lunedì 9 marzo 2015

Diablo 3 ...la conferenza della GDC 2015



Come ogni anno, è arrivata la Gdc, il momento giusto per presentare le nuove tecnologie del mondo videoludico. E tra un project Morpheus e il nuovo Unreal Engine 4, qualche presentazione di nuovi game e cotillons vari di cui in genere frega poco fino alla data di uscita di qualcosa di concreto, la Blizzard ti tira fuori questa bella conferenza di un'oretta circa su uno dei suoi più noti cavalli di battaglia, Diablo 3. L'occasione migliore per celebrare il brand e i milioni di giocatori che ogni giorno si sfidano su battle.net ma anche momento per ammettere i molti errori e problemi che la saga ha vissuto, con una umiltà che davvero commuove e fa passare sopra alle mille incazzature del passato. Blizzard riesce quasi a ridere di sé, qualcosa che non si vede davvero tutti i giorni e che forse solo una delle più grandi etichette videoludiche di sempre può permettersi. C'è un po' di tutto, dallo sciagurato mercimonio delle aste ai problemi di connessione, dalla scelta di cambiare sistema di gioco per adattarsi alle console al senso stesso di giocare per ore e ore a un titolo senza mai stancarsi, vuoi perché ci sono gli amici, vuoi perché si è affamati di sfida e ghiotti di potenziamenti infiniti, vuoi perché falciare diavoletti è il massimo dopo una giornata lavorativa. Vi posto pertanto la lunga conferenza in calce, certo che i gamers di vecchia data partiranno con il treno dei ricordi, fin magari dalla prima apparizione, come fulmine a ciel sereno, del primo Diablo.


Io ero ancora un pischello quando mi capitò tra le mani il primo episodio. Un mondo in rovina si sviluppava in una serie di scale e piani senza fine che da una cattedrale conducevano dritti all'inferno. Con spade, magie e tanta tenacia, trapassano schiere infinite di scheletri, goblin, orchi, demoni e stregoni  si giungeva faccia a faccia con uno dei più terribili demoni che la storia videoludica conoscesse, consci che una mossa sbagliata era morte certa. Il viaggio cominciava con la  scelta tra tre eroi, prima semplici "morti che camminano", ma via via spaventose potenze della natura, armati e corazzati sempre più pesantemente. Due parole al guaritore locale e ci si buttava nel gameplay, cercando pozioni su pozioni per riempire tanto la boccia blu degli attacchi speciali quanto la rossa della vita. I più sfigati, come me, stavano sempre con la mappa del livello aperta, per paura di perdersi. Ogni tot di uccisioni e si saliva di livello, diventando più porti e prestanti e acquisendo nuove mosse e poteri. Non si doveva fare altro, solo avanzare abbattendo centinaia e centinaia di mostri cliccando con il mouse del pc. Tritare mostri, collezionare armi ed esperienza per nuovi attacchi, trovare l'accesso al nuovo livello o aprire un portale per tornare un attimo in città a fare scorte, fino alla fine. Non serviva altro, non si voleva altro. La grafica bellissima e accurata che faceva sembrare i pixel degli interni di chiese gotiche (o forse le chiese gotiche le hanno create dei fan di Diablo), l'atmosfera di costante pericolo e blasfeme implicazioni (e nel nostro paese pentacoli, frustini e candele alla cannella vanno fortissimo), la spettacolare musica senza tempo che pareva uscire dritta tanto dal medioevo che dagli Iron Maiden facevano tutto. Ve le ricordate quelle note? Roba da stare sdraiati sul letto a contemplare le stelle con il volume a palla...


I livelli poi, per un geniale sistema randomico di generazione, letteralmente mutavano aspetto di partita in partita (giuro, non stavo in trip mistico...), così come la disposizione degli avversari e dei tesori, ogni volta era un viaggio nuovo, unico e la sfida si faceva sempre più ardua, sempre più impossibile, con trenta o più nemici che ci attaccavano insieme. E poi c'erano i boss. Ho tremato la priva volta che da una lorda stanza ricoperta di corpi massacrati e appesi a ganci metallici è uscita la voce del demone conosciuto come The Butcher, con corna, andatura traballante e con la mannaia in pugno, ringhiando verso di noi il suo minaccioso "fresh meat". In un attimo ci raggiungeva ed eravamo, se non abbastanza potenti, subito morti. Perché già allora, come oggi negli acclamati giochi Tecmo della serie Souls, ogni volta che si cadeva in battaglia si perdeva tutto e bisognava tornare nel luogo di morte per recuperare i tesori persi, rischiando mazzate su mazzate, con il tesoro accumulato ridicolmente ridotto per schernirci. Con il rischio però che qui non solo si perdevano punti/denaro/anime, ma anche armi ed equipaggiamento difensivo, con il rischio di dover affrontare nudi degli avversari che con troppa baldanza avevamo sfidato. Morti stecchiti e più nudi di Rocco Siffredi. Ma senza spada. Si dovevano quindi tenere da parte degli equipaggiamenti e non fare mai il passo più lungo della gamba. Diablo metteva alla prova, ma era per tutti. Chi si buttava a testa bassa negli scontri, chi soppesava il valore di ogni oggetto e passava più tempo dal mercante che sul campo da battaglia. Si poteva lanciarsi sul corpo a corpo, stare alla distanza con arco e frecce o evocare un piccolo esercito di scheletri e golem per darci una mano. Il gioco era immenso e quasi infinito. Si poteva poi giocare online contro altri giocatori o insieme e l'esperienza diventava sublime, la sfida più gloriosa con montagne di nemici sempre più alte da abbattere. Ma quando si arrivava al filmato finale, ci si rimaneva davvero male. Poi arrivò l'espansione, poi Diablo 2 e la sua relativa espansione. C'era chi si comprava il pc sono per giocarci. Più classi, più nemici, più cavolo di gemme da raccogliere per potenziare le armi, lo stesso divertimento. Ho dovuto cambiare tre pc per giocarci bene (e per arrivare alla risoluzione alta che permetteva l'espansione, che però mi faceva crashare tutto e sempre... ma che libidine), il mio negromante evocava interi eserciti e la cpu non ce la faceva a tenere tutto su schermo, rallentava, sbuffava, chiedeva pietà, ma tuttavia masticava più dati che poteva nel riprodurre le splendide ambientazioni egizie o le nevi perenni dei paesaggi nordici. Sul pc ho davvero giocato a poco altro, a pensarci bene. Qualche avventura grafica, i warcraft/starcraft, quake, unreal e davvero poco altro. E la serie Diablo occupava il 96% del tempo. Il terzo Diablo lo posso giocare purtroppo solo ora, ad eoni dall'uscita, espanso, sulla console, non ho ancora un pc tanto potente da gestirlo al meglio e forse non lo avrò mai. Sono rimasto un solitario comunque, non gioco quasi mai con amici a Diablo. Conosco comunque chi si è approcciato, sedotto, innamorato e impazzito già dall'esordio di questo titolo, chi lo ha amato e chi odiato, chi si è perso nelle aste delle armi con "soldi veri", chi ha pianto quando su schermo appariva l'errore 37, chi si è stracciato le vesti, chi ha maledetto che anche sulle console potesse uscire, chi è immigrato sui monti per dimenticarlo fino a che, con l'ultima espansione, tutto si è aggiustato (ma le aste forse torneranno di nuovo, chissà). Più che un gioco, approcciarsi con Diablo è per alcuni una specie di relazione sentimentale, di quelle passionali e tormentate. La storia dello sviluppo di questo terzo capitolo, così come raccontata alla Gdc,  è qualcosa che tutti i fan duri e puri non possono mancare. Racchiude davvero il senso dei titoli sviluppati nei giorni nostri, chiarisce come è cambiato, forse in peggio, tutto il modo di giocare, ma di come forte rimanga la voglia di divertirsi, anche in quello che appare a prima vista il gioco più semplice del mondo. Certo è anche una storia a lieto fine, perché Diablo 3 , così come è ora espanso da Reaper Souls, è di nuovo il titolo imperdibile che tutti amiamo, qualcosa di cui non ci stancheremo ancora per anni ed anni. Su un blog come il nostro, che parla di passione per il perder tempo, questa chicca non era davvero perdibile. Come non potevo esimermi dal postare almeno la foto di una cosplayer del titolo...



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