mercoledì 25 marzo 2015

Mission Impossible Rogue Nation

Sono un fico paura...

Ci siamo, Ethan Hunt è pronto a tornare a menar le mani e sforacchiare il solito copioso gruppo di cattivoni. Il quinto capitolo della serie, intitolato Rogue Nation, vedrà il nostro eroe affrontare una generica associazione criminale denominata "Il Sindacato". Il film è diretto dal buon vecchio Christopher McQuarrie, già dietro la macchina da presa ai tempi di Jack Reacher e artefice della sceneggiatura di Edge of Tomorrow (che ricordiamo essere stato tratto dall'ottimo romanzo "All you need is kill" di Hiroshi Sakurazaka). Pertanto sembra conoscere davvero bene il nanetto di Syracuse. Sa come dirigerlo sul set, ne conosce il carattere e le ampie capacità recitative (...), i suoi gusti, anche culinari (non sto pensando alla placenta...). Insomma, nonostante la poca esperienza sembra essere la persona adatta per far proseguire la saga nel migliore dei modi; saga che ha ricevuto nuova linfa vitale dall'eccellente Protocollo Fantasma.


Ad accompagnare Cruse ci sarà il suo fidato gruppo di amici formato da Jeremy Renner, Simon Pegg (sempre più lanciato nel mercato a stelle e strisce) e il redivivo Ving Rhames. La gnocca del film è Rebecca Ferguson, attrice di origini svedesi, non molto nota per ora (l'abbiamo appena vista nel poco riuscito Hercules di The Rock). A giudicare da come mena, forse Stallone la vorrà insieme ai prossimi mercenari.
Che dire? Il trailer sembra buono. Tom guida come un ossesso senza casco, corre a petto nudo e decolla attaccato a un aereo come neanche Harrison Ford in Air Force One. Volete di più? Basta aspettare il 19 agosto!
Gianluca

lunedì 16 marzo 2015

Il settimo figlio ...ma l'ho visto davvero?

Come cose inutili riaffiorino alla mente, mentre roba importante si dimentica sempre: Ogni tanto mi annoto le cose da fare, roba da gente vecchia che perde i colpi. Così sul mio taccuino da, che dico, sei settimane buone ho una annotazione del tipo: "Parlare del Settimo Figlio, non confondere con gli Iron Maiden...". Ogni settimana dimentico di spuntarla perché io del Settimo Figlio ho un ricordo vaghissimo.
C'è, mi pare, Jeff Bridges pettinato male e che parla in qualche stretto dialetto yankee. Ma Jeff Bridges da Il Grinta a Crazy Heart a R.I.P.D. è sempre pettinato male e parla in qualche strano dialetto yankee. C'è Ben Barnes, che non è Percy Jackson (la mia mente non vuole capirlo, anche se Gianluca mi ha minacciato con una sedia quando per la nona volta ho ribadito che è l'attore di Percy Jackson), ha fatto Il principe Caspian e Dorian Gray (che mi era pure piaciuto), ma che a me di faccia non rimane impresso, ed è interscambiabile con qualunque attore principale/spalla di young adult degli ultimi dieci anni. Sicuri che non è il tizio che fa Percy Jackson? C'è poi Julianne Moore, che fa la strega, che urla e dice cose folli, ma lo fa più o meno negli ultimi dieci film della sua carriera, potrei anche qui confondermi. E poi c'è una gnocca di nome Alicia Vikander che forse farà qualcosa per cui la ricorderò in futuro, tipo Ex Machina o Operation U.N.C.L.E. ma che per ora, anche perché ho gusti burini,  ha fatto solo roba che non ho visto. Tutto il contesto fantasy, infine, ha ormai insediato e livellato tutti i media. Dal cinema ai videogame, fumetti, moda, cucina e corsi medioevali di danza tradizionale. Tutto pare fin troppo familiare. Allora è dura davvero ricordare qualcosa che pare visto, ma visto altrove mille volte almeno, soprattutto quando un prodotto si genuflette ai canoni. Perché giuro, fino a pochi secondi fa, fino all'illuminazione (ma ci torniamo dopo), non mi ricordavo davvero di aver visto questo Settimo Figlio. Che dire poi del regista, Sergej Bodrov? Ha girato il celebre Mongol, unico waxia della storia che mi sono perso. Ma come è possibile che proprio nulla di nulla mi si palesasse alla mente? In effetti un morbo strano che deve aver colpito anche la Legendary Pictures, che si era (storia vera) dimenticata di fare uscire questa pellicola a febbraio dell'anno scorso con la scusa che: "Ma non l'abbiamo già fatto uscire? Sicuri?".
Probabilmente ora che nelle sale si sta diradando la sua programmazione, non ha nemmeno un senso parlare del Settimo Figlio ma oggi, dicevo poco sopra, mi si è accesa una lampadina, roba stile Memento di Nolan. Come avessi trovato un post-it tatuato sulla chiappa destra. Dovevo accendere il fuoco per far bollire l'acqua (storia vera), accendi-gas come sempre bagnato-non funzionante-pacco. Cerco fiammiferi e niente. Ravano nel cassetto e ti trovo un accendino a canna lunga stile lanciafiamme.

Il mondo si blocca. Nella mia mente compare Ben Barnes! Quello di Percy Jackson! No, scusate, non è che si può sempre ricordare tutto di tutto... Compare Jeff Bridges, quello che amerò sempre per Il Grande Lebowski e La leggenda del re pescatore. Con la sua faccia tutta ispirata storta degli ultimi suoi venti film in cui parla strano.


Dicevo, mi compare Jeff Bridges con in mano "quel" ridicolissimo bastone di plastica colorato male, con annesse lucine stile spada laser giocattolo, direttamente uscito da "cose brutte e finte" stile Barbarians Brothers (ricordare il drago fatto a scala mobile?). Con quella cosa triste e gommosa Jeff sta cercando di dare fuoco a delle comparse travestite da mostri scartati dal rooster di Mortal Kombat, roba indegna di una puntata di Ultralion. Ma fierissimi della loro ributtanza. Con attori che ci credono davvero nella loro performance drammatica

quest'anno l'oscar è mio!
E allora tutto, piano piano, ritorna. Come la peperonata.


Sinossi: Jeff Bridges è lord/sir/master/chisseloricorda Gregory, una specie di cavaliere Jedi (in questi mesi è il terzo o quarto personaggio che tra cinema e videogame richiama al ciclo arturiano, la fantasia è ufficialmente morta) che difende i villici di un generico mondo fantasy da zombie, diavoloni, orchi, draghi, non-morti, divinità indiane, dinosauri e in genere roba strana frutto di pericoloso abuso di redbull. Di fatto Sir Gregory sarebbe un mago e siccome siamo in un mondo maschilista-misogino è l'unico che può affrontare il nemico femmina per eccellenza, la strega, la "fata corrotta", probabilmente dall'arrivo delle mestruazioni, che in virtù del classico amore malato possessivo femminile (ma sto solo interpretando il film) è in grado di distruggere il mondo di un uomo diventando peggio di Satana. Così Jeff Bridges, malauguratamente,  si rompe di stare con la paranoica-possessivo-compulsiva fatina-stile-trilly Julianne Moore, che diventa in breve una strega che non ti dico, capace di perseguitarti ogni momento controllandoti su facebook e leggendo i tuoi sms e se scopre che sei andato con amici a Lugano ti ribalta casa, spacca il modellino di Gundam e brucia il cane. Per contenerla, perché le donne incazzate sono meta-umane e immortali, Jeff la imprigiona in una specie di trullo gigante di Alberobello e va a festeggiare ai Pin Up Cafè tutte le sere nei successivi cinquant'anni.
Poi arriva però la vecchiaia, e Jeff deve passare il fardello del mago locale a degli apprendisti, tutti scelti con un rigorosissimo metodo scientifico: un settimo figlio di un settimo figlio, anche se non ha fatto il classico e colleziona cacca di mosca. Ma la Moore, che per anni e anni dal suo trullo ha riempito twitter di frasi di odio nei confronti di Jeff, ora è diventata così potente da scappare dallo stesso con il minaccioso proposito di fargli pagare ogni scappatella per poi costringerlo a forza alla fedeltà eterna, a letto dopo Insinna, basta calcetto, niente coccole che ho ancora le palle che mi girano. Donne. Per rendere più concreta la minaccia Julianne va a ricomporre il suo piccolo esercito di seguaci stile cattivi dei Power Rangers. O riavrà il mago o darà fuoco al mondo. Ma Jeff non è solo. Ha trovato un nuovo settimo figlio di un settimo figlio, proprio nel momento in cui quello che aveva precedentemente in uso aveva rotto il contratto per andare a girare roba più redditizia, come il memorabilissimo "Pompei" di P.T.Anderson. Lo scettro del grande mago, un tubo di gomma con una fiammella finta e triste all'estremità, passerà quindi, dopo un proficuo addestramento all'attore di Percy Jackson. Cioè di Caspian. Uff... ma riuscirà il nuovo mago a non innamorasi a sua volta di una fatina prima dolce dolce come trilly e poi incazzata nera e mortifera alla prima scappatella?

Ben Barnes sul dizionario alla voce "carisma"
Mamma mia: Che poi la storia, stringi stringi, è davvero tutta qui. Tutto sto mondo non esisterebbe se non fosse per Bridges che non vuole trombarsi la ex. E cosa accade per tutta la durata del film? Insegnamenti alla Karate kid? Magari! Una convincente evoluzione-emancipazione del nuovo mago Ben Barnes? Ci sarebbe piaciuto. Un po' di sano splatter che non possiamo dire mai di no? Ma manco per sogno! Bridges e Barns, vestiti malissimo, che vagano a caso. All'improvviso appare un mostro. E loro vanno a farci botte. Punto. In un mondo fantasy a caso dove tutti i mostri sono privi di personalità al punto che non venderebbero neanche come giocattoli. Non c'è uno studio grafico o direzione artistica, ma manco la classe di un concorso di monster design con i disegni di bambini delle elementari. Cose che capitano a caso legate da una trama che serve a giustificare l'inclusione di continui nuovi mostri da sfidare, mostri che devono entrare nella trama perché sono stati comprati all'ingrosso, alcuni realizzati da artisti, altri da veri cani. E il problema non è forse manco il livello altalenate, quanto il fatto che questa struttura non diverte. Ci sono trovate visive interessanti e i draghi parrebbero pure da non buttare via, la trama non è tutta-tutta-cacca, Jeff Bridges che è garanzia di stare vedendo qualcosa di "valido", lui e la Moore danno un po' di credibilità al tutto,  ci sono le botte, le trasformazioni, le ri-botte, ma giuro, siamo davanti alla cosa più anonima e raffazzonata degli ultimi tempi, quasi in grado di scalzare dal trono dell'inutilità quel terrificante 47 Ronin con Keanu Reeves. Tutto è generico, dozzinale, già visto, e meglio, altrove. Il film è bulimico di contenuti che non è in grado o non è capace di sviluppare bene. Non una goccia del carisma fracassone di Hansel e Gretel - cacciatori di streghe, non un approfondimento alle tematiche sentimentali marchio di ormai tutti i young adult (ma cito Beautiful Creatures per stare in tema), non una trama solida o per lo meno sognante quando Stardust. Non siamo nemmeno dalle parti del "dozzinale di lusso" stile i due film sui Titani, gli effetti speciali hanno cali paurosi di realizzazione da un momento all'altro. Manca pure quell'autoironia, anche solo involontaria, da farne un guilty pleasure di serie Zeta. Il settimo figlio è irrimediabilmente moscio. Serioso, noioso e moscio. Ben Barnes è una pippa totale (e con gli anni pure più bruttino), non sa cosa sta facendo, non ha voglia di farlo o sta pensando ad altro. I suoi combattimenti con i mostri sono brutti, ma quando impugna l'accendigas magico diventano pura spazzatura. Non aiutano i costumi di scena pacchianamente orribili, su tutti i livelli. Scarti di qualche palio rionale a tematica medioevale che si svolge nel bergamasco e saldi fuori stagione di un sexy shop romagnolo.
A noi piacciono le poverate, le poverate sono "vita", puro spirito ribelle contro la macchina dei soldi degli studios, pietre angolari liberatorie della settima arte. Ma questo film non ha nemmeno quella piccola scintilla per farsi apprezzare come poverata, pare una marchetta su commissione afflitta produttivamente da continui tagli di budget e riscritture, tipico marchio di fabbrica di un produttore esecutivo pazzo.
Ad una prima visione può anche divertire, grazie soprattutto alla Moore, a Bridges e all'orco con il faccione palesemente di gomma, ma tutto il resto floppa, i giovani attori floppano e la trama non prende mai. Riguardarlo è una fatica indicibile, uno sforzo crudele che reca l'amara sensazione che se fossero stati concentrati meglio gli sforzi, di scrittura quanto di rappresentazione, su scene più mirate, qualcosa di buono si poteva anche cavare. E cacchio avevano in mano una saga fantasy di base. Potevano girarla come cavolo volevano e farci un brand. Si vinceva facile. Tutto qui non funziona ed è sentitamente assurdo che siano stati buttati tanti soldi in questo progetto, quanti per l'orribile Conan di Mamoa, da un'etichetta poi che ti esce con cose tipo Godzilla di Gareth Edwards, Pacific Rim di Del Toro. Follia pura.
L'orco non parla perchè il trucco non lo permette!!! Una poverata quasi commovente...
Il brutto bastone-accendino d gomma, che sognava di essere lo scettro di un mago, rimane il simbolo dell'incompiuto, non voluto, sottopagato, trascurato, sfigato, perdente bel film che sarebbe potuto essere. Un film che è destinato purtroppo al veloce oblio.
Ma di cosa stavo parlando?
Ma è quella cosa con il tizio di Percy Jackson?
Ehi, è un sacco che non vedo Ultralion!

Talk0         

lunedì 9 marzo 2015

Orfani: Ringo vol.5 : All'ultimo respiro



Dopo la spaventosa esplosione a epilogo del numero scorso, tutto pareva per sempre finito, non fosse per il fatto che in quarta di copertina c'era l'anticipazione del numero 5. I nostri eroi sono salvi per miracolo, ma quello che ha bisogno ora di un buon bagno nel solito classico e funzionale liquido rigenerante alla Star Wars è Ringo. Così gli orfanelli, che si accorgono di non accontentarsi più del triangolo,  devono ora sobbarcarsi la difesa del loro mentore, dimostrando al mondo di essere pronti a fronteggiarlo a testa alta, anche se la crudele dottoressa  Juric, sempre più confusa sul suo ruolo di madre di mostri, ha in serbo qualche decina di migliaia di guardie robotiche al suo servizio e un nuovo, vecchio, nemico sta solcando i cieli in cerca di vendetta.
corvi digest: i corvi sono sempre bestioline amate dai cattivi, come Disney insegna...
Nuovo numero degli Orfani, un piccolo concentrato di scene action senza tregua dalla prima all'ultima pagina. Recchioni gioca con la cultura pop combinando Romanzo Criminale a Lupin III (fantastica e "perfetta" la 500 modificata del Castello di Cagliostro di Miyazaki che si trova in un possibile covo della banda della Magliana) e declinando armonicamente le follie nazistoidi di giochi come Wolfenstein e Killzone con poetiche suggestioni, parimenti nazistoidi direttamente tratte dal classico Kyashan della Tatsunoko (tanto in versione vintage, quanto nella rivisitazione filmica). Ne risulta un overtour divertente, frenetico, coinvolgente, mooooooooooooooolto derivativo, estremamente ludico-tamarro (ma Recchioni "è" un tamarro convinto, e quando gestisce bene la tamarraggine ne fa suo marchio di fabbrica) ma godibilissimo. I tre ragazzini crescono davvero di numero in numero e ci stiamo letteralmente affezionando a tutti loro, tanto nei pregi che nei difetti. Sono l'anima di questa seconda serie ed è un vero piacere vedere la grazia con cui l'autore riesce a farli sbocciare in giovani adulti. C'è anche un piccolo spazio per la critica sociale e l'argomento è anche piuttosto amaro, in futuro si prevedono risvolti di trama davvero interessanti.
I disegni di Gianfelice per i colori di Niro sono ottimi e adattissimi alla frenesia action del racconto. La scena è sempre carica di "effetti speciali", tutta roba che scoppia, spara, ri-scoppia e ri-spara. Si respira ovviamente l'aria degli inseguimenti automobilistici al limite delle leggi fisiche di Lupin, dei combattimenti corpo a corpo di Kyashan contro robot che fanno il passo dell'oca, con mille scene-citazione a fare l'occhiolino a "chi sa". Ma non mancano alcuni scorci su un'altra delle belle intuizioni della seconda saga, sull'Italia futuro-prossima, delizia visiva del viaggio interiore dei nostri eroi, che si espande in scenari davvero evocativi e sempre  interessanti, in perfetto equilibrio tra passato e futuro. E c'è gente che vorrebbe andare in Giappone prima di aver visto Firenze o Roma... Naturalmente il top tamarro-recchioniano si annida nelle ultime pagine del volume, ma esteticamente non stona.
Bel numero. Divertente, veloce, da leggere d'un fiato.
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Dragonero n. 21: Gli spettri del lago

Un nuovo giorno di sole per la ridente Solian. Mentre la coppia di fatto uomo-orco sta preparando la pappa, la loro  curiosa figliola adottiva elfica si intrattiene con un messaggero, legandolo con frasche sadomaso. E lui si lamenta. Ma il tempo per i giochi è già finito e i nostri tre eroi sono chiamati all'avventura sul confine Candaryano. Ian è irremovibile, non si mangerà per almeno tre giorni, che lui sta mettendo su troppi chili e Gmor non lo vuole tutto ciccia e brufoli. Strani riti di sangue stanno interessando da troppo tempo una sorgente miracolosa. Cerimonie pagane, officinate dal sacerdote del vicino villaggio, sacrificano a strane divinità giovani donne per garantirsi prosperità e benessere. Ian e compagni si trovano grazia a una guida  per caso al momento giusto nel posto giusto. Il nostro eroe si fionda letteralmente nel salvataggio della vergine designata per il sacrificio del giorno nel momento in cui sta per cadere nei flutti della sorgente. Vuoi l'influenza nefasta della spada ammazzadraghi, vuoi la peperonata consumata di nascosto dal gruppo nella locanda del Lento Pede, fiore all'occhiello della cucina messicana di zona, Ian appena viene a contatto con l'acqua svariona. Ian vede la gente morta. Non un grosso spoiler, visto che si vede già in copertina, ma iniziamo comunque a temere per la futura stabilità del matrimonio con sua moglie, l'orco Gmor. Ian esce quindi stra-incazzato dalle acque. I villici vengono con male parole allontanati dalla fonte senza il sacrificio, tutti in castigo dietro la lavagna! I nostri si accollano la protezione di una vergine che non vedeva l'ora di morire e cerca più volte il suicidio e tutto il paese se ne sta con le pive nel sacco, parlando di vendette che la predetta entità scaglierà su di loro se non avrà la fanciulla in pasto per l'ora in cui c'è Dragonball in tv. Tutto andrà naturalmente nel giro di poche pagine a scatafascio. Perché i nostri hanno deciso di restare ad indagare fino a che non avranno fatto girare le palle a tutti.
Nuovo arrembante numero di Dragonero, un racconto one shot leggero leggero che fa riflettere sulla medioevale ma sempre attualissima paranoia delle masse deboli e suggestionabili. Non vorrei spingermi troppo oltre, anche perché il pezzo forte è il classico mostro marino modello attore porno di anime giapponese,  ma il tema ha molto a che vedere con la religione e il fanatismo. E' anche l'occasione per scavare nel mondo passato della serie, approfondendo i contatti tra elfi e umani nelle epoche passate, in un miscuglio di scienza travisata in misticismo per la mancanza di un interprete in loco, ennesima dimostrazione della capacità espansiva infinita di questa saga. Tuttavia qualcosa non torna nel racconto ad opera di Vietti, rimangono oscuri i motivi "reali" che portano "proprio" (non bastavano due assistenti sociali e tre prozac? Occorreva uno scout imperiale ammazzademoni?) i nostri eroi in una landa tanto desolata, così come l'economia delle rivelazioni offerte. Di sicuro una storia futura sarà in grado di tornare sull'argomento. Graditissima la presenza dell'elfetta, ci piacerebbe vederla più spesso nelle future avventure, magari in un ruolo non necessariamente strumentale al racconto. La rappresentazione della bellicosa ma in fondo sfigata cittadinanza nei pressi della sorgente, guidata da un carismatico sacerdote a ogni modo funziona. L'idea di una sorgente come simbolo della forza della natura che si scatena ci piace sempre. Un'acqua che, con lo scotto di qualche piccolo sacrificio umano, fa sentire puliti dentro e belli fuori.

Validi e carichi di dettaglio i disegni della Platano. Riuscita la caratterizzazione di Sera, che qui ci appare più "piccina" del solito e ci piace un sacco. Meno affascinante Gmor, davvero troppo in modalità Kung Fu Panda così come abbastanza convenzionale Ian. Farei partire una petizione per il taglio del suo ridicolissimo codino. Le scenografie sono invece davvero da urlo, cariche di mille preziosismi, solide e davvero suggestive. Il pozzo è suggestivo, anche la città lo è e ogni tavola ha una ottima spazialità. Il lavoro di ombreggiatura è eccelso e le scene d'azione perfettamente chiare e convincenti. Bello il mostro tentacolare-pornoattore giapponese.
Ci è piaciuto.
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Dylan Dog n.342: Il cuore degli uomini

Un'altra storia d'amore è finita, una nuova storia d'amore è pronta a sbocciare per soddisfare un bisogno insaziabile e irrinunciabile, predatorio quanto egoista. Ma qualcuno non è d'accordo, la vendetta è in agguato e chi poco ama, per una volta, non sarà il più forte. Una vendetta lo attende, inesorabile e disciplinata, mossa, come tutto il mondo, sempre dall'amore e dalla necessità infinita di comprenderlo. E per una volta Dylan non sarà l'eroe della storia. Ma forse neanche la vittima.
A voi scoprire la storia e il suo suggestivo gioco di specchi. Vi do un consiglio. Non leggete una sola riga in più prima della lettura o qualcosa di bello ed originale, inevitabilmente, verrebbe  a perdersi.
Dylan e l'amore, un girotondo infinito. Dylan ama con tutte le forze ma il mese successivo tiene tra le braccia un'altra donna, alla quale promette uguale infinito amore. In realtà il problema risiedeva solo negli occhi di chi leggeva le storie ricordandole e classificandole. Ma in realtà gli albi erano tutti o quasi autoconclusivi e ogni donna che Dylan incontrava era La donna, l'elemento centrale-motore che permetteva di regalarci, ogni mese, oltre a zombie e squartamenti una nuova, agognata, storia d'amore. Eros e Thanatos, Amore e morte. La "morte puttana", che declinava, sintetizzava e sosteneva Sclavi. Del resto solo l'amore può salvarci dall'incubo. Solo la vita ci dà il coraggio di affrontare la morte. Se Dylan non amasse e non ponesse l'amore al centro del suo universo, sarebbe un uomo diverso, forse più preparato ad affrontare le forze del male, ma forse anche più cinico. Per questo la storia sentimentale era sempre importante quanto unica nell'intreccio.
Per questo, a mio avviso, non si può fare davvero una classifica su chi Dylan ha più o meno amato, perché l'amore, nel senso più romantico e sclaviano, è infinito sempre e comunque nei confronti della persona con cui in un momento lo si condivide.
Uscendo dall'ottica monografica, nel nuovo corso inaugurato da Recchioni, la realtà di un mondo sempre uguale e sempre diverso, racchiuso metaforicamente in una palla di vetro (come il film Dellamorte Dellamore insegna) va a infrangersi. Così l'autore, magari pressato dalle manie classificatorie dei fan (che si estendono anche a tematiche degne di Cosmopolitan), cerca di fornire una spiegazione all'interruttore difettoso che spegne l'amore di Dylan per una donna a distanza di un mese o poco più. Un impegno non da poco, quasi da far tremare i polsi. Recchioni ci narra qui allora quello che avviene tra un amore e quello nuovo, tra una storia di fantasmi e l'altra, fornendoci una visione inedita, da dietro le quinte, intima. Si rivela così il lato più bello del suo amico e assistente Groucho, quello spaventoso e inquietante. Groucho non mi è mai piaciuto per via delle barzellette, ma perché in fondo è lui il vero uomo con la pistola, quello che interviene nel momento del bisogno. Groucho ci viene spietatamente descritto in una scena con protagonista l'ispettore Carpenter per quello che tra le righe già intuivamo, da sempre, qualche volta avevamo quasi riconosciuto, ma non volevamo alla fine conoscere. Groucho non è solo l'angolo comico della testata, non è solo la spalla dell'eroe. Potrebbe essere qualcosa di peggio e il suo alone di mistero potrebbe non farci dormire. Ugualmente in Dylan si mette a nudo, con un allucinante viaggio di stampo psicoanalitico, l'ego "umanamente perverso" che lo domina,  quanto basta a farcelo quasi accostare al Sergio Castellitto del mai troppo capito film La Carne. Dylan è irrisolto e più complicato del previsto. E non è per il fatto di essere un ex alcolista probabile figlio di Satana (cosa che il numero 100 avrebbe dovuto dirci prima di fare un passo indietro... ma queste sono solo mie congetture da nerd). L'amore per Dylan diviene un bisogno riflesso, quasi di comodo, ma questo forse va a limitarlo? Non credo, ma la storia comunque ci mette a contatto con questa prospettiva nuova e possibile, scomoda quanto unica, che sinceramente apprezzo quanto in parte temo. Con questo racconto mi spingerei a dire che Recchioni lascia una impronta "milleriana" sulla storia del personaggio ideato da Sclavi. Lo riscrive rendendolo davvero nuovo e duttile per il lungo corso. Che ci sia nei piani dell'autore una donna in grado di curare la sua bulimia amorosa? Qualcuno che abbiamo magari già intravisto? Ad ogni modo questa svolta narrativa mi attira, anche se non è che l'eroe ci faccia una splendida figura. Come scriveva Bendis in relazione al suo ciclo di Daredevil, un eroe con più difetti si ama forse maggiormente di un eroe perfetto. Ed è vero.
Non pensate comunque che ci troviamo davanti a una lettura per ragazzine, il numero è dalle tinte forti e fosche, pieno di sangue e disturbante, nella sana accezione Lynchana del termine. I demoni interiori fanno quasi più paura di quelli comuni abitualmente affrontati, ma non sarebbero così forti se mancasse un solido ed estremo lavoro grafico atto a descriverceli al peggio.
Dall'Agnol aggredisce la pagina con un bisturi impazzito. Sfiletta ogni dettaglio anatomico di volti volutamente abbozzati, incidendo quasi sulla pelle, in smorfie espressioniste i sentimenti dei personaggi. Tutto è eccessivamente veloce, sgraziato all'apparenza quanto dettagliato a una visione solo più accurata (che si tende quasi a scoraggiare però, come a preservare un tesoro nascosto). Ne esce una fotografia disperata e glaciale, che affligge di linee aguzze tutta l'ambientazione cittadina, in cui la sintesi visiva diviene sinonimo di sintesi emotiva, specchio della banalità emotiva intrinseca dei personaggi, che è tale fino a quando il disegnatore li mette al centro della scena, afferrandoli e quasi graffiandoli, quasi a imprimerci vita. Ogni tanto poi l'autore gioca con la mezzatinta, abbassa la temperatura dell'indifferenza e infonde calore, momentaneo, ai disegni. Ci illude, portandoci nel rassicurante mondo delle favole e dei cuoricini. Ma è solo un attimo, repentinamente pure in quelle scene parte con una colorazione aggressiva, febbrilmente calcata, di stampo espressionista, quasi rabbiosamente infantile, convulsa quanto potente tanto sui personaggi che le scenografie, in grado di trasformare con un consequenziale, inesorabile e inarrestabile overtour il sogno in incubo. Qui i volti chirurgicamente incisi su pelle dalla matita-bisturi diventano sfumati, grossolani quanto metafisici, in un vortice grafico che confonde e immerge la tavola in un unico magma visivo, volutamente scostante e privo di forma quasi a cogliere, giustificare e rappresentare con i limitati mezzi umani l'indefinito moto dei sentimenti dei personaggi. Andate a pagina 40 dove si assiste alla metamorfosi grafica dei lineamenti del nostro eroe, godete della forza disperata della sequenza di tavole da 65 a 69, infine immergetevi nel surrealismo di pagina 95. Il tratto di Dell'Agnol non è fatto per "piacere", nel senso di soddisfare un determinato bisogno estetico, ma è potente, programmato per entrarvi dentro e incidersi nei vostri ricordi.
Siamo dalle parti del capolavoro, per mio modesto parere. Un'opera travolgente che rimarrà indelebile nella memoria dei lettori. Un'opera che parimenti potrebbe anche non piacere tanto per la nuova lettura dell'animo del protagonista quanto per il molto peculiare stile visivo adottato. Un'opera quindi che probabilmente è destinata a dividere il pubblico, ma che rimane per me eccelsa, coraggiosa e irrinunciabile nell'attuale panorama fumettistico italiano, quale fulgido esempio di come superare i limiti estetici del classico "bonellide" è sempre possibile. A volte auspicabile. 
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Diablo 3 ...la conferenza della GDC 2015



Come ogni anno, è arrivata la Gdc, il momento giusto per presentare le nuove tecnologie del mondo videoludico. E tra un project Morpheus e il nuovo Unreal Engine 4, qualche presentazione di nuovi game e cotillons vari di cui in genere frega poco fino alla data di uscita di qualcosa di concreto, la Blizzard ti tira fuori questa bella conferenza di un'oretta circa su uno dei suoi più noti cavalli di battaglia, Diablo 3. L'occasione migliore per celebrare il brand e i milioni di giocatori che ogni giorno si sfidano su battle.net ma anche momento per ammettere i molti errori e problemi che la saga ha vissuto, con una umiltà che davvero commuove e fa passare sopra alle mille incazzature del passato. Blizzard riesce quasi a ridere di sé, qualcosa che non si vede davvero tutti i giorni e che forse solo una delle più grandi etichette videoludiche di sempre può permettersi. C'è un po' di tutto, dallo sciagurato mercimonio delle aste ai problemi di connessione, dalla scelta di cambiare sistema di gioco per adattarsi alle console al senso stesso di giocare per ore e ore a un titolo senza mai stancarsi, vuoi perché ci sono gli amici, vuoi perché si è affamati di sfida e ghiotti di potenziamenti infiniti, vuoi perché falciare diavoletti è il massimo dopo una giornata lavorativa. Vi posto pertanto la lunga conferenza in calce, certo che i gamers di vecchia data partiranno con il treno dei ricordi, fin magari dalla prima apparizione, come fulmine a ciel sereno, del primo Diablo.


Io ero ancora un pischello quando mi capitò tra le mani il primo episodio. Un mondo in rovina si sviluppava in una serie di scale e piani senza fine che da una cattedrale conducevano dritti all'inferno. Con spade, magie e tanta tenacia, trapassano schiere infinite di scheletri, goblin, orchi, demoni e stregoni  si giungeva faccia a faccia con uno dei più terribili demoni che la storia videoludica conoscesse, consci che una mossa sbagliata era morte certa. Il viaggio cominciava con la  scelta tra tre eroi, prima semplici "morti che camminano", ma via via spaventose potenze della natura, armati e corazzati sempre più pesantemente. Due parole al guaritore locale e ci si buttava nel gameplay, cercando pozioni su pozioni per riempire tanto la boccia blu degli attacchi speciali quanto la rossa della vita. I più sfigati, come me, stavano sempre con la mappa del livello aperta, per paura di perdersi. Ogni tot di uccisioni e si saliva di livello, diventando più porti e prestanti e acquisendo nuove mosse e poteri. Non si doveva fare altro, solo avanzare abbattendo centinaia e centinaia di mostri cliccando con il mouse del pc. Tritare mostri, collezionare armi ed esperienza per nuovi attacchi, trovare l'accesso al nuovo livello o aprire un portale per tornare un attimo in città a fare scorte, fino alla fine. Non serviva altro, non si voleva altro. La grafica bellissima e accurata che faceva sembrare i pixel degli interni di chiese gotiche (o forse le chiese gotiche le hanno create dei fan di Diablo), l'atmosfera di costante pericolo e blasfeme implicazioni (e nel nostro paese pentacoli, frustini e candele alla cannella vanno fortissimo), la spettacolare musica senza tempo che pareva uscire dritta tanto dal medioevo che dagli Iron Maiden facevano tutto. Ve le ricordate quelle note? Roba da stare sdraiati sul letto a contemplare le stelle con il volume a palla...


I livelli poi, per un geniale sistema randomico di generazione, letteralmente mutavano aspetto di partita in partita (giuro, non stavo in trip mistico...), così come la disposizione degli avversari e dei tesori, ogni volta era un viaggio nuovo, unico e la sfida si faceva sempre più ardua, sempre più impossibile, con trenta o più nemici che ci attaccavano insieme. E poi c'erano i boss. Ho tremato la priva volta che da una lorda stanza ricoperta di corpi massacrati e appesi a ganci metallici è uscita la voce del demone conosciuto come The Butcher, con corna, andatura traballante e con la mannaia in pugno, ringhiando verso di noi il suo minaccioso "fresh meat". In un attimo ci raggiungeva ed eravamo, se non abbastanza potenti, subito morti. Perché già allora, come oggi negli acclamati giochi Tecmo della serie Souls, ogni volta che si cadeva in battaglia si perdeva tutto e bisognava tornare nel luogo di morte per recuperare i tesori persi, rischiando mazzate su mazzate, con il tesoro accumulato ridicolmente ridotto per schernirci. Con il rischio però che qui non solo si perdevano punti/denaro/anime, ma anche armi ed equipaggiamento difensivo, con il rischio di dover affrontare nudi degli avversari che con troppa baldanza avevamo sfidato. Morti stecchiti e più nudi di Rocco Siffredi. Ma senza spada. Si dovevano quindi tenere da parte degli equipaggiamenti e non fare mai il passo più lungo della gamba. Diablo metteva alla prova, ma era per tutti. Chi si buttava a testa bassa negli scontri, chi soppesava il valore di ogni oggetto e passava più tempo dal mercante che sul campo da battaglia. Si poteva lanciarsi sul corpo a corpo, stare alla distanza con arco e frecce o evocare un piccolo esercito di scheletri e golem per darci una mano. Il gioco era immenso e quasi infinito. Si poteva poi giocare online contro altri giocatori o insieme e l'esperienza diventava sublime, la sfida più gloriosa con montagne di nemici sempre più alte da abbattere. Ma quando si arrivava al filmato finale, ci si rimaneva davvero male. Poi arrivò l'espansione, poi Diablo 2 e la sua relativa espansione. C'era chi si comprava il pc sono per giocarci. Più classi, più nemici, più cavolo di gemme da raccogliere per potenziare le armi, lo stesso divertimento. Ho dovuto cambiare tre pc per giocarci bene (e per arrivare alla risoluzione alta che permetteva l'espansione, che però mi faceva crashare tutto e sempre... ma che libidine), il mio negromante evocava interi eserciti e la cpu non ce la faceva a tenere tutto su schermo, rallentava, sbuffava, chiedeva pietà, ma tuttavia masticava più dati che poteva nel riprodurre le splendide ambientazioni egizie o le nevi perenni dei paesaggi nordici. Sul pc ho davvero giocato a poco altro, a pensarci bene. Qualche avventura grafica, i warcraft/starcraft, quake, unreal e davvero poco altro. E la serie Diablo occupava il 96% del tempo. Il terzo Diablo lo posso giocare purtroppo solo ora, ad eoni dall'uscita, espanso, sulla console, non ho ancora un pc tanto potente da gestirlo al meglio e forse non lo avrò mai. Sono rimasto un solitario comunque, non gioco quasi mai con amici a Diablo. Conosco comunque chi si è approcciato, sedotto, innamorato e impazzito già dall'esordio di questo titolo, chi lo ha amato e chi odiato, chi si è perso nelle aste delle armi con "soldi veri", chi ha pianto quando su schermo appariva l'errore 37, chi si è stracciato le vesti, chi ha maledetto che anche sulle console potesse uscire, chi è immigrato sui monti per dimenticarlo fino a che, con l'ultima espansione, tutto si è aggiustato (ma le aste forse torneranno di nuovo, chissà). Più che un gioco, approcciarsi con Diablo è per alcuni una specie di relazione sentimentale, di quelle passionali e tormentate. La storia dello sviluppo di questo terzo capitolo, così come raccontata alla Gdc,  è qualcosa che tutti i fan duri e puri non possono mancare. Racchiude davvero il senso dei titoli sviluppati nei giorni nostri, chiarisce come è cambiato, forse in peggio, tutto il modo di giocare, ma di come forte rimanga la voglia di divertirsi, anche in quello che appare a prima vista il gioco più semplice del mondo. Certo è anche una storia a lieto fine, perché Diablo 3 , così come è ora espanso da Reaper Souls, è di nuovo il titolo imperdibile che tutti amiamo, qualcosa di cui non ci stancheremo ancora per anni ed anni. Su un blog come il nostro, che parla di passione per il perder tempo, questa chicca non era davvero perdibile. Come non potevo esimermi dal postare almeno la foto di una cosplayer del titolo...



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giovedì 5 marzo 2015

Le Storie vol.29: La Battaglia di Marengo. Disegni Saudelli, Testi : Ruju

Spinetta Marengo, ai giorni nostri. Quattro ragazzi decidono di andare nei luoghi dove si è svolta la storica Battaglia di Marengo, il 14 giugno 1800, tra le armate di Napoleone e l'esercito austriaco. Il bel tempo, gli abiti striminziti e le belle forme femminili descritte da Saudelli con la riconosciuta consueta maestria, tutto fa pensare che da lì a poco "si trombi". Cosa che infatti una delle coppie si appresta a fare. Solo che l'altra ragazza inizia a dire che quel luogo è legato al passato della sua famiglia, c'è dietro tutta una storia bellissima che non ti dico, lunghetta ma che ne vale veramente la pena di sorbirsi, integralmente, invece che trombare, per tutto il resto dell'albo. Un ragazzo sano di mente, considerato il posto magico e pieno di verde e le belle forme femminili, come sopra già detto splendidamente descritte dal tratto di Saudelli ecc.ecc, le avrebbe ficcato la lingua in bocca alla seconda nuvoletta parlante/delirante evitandoci la mattonata. Ma lui no, lui è un esperto di storia a livello maniacale, uno che non si limita ad andare al museo storico cittadino di tanto in tanto ma ci "sverna proprio", al punto che gli addetti lo conoscono, se non lo vedono si preoccupano. Così mentre noi increduli speriamo in una qualsiasi svolta narrativa "di qualsiasi tipo" ma comunque atta ad ammazzate un racconto di cento pagine, la ragazza inizia a raccontare una storia d'amore stile Harmony tra un ufficiale, una bella damina e un cacciatore con tanto di rivisitazione del popolare, tutt'oggi amatissimo (???), sceneggiato rai "La freccia nera"...
No.
Il mio giudizio su questo albo potrebbe tranquillamente iniziare e finire con queste due lettere, accompagnate da un punto esclamativo per sottolineare la mia irritazione: "no!"
Ruju mi è totalmente uscito pazzo. E dire che su Dylan Dog spesso lo ho profondamente apprezzato. Ma forse gli hanno assegnato l'ingrato compito dall'alto e lui ha dovuto solo eseguire. Lo spero.

no Martin, anche se sai la risposta a noi non ci frega e tu per noi puoi sempre morire male!!!
Nell'anno di grazia 2015 è inconcepibile una struttura narrativa che si basa su un didascalismo tale che avrebbe fatto arrossire la redazione de "l'intrepido". Tanto per cominciare. I due ragazzi "non trombanti" oggi, anagraficamente, non possono esistere. Voglio un sondaggio su base nazionale per stabilire quanti giovani ventenni hanno visto lo sceneggiato rai anni '60 "la freccia nera" (perché la rivisitazione con Scamarcio non l'ha vista nemmeno la madre di Scamarcio) e conseguentemente gliene è fregato qualcosa.  Più di due non ne trovi e uno di loro vive tipo nella casa dei bisnonni, dove assembla galeoni in legno e vede in dvd "I cannoni di Navarone". L'altro è pazzo, vive in uno scatolone in autostrada. Ma i due eroi del racconto sono pure esperti delle armi d'epoca, hanno studiato la tattica militare della battaglia, compiuto ricerche sulle uniformi e sul ruolo delle truppe di retrovia. Probabilmente, a vent'anni (quindi precocissimi e geniali), stanno già ultimando l'università  facendo una tesi di un corso avanzato di storia o sono, semplicemente, degli intollerabili saccentelli stile Martin e Lisa, i secchioni dei Simpson, che tutto sanno e tutto appuntano. 
Il fumetto storico esiste ed è prospero, soprattutto in Francia, ma anche nel nostro ridente paese. Le Storie serve anche allo scopo di rappresentare eventi storici. Solo che oggi si tende a costruire storie che sono ambientate direttamente nel periodo storico di interesse (ma già dai tempi de Un uomo un'avventura) e che di conseguenza ampliano il coinvolgimento del lettore, dandogli la prospettiva di visitare, con gli occhi del protagonista di un racconto immaginario, ogni volta un mondo nuovo per tradizioni e usanze. Faccio un esempio recente di modo bello di trattare la storia: l'ultimo Tex di Serpieri. Nell'albo vengono presentati sommariamente dei fatti e descritti oggetti che sono spiegati nelle note, messe fuori dall'albo. Allora uno legge, si incuriosisce, piglia le note e scopre che il coltello di Tex è una replica di quello usato ad Alamo da Jim Bowie, che il contesto storico sono le guerre indiane ecc, ecc. L'interesse per questi oggetti ed eventi consegue all'interesse per la lettura. Qui assistiamo a due tizi ventenni che invece che fare "du zompi", al suono delle cicale, ci fanno una lezione di storia, sul pretesto, dicevo, di un romanzetto harmony di cui pure a loro sbatte pochissimo,  dicendo ogni due per tre "ma questo è avvenuto perché il moschetto..." e "ma questo è quello che dicono essere...", "il ruolo del tamburino era quello di...", " le donne che seguivano l'esercito francese avevano nomea di zoccole" ecc. ecc. .
Tutto questo, immagino consistente, lavoro di documentazione, pur astrattamente interessante viene mortificato dal dialogo tra saputelli". Non serve e spesso è ripetuto e ripetuto quasi si ritenga il lettore colpito da deficit dell'attenzione, sottolineare poi ogni minima cosa. Posso capire il quadro generale di un'opera su commissione destinata magari a una scuola di Marengo. Ce la vedo, la lettura di questo albo su dei banchi di scuola con annesso tema da svolgere sulle "tue impressioni". A me si sarebbero triturate le palle a svolgere quel tema. Ma poi cosa abbiamo come intrattenimento? Una storia che dice: "oh, sto copiando la Freccia Nera per spiegare un po' una battaglia di anni ed anni fa". Ok, questa è onestà intellettuale, la apprezzo. Comprendo altresì che l'intento magari nascosto di Ruju è cercare di attualizzare la storia, dirci che se sai la storia puoi magari abbordare una bella straniera. Ma è lui stesso a non crederci fino in fondo, appena ci presenta l'altra coppia che "collima", mentre i nostri due protagonisti si "smaronano" e noi con loro e il piccolo twist finale non è per me in grado di dare quel "di più" che l'intreccio necessitava.
I disegni di contro sono molto belli, molte scene di massa, molti paesaggi. Le scene ambientate nel passato sono colorate a mezza tinta e sono suggestive, calde. Lo stile di disegno dei volti e le fisionomie sono un po' schematici ma permettono ai dettagli di uniformi ed oggettistica di essere riprodotti al meglio. E poi ci sono i corpi femminili di Saudelli, che tutti ci resero già ciechi in giovine età e qui ritornano come smagliante marchi di fabbrica. 
Concludendo. Apprezzo l'impegno e il coraggio nel cercare un modo diverso dal solito che possa essere accattivante per suscitare interesse nelle nuove generazioni su importanti avvenimenti storici del passato. Tuttavia ritengo che non sia stato centrato a pieno l'obiettivo, pur nella splendida cornice artistica ritratta. Forse non è adatto al mio palato e ad altri potrà sicuramente piacere di più.
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martedì 3 marzo 2015

The Order 1886 : noi stiamo con Pessino



Londra, fine del diciannovesimo secolo. Tra gli umidi vicoli di White Chapel si aggira un mostro mentre focolai di ribellione al potere costituito e alla potente Compagnia delle Indie minacciano la tranquillità dei cittadini.
Ma la compagnia delle indie non erano questi tipi qui drogati di fregna e balsamo idratante? Ma saranno poi così pericolosi?


Ma c'è l'Ordine a vegliare su Londra, una associazione segreta così segreta e misteriosa che le sue radici affondano addirittura nel ciclo bretone. I suoi membri portano i nomi dei leggendari cavalieri della tavola rotonda e sembrano essere invincibili quanto immortali (curioso che al cinema ci sia in questo stesso momento Kingsman, dove è protagonista un Ordine del tutto simile formalmente a quello di gioco, peraltro differente dall'M6 che era descritta del fumetto da cui è tratto il film... corsi e ricorsi storici). La loro tecnologia è frutto del puro genio scientifico di Nikola Tesla e gli permette di tener testa a nemici implacabili quanto dai contorni soprannaturali. Tuttavia le minacce si stanno facendo sempre più grandi e i cavalieri oggigiorno sono come non mai divisi. C'è aria di cospirazione e non è facile distinguere gli alleati dai nemici. Nei primi giorni di dicembre Sir Galahand si sveglia in una buia cella ed è diretto da dei loschi carcerieri verso un triste destino. Riuscirà a salvarsi?
Anticipato da tempo con un numero inimmaginabile di news ed interviste, ecco finalmente uscire negli store del nostro paese il nuovo brand esclusivo di Ps4. Lo studio che lo ha realizzato, Ready at Dawn, piccolo ma cazzuto e sotto la guida del gigante buono Andrea Pessino, aveva prima lavorato alla saga di God of War psp, spingendo i limiti della grafica della console portatile oltre ogni immaginazione. Gli si chiedeva qui il miracolo, saltando a piè pari la ps3, di far vedere al mondo quello che potrebbe fare la nuovissima ps4 e i Ready at Dawn, che hanno allo scopo creato ad hoc un nuovo motore grafico, ci sono dannatamente riusciti. Un gioco stupendo da guardare al punto da essere una tech demo della nuova console Sony e al contempo un gioco davvero solido, privo di glich, tearing o porcherie varie e che non necessita di alcuna patch per essere giocato.


Ma quello che colpisce dell'aspetto visivo di The Order 1886 non sono solo i "muscoli", in termine di prestanza del codice. Il lavoro artistico è semplicemente fenomenale e i dettagli sono tanti e tali che pare di trovarsi davvero nella Londra, un po' distopica e steam-punk del diciannovesimo secolo. I personaggi sembrano "veri" tanto sono ricchi di sfumature e texture, i vestiti autentici, gli edifici storici, i ponti, le strade, gli oggetti e perfino gli effetti meteorologici donano un'aura quasi fotorealistica al tutto. Ricordate Metal Gear Solid 2, quando si poteva sparare alle bottiglie per il gusto di farlo e si stava ore ebeti a guardare i cocci rotti colorati? The Order 1886 fa fare cose del genere. Estasi. Se a questo si accompagna anche un comparto sonoro di prim'ordine, senza rischio di smentita riteniamo che esteticamente The Order 1886 sia il top che si può trovare su console di nuova generazione allo stato attuale.
Parimenti superiore alla media è la storia, che viene descritta nella canonica decina di ore di gioco in cui si dipana la campagna. Il livello della narrazione e il coinvolgimento emotivo che ne segue non hanno nulla da invidiare al classico Heavy Rain per ps3. L'intreccio misterioso, il carisma dei personaggi e la cura certosina con cui il mondo viene arricchito di sempre nuovi dettagli catapultano il giocatore nella trama senza lasciargli la possibilità di staccarsi fino alla fine. Chi fa spoiler muore!! Giocatelo all'oscuro di tutto! Merito anche di un livello di recitazione di rilievo quanto del fatto che tra le fasi narrative e quelle action non si nota alcuna differenza dal punto di vista visivo. Sembra di assistere a un unico lungo, spettacolare film nel quale ogni tanto siamo chiamati a intervenire in mirate situazioni. Questo implica quindi momenti in cui dovrete solo parlare e camminare. Riuscirete a resistere a delle fasi narrative o siete tutti vittima di una sindrome che vi obbliga a voler sparare su tutto ciò che si muove, dal momento in cui accendete la console fino allo spegnimento, compulsivamente schiacciando i tasti del pad? Il gioco fa anche questo tipo di "selezione all'ingresso". Tutto è calibrato e sensato, i personaggi si muovono in un ambiente sempre coerente e logico e la cura di dettaglio si spinge quasi al maniacale quando si tratta dell'ingresso in scena, spesso apocalittico e dalle forti connotazioni drammaturgiche, delle nuovi armi dell'ordine. Quando imbraccerete per la prima volta la Termite o l'arma spara-fulmini avrete quasi un orgasmo sensoriale per l'ebbrezza della potenza, sentendovi al contempo una discreta merda per l'uso, a volte bastardo, per cui usate nella trama detti giocattoli. Sir Galahand è un eroe tragico e giocoforza il giocatore sarà obbligato a seguire il suo tragico destino. Il gioco non fornisce bivi di comodo, ci mette a contatto di scelte dolorose compiute per noi dal nostro avatar, facendocene sopportare il peso. Non vi dico quanto mi sono trattenuto dal premere il tasto r2 in uno degli ultimi momenti del gioco.
Mi veniva da piangere quasi e un gioco che riesce a ridurti in questo stato, a trasmettere emozioni, non è un gioco qualsiasi.


Ma veniamo al sodo, asciughiamoci le lacrime e parliamo di come effettivamente si usa il pad in questo The Order 1886. Per le dinamiche di gioco, il titolo si presenta prevalentemente come uno sparatutto in terza persona alla Uncharted, con l'aggiunta di alcune sezioni da giocare in modalità assassino silenzioso e alcuni  momenti che si risolvono grazie a dei quick time event. Guideremo il nostro eroe quindi per le vie di Londra, compiendo un tragitto tortuoso ma che non contempla dinamiche di salto particolari, tutto scorre tranquillo e i pochi momenti acrobatici vengono effettuati in automatico grazie alla pressione di semplici tasti. L'intelligenza artificiale dei nostri nemici è abbastanza limitata, ma il loro numero è consistente e tenace e almeno in un paio di occasioni bisogna essere abbastanza bravi a saper leggere la tattica giusta di gioco, ma la sfida non appare mai frustrante. Le fasi da assassino silenzioso hanno invece una certa intransigenza, come le fasi in quick time event, fallire un agguato non trasforma tutto in una carneficina alla Hitman, ma decreta il game over immediato e il caricamento dall'ultimo salvataggio. Tuttavia i salvataggi sono spesso ravvicinatissimi e ripetere un quick time è questione di pochi secondi, almeno a livello normale. Come sopra richiamato la componente narrativa è di un certo peso e si fonde al gameplay, con il risultato che i ritmi di gioco non si discostano molto dai ritmi narrativi. Il titolo parte quindi piuttosto lento e alza il livello di azione qua e là fino alle concitate fasi finali, ma non raggiunge mai un livello di frenesia assoluta. Chi si aspetta di entrare in azione, saltare le scene di dialogo e smitragliare all'infinito casca quindi malissimo, ma chi ha amato Heavy rain si troverà subito a casa e si godrà il viaggio dall'inizio alla fine in prima classe. Il titolo dura il giusto ma non troppo e a chi rimane invischiato del suo indubbio fascino fa venire una voglia matta di mettere le mani sul nuovo capitolo.
Fin qui sembra quindi inconcepibile che un titolo così possa aver diviso in due tanto la stampa specializzata quanto i giocatori. Il gioco è un po' elitario nel suo richiedere attenzione maniacale alla narrazione e non può piacere magari a tutti, ma il risultato concreto è che intanto The Order 1886 sta vendendo un casino e nonostante le stroncature un seguito è quantomai auspicabile.


Noi lo abbiamo amato, intensamente quanto brevemente. Un'esperienza che ci ha fatto tornare alla mente le giornate, poche, ad amare Zone of Enders: un ottimo mix di storia e gameplay quale antipasto migliore al sublime ZoE 2. Ugualmente ci siamo ricordati del primo Killzone, così imperfetto quanto pieno di cazzimma e affascinante anche solo a ricordarlo. Ci sono margini di miglioramento generale ma l'esperienza vale anche qui la candela, appaga occhio e mente come pochi altri titoli sul mercato, ti spinge a ripensare di notte ai possibili sviluppi della trama e al magnifico viso e agli occhi di Isaboe. Non serve altro.
Ma perché a così tanti non è piaciuto e virtualmente anche a voi potrebbe non piacere, al di là degli aspetti sopra rimarcati?
Il mondo di gioco è magnifico ma piuttosto limitato a binari narrativi rigidi. In un momento in cui vanno per la maggiore i videogame sandbox, in cui uno può liberamente esplorare un mondo virtuale per lo più di svariati chilometri entrando in ogni luogo e valicando ogni anfratto, The Order 1886 presenta una strada con pochissimi bivi e una serie infinita di porte chiuse. Non ci sono di fatto nemmeno missioni secondarie di rilievo e la storia obbliga a seguire pedissequamente la sceneggiatura di base. Forse si poteva fare di più. Lo ammetto. Per quanto io odi profondamente i sandbox, che nella maggior parte dei casi più che missioni varie e infinite racchiudono noiose ripetizioni fino allo stremo degli stessi livelli o quasi, oppure obbligano il giocatore ad attività cretine di perlustrazioni folli pur di conquistare un trofeo. Ma di contro un apparato visivo come quello di The Order 1886 allo stato è impensabile per un qualsiasi sandbox uscito. Narrativamente però esistono Mass Effect e Dragon Age, che durano degli anni e hanno una trama e sottotrame varie di primissimo ordine. The Order con le sue dieci ore scarse poteva effettivamente essere più lungo anche solo a livello narrativo. Pessino ha dichiarato che si sono concentrati sul motore e che in futuro riusciranno a espandere il mondo di gioco. E noi siamo con lui.
Un altro punto di vista che potrebbe far storcere il naso è l'assoluta mancanza di componenti on-line. Non ci sono multiplayer, campagne cooperative, death match vari, modalità orda. Tutte cose che a me non sono mai fregate per nulla e che quando le ho trovate in titoli recenti "perché ci volevano", come in God of War Ascension mi hanno fatto sommamente cagare. Se voglio giocare online prendo giochi come Cod, rispolvero il vecchio Unreal per Ps3, faccio un party tra amici a Diablo 3 e mi cimento con Evolve. Per me pensare che ogni gioco debba per forza avere una componente online è un assurdo. Ma c'è chi ci tiene. Il team di Pessino molto umilmente ha dichiarato che robe online non le hanno mai fatte e non volevano fare porcherie quindi hanno cassato sul nascere ogni prospettiva. Onesto, ma magari questo non piace a tutti comunque.

il mitico Pessino mentre cerca di fare spoiler sulla trama futura della serie The Order... ma quanto è grosso Pessino?

E quindi arriviamo alle conclusioni del caso. The Order 1886 è un'avventura cinematica che sta dalle parti di Heavy Rain anche che ha meccaniche di gioco più vicine a degli action classici. E' un gioco che si insinua sotto la pelle piano piano, ci abbraccia e conquista, fatto di momenti di pura magia e che sarebbe un delitto non provare a giocare perché il mondo strilla che è troppo corto, troppo facile o troppo imperfetto. Consiglio a chiunque per lo meno di noleggiarlo o chiederlo a un amico (magari comprarlo in società) e portarlo a termine nella canonica "quota tempo libero week end". Il gioco merita e probabilmente un secondo o terzo giro della campagna principale avrete voglia di farli, per scoprire i mille retroscena, leggere i mille foglietti di carta, ascoltare le registrazioni audio o seguire le tracce di Jack lo squartatore. Lasciare che questa IP nuova cada nel dimenticatoio quando con le premesse che ha potrebbe diventare negli anni un titolo di punta è un vero delitto.
Così noi stiamo con Pessino e lo ringraziamo di cuore per questo suo nuovo affascinante mondo distopico ancora tutto da scoprire ma già così eccitante da assaggiare.
The Order può ricordare molte cose, ma è la miscela con cui le mette il scena a renderlo uno spettacolo unico e figherrimo.
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