Il
professor Speranza (Giuseppe Battiston) insegue la "speranza" di
andare lontano dal liceo romano in cui insegna storia e dirigere un film
importante sulle sue origini (da parte di nonno) armene. Il
"paradiso" per il dott. Paradiso della truffaldinamente inventata
Tindaro Productions, è riuscire a intascare, con l'aiuto di un politico
compiacente, delle sovvenzioni europee che si attiverebbero iniziando le
riprese di un film italiano in Armenia. Non serve per intascare che il film
arrivi a conclusione, basta che "parta". Così l'intrallazzatore, con
l'aiuto di un suo "generale sul campo" (Barbara Bubulova),
manda in Armenia una piccola armata brancaleone cinematografica, per lo più
composta da gente disperata incontrata per strada, allo scopo di fare i primi
sopralluoghi della fantomatica pellicola. C'è un elettricista (Claudio
Amendola) che è pronto a riciclarsi come tecnico luci, c'è un fotografo un po'
troppo fumato è pieno di debiti (Luca Argentero) che potrebbe essere un
ottimo direttore della fotografia "perché ha la faccia giusta", c'è
una ragazza un po' coatta e un po' evaporata che si prostituisce in periferia
che avrebbe la faccia giusta per la protagonista di Speranza, una giovane donna
armena con una forte empatia per i cavalli. È tutta una truffa ma Speranza ci
crede così tanto che parte anche lui, trovando in Armenia anche un paio di
membri extra per il team, una ragazzina punk incinta e uno specie di
"sherpa" che parla una lingua incomprensibile e veste pesantemente con
delle pelli di animali pelosi vari. Destinazione come "base riprese",
l'hotel Gagarin, avvolto nel niente artico a due passi da una centrale
nucleare. Dopo un mese scoppia la guerra e la troupe è costretta a stare in
albergo, poco dopo si scopre la truffa e il produttore Paradiso scappa in un
paradiso fiscale, segnando tutti i contatti con quei disperati che un po' si
dispereranno, un po' si innamoreranno, un po' si perderanno tra la neve e
un po' scopriranno su se stessi cose che non sapevano. Incredibilmente, inizieranno
tutto a lavorare insieme alla ricostruzione del teatro abbandonato collegato
all'hotel. Poi arriverà qualcosa che finalmente accenderà la speranza che tanto
stava "attaccata" al nome del professore. Da un villaggio vicino
arriva un omino che dice di aver sempre voluto essere Yuri Gagarin. L'omino
chiede alla troupe cinematografica se può realizzare il suo sogno e loro fanno
"qualcosa": tra assi e trucchi di scena e un po' di green screen,
l'omino si sente in un sogno in cui lui impersona Gagarin. Felice, l'omino
diffonde la voce che all'hotel Gagarin realizzano sogni. Il giorno dopo tutto
il villaggio fa la coda per farsi realizzare dalla troupe italiana il proprio
sogno personalizzato.
C'è
un'idea di cinema escapista controvoglia che ci rimanda al Mediterraneo di
Salvatores, con analoghi eroi dimenticati" che ritrovano un senso alla
propria esistenza in un paese lontano dall'Italia. C'è un'idea di cinema che
intesse i sogni con tanta buona volontà e cartapesta che rimanda ai geniali e
"analogici" film fatti casa del Be Kind Rewind di Michel Gondry. Nel
mezzo c'è un po' di confusione generale sulla giusta direzione da dare alla
pellicola, che la fa perdere lo spettatore in sotto-trame poco
sviluppate e non gioca bene, se non letteralmente nei "titoli di
coda", la carta surreale alla Gondry. A sovrastare il tutto, una colonna
sonora invadente che cosparge di melassa e uccide ogni ritmo narrativo. Sono un
po' arrabbiato. Per molta della visione, fino a quei titoli di coda
"salvifici", mi è sembrato di assistere ad un film-truffa che parla
della realizzazione di un film-truffa senza avere con me la giusta ironia (che
dovrebbe sempre esserci!!) per apprezzare il contro-pacco, come avrebbe detto
Nanni Loy. Non è colpa degli attori, tra cui un ottimo Battiston, un Amendola
un po' compassato e un Argentero forse spaesato ma simpatico. Non è colpa della
location, perché è bella ed evocativa, anche se un occhio attento (che non
deve per forza essere di Wes Anderson) avrebbe aiutato a valorizzarla di
più. È la scrittura il punto debole, laddove ci priva senza un motivo chiaro di
un possibile (e da me sperato) cuore emotivo del film. In sintesi, i
personaggi passano dall'essere dei dilettanti assoluti a "creatori di
sogni" senza che ce ne accorgiamo e senza che, fino alla fine, ci sia
concesso di avvertire un anche minimo mutamento in loro. Vediamo questo fiume
in piena di gente che arriva all'hotel per "realizzare il loro
sogno", immaginiamo delle meccaniche alla Be Kind Rewind, ma non vediamo
mai la troupe che lo realizza concretamente. È come se il film avesse la parte
più interessante che all'ultimo è finita tra le forbici del montaggio. In
Mediterraneo, per fare un parallelo, vedevamo il tenente Montini (Claudio
Bigagli) che restaurava la chiesetta locale alla bene e meglio, inserendo sui
murali "a fare i pastorelli"i volti dei suoi amici. Qui non vediamo
in una singola scena Battiston che dirige un film o Argentero o Amendola
con le luci. Abbiamo una scena con l'attrice in scena di mezzo minuto al massimo
e in genere non c'è mai un guizzo (quello che c'era a frotte in Gordy) che ci
faccia sapere che la nostra armata Brancaleone cinematografica è davvero in
grado di fare qualcosa di buono. Mancando questo aspetto io non riesco proprio
ad appassionarmi a questi personaggi, che per altro non sono nemmeno messi
nella condizione di esprimere appieno i loro sentimenti perché sovrastati di
continuo da una colonna sonora invadente e mellifua che ne copre i dialoghi (l'ho già detto, qui lo ribadisco). Rimane una grande idea di fondo, quella che
l'arte sia in grado di permettere di sopravvivere anche alle guerre, concetto
alto urlatoci anche da Boccaccio e Shakespeare e qui ripreso con garbo, sul
finale, con un'ottima intuizione (e non copia) alla Gondry. Però il lavoro poteva
essere più solido con un piccolo sforzo in più e il rammarico finale è forte.
Argentero e Amendola, dopo Noi e la Giulia del 2015, sono di nuovo insieme in
un film dal grande potenziale inespresso che parla di fughe, parla di seconde
occasioni, parla di amicizia ma alla fine si perde nel parlare di tutto, ma
troppo poco. Peccato.
Talk0
P.S. O forse il film ci ha preso tutti in giro,
facendoci pensare fino alla fine che i suoi personaggi fossero in realtà
diversi da quanto ci saremmo aspettati, mostrandoci che anche dalle premesse
più ostili può nascere l'arte. Mi piace che si possa leggerlo anche in questo
modo in fine ed è interessante poterci ragionare sopra.
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