pur rimanendo lui di fatto il più grande genocida dell'universo). Lo vediamo come un tipo più strano che inquietante, qualcuno che da noi potrebbe avere potere solo nel suo gruppo facebook, ma che nel mondo reale terrestre non si cagherebbe nessuno. Questo ce lo rende più simpatico al contrario di tutti i Mandarino, Zemo e Ego che prendono con noi la metropolitana tutte le mattine. 
Analizziamolo per un secondo questo Thanos, per gli amici il "titano pazzo". È un "Titano" (secondo il film e non secondo Jim Stralin) perché è di fatto un tizio che viene da un pianeta chiamato "Titano", e gli abitanti di Titano non vogliono farsi chiamare Titanesi. È "Pazzo", per via di idee politiche così radicali che non lo vorrebbero in nessun partito europeo, ma in Italia in una coalizione forse entrerebbe. Thanos deriva da Thanatos cioè "morte" in greco, il perfetto nick name per un adolescente emo -goth in fissa con Anne Rice e con tatuato la faccia di Jack Skeletron sul gomito ma forse fuori tempo massimo per un adulto. Di carnagione viola, 3,20 metri di altezza, sicuramente del segno della bilancia (o almeno non me lo immagino di un segno zodiacale diverso...), bella presenza, sguardo fiero, pelata virile e profilo mussoliniano, Thanos ama arruffare i capelli ai nemici sconfitti ed è ghiotto di budino cosmico, che offre a chiunque con grande trasporto e premura nel caso abbia fame. Sogni nel cassetto: una casa sui monti come il nonno di Heidi. Interessi: una passione per le tematiche ambientali e sociali un po' distorta ma di immediata comprensione per un cattivo che si trova a dover avere un background in un film con sessanta personaggi principali. Da questa sua passione più che un cattivo a tutto tondo Thanos risulta essere un altruista estremo. Per capirci, l'altruista estremo in fondo non sembra così una cattiva persona e probabilmente è il tipo che fa sedere le persone anziane sull'autobus. Solo che per trovare un posto all'anziano, l'altruista estremo probabilmente ucciderebbe una persona qualsiasi che occupa un sedile. Thanos è così... e a pensarci una volta sul tram ho forse incontrato una tizia come lui, che sicuramente avrà un gruppo Facebook e progetta di rivoluzionare il mondo... ma torniamo in tema. 


Da vera rockstar, alla  prima scena della pellicola Thanos fa vedere all'universo Marvel "chi ha i valori", chi ha il mento scrotale (cit.) e "chi comanda". Così preannuncia in una singola scena che davanti a lui non c'è e non ci sarà storia o tattica. Che siano verdi, corazzati o con lo scudo a strisce, gli eroi saranno tutti "fottuti", colti in fallo come bambini inesperti davanti alla verifica di matematica, senza parole, basiti e atterriti dal suo stile inimmaginabile. Dopo una inevitabile strage, Thanos abbandona idealmente il palcoscenico e si prende tutto il tempo per tornare in camerino, cambiarsi d'abito e soddisfare un paio di groupie, per poi rispuntare a sorpresa nelle scene più esaltanti del film. Per il resto del tempo lascia sul palco la sua band a fare gli assoli, per lo più assoli di percussioni ai danni degli omini colorati Marvel. Così piccini, così emotivi, così carini nello scambiarsi tenerezze reciproche e così impegnati nello sfoggiare un nuovo look con cui sbalordire gli amici, che quasi non ce la fanno a concretizzare altro, che quasi non si ricordano di fare altro. Sono ancora divisi dopo la "Civil War di quartiere", alcuni stanno pensando di mettere su famiglia, chi si sente ancora poco ascoltato dal gruppo, chi ha superato i quaranta e inizia a fare i conti con i capelli grigi, chi pensa di vivere per sempre come un adolescente nello spazio. Stanno tutti pensando ad altro e così ne prendono, tante, dal primo esercito spaziale che arriva. Ne prendono da alieni stregoni, ne prendono da esseri pieni di mani e denti, ne prendono da elfi oscuri e da amazzoni mono-ciglio, ne prendono da astronavi fatte come ruote per criceti, ne prendono per troppo entusiasmo e troppo zelo. Ne prendono tante e amabilmente, perché il gruppo intergalattico di Thanos è "Rock", è cool, è abbigliato/ truccato/parruccato in outfit simil-fantasy di lusso, è sexy, ci crede un mondo in quello che fa e riesce a essere, tra tutto il piattume digitale moderno, quasi iconico. Sfoggiano stile, personalità e possanza bellica, si danno da fare per riempire la scena nel modo più colorato, fracassone ed esagerato che possono. Frullano per bene i tizi in calzamaglia, che comunque cercano di fare il loro e a rimanere impressi di pellicola, ma insieme a Thanos, che è l'unico vero collante narrativo ed emotivo, sono  i suoi generali i grandi mattatori. Pur con queste peculiarità, lo spettacolo riesce comunque a dare una voce a tutti gli attori, a offrire una messa in scena che dire spettacolare è poco, condita con una musica evocativa di Alan Silvestri che nei momenti più tosti pare la colonna sonora del primo Predator (e io godo). È uno dei film più costosi della storia e si vede. Anche se il nome non ce lo ricorderemo mai (Anche Spider-Man ci farà notare a un certo punto della pellicola quanto sia difficile ricordarsi i nomi) i villain qui sbriluccicano e si fanno ricordare più di "come si chiamava e cosa voleva fare il tizio con le fruste di Iron Man 2 che veniva distrutto con un colpo solo?". Ma le regole dello show business sono dure e la "Thanos Band ", purtroppo, non starà sullo schermo per oltre  sei minuti circa, su un massimo di due ore e quaranta... peccato e, cacchio! Dovevo dire di già "spoiler"? Ok, spoiler, però inevitabile. 


Il grande mistero di questa pellicola è la presunta invisibilità della sua trama. Non tanto per la sua assenza, perché c'è un "collante di nome Thanos" che riesce a coordinare e orientare gli eventi in un modo chiaro, ma per il modo in cui si articola e per il fatto che una azione del tipo "adesso tizio picchia caio" seguita da "adesso tizio e caio si incontrano per la prima volta" prende un po' il posto della narrazione, con buona pace di una sub-quest interessante che riguarda Thor. Non vi nascondo che in questo film tutti i personaggi, buoni e cattivi  in genere, si vedranno in media pochissimo e che non va meglio ai più blasonati supereroi del mucchio. In scena arrivano tutti pur per poco tempo, non preoccupatevi, tutti gli attori sono formidabili e simpaticissimi come lo "stile Marvel" vuole, ma il tempo, di nuovo, è tiranno. Più tiranno di Thanos il titano. Più che una pellicola in senso stretto questo film è un'unica, classica, Royale Rumble. Cos'è una Royale Rumble? È il classico evento wrestling dove su uno stesso ring entrano a combattere a pochi secondi di distanza un numero impressionante di combattenti con lo scopo di spazzare gli altri al di fuori dell'arena. I wrestler entrano in scena con una colonna sonora personalizzata che sottolinea il loro arrivo sotto i riflettori dettandone il carattere gioioso o tetro o ultra-patriottico. I wrestler con pochi sguardi trovano sul ring la loro nemesi e i loro alleati naturali, spesso si scontrano tra amici per malintesi (in genere una gomitata partita per errore con l'amico di spalle), spesso formano alleanze strane e improvvisate divertenti. Poi arriva il momento clou in cui si esibiscono nelle loro mosse di lotta più famose, scaraventandosi per un'ora gli uni contro gli altri. La Rumble si svolge sempre intorno alla fine di gennaio, dal 1988 ad oggi e nel futuro, ed è da sempre uno spettacolo maschio/confuso/adrenalinico che "gasa a non finire" e che in Italia è concesso da anni per lo più a chi paga l'evento sulla pay per view di Sky (di recente con un nuovo orario di trasmissione che fa cagare), accompagnato con un litro di birra per goderne le sfumature più intime. Tutti sanno che tutto è finto e che queste guerre devono accadere ciclicamente una volta all'anno. Le "storyline" danno giusto più sapore alla portata principale: le botte colorate. L'anno dopo saranno improvvisate nuove relazioni e nuove trame mentre tutti i lottatori-attori come sempre staranno sotto la doccia attigua agli spogliatoi a scambiarsi la ricetta del pollo del Minnesota. E qui in Infinity War è uguale, anche se in dimensioni più maestose, anche se con un apparato epico/drammatico e uno stile visivo diverso da una ammucchiata di culturisti oliati in mutande. C'è anche qui, se non una trama, un certo "senso di epica" che ci fa credere che i personaggi facciano qualcosa di più che dire quattro battute (pur significative e che li portano a una interessante evoluzione dei personaggi) spalmate in tre ore. Uno "stile narrativo condensato" che ci illude di aver afferrato molto di più di quello che c'è, di aver percepito una trama, che di fatto c'è/non c'è, ma che noi costruiamo dalla nostra (seppur paludata e distratta) conoscenza pregressa dei personaggi. È davvero uguale alla Rumble questo ultimo Avengers, e riconoscere su schermo tutti i personaggi coinvolti è parte del divertimento e la dimostrazione concreta della capacità dei Marvel Studios di aver fidelizzato per anni il pubblico più ampio della terra, fino a coinvolgerlo in un gioco di prestigio incredibile come di fatto è questa pellicola. Pellicola che, a descriverla, si fa pure un po' fatica, come si farebbe fatica a ricordare a memoria la sequenza delle mosse di Jackie Chan nel suo ultimo film, ordinando narrativamente un calcio e un pugno dietro l'altro. Avengers Infinity War è tanta pura azione coreografata con un pizzico (per altro ottimo!!) di tragedia greca fornita da pochi personaggi adeguatamente sviluppati, Thanos e Stark su tutti (ma anche Gamora, Thor e Star Lord). È un film che fissa un momento storico unico per il cinema. Il momento in cui il pubblico in sala sa ormai di più del personaggio di quanto i personaggi realmente facciano su schermo. Anche se in fondo di questi personaggi sa quanto quanto i fan del wrestling sanno dei loro beniamini, questo non esclude che il film abbia un ottimo ritmo, veri e propri tocchi di classe, scene che rimarranno impresse nella retina per un po'. Lo spettacolo è bello. Chissà se in futuro il pubblico seguirà con facilità un cast di supereroi doppio o triplo rispetto a questo, sapendoli riconoscere tutti, e avendo ancora la voglia di conoscerne di nuovi, con l'entusiasmo di una caramella che tira l'altra. Saprà questo pubblico accontentarsi di vedere i suoi beniamini per 3 minuti al massimo in quattro ore? 


Non nego il fatto che visto per tre ore cose colorate che si picchiavano con altre cose in modo figo e nel mentre sono stato felice e sono tornato bambino. A quanto pare la mia previsione, fatta nel precedente articolo su Infinity War (che se volete potete rileggere), si è rivelata errata. Ma devo dirvi, con l'ego infranto di cui poco me ne cale a parte, che sono contento di essermi sbagliato in quel senso. In genere trovo mortificante chi in un film di supereroi i fan aspettino solo che questi "nascano" o "muoiano", come se l'evoluzione del personaggio non abbia davvero un interesse per la platea al di là di un "acceso-spento" che li assimila agli interruttori della luce. Ma questa è di fatto una produzione Marvel in cui, incredibilmente, al di là di ogni mia previsione di cui sopra, muore senza senso un mucchio di gente e a me "va bene". È a tutti gli effetti e come tutti in rete "speravano" un'opera indirizzata a un pubblico di ragazzini con un'enorme quantità di personaggi morti / ammazzati la cui dipartita interessa relativamente, nascosta da un arcobaleno di colori su schermo. Forse sto morendo dentro. Certo, siamo nel "film parte uno" con in arrivo una "parte due" che potrebbe confermare o ribaltare la situazione (come direbbe Alessandro Borghese, il primo grande filosofo del nuovo secolo). Certo la "brutalità" delle dipartite avviene in un contesto eroico da poema omerico, tra musica sinfonica, lacrime, arringhe di battaglia alla Braveheart, atti di altruismo e coolness supereroistica ma, cacchio, preparatevi a un sacco di morti!! 
Avengers Infinity War è comunque sotto una schematicità manifesta un mosaico composito che fa risaltare le singole componenti della cinematografia Marvel, giocando sulle diversità di approccio e ritmo delle singole e peculiari pellicole, operando di arricchimento e non di sottrazione. Siamo seri, non è Shakespeare. Ma è di certo un buon lavoro ed esattamente come per gli altri film degli Avengers il biglietto vale lo spettacolo di una lunga e liberatoria scazzottata di quasi tre ore tra supereroi, alieni, robot, astronavi, maghi e Stan Lee. Uno show visivo geniale nella sua natura camaleontico/tematica (per intenderci: quando vediamo i Guardiani ci sembra a tutti gli effetti un film sui Guardiani e quando vediamo Strange siamo in un film di Strange, e i mix dei personaggi giocano bene sui "mezzi - toni" delle rispettive serie) ma coerente, che sa cambiare tono quasi di scena in scena pur rimanendo fedele a se stesso e "a Thanos", il cuore narrativo. Volendo essere romantici e recuperando un po' il discorso di inizio - sproloquio, questo film può essere visto idealmente come il "secondo tempo di tutti i film Marvel". 


Ci sono pellicole Marvel che hanno saputo esplorare bene, in più capitoli, i personaggi in calzamaglia. Ma molte sono rimaste in superficie, raccontandoci più la scoperta, la gioia e le possibilità d'uso di "un grande potere" e tralasciando un po' "le grandi responsabilità" che ne dovrebbero derivare secondo il celebre adagio spidermaniano. Molti dei villain Marvel sono serviti come "percorso nella comprensione del super potere" più che una sfida attiva che ha messo in discussione l'eroe nel confronto di un avversario del suo stesso livello. Detto in modo brutale, se un eroe si misura in ragione del valore dei nemici che affronta, molti degli eroi Marvel fino ad ora avevano per la maggior parte delle volte avuto vita troppo facile. Qualche trickster insidioso (Loki, Zemo, "il Mandarino"), qualche nemesi/opposto interessante (Winter Soldier, l'Avvoltoio, Killmonger), ma per lo più avversari con poca personalità e degni di un minutaggio su schermo insufficiente per farne risaltare le ragioni anche solo a livello emotivo. Carne da cannone per avere un finale pirotecnico e poco più . Qui invece c'è Thanos ed è una minaccia seria, una prova impegnativa nel "percorso di crescita dell'eroe", di ogni eroe, davvero sfidante fisicamente ed emotivamente, un muro che arriva dal primo atto della pellicola e non ti molla fino alla fine. Di Thanos comprendiamo un po' le distorte ragioni e la distorta morale, proviamo a empatizzare con la sua distorta affettività e tremiamo davanti al suo sconfinato e distorto potere. Ne conosciamo il distorto passato attraverso dei distorti flashback, ci vengono accennati dettagli della sua recente distorta corsa al potere che saranno spiegati distortamente anche in un libro di prossima pubblicazione, che già mi aspetto essere interessante quanto scritto in modo distorto. Il passo geniale dei Russo è che grazie al lavoro di fino che hanno fatto per caratterizzare  Thanos, unitamente alla magistrale interpretazione che ne dà Josh Brolin, questo tizio possiamo pure "capirlo". Al di là dell'evidente anacronisticità e "alienità" (sostantivo che dubito esista) vediamo come abbia a cuore (a modo suo) pure  uno dei problemi di attualità che più ci riguardano come esseri umani del 21mo secolo. Thanos, con tutte le sue sfaccettature e con quelle che gli cuciamo sopra noi e gli hanno cucito negli anni i fumetti (Jim Starlin lo ha scritto sempre in modo divino) sa essere "grande" come i grandi villain drammatici. Viene in mente come citato sopra L'innominato del Manzoni, ma anche il Giulio Cesare di Shakespeare, il Foster Kane di Orson Welles, il Kurtz di Brando. Con pochi gesti, con il suo corpo enorme ma gentile, con il suo sguardo triste rivolto verso il basso, con le sue lacrime sincere e con quel guanto dorato in grado di compiere cose incredibili, Thanos è già icona e ce lo ricorderemo per un sacco di tempo. Anche perché il finale del film ci farà pensare a lui intensamente almeno fino alla prossima pellicola.


Per una volta avrei voluto non avere nessuna scena post-crediti... sono un illuso...  Ma mi pare già brutto che quella scena, che ormai è accettata per "tradizione" vada a  sminuire di fatto la sontuosità di un colpo di teatro finale, spiazzante come pochi e per certi versi coraggioso, che lancia emotivamente lo spettatore in uno scenario strano e regalmente plumbeo/pece/disperato. Uno scenario che scaglia l'hype a mille verso il capitolo due, stile Season finale del Trono di Spade. Se al termine dei titoli di coda ci fosse stato solo il nero, sarebbe stata una nuova piccola rivoluzione nei film Marvel.
In conclusione, c'è amore nella composizione di insieme, nei combattimenti infiniti e in tutto ciò che scaturisce dal lavoro dei Russo. Questo diviene possibile perché al centro c'è il pupazzone digitale gigante più bello di sempre, credibile nel ruolo e un mattatore nato nel catalizzate l'interesse del pubblico. Un omone steroidato che trasuda carisma e tragedia da ogni poro viola della sua testona mussoliniana, reso reale da una interpretazione "gigantesca" in tutti i sensi, quella di Josh Brolin.  Anche senza una voce off (come nell'unica versione bella di Blade Runner), noi ci sentiremo per la maggior parte del tempo nei panni di questo tizio. Thanos ci sta ad essere visto come il nemico finale di un lungo viaggio iniziatico cominciato in sala dieci anni orsono. Un viaggio necessariamente incominciato con l'Iron Man di Downey Jr.: un ricco viziato che negli anni è diventato simbolicamente l'ultimo grande generale della razza umana. 
Questo Avengers: Infinity War è idealmente l'episodio finale della "stagione uno" di una storia fatta di ricchi redenti, soldati congelati, divinità celtiche sbruffone, stregoni secchioni, geni repressi, mutanti per sbaglio, streghe e pinocchi volanti. Una serie che abbiamo amato al punto che il maxi-cliffhanger finale ci anticipa la stagione "due". Film come episodi TV di lusso, uniformati per per stile, ironia, tematiche (e per questo qualche volta pure noiosini) e una trama sottile ma presente che ci ha portato in un modo inaspettatamente organico e coeso fino a questo punto con l'illusione che nulla era di fatto preconfezionato e che dietro a un incontro di wrestling di due ore e mezzo potevamo vederci una trama articolata. Godetevelo e fatemi sapere. Buone botte colorate finte a tutti e non preoccupatevi se ci sarà rappresentata un po' di violenza visiva stilizzata: sono solo fumetti e la prima regola del fumetto supereroistico americano di massa è che non muore mai veramente nessuno, almeno fino a che il prodotto tira. Shakespeare e vita reale possono solo propoargli la fava a Thanos. E per due ore e mezza saremo tutti d'accordo con lui. 
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martedì 8 maggio 2018

Overlord - la serie fantasy in onda gratuitamente sul canale YouTube di Yamato Animation




 - La "premessa" della "premessa". Siamo nel futuro, precisamente nell'anno 2126, e la gente continua, felice, a giocare ai videogames. Esistono ancora e vanno fortissimo gli MMORPG (sigla che indica i giochi di ruolo online a cui partecipano e si sfidano tra loro un gran numero di persone), alla faccia di chi già oggi si è rotto le palle con World of Warcraft. Ci giocano tutti, grandi, piccini e soprattutto sfigati trenta/quarantenni ultra-lavoratori senza una vita sociale, e molto probabilmente e incoscientemente per la salute pubblica (il cartone animato qui è ambiguo, ma ci ritorneremo) i dispositivi del futuro per il gaming sono simili a caschetti integrati collegati neuralmente. Insomma, la stessa supercazzola futuristica che ci vendono da anni in anime come .Hack o Sword Art Online. Con questi visori VR- Oculus/evoluti-involuti si gioca con la mente, come sognando, ma di contro non sembra permesso (e pure qui è ambiguo l'anime) staccarsi dal gioco se prima non si fa un logout "in game", che un po' dà la conferma di voler smettere di "sognare". La conseguenza prevedibile/prevista di queste features, in assenza di nessun dispositivo per "l'uscita forzata" che almeno nel 2126 dovrebbe essere previsto per legge (ma in Italia ci arriveremmo comunque dopo), è che senza il suddetto logout un giocatore rimane come in coma, sdraiato sul suo letto con il visore in testa, condannato a morire se non viene in qualche modo alimentato con delle flebo. Quindi metti caso che il gioco si impalla o Telecom ha dei problemi con la linea e sei uno di quegli sfigati trenta/quarantenni ultra-lavoratori senza una vita sociale e magari vivi da solo e senti amici e parenti una volta alla settimana. Mi sa che diventa una prospettiva realistica che ti trovino morto dopo una settimana, con il rigor mortis che ti ritrae mentre ancora cerchi istintivamente di brandire una spada bastarda +7,  maleodorante in una stanza molto maleodorante, con la carnagione di un brutto colore verde menta, probabilmente con indosso mutandoni mimetico verde militare dai quali partono miasmi infernali. Con la maglietta di Star Wars e calzini arancioni con cui sei solito passare la domenica pomeriggio, con le mosche che entrano ed escono dalla bocca e soprattutto con lui, il colpevole di tutto, comprese le delusioni della tua mamma e quei votacci in matematica. Quello stupidissimo visore che hai ancora in testa. Certo evenienze di questo tipo si risolvevano sul nascere in anime come Sword Art Online o .Hack. Il malfunzionamento riguardava un gioco nuovo e attenzionato dal pubblico ed era diventato un problema di portata mediatica, con conseguenti volontari che andavano di fatto di casa in casa a cercare/salvare da morte certa chi aveva il gioco risalendo dall'accout. Inoltre i protagonisti di quegli anime avevano un'età che gli garantiva per lo meno di non essere soli a casa. Ma se non è un problema generalizzato e sei un single sfigato che vive da solo come in Overlord? Forse ti trovano sprovvisto di flebo, a meno che nel futuro prima di giocare a un gioco di ruolo fantasy uno non si attacchi di default a una soluzione fisiologica di svariati litri che gli duri per più di un mese, abbinando questa pratica all'uso di pannolini per incontinenti da elefanti. Certo, può pure essere che nel 2126 hanno finalmente creato le tute dei Fremen di Dune, quelle che convertono tutte le sostanze secrete del corpo umano in sostanze nutritive, permettendoci di vivere per giorni senza mangiare né bere. Me li vedo i fan del capolavoro di Frank Herbert, quelli con il vermone del deserto arrakiano di plastica sulla scrivania, da veri super- nerd, a portarci verso uno stadio evolutivo superiore... dopo anni e anni passati a giocare con la cacca e la pipì... Eroi. Ma stiamo divagando. Sta di fatto che Overlord parla di un tizio molto nerd che forse è morto, ma che ora vive in un posto migliore. Un paradiso in cui è un signore ricco e incontrastato, pieno di donne prostrate a ogni suo desiderio. Solo io mi sto facendo degli strani trip sulla religione in questo momento? 


 - La trama più o meno: Siamo nel futuro, eccetera eccetera, vanno forte gli MMORPG ma ce ne è uno che sta per tirare le cuoia per poco pubblico/fine supporto della software house in ragione di nuovi progetti/nuovo e inaspettato interesse dei videogiocatori nei confronti delle forme di vita a base di carbonio. Sta di fatto che Yggdrasil, dopo aver regalato anni di battaglie fantasy e tante amicizie chiude. Momonga è il nickname del nostro protagonista, uno dei giocatori più forti di Yggdrasil. Momonga interpreta un eroe di razza "lich", un mago non-morto (e se avete letto lo sproloquio qui sopra valuterete che è una circostanza non messa così a caso), e fa parte della gilda di giocatori conosciuta come Ainz Ooal Gown, che ha sede nel castello virtuale della Grande Tomba di Nazarick. La grande tomba è gestita da un gran numero di servitori virtuali, creati esteticamente e caratterialmente dai giocatori, e siccome ospita una delle gilde più forti e famose è carica di tesori, incantesimi, armi e truppe tra le più prestigiose e agguerrite. Tutto un ben di Dio, costruito con anni di dedizione e lacrime rigorosamente sottratti al mondo reale, che verrà perduto quando a mezzanotte i server di Yggdrasil si spegneranno. Momonga gira per i corridoi della Grande Tomba in cerca dei suoi amici, per salutarli un'ultima volta. L'idea di incontrarsi in altra sede o nel mondo reale è esclusa sul nascere, anche se dovrebbe parlarsi di una amicizia di anni. Si rammarica del fatto che nella grande sala con la tavola rotonda dell'intera Gilda ci sia solo un altro giocatore, che presto saluta e si disconnette. Momonga è seduto sul trono circondato da servitori virtuali prostrati e sorridenti. Ha gli occhi piccoli, cattivi e rossi, il volto spaventoso e le allungate e appuntite mani da scheletro proprie della classe lich. Tiene lo scettro più potente in pugno e indossa la tunica da stregone di più alto rango mentre sta seduto come Re Conan nel finale di Conan il Barbaro di John Milius. Momonga aspetta, da eroe che ha raggiunto e avuto tutto da quel videogioco, l'ultimo momento, la mezzanotte e la fine della sua vita virtuale su Yggdrasil. Ma poi ecco l'imprevisto/star-previsto. Passa la mezzanotte e il comando virtuale per fare il logout "sparisce". Momonga è intrappolato nel gioco e il gioco stesso inizia a cambiare. Momonga e la sua Grande Tomba di Nazarick sembrano essere stati trasportati in un luogo nuovo, un mondo nuovo fantasy dove però valgono ancora i poteri e i titoli del lich. I servitori virtuali del castello sembrano più "vivi" e sono commossi dal fatto che uno degli eroi leggendari che hanno servito non li abbia abbandonati e davanti a tutta questa gratitudine e potere Momonga è più felice che spaventato dalla prospettiva di morire in modo atroce per fame e sete mentre è collegato a un videogame. Sarà perché indossa i pantaloncini dei Fremen? 


Il nostro eroe ha davanti a sé dei personaggi creati dai suoi amici giocatori, quasi dei loro fantasmi concettuali ma in fondo delle creature che non lo fanno sentire solo e ben voluto. Decide giusto, con i suoi "poteri da giocatore", di cambiare il carattere di uno dei servitori virtuali, rendendo innamorata di lui la sexy diavolessa Albedo. Con un click il nerd Momonga, un po' subdolamente e pateticamente, decide quindi di crearsi la compagna di vita che non ha mai avuto e con un secondo click compie un'altra scelta importante. Se non esiste più fisicamente il clan Ainz Ooal Gow, sarà Momonga a incarnarne la forza, le conquiste e i ricordi. Per questo da quel momento decide che sarà lui stesso ad assumere il nome di Ainz Ooal Gow. Certo, c'è certo da trovare un modo da tornare al mondo reale, magari facendo affidamento sul fatto che qualche altro giocatore di Yggdrasil sia rimasto come lui intrappolato nel gioco e che prima o poi, esplorando quel nuovo mondo, qualcuno finirà per incontrarlo. Però non ha troppa fretta il nostro eroe, anche perché sta iniziando a sentirsi diverso e, in modo sinistro, più simile al mago non-morto di quanto vorrebbe. Ainz Ooal Gow ragiona ancora con la voce del giocatore nerd che lo impersona, mentre la voce che sentono gli altri è un vocione cavernoso alla Batman. Il "giocatore interiore" di Ainz Ooal Gow è in fondo un simpatico cretino, che esplode in buffi soliloqui sul modo più o meno corretto di interpretare la sua "parte", sottolineando tutto il classico imbarazzo dell'imbranato giapponese medio quando si trova ad approcciare donne virtuali troppo sexy o deve compiere azioni percepite dagli altri come eroiche ma che in fondo lui sa che sono solo meccaniche di un videogame. C'è in lui tutta la disperazione possibile e immaginabile di un gamer, quando viene costretto dagli eventi a usare un incantesimo ottenuto come ricompensa di una sfida on-line multiplayer di un mese, un oggetto ottenuto magari non dormendo per due settimane. Ma qualcosa di umano da sempre presente in lui si sta spegnendo. Scopre dapprima di non provare quasi più alcun tipo di libidine e si ritrova mano a mano, pur per calcolo e dinamiche di gioco, a essere una persona spietata, indifferente alla vita. Un essere però che come gli spietati non-morti lich non hanno bisogno di cibo per vivere. Sta diventando davvero uno spietato Overlord, ma è una natura che Momonga prova a combattere. In cerca di soluzioni a questo problema e per poter esplorare il nuovo territorio in incognito, Ainz decide pure di crearsi una differente identità, il cavaliere Momon, per unirsi in una cittadinanze vicina al classico party fantasy da gioco di ruolo, composto da giovani "avventurieri in cerca di avvenuture". Sarà di colpo più interessato a conoscere persone nuove piuttosto che combatterle come si fa in un videogioco fantasy. Inizierà pure a fare maggiore affidamento sui suoi servitori, con la paura di essere più temuto che amato. Se in questo nuovo e strano mondo Ainz Ooal Gow può di fatto essere forte e potente come in Yggdrasil e può esserlo "per sempre", è l'umanità del nerd un tempo conosciuto in rete come Momonga a essere in pericolo. 



-Tra virtuale e reale, per lo meno scegliamo il "vitale": Overlord è una serie di Light Novel, di Maruyama, trasposta anche in un fumetto, con disegni di Miyama, portato in Italia da J-POP, è portata di recente in animazione dal prestigioso studio Mad House. Su Yamato Animation, il canale di YouTube gratuito di Yamato Video, è in corso, sottotitolato in italiano, lo streaming della seconda stagione, che esce intorno a martedì sera ogni settimana. Confesso che mi sono avvicinato all'anime con poco entusiasmo, spinto più dalla curiosità per l'ottima veste grafica e la potente colonna sonora. Il tema dei videogiochi che diventano un "altro mondo" dove vivere è affascinante, ma ormai già inflazionato e spesso gestito male. Se Sword Art Online riesce sotto chili e chili di belle lolite, due triangoli amorosi e tre spadate a occuparsi anche di tecnologia/parità tra i sessi, bullismo, autodeterminazione, malattia e disabilità, una simile ricchezza tematica non è presente in altre opere analoghe, che si limitano appunto a chili e chili di belle lolite, due triangoli amorosi e tre spadate. Peraltro Overlord parte in modo assurdo, presentando un personaggio che potrebbe morire se non si stacca dal videogioco, ma che davanti a questo fatto "non gli frega". Poi però la storia si arricchisce di strane sfumature malinconiche e diventa quasi terreno da studio sociologico su cosa sia essere un gamer. Il tono della narrazione è solo apparentemente leggero e Overlord butta fuori tutta la sua animaccia oscura. Insomma, non è la versione fantasy un po' sfigata di un Detroit Metro City che mi ero immaginato. E in qualche modo, se sei un giocatore, ti fa un po' "guardarti dentro", soprattutto perché mi ha ricordato i bei tempi andati di quando stavo attaccato al pc con Diablo 2 della Blizzard. Avevo un negromante cattivo cattivo e onnipotente, carico di armaturone e scheletri come il nostro Ainz. La visione di Overlord mi ha fatto venire voglia di scaricare il negromante di Diablo 3 per la play 4. L'esperienza del MMORGP l'ho un po' bypassata, oggi mi diverto con un MOBA come Overwatch, sempre di Blizzard, ma credo che tra un MMORPG e un gioco alla Diablo, se inseriamo nell'esperienza gli amici delle chat e le battaglie insieme a cercare pezzi rari di armatura ci siano ricordi simili. In Diablo, se ci pensi un attimo, in una mezz'ora di gioco puoi sterminare, nel contesto di una cattedrale maledetta con gente fatta a pezzi sparsa dappertutto, una piccola nazione di diavoli e mostri vari e poi puoi ricavare dai loro cadaveri bombe e scheletri combattenti. E' tutto dannatamente creepy ma è gotico, con una musica "calda" sinfonica in sottofondo, affascinante in ogni dettaglio, dalle caratterizzazioni agli oggetti di gioco. Overlord ha un mondo meno cupo di Diablo, ma con la stessa logica in testa. Ti fa empatizzare con dei personaggi, te li fa squartare davanti ai tuoi occhi, a tradimento, per mano di due diavoli e poi ti dà la voglia di vendicarli facendo sgorgare ai Diablo stessi fiumi e fiumi di sangue. Pur se ci innaffi sopra tutta l'ironia del mondo, il dato rimane. Prima passi il tempo a distruggere demoni, poi diventa routine e passi il tempo a distruggere demoni per ottenere oggetti speciali da collezionare o usare. E fai questo salto emotivo in un lasso di tempo brevissimo! A un certo punto la storia non c'è più e sei solo tu che distruggi roba per avere oggetti all'infinito, nella speranza fiduciosa di trovare oggetti rari quanto di vincere al gratta e vinci. Ed è tutto così semplice, bello e appagante che ci stai dei mesi. Se ti piglia troppo inizi a seguire gli eventi stagionali online collegati mettendo spesso da parte tutto il resto, in cerca di quel mondo che sa gratificati sempre e comunque. Ti ritrovi davvero dopo un po' a sentirti come un lich. In tre mesi potevi seguire un corso di judo reale, trovare amici e buttare giù due o tre chili, invece sei rimasto a casa e sei diventato un re lich, con in più la voglia sempre maggiore di preferire gli amici virtuali a quelli fisici, che puoi incontrare a tre chilometri. 


Overlord parla un po' di questo, della "perdita dell'umanità", potremmo dire usando dei paroloni. Una perdita alla quale comunque il nostro protagonista dal volto scheletrico (che potremmo pure essere noi stessi in senso lato, poiché il vero volto umano di Ainz non lo vedremo mai) cerca di far fronte, in modo impacciato ma comunque umano. C'è un momento della trama (più di uno in verità) in cui Ainz potrebbe resuscitare un personaggio, che è una magia in fondo "base" nel mondo fatato di ogni gioco di ruolo, ma decide di non farlo. Il problema è il "costo dell'incantesimo", ma di fatto per un costo esiguo lui non fa la cosa giusta e questo ha delle ripercussioni. L'anime, sommerso nella sua ironia e assurdità, ci dice che anche se, in un mondo ipotetico, l'esperienza maturata "perdendo tempo" sui videogiochi contasse qualcosa (anzi molto) e ci desse dei crediti, facendo di noi delle persone importanti per la società, non è detto che sapremmo usarli al meglio. Ma possiamo pur sempre provarci, mediando realtà e finzione dove possibile, non escludendoci dal mondo reale per fuggire in un epico mondo virtuale. Questo per me è il cuore interessante di Overlord. La seconda stagione poi ha un cambio di punto di vista interessante, mettendo il nostro eroe in disparte e soffermandosi sugli altri personaggi. In questo modo si ha una diversa percezione (spesso devastante) dell'impatto che le scelte di Ainz provocano sugli altri personaggi. Ed è un meccanismo curioso, supportato da un'ottima gestione del casting dei personaggi, che mette ancora più da parte la componente ironico-umoristica dell'opera, andando a colpire su sviluppi emotivi per me più interessanti. Insomma, questo Overlord non è affatto male, ma dovete andare oltre alla patina iniziale, alla confezione da giocattolo da intrattenimento di classe, per trovarci le cose migliori. Riuscirà il nostro eroe a tornare nel mondo reale o ora di fatto è già morto e si trova nel paradiso sognato da ogni giocatore troppo solo (ed escluso dal mondo e dagli affetti volente/nolente) dei giorni nostri? Andremo avanti a seguirlo fiduciosi.


Il fumetto non è male, anche se c'è meno gnocca che nell'anime e più World building dello strano scenario in cui è arrivato Ainz. L'anime non è niente male, anche se fa un po' l'opposto di cui sopra. Per gli amanti del fantasy che cercano qualcosa di spensierato si può seguire l'opera anche solo per divertirsi, essendo le elucubrazioni sul personaggio di Ainz un aspetto sottile (ma sublime) della narrazione. Alla fine il nostro protagonista potrebbe sembrare anche solo un mago eccentrico proveniente da un'altra dimensione, un po' come avviene in Magic Knight Rayeath delle Clamp. 
Molto carino il fatto che spesso la serie giochi sugli stereotipi degli eroi fantasy, spesso ribaltandoli in modo grottesco o tragico. Guardare per scoprire come!
Mi piacerebbe tanto che Yamato tirasse fuori un blu ray doppiato in Italiano, e adorerei Maurizio Merluzzo su Ainz. Io la butto lì... 
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P.S.: il popolo dei rettili è fighissimo, c'è una donna lucertola così sexy che non sfigurerebbe su playboy.