giovedì 31 maggio 2018

Hotel Gagarin: la nostra recensione




Il professor Speranza (Giuseppe Battiston) insegue la "speranza" di andare lontano dal liceo romano in cui insegna storia e dirigere un film importante sulle sue origini (da parte di nonno) armene. Il "paradiso" per il dott. Paradiso della truffaldinamente inventata Tindaro Productions, è riuscire a intascare, con l'aiuto di un politico compiacente, delle sovvenzioni europee che si attiverebbero iniziando le riprese di un film italiano in Armenia. Non serve per intascare che il film arrivi a conclusione, basta che "parta". Così l'intrallazzatore, con l'aiuto di un suo "generale sul campo" (Barbara  Bubulova), manda in Armenia una piccola armata brancaleone cinematografica, per lo più composta da gente disperata incontrata per strada, allo scopo di fare i primi sopralluoghi della fantomatica pellicola. C'è un elettricista (Claudio Amendola) che è pronto a riciclarsi come tecnico luci, c'è un fotografo un po' troppo fumato è pieno di debiti  (Luca Argentero) che potrebbe essere un ottimo direttore della fotografia "perché ha la faccia giusta", c'è una ragazza un po' coatta e un po' evaporata che si prostituisce in periferia che avrebbe la faccia giusta per la protagonista di Speranza, una giovane donna armena con una forte empatia per i cavalli. È tutta una truffa ma Speranza ci crede così tanto che parte anche lui, trovando in Armenia anche un paio di membri extra per il team, una ragazzina punk incinta e uno specie di "sherpa" che parla una lingua incomprensibile e veste pesantemente con delle pelli di animali pelosi vari. Destinazione come "base riprese", l'hotel Gagarin, avvolto nel niente artico a due passi da una centrale nucleare. Dopo un mese scoppia la guerra e la troupe è costretta a stare in albergo, poco dopo si scopre la truffa e il produttore Paradiso scappa in un paradiso fiscale, segnando tutti i contatti con quei disperati che un po' si dispereranno, un po' si innamoreranno, un po' si perderanno tra la neve  e un po' scopriranno su se stessi cose che non sapevano. Incredibilmente, inizieranno tutto a lavorare insieme alla ricostruzione del teatro abbandonato collegato all'hotel. Poi arriverà qualcosa che finalmente accenderà la speranza che tanto stava "attaccata" al nome del professore. Da un villaggio vicino arriva un omino che dice di aver sempre voluto essere Yuri Gagarin. L'omino chiede alla troupe cinematografica se può realizzare il suo sogno e loro fanno "qualcosa": tra assi e trucchi di scena e un po' di green screen, l'omino si sente in un sogno in cui lui impersona Gagarin. Felice, l'omino diffonde la voce che all'hotel Gagarin realizzano sogni. Il giorno dopo tutto il villaggio fa la coda per farsi realizzare dalla troupe italiana il proprio sogno personalizzato. 
C'è un'idea di cinema escapista controvoglia che ci rimanda al Mediterraneo di Salvatores, con analoghi eroi dimenticati" che ritrovano un senso alla propria esistenza in un paese lontano dall'Italia. C'è un'idea di cinema che intesse i sogni con tanta buona volontà e cartapesta che rimanda ai geniali e "analogici" film fatti casa del Be Kind Rewind di Michel Gondry. Nel mezzo c'è un po' di confusione generale sulla giusta direzione da dare alla pellicola, che la fa perdere lo spettatore  in sotto-trame poco sviluppate  e non gioca bene, se non letteralmente nei "titoli di coda", la carta surreale alla Gondry. A sovrastare il tutto, una colonna sonora invadente che cosparge di melassa e uccide ogni ritmo narrativo. Sono un po' arrabbiato. Per molta della visione, fino a quei titoli di coda "salvifici", mi è sembrato di assistere ad un film-truffa che parla della realizzazione di un film-truffa senza avere con me la giusta ironia (che dovrebbe sempre esserci!!) per apprezzare il contro-pacco, come avrebbe detto Nanni Loy. Non è colpa degli attori, tra cui un ottimo Battiston, un Amendola un po' compassato e un Argentero forse spaesato ma simpatico. Non è colpa della location, perché è bella ed evocativa, anche se un occhio attento (che non deve per forza essere di Wes Anderson) avrebbe aiutato a valorizzarla di più. È la scrittura il punto debole, laddove ci priva senza un motivo chiaro di un possibile (e da me sperato) cuore emotivo del film. In sintesi, i personaggi passano dall'essere dei dilettanti assoluti a "creatori di sogni" senza che ce ne accorgiamo e senza che, fino alla fine, ci sia concesso di avvertire un anche minimo mutamento in loro. Vediamo questo fiume in piena di gente che arriva all'hotel per "realizzare il loro sogno", immaginiamo delle meccaniche alla Be Kind Rewind, ma non vediamo mai la troupe che lo realizza concretamente. È come se il film avesse la parte più interessante che all'ultimo è finita tra le forbici del montaggio. In Mediterraneo, per fare un parallelo, vedevamo il tenente Montini (Claudio Bigagli) che restaurava la chiesetta locale alla bene e meglio, inserendo sui murali "a fare i pastorelli"i volti dei suoi amici. Qui non vediamo in una singola scena Battiston che dirige un film o Argentero  o Amendola con le luci. Abbiamo una scena con l'attrice in scena di mezzo minuto al massimo e in genere non c'è mai un guizzo (quello che c'era a frotte in Gordy) che ci faccia sapere che la nostra armata Brancaleone cinematografica è davvero in grado di fare qualcosa di buono. Mancando questo aspetto io non riesco proprio ad appassionarmi a questi personaggi, che per altro non sono nemmeno messi nella condizione di esprimere appieno i loro sentimenti perché sovrastati di continuo da una colonna sonora invadente e mellifua che ne copre i dialoghi (l'ho già detto, qui lo ribadisco). Rimane una grande idea di fondo, quella che l'arte sia in grado di permettere di sopravvivere anche alle guerre, concetto alto urlatoci anche da Boccaccio e Shakespeare e qui ripreso con garbo, sul finale, con un'ottima intuizione (e non copia) alla Gondry. Però il lavoro poteva essere più solido con un piccolo sforzo in più e il rammarico finale è forte. Argentero e Amendola, dopo Noi e la Giulia del 2015, sono di nuovo insieme in un film dal grande potenziale inespresso che parla di fughe, parla di seconde occasioni, parla di amicizia ma alla fine si perde nel parlare di tutto, ma troppo poco. Peccato. 
Talk0
P.S. O forse il film ci ha preso tutti in giro, facendoci pensare fino alla fine che i suoi personaggi fossero in realtà diversi da quanto ci saremmo aspettati, mostrandoci che anche dalle premesse più ostili può nascere l'arte. Mi piace che si possa leggerlo anche in questo modo in fine ed è interessante poterci ragionare sopra.

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