lunedì 9 marzo 2015

Dylan Dog n.342: Il cuore degli uomini

Un'altra storia d'amore è finita, una nuova storia d'amore è pronta a sbocciare per soddisfare un bisogno insaziabile e irrinunciabile, predatorio quanto egoista. Ma qualcuno non è d'accordo, la vendetta è in agguato e chi poco ama, per una volta, non sarà il più forte. Una vendetta lo attende, inesorabile e disciplinata, mossa, come tutto il mondo, sempre dall'amore e dalla necessità infinita di comprenderlo. E per una volta Dylan non sarà l'eroe della storia. Ma forse neanche la vittima.
A voi scoprire la storia e il suo suggestivo gioco di specchi. Vi do un consiglio. Non leggete una sola riga in più prima della lettura o qualcosa di bello ed originale, inevitabilmente, verrebbe  a perdersi.
Dylan e l'amore, un girotondo infinito. Dylan ama con tutte le forze ma il mese successivo tiene tra le braccia un'altra donna, alla quale promette uguale infinito amore. In realtà il problema risiedeva solo negli occhi di chi leggeva le storie ricordandole e classificandole. Ma in realtà gli albi erano tutti o quasi autoconclusivi e ogni donna che Dylan incontrava era La donna, l'elemento centrale-motore che permetteva di regalarci, ogni mese, oltre a zombie e squartamenti una nuova, agognata, storia d'amore. Eros e Thanatos, Amore e morte. La "morte puttana", che declinava, sintetizzava e sosteneva Sclavi. Del resto solo l'amore può salvarci dall'incubo. Solo la vita ci dà il coraggio di affrontare la morte. Se Dylan non amasse e non ponesse l'amore al centro del suo universo, sarebbe un uomo diverso, forse più preparato ad affrontare le forze del male, ma forse anche più cinico. Per questo la storia sentimentale era sempre importante quanto unica nell'intreccio.
Per questo, a mio avviso, non si può fare davvero una classifica su chi Dylan ha più o meno amato, perché l'amore, nel senso più romantico e sclaviano, è infinito sempre e comunque nei confronti della persona con cui in un momento lo si condivide.
Uscendo dall'ottica monografica, nel nuovo corso inaugurato da Recchioni, la realtà di un mondo sempre uguale e sempre diverso, racchiuso metaforicamente in una palla di vetro (come il film Dellamorte Dellamore insegna) va a infrangersi. Così l'autore, magari pressato dalle manie classificatorie dei fan (che si estendono anche a tematiche degne di Cosmopolitan), cerca di fornire una spiegazione all'interruttore difettoso che spegne l'amore di Dylan per una donna a distanza di un mese o poco più. Un impegno non da poco, quasi da far tremare i polsi. Recchioni ci narra qui allora quello che avviene tra un amore e quello nuovo, tra una storia di fantasmi e l'altra, fornendoci una visione inedita, da dietro le quinte, intima. Si rivela così il lato più bello del suo amico e assistente Groucho, quello spaventoso e inquietante. Groucho non mi è mai piaciuto per via delle barzellette, ma perché in fondo è lui il vero uomo con la pistola, quello che interviene nel momento del bisogno. Groucho ci viene spietatamente descritto in una scena con protagonista l'ispettore Carpenter per quello che tra le righe già intuivamo, da sempre, qualche volta avevamo quasi riconosciuto, ma non volevamo alla fine conoscere. Groucho non è solo l'angolo comico della testata, non è solo la spalla dell'eroe. Potrebbe essere qualcosa di peggio e il suo alone di mistero potrebbe non farci dormire. Ugualmente in Dylan si mette a nudo, con un allucinante viaggio di stampo psicoanalitico, l'ego "umanamente perverso" che lo domina,  quanto basta a farcelo quasi accostare al Sergio Castellitto del mai troppo capito film La Carne. Dylan è irrisolto e più complicato del previsto. E non è per il fatto di essere un ex alcolista probabile figlio di Satana (cosa che il numero 100 avrebbe dovuto dirci prima di fare un passo indietro... ma queste sono solo mie congetture da nerd). L'amore per Dylan diviene un bisogno riflesso, quasi di comodo, ma questo forse va a limitarlo? Non credo, ma la storia comunque ci mette a contatto con questa prospettiva nuova e possibile, scomoda quanto unica, che sinceramente apprezzo quanto in parte temo. Con questo racconto mi spingerei a dire che Recchioni lascia una impronta "milleriana" sulla storia del personaggio ideato da Sclavi. Lo riscrive rendendolo davvero nuovo e duttile per il lungo corso. Che ci sia nei piani dell'autore una donna in grado di curare la sua bulimia amorosa? Qualcuno che abbiamo magari già intravisto? Ad ogni modo questa svolta narrativa mi attira, anche se non è che l'eroe ci faccia una splendida figura. Come scriveva Bendis in relazione al suo ciclo di Daredevil, un eroe con più difetti si ama forse maggiormente di un eroe perfetto. Ed è vero.
Non pensate comunque che ci troviamo davanti a una lettura per ragazzine, il numero è dalle tinte forti e fosche, pieno di sangue e disturbante, nella sana accezione Lynchana del termine. I demoni interiori fanno quasi più paura di quelli comuni abitualmente affrontati, ma non sarebbero così forti se mancasse un solido ed estremo lavoro grafico atto a descriverceli al peggio.
Dall'Agnol aggredisce la pagina con un bisturi impazzito. Sfiletta ogni dettaglio anatomico di volti volutamente abbozzati, incidendo quasi sulla pelle, in smorfie espressioniste i sentimenti dei personaggi. Tutto è eccessivamente veloce, sgraziato all'apparenza quanto dettagliato a una visione solo più accurata (che si tende quasi a scoraggiare però, come a preservare un tesoro nascosto). Ne esce una fotografia disperata e glaciale, che affligge di linee aguzze tutta l'ambientazione cittadina, in cui la sintesi visiva diviene sinonimo di sintesi emotiva, specchio della banalità emotiva intrinseca dei personaggi, che è tale fino a quando il disegnatore li mette al centro della scena, afferrandoli e quasi graffiandoli, quasi a imprimerci vita. Ogni tanto poi l'autore gioca con la mezzatinta, abbassa la temperatura dell'indifferenza e infonde calore, momentaneo, ai disegni. Ci illude, portandoci nel rassicurante mondo delle favole e dei cuoricini. Ma è solo un attimo, repentinamente pure in quelle scene parte con una colorazione aggressiva, febbrilmente calcata, di stampo espressionista, quasi rabbiosamente infantile, convulsa quanto potente tanto sui personaggi che le scenografie, in grado di trasformare con un consequenziale, inesorabile e inarrestabile overtour il sogno in incubo. Qui i volti chirurgicamente incisi su pelle dalla matita-bisturi diventano sfumati, grossolani quanto metafisici, in un vortice grafico che confonde e immerge la tavola in un unico magma visivo, volutamente scostante e privo di forma quasi a cogliere, giustificare e rappresentare con i limitati mezzi umani l'indefinito moto dei sentimenti dei personaggi. Andate a pagina 40 dove si assiste alla metamorfosi grafica dei lineamenti del nostro eroe, godete della forza disperata della sequenza di tavole da 65 a 69, infine immergetevi nel surrealismo di pagina 95. Il tratto di Dell'Agnol non è fatto per "piacere", nel senso di soddisfare un determinato bisogno estetico, ma è potente, programmato per entrarvi dentro e incidersi nei vostri ricordi.
Siamo dalle parti del capolavoro, per mio modesto parere. Un'opera travolgente che rimarrà indelebile nella memoria dei lettori. Un'opera che parimenti potrebbe anche non piacere tanto per la nuova lettura dell'animo del protagonista quanto per il molto peculiare stile visivo adottato. Un'opera quindi che probabilmente è destinata a dividere il pubblico, ma che rimane per me eccelsa, coraggiosa e irrinunciabile nell'attuale panorama fumettistico italiano, quale fulgido esempio di come superare i limiti estetici del classico "bonellide" è sempre possibile. A volte auspicabile. 
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