mercoledì 30 gennaio 2019

Vice : l'uomo nell'ombra - la nostra recensione dell'ultimo film del geniale Adam Mckay



- Premessa: Adam Mckay è il regista e sceneggiatore dei migliori film comici di Will Ferrell quando un paio di anni fa compie un triplo salto carpiato in avanti e realizza quella bomba di La grande scommessa. Un film che trasuda dell'ironia per cui è diventato famoso ma che con intelligenza e complessità affronta di petto la Storia Americana, peraltro un periodo e un contesto difficilissimo da rendere su schermo, la crisi finanziaria del 2008. Con un manipolo di interpreti in ottima forma, tra cui Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt, Mckay scarica sulla sala cinematografica inerme 139 minuti di date da memorizzare, nomi su nomi, spiegazione di meccanismi finanziari complessi, doppi giochi da intuire più che da capire, riferimenti diretti alla cronaca americana. Un'esperienza visiva e auditiva provante per il pubblico italiano medio che dopo il trailer credeva di assistere ad un nuovo film del regista sullo stile di Anchorman o al massimo ad un divertente "film di rapine". Non siamo lontani, per fare un paragone, dall'effetto sul pubblico medio del JFK di Oliver Stone, e parlo di quel tipo di pubblico che (innocente) si aspettava da Stone (illusi) un film-TV sul modello Rai con al centro della trama le esperienze scolastiche di Kennedy da piccolo e una apparizione o due della Monroe. E invece no, pioggia di dati costante da integrare fruttuosamente con ricerche sul tema e magari seconda visione della pellicola che effettivamente, ai bene informati, risplende in tutte le sue sfumature più accattivanti, ti trascina dentro e solo allora si fa amare, in modo completo e appagante. La grande scommessa è diventato uno dei miei film preferiti insieme a JFK e Vice, che riprende in gran parte lo stesso cast tecnico e artistico de La grande scommessa, dopo la seconda per me necessaria visione, ha un posto riservato allo stesso tavolo. Quindi il mio consiglio alla fine di tutta questa premessa: vedere + documentarvi + rivedere = godere. Questo ovviamente  vale per me, e vi assicuro che ne è valsa la pena, anche sulla base del fatto che già alla fine della prima visione ero folgorato dalla pellicola. Ok, questa era la premessa. La sintesi non mi è nota certe volte. 


- Un film sul potere dal punto di vista di chi non lo condivide: Vita e opere di Dick Cheney (interpretato splendidamente da Christian Bale), politico dell'ala Repubblica più conservatrice che dal 1969, per lo più agli inizi sotto l'ala protettiva di Donald Rumsfeld (un ottimo Steve Carell), arriva nel 2000, sotto George W. Bush (interpretato con molta ironia da Sam Rockwell), a diventare vice- presidente. Un uomo riservato e integerrimo per gli amici, per i detrattori dell'ala Democratica più polemica (cui rientra con moltissima autoironia anche il regista McKay e lo staff delle pellicola) un oscuro burattinaio con in mano un potere spropositato non inferiore al villain interstellare Marvel "Galactus - il divoratore di mondi" (citato esplicitamente in una scena "esplicativa" divertente quanto dissacrante). Favorevole al Vietnam, favorevole all'impiego militare in Afganistan, mano invisibile dietro ad alcuni degli scenari più controversi della Storia Americana, Mckay lo ritrae spesso come un abile pescatore silenzioso, che conosce ogni amo e ogni pesce, che sa aspettare anche tutta la vita prima di attaccare una preda con decisione e ineluttabilità. Uno stratega, un uomo solo apparentemente bonario e dimesso, che rimane tutta la vita sullo sfondo della politica come un comune burocrate, al punto che quando emerge e si insedia nella cabina di comando supplendo a un presidente un po' "assente", prendendo in mano il destino del mondo, nessuno sa davvero chi sia e come sia arrivato lì. Per McKay nessuno conosce davvero Cheney, al punto che lo stesso regista già dall'inizio della pellicola mette le mani avanti, ammettendo che per la ricostruzione dei fatti sono state compiute tutte le indagini e ricerche che sono state "fottutamente" possibili (parole sue). 


Così il regista crea un personaggio - narratore davvero peculiare, Kurt, un "uomo della strada" interpretato dal bravo Jesse Plemons, che ci presenta Cheney dal suo personale punto di vista se vogliamo autorevole in quanto "giustificato" da un geniale e inedito mcguffin che andrà a svelarsi sul finale. Kurt che ama vedere Spongebob con suo figlio, Kurt che ci tiene a salvare il mondo, non inquina e si tiene in forma. Un po' macchietta e un po' no, in un film che sa quanto l'ironia e autoironia possa essere un'arma, Kurt funge da "coro greco", evita un taglio delle vicende troppo documentaristico (che non potrebbe né vuole davvero avere), alleggerisce i toni ed è davvero simpatico, sarcastico, forse anche un po' complottista. Anima tutti i dubbi che l'americano - medio - democratico nutre per la figura di Cheney, si flagella per "non averlo visto" mentre si avvicinava al potere e permette così al Cheney di Bale di essere oscuro, predatorio, distante e insondabile. Bale, abile a cambiare la forma del suo stesso corpo per incarnare una parte, spesso abbrutendosi fino a martirizzasti (si ricordi il suo mostruosamente magro Uomo del Treno) incarna davvero il suo Chaney come un predatore a sangue freddo, una creatura dallo sguardo basso inaffondabile quanto spietata, capace di cogliere un affare anche davanti a una tragedia. Il degno "pargolo politico" del Rumsfeld impersonato da Carell, che per occhi mobili e denti aguzzi incastonati in un sorriso cattivo pare quasi una iena, regalandoci un'altra interpretazione forte e potente dopo Foxcatcher. Il Colin Powell di Tyler Perry è in quanto razionale e moderato una vittima designata della ferocia altrui, il George W. Bush di Rockwell è un omino goffo e ingenuo che spera di dimostrasi all'altezza del padre senza avere alcun artiglio e consapevolezza per far sentire la propria voce. Powell e Bush sono poco più che giocattoli nelle mani di questi grandi predatori che hanno una visione spesso mercantilista e commerciale del mondo (geniale un certo utilizzo dei Focus group che lascio a voi scoprire), che non hanno paura di qualche fischio della folla pur di continuare a gestire il potere. Se quindi McKay decide di esporre il lato più primitivo, quasi animale, di questi uomini politici, dove il più forte schiaccia il più gentile, non riesce ad essere altrettanto cattivo con la Lynne Cheney di Amy Adams. Personaggio complesso, dal difficile passato e dalla grande autorevolezza emotiva, Lynne spesso riesce a orientare le scelte del marito, riesce a farcelo apparire più umano, quasi amorevole, quasi succube. Le dinamiche che questo rapporto sottende sono sottili e laboriose, affascinanti. La Adams riempie la sua Lynne di fragilità, di occhi di fuoco, di sorrisi tirati e di gesti d'affetto, quasi sempre materni, nei confronti del marito. È il suo porto sicuro quanto il suo unico bene da proteggere, insieme a una famiglia per la quale Cheney riesce ad essere pure più liberale dei liberali, assecondando la tesi cattivella di McCay (palesata nei primi minuti) per cui a Cheney di stare a "destra o a sinistra" non gliene è mai importato nulla. 


Al di là di questa "struttura drammaturgia", Vice, come vi ho anticipato nelle prime righe è un film complesso, che si nutre di "prove storiche" per costruire questa precisa visione di Cheney. La trama è un flusso di dati a conferma di questa tesi, "evidenze" legate a fatti piccoli e grandi, abilmente intrecciati e affastellati in un mosaico colorato quanto pop che ripercorre quasi cinquanta anni di storia americana. Fatti da contestualizzare o in cui lasciarsi trascinare. Tra stanze del potere istituzionali e saloni per i comizi, tra salotti domestici turbolenti e anonimi bar in cui vivere il privato. Tra il fragore di terribili squarci di guerra in giro per il mondo (spesso lontani dalle leve di potere, come espressi in un tagliente monologo di Carell) e lungo il corso di un fiume dove un uomo anonimo e appesantito, per lo più antipatico, ha tutto il tempo del mondo nell'attendere che una preda abbocchi. E McKay sceglie non a caso un'inquadratura in cui la telecamera è a mezz'acqua, che ci fa sentire anche noi come quei piccoli pesci che stanno improvvidamente per abboccare all'amo. Forse il quadro più sinistro del potere dell'uomo politico dopo la "pecorella" all'inizio di Loro di Sorrentino (c'è anche un altro parallelo possibile a Sorrentino, a Il divo, tra le scene finali). Questo film sa davvero prendere all'amo lo spettatore. Sarà perché racconta di un villain potente come Galactus nell'era cinematografica dei cinecomics. Sarà che i film dei supereroi sono gli unici oggi che affrontano problemi politici come la l'inclusione sociale e accettazione delle diversità (X-Men), la sovrapposizione (Infinity War), l'integrazione multiculturale (Black Panther) e i problemi di uno sviluppo tecnologico (Iron Man 1) e bellico (Age of Ultron) non sostenibile. Sarà perché come in un film Marvel è giusto non uscire subito di sala, per godere di un extra dopo i titoli di coda. 
È di sicuro un bel modo di fare cinema, che appaga la mente e riempie gli occhi, nonché la dimostrazione di un certo coraggio nel trattare al cinema di politica e attualità, nel tradurre questi temi in drammaturgia. 
McKay si conferma un grande narratore, ""a-critico"", della storia moderna. 
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martedì 29 gennaio 2019

Shark - il primo squalo: da ora in home video il nuovo e inaspettato kaiju movie con Jason Statham




Un istituto di ricerca delle profondità marine ultra hi-tech, situato vicino alla ridente Sanya Bay,  (roba che Riccione può solo accompagnare) sta per fare una scoperta scientifica straordinaria: sotto il mare c'è il mare. 
Specifico, sotto il mare c'è una specie di "bolla d'aria" che divide il primo a noi noto mare da un secondo a noi misterioso, pieno di esseri preistorici e giganteschi. Un mare di kaiju!!! 
E come in ogni kaiju movie che si rispetti, come  in I Zenborg e ne I cavalieri del tempo, degli eroi facenti parte di una "fortezza della scienza" si apprestano a esplorare questo secondo mare, con astronavine/tank/giocattoli-scala 1-1/mezzi "da collezione veri" come cingolati armati di trivelle, sottomarini da sbarco truppe e soprattutto alianti di profondità fichissimi, coloratissimi, pieni di oblò, leve e missili, NOS alla Fast'n'Furious, che sfoggiano dei buffi nomi di battaglia tipo "Captain bubble". 

Come attività collaterale, la fortezza della scienza dispone di un parco acquatico sottomarino stile Lo squalo 3, ossia il parco a tema più figo di tutti i parchi a tema filmici. C'è un bel magnate, cioè il tizio buffo con occhiali che fa la vittima designata ne La casa dei 1000 corpi di Rob Zombie, che cura il progetto e ci tiene tanto (Rainn Wilson... non sapevo avesse un nome...). Ci sono al lavoro un sacco di donne toste e bellissime interpretate da donne toste e bellissime come Ruby Rose, Jessica McNamee e Bingbing Li. C'è la carismatica presenza di uno scienziato giapponese interpretato con autorità e impegno da Winston Zhao. Ci sono un mucchio di personaggi buffi che sembrano Boss e soci dal cast di supporto di Mazinga Z. C'è una amabile bimba orientale superintelligente con le scarpette che si illuminano e alucce da fatina vezzosamente portate in spalla come in Old Boy, interpretata dalla carinissima Shuya Sophia Cai. C'è un medico rancoroso e porta-sfiga, che in film come questi non può mancare per contratto, interpretato da Robert Taylor. Ci sono i fondi, c'è l'equipaggio più figo, ci sono le armi.
La prima missione è un disastro.


Nel mare popolato di kaiju i nostri eroi ci trovano inaspettatamente i Kaiju, nello specifico uno squalo preistorico gigante, il Megalodonte. Meg per gli amici, come da titolo originale del film in inglese, da noi Shark il primo squalo per timore di attrarre in sala le fan di Meg Ryan su un film autobiografico a lei dedicato. Ma intanto il film senza Meg Ryan inizia. Due dei mezzi/giocattoli-colorati finiscono subito malissimo, alla deriva nel secondo mare, con il Meg che gli carica contro ogni volta che da questo esco luci colorate. Della mecha/trivella/wire-less con cingolati rotanti non sapremo più nulla. Forse qualche appassionato di anime giapponesi ha scoperto il secondo mare, l'ha trovata e se l'è fottuta. Dal mini sottomarino con all'interno due vittime sacrificabili e la ex moglie di Jason Statham (la McNamee) parte un messaggio di SOS a cui può rispondere solo Jason Statham. Statham potrebbe risolvere la situazione in un lampo. Perché interpreta un ex comandante di sottomarini usati in missioni estreme ed eroiche e perché, beh, è Statham. Ma Jason non risponde al telefono. Si è fatto una ridente casetta in oriente, proprio  sopra ad un bar open h24 e passa la giornata in infradito a sorseggiare birra taiwanese o girare in motorino in un paese che è il suo parco-giochi dove fa quello che vuole stile GTA a livello esperto. Irremovibile, dopo un minuto è già in mare ad aiutare la ricerca della moglie dispersa all'interno di un mini-sottomarino colorato e a prevenire l'arrivo di Meg a Sanya Bay, luogo di vacanze da sogno in cui comunque Meg arriverà nell'ultima mezz'ora di film, popolato da personaggi mitici come "il bambino grassottello con i ghiaccioli" e il cane "Pipin" (animale straordinario al pari del gabbiano "Steven Segal" in Paradise Beach). 


Non ci credeva nessuno, nessuno sapeva che cavolo di film sarebbe venuto fuori, ma Jon Turtletaub, un regista che ha a curriculum Cool Runnings - 4 sotto zero, i due National Treasure e L'apprendista stregone (tutta roba che amo alla follia) c'aveva questa strana voglia di Mazinga che gli pulsava nelle vene (come lo chiamate voi un sottomarino che sembra un Brain Condor con tanto di braccia semi-robotiche?) e oggi si parla già di Meg 2


La mente vortica ai quei film anni ottanta come Leviathan e Creatura dagli abissi, ma il clima è decisamente più scanzonato, il ritmo sempre divertente, gli attori simpatici. Non è un film esplicitamente splatter, cosa che ci saremmo pure aspettati da un film di squali e minacce marine varie e che forse si accusa in modo negativo, ma c'è davvero tanta carne da mettere al fuoco, una confezione di lusso e un intero universo sottomarino da esplorare che la produzione, se davvero "furba", dovrà gestire nel modo più matto possibile. Insomma, il Meg è grosso, divertente nella sua travolgente fisicità e inarrestabilità. Statham è un po' Akab e un po' Toretto e funziona sempre benissimo, il cast femminile è da urlo (la Bingbing è da urlo e dà credibilità e spessore incredibile al suo personaggio). Ne vogliamo di più, vogliamo andare più a fondo del secondo mare, vogliamo vedere nuovi squali giganti e mostri marini stile Lockness (e perché no pure degli atlantidei) e nuove astronavine colorate con missili, braccia bioniche e... e magari componibili insieme in una specie di robottone!! Insomma, un film Asylum stile Lo squalo a 10 teste incontra il robo-colosso ma fatto così bene e con tanta cura e credibilità "formale" che fa il giro. Per me è una l'ideale per divertirsi in una serata qualsiasi. Se volete qualcosa da vedere con gli amici dopo una pizza, Shark il primo squalo è una scelta niente male. 
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domenica 27 gennaio 2019

Mortal Kombat 11 - primo trailer





Dopo l'interminabile sviluppo e supporto di Injustice 2, Ed Boon e NetherRealm Studios finalmente tornano al loro pargolo migliore, in grande stile, presentando a sorpresa questo trailer durante il Game Awards 2018. Injustice mi piace, ma Mortal Kombat mi piace di più e avrei preferito al posto di Injustice 2 (con metà dei personaggi di cui non mi è mai fregato nulla, e non parlo dei bellissimi guest character, che invece ho amato tutti) che continuassero ad uscire per Mortal Kombat X decine e decine di dlc. Ora però l'attesa è finita e anche se si sa ancora poco o nulla del nuovo titolo Boon sgancia la bomba, anche se nella forma un po' laida del "bonus preordine": Shao Khan tra i personaggi selezionabili. Shao Khan, avete presente? Il boss finale implacabile, barbarico e oscuro, con elmo diabolico, martellone e tante schiave lascive ai suoi piedi è finalmente (senza cheat) giocabile dopo più di dieci anni buoni. E a me basterebbe davvero questo insieme alla data di uscita del gioco, fissata per fine aprile. Lo scontro che viene mostrato nel filmato, un classico Scorpion vs Raiden, si dice che utilizzi il motore di gioco che sarà applicato in-game. Si parla di personalizzazione dei personaggi dal lato estetico e forse pure su quello del gameplay e la cosa mi fa paura, mi fa presagire i giocatori di Soul Calibur e Tekken vestiti intenzionalmente da pagliacci per distrarre l'avversario, spero che questo aspetto sarà contenuto, non voglio affrontare un Goro coperto di pagliuzze dorate, con in mano degli acchiappa-mosche e con un testa un vaso da notte. Ho già gli incubi. Ma Mortal Kombat "è Mortal Kombat" come direbbe il saggio. E lo è ancora di più se sei nato come me nei '70 e hai visto il primo in sala giochi, se ti sei deliziato con l'immenso numero 2 su Megadrive, se hai cercato la raccolta dei primi 3 su ps1, hai esultato quando lo hai visto al cinema come opera prima di rilievo di Paul Anderson, ti sei depresso nelle prime interaZioni 3D del brand e sei tornato all'ovile, con Mortal Kombat IX, che era vicino alla cosa più bella del mondo anche se era doppiato col culo. Mortal Kombat che dietro alle mosse legnosine e l'appeal barocco trasuda gli anni '80 della mia giovinezza nel modo più reaganiano, muscolare, carpenteriano e vandammoso. Mortal Kombat che è roba da truzzi fanatici degli horroracci sanguinolentucci e filmacci marzialeschi brutti fin nel midollo ma che per questo, per la sua carica tanto libertaria quanto scema, non gli si può volere male.
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venerdì 18 gennaio 2019

L'agenzia dei bugiardi: la nostra recensione e l'intervista esclusiva a Volfango De Biasi!



L'amore è forse un bel gioco, almeno fino a che non diventa una cosa seria, almeno fino a che non passa un mese. Dopo di che iniziano le complicazioni, le paranoie, i momenti di disinteresse, magari le corna. E nel mezzo le bugie, un mare di bugie che rompono la coppia pezzo dopo pezzo. Meglio stare insieme un mese e poi troncare, prima che sia troppo tardi. Questa è la filosofia di vita scelta da Fred (Morelli) e Clio (Mastronardi), entrambi con passate brutte esperienze a causa di qualche "bugia di troppo" ai loro danni, entrambi con un forte "fastidio" nei confronti di chi dice le bugie a qualsiasi titolo. Clio è diventata una donna di legge e si è specializzata nello smascherare gli inganni. Fred ha fatto una scelta diversa, ha fondato una agenzia, la "SOS Alibi". La SOS Alibi come mission "copre le bugie". Soprattutto i tradimenti, che costituiscono di fatto il "core business". Non lo fa per aiutare il mentitore/fedifrago, quanto per mantenere uno status quo, impedire che le famiglie si dividano con danno soprattutto ai bambini. Famiglie come quella di Fred, il cui padre dopo aver lasciato la moglie è sparito lasciandoli soli. Fred dispone di un team composto da attori, spie, psicologi, esperti di informatica. I suoi clienti, che in genere intendono organizzare una scappatella o si trovano con la moglie alla porta e l'amante ancora sotto le coperte, possono fare affidamento su una serie di procedure efficaci per la routine, per l'emergenza, per la falsificazione di documenti, per travestimenti, fughe, per depistaggi. Tutto, tutto fatturabile con discrezione, ma per il bene delle famiglie. Fred è contento del suo lavoro e insieme all'esperto di informatica Diego (uno stralunato nerd interpretato da Herbert Ballerina) e al nuovo apprendista Paolo (un esperto di psicologia interpretato da Paolo Ruffini) sta per incontrare un nuovo cliente, Alberto (Massimo Ghini). Alberto è un professionista felicemente sposato con un giudice, Irene (Carla Signoris), fino a quando non perde la testa per una irresistibile svampita aspirate cantante di nome Cinzia (Diana Del Bufalo). Alberto è un fedifrago impacciato e pasticcione che necessita davvero dei servizi della SOS Alibi, ma c'è un problema. Sua figlia, all'insaputa di Fred, è Clio. Clio di cui Fred è davvero innamorato, al punto da mettere da parte insieme a lei la strategie di stare insieme solo un mese e poi basta. Clio, sempre a caccia di bugie per ossessione, a cui Fred, per timore del giudizio, ha detto di fare l'architetto. Resisterà il loro rapporto alla pioggia di bugie che Fred dovrà scatenare per salvare la faccia al suo nuovo cliente Alberto? 


Volfango De Biasi scrive (insieme a Fabio Bonifacci, che l'anno scorso ha scritto Metti la nonna in freezer) e dirige uno scoppiettante adattamento italiano della commedia francese Alibi.com di Philippe Laucheau. L'ispirazione è francese, il corpus si innesta bene nell'animo italico della commedia degli equivoci (Massimo Ghini fa sua la maschera del cinico imbranato fedifrago resa celebre da De Sica), quando quasi dalle parti della commedia sexy (La Del Bufalo, è una svampita amabile come la Fenech di Cornetti alla crema... peccato non essere più negli anni '70... ma anche la Mastronardi ha delle inaspettate uscite sexy). C'è alla base della SOS Alibi una costrizione narrativa interessante, quasi da spy movie, molto da film action, per nulla banale e che ci ricorda che anche noi italiani sappiamo fare commedie "un po' action" (come negli anni '80 I Pompieri, come oggi Smetto quando voglio). Telecamere, computer, travestimenti, colpi di scena, inseguimenti, perfino elicotteri, il pacchetto completo, ma la ricetta ha altre sfumature interessanti. C'è un tocco di commedia "cattiva ma per finta" sullo stile dei Farrelly, con vittime i classici nerd e animali, (Ballerina e Ruffini sembrano entrambi uscire da un film dei Farrelly, e sono irresistibili), ci sono ottimi momenti e "scenografie" da commedia sociale inglese (tra Boyle e  Ritchie) con mattatore principale RaiZ degli Almanegretta, c'è pure un attimo di surrealissimo, quasi alieno, grazie ai geniali personaggi di Paolo Calabresi e Carla Signoris (un personaggio quasi da Wes Anderson). 
C'è quindi molta contaminazione, molte idee e soprattutto si riesce a ridere, a volte in modo liberatorio e tutto matto, come quando dal nulla, come un meteorite, appare sullo schermo l'autodefinitosi "Willy Smith del Senegal". Come quando, in pieno deliro allucinogeno, uno dei nostri eroi finisce in una festa a tema supereroi molto più inquietante di quello che sembra. Come quando succede che qualcuno si addormenta e si addormenta in continuazione, ma lotta per non essere discriminato dalla società come narcolettico. Ma la struttura regge, l'impianto narrativo diventa sempre più anarchico ma non si sfilaccia e tutto rimane composto. Anche  se forse il finale è meno esplosivo di quanto ci si potesse immaginare, l'oretta e mezza passa e in modo gradevole. Tra tutti gli interpreti la palma del migliore a questo giro la voglio dare a Paolo Ruffini, che lavorando molto di sottrazione e disinnescando il suo modo di parlare veloce e sopra le righe (ho in mente la performance in I Babysitter) crea una maschera comica davvero riuscita. 
L'agenzia dei bugiardi ha ritmo, buoni interpreti, qualche interessante idea di regia ma soprattutto riesce a far ridere, con spensieratezza ma senza far dimenticare un sottotesto interessante sul "valore morale" della verità. Non è esente da qualche piccola sbavatura, soprattutto nel finale, ma si lascia vedere con gusto. Non punta a stravolgere il genere, ma per ordine formale e scrittura frizzante è decisamente una pellicola godibile. 
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L'agenzia dei bugiardi : la nostra intervista  al regista, Volfango De Biasi

TalK0: Buon giorno e grazie della disponibilità! Non le ruberò troppo tempo, glielo prometto!
De Biasi: Perfetto, sono qua!

T: Ho visto il film, l'ho trovato molto interessante. È un remake di Alibi.com di Philippe Lacheau. Lacheau peraltro regista anche di Babysitting, che ha ricevuto di recente un remake italiano, I Babysitter, con la partecipazione di Mandelli, Ruffini e Abatantuono. La commedia francese si presta bene a essere "importata e tradotta" da noi? Penso anche al successo di Benvenuti al Sud. È nelle nostre corde prendere un po' dai francesi?
DB: Mah, io credo che per certi versi "tutti abbiano preso da tutti". I Farrelly Brothers con Tutti pazzi per Mary inevitabilmente ha preso da una visione del cinema scollacciato degli anni '70 che facevamo anche noi. Tutti hanno poi preso dai maestri comici americani degli anni '10, '20, '30, '40. Alla fine c'è come una sorta di partita di giro. I film di Lacheau, devo dire la verità, sono film che pagano sicuramente un tributo molto alto alla commedia americana. Mi viene in mente Ridere per Ridere di Landis. Il fatto che io abbia scelto di riscrivere, probabilmente normalizzandolo o ristrutturandolo, Alibi.Com, è perché ci ho riconosciuto dentro una commedia italiana folle e anarchica anni '70 con elementi di una commedia americana esplosiva degli anni '80. Quindi credo che non si tratti solo di quello che i francesi "ci stanno dando", ossia una sorta di partita iva creativa.

T: Certo. Per altro, sempre restando sulla commedia francese, le è capitato di vedere di recente 7 uomini a mollo di Gilles Lellouche ? 
DB: Purtroppo gli impegni di confezionare un film, l'orgia dei panettoni... mi hanno tenuto lontano dalla visione di 7 uomini a mollo (ride)

T: Posso raccontarle un po' la trama?
DB: Non vedo l'ora! (ride)

T: Parla di alcune persone che hanno un serie di problemi sociali, economici, familiari e lavorativi, che attraverso lo sport, uno sport un po' di nicchia, attraverso l'aiuto di persone che li seguono e motivano, riescono a diventare la nazionale francese a un evento internazionale di categoria. Lo sport riesce a unire le persone e le fa migliorare. A vedere questo film mi è venuto in mente qualcosa che ha fatto lei. Un documentario.
DB: Crazy for Football

T: Esatto! Vuole parlarmene un attimo? 
DB: Mah, cosa vuoi che ti dica?! (ride)  Certo ne parlo con piacere! (ride ancora) Ok, te ne parlo!! Beh, Crazy for football è una storia che seguo da 13 anni. È il secondo film che ho fatto, c'è stato un romanzo. Di fatto io collaboro alla gestione, all'esistenza e alla nascita di questa nazionale composta da pazienti con problemi di disturbi mentali. È una battaglia di civiltà che sicuramente e culturalmente all'interno della battaglia di Basaglia e della legge 180. L'idea che il paziente psichiatrico non sia un "paziente professionista" che è in carica alla psichiatria ma che sia un uomo, con tutti i suoi diritti civili. Un "paziente dilettante". Un uomo come gli altri che possa, nei momenti il cui "rientra dal fuorigioco" della malattia, vivere una vita meravigliosa. Per fare questo bisogna creare cultura e in questo sicuramente il calcio è uno dei linguaggi di connessione più forti. La palla "va da me a te" ed è una forma di comunicazione forte, soprattutto nella nostra società, in cui si continua a pensare che il matto sia uno con il cappello di Napoleone o con lo scolapasta in testa e punto. Oppure dove si arriva a pensare che il criminale sia un matto, cosa che non è. E quindi si racconta. Quando i nostri giocatori mettono la maglia della nazionale, in quel momento la malattia mentale è appiattita per lasciare posto al "mito" di Totti, Buffon, Del Piero...

T: Un messaggio molto bello, che quest'anno viene declinato in commedia anche dai francesi, ma che mi pare fosse nelle sue corde ancora prima di Crazy for Foofball, con un altro documentario precedente..
DB: Sì, Matti per il calcio è la mia prima opera che ottiene visibilità dopo i cortometraggi. 

T: Dopo il successo di Crazy for Football del 2016, che vince il David di Donatello e menzione speciale ai Nastri d'Argento, quest'anno è tornato invece alla commedia. Un genere che l'ha vista come sceneggiatore, con Colpi di fulmine e Colpi di fortuna di Neri Parenti, poi, come regista e sceneggiatore per Un natale stupefacente del 2014, Natale col boss del 2015 e Natale a Londra - Dio salvi la regina nel 2016. 
DB: Esatto. 

T: Com'è stato tornare a un genere così popolare, seguito e importante in Italia? Mi sembra che siamo in un momento di ridefinizione della commedia italiana.
DB: Ogni film è difficilissimo. Nessun film è scontato e ogni operazione va osservata a tutto tondo! Questo era un film che doveva essere solido e far ridere, ridere, ridere. Con un cast fresco, nuovo, perché sono stati un gruppo inedito da mettere insieme. E speriamo di aver vinto questa scommessa! Tornare alle commedia è sempre bello, far ridere è sempre bello. 

T: Parto subito con quello che mi ha colpito di più, in positivo. Mi ha sorpreso tantissimo, e fatto sbellicare,  il duo comico che viene a formarsi tra Herbert Ballerina e Paolo Ruffini! 
DB: Sì, è fortissimo!

T: Con questo film arriva per me una nuova definizione di Ruffini come attore comico. Con uno stile di recitazione in sottrazione, quasi minimale, rende benissimo. È la prima volta che lo vedo in un ruolo così., 
DB: Allora non ti sei visto con attenzione (mi bacchetta simpaticamente ridendo) Natale a Londra e Natale col Boss!

T: È vero, lo ammetto!
DB: Perché Ruffini è il terzo film che fa con me e io lo utilizzo come "clown bianco". Quindi sempre in sottrazione con Paolo e infatti (ride)... sì, devo dire che è la sua chiave migliore.

T: Assolutamente! Condivido!
DB: è un ottimo attore. In sottrazione Paolo, che è già un bravissimo comico, diventa anche un ottimo attore. 

T: Mi è piaciuto molto come hanno sviluppato i loro personaggi anche Giampaolo Morelli e Alessandra Mastronardi. Loro sono di fatto il cuore del film, il loro modo di agire e relazionarsi con la società e con gli altri, seppur antitetico, nasce come una loro risposta ai troppi "bugiardi che ci sono in giro". È come una questione personale prima che sociale, il fatto che abitiamo in un paese pieno di bugiardi, dove i tradimenti (di varia natura) sono all'ordine del giorno..
DB: ... e infatti si innamorano perché psicanaliticamente parlando vogliono la stella cosa (ride). Sono come i contrari che si attraggono. Anche il personaggio della Mastronardi in fondo un po' mente, odia i tradimenti ma  non spiega mai "del tutto" il suo punto di vista, nasconde qualcosa pure lei. Anche lui in fondo non ama i tradimenti, lui è il "re dei bugiardi" ma per una giusta causa. Quindi le loro due fragilità coroneranno in una meravigliosa storia d'amore! Questa è la mia chiave di lettura e di scrittura. 

T: Nel cast anche Diana Del Bufalo. Interpreta l'amante del personaggio di Ghini ed è una figura amabilmente svampita, che esce da ogni schema, vive in un mondo tutto suo e appare tanto buffa quando sensuale. Ghini che ormai ha fatto sua la storia maschera del bugiardo fedifrago resa grande da De Sica...
DB: Ghini assurge a una cifra comica da re della commedia, Diana fa ugualmente bene quel personaggio che ha reso famose e fatto vincere premi a tante attrici, cioè la "scema sapiente". Il personaggio di Diana, Cinzia o "Double Cinzia" è davvero un'oca giuliva, una meravigliosa idiota. Che non è un personaggio facile. È stata molto brava.

T: andando a random senza rivelare troppo della trama, mi è piaciuto molto anche il rapper Raiz degli Almamegretta, il suo personaggio, il capo di una comunità nomade, sembra uscito da Snatch di Guy Ritchie! È citazione voluta? 
DB: Certo! Un po' sì (ride). Però voluta no! Il personaggio di Raiz e il mondo che gli gravita attorno può apparire pericoloso ma è pieno di valori positivi, di accoglienza e gentilezze. Poi diventa a un certo punto il "cattivo", ma ha le sue ragioni per quello che gli combinano (ride). 

T: Paolo Calabresi. Il suo è un personaggio composto, apparentemente tranquillo, troppo gentile ma a volte pure terrificante. E lui fa tutto con la sua solita aria imperscrutabile. Molto curioso e a tratti surreale  il suo duettare con Carla Signoris.
DB: Paolo Calabresi in questo film è incredibile. È un personaggio che sembra come Bela Lugosi (ride) va al di là... è oltre ogni limite. La Signoris è una grande attrice e insieme duettano con una raffinatezza... Di cosa è fatto un film comico? Ecco, è fatto di questi attori, che creano tra loro come dei balletti.

T: Prossimi programmi? C'è già in mente qualcosa? Per scaramanzia sì ma non si dice?
DB: Sì... non posso dirlo ancora, ma sopratutto vediamo come va questo! I programmi cambiano anche in base all'apprezzamento del pubblico, che ti indirizza. 

T: ci sarà in futuro anche "un seguito" di Crazy for Football
DB: Crazy for Football continua, anche perché la nostra nazionale si sta organizzando per il 2020. Stiamo lavorando anche ad un adattamento fiction... vedremo! È una storia politica e quindi non si ferma qui, anche se non sappiamo ancora bene come andrà. 

T: L'agenzia dei bugiardi è nelle sale! Ringrazio il regista Volfango De Biasi per il suo tempo e a risentirci presto! 
DB: Grazie!

mercoledì 16 gennaio 2019

Glass, il nuovo film e primo "crossover"di M. Night Shyamalan: la nostra recensione




C'era una volta (nel film Unbreakable) David Dunn (Bruce Willis), un uomo che dopo un incidente ferroviario catastrofico è uscito del tutto incolume e con di più la consapevolezza di avere dei super poteri, precognizione (toccando una persona "sente e vede cose" che la definiscono come buona o cattiva, come accadeva a Christopher Walken ne La zona morta) e super forza. Convinto di essere autenticamente "super", divide pericolosamente questa ossessione con il figlio Joseph (Spencer Treat Clark), trasformandosi nel vigilante conosciuto come il "guardiano verde".
C'era una volta (nel film Split) Kevin Crumb (James McAvoy), un uomo che lavorava in uno zoo con un forte disturbo dissociativo della personalità, personalità multiple tra le quali si aggirava un assassino o forse addirittura un demone dalla forza sovrannaturale che amava farsi chiamare "la bestia". L'amore di una bella (Ana Taylor-Joy), placò in parte la bestia, ma questa scappò e divenne lo spauracchio criminale / leggenda urbana conosciuto come "l'orda".
C'era una volta un uomo incredibilmente intelligente che fin da piccolo era stato afflitto da una patologia grave che rendeva il suo corpo fragile come il vetro, Elijah Price (Samuel L. Jackson). Per cercare di confortarlo, per fargli credere di avere uno scopo nel mondo, sua madre (Charalyne Woodard) gli regalava fin dall'infanzia tonnellate di  fumetti di supereroi. Diventato adulto e un super appassionato di comics, di quelli integralisti, un "true believer" come direbbe lo scomparso Stan Lee. Elijah si interessò sempre più di fumetti mischiando arte, storia e mitologia, coltivando la convinzione che i supereroi dei fumetti fossero in realtà lo specchio di storie reali di divinità vissute realmente sulla terra e "nascoste alla massa". Elijah arrivò da vero credente alla convinzione che il mondo "dovesse essere in equilibro" e dedicò tutta la vita alla ricerca di qualcuno che fosse a lui biologicamente  opposto, per un puro calcolo statistico. Se lui era imprigionato in un involucro fragile e crudele, doveva esserci da qualche parte anche un uomo con corpo invincibile, un uomo destinato a vivere per fare del bene agli altri come un supereroe. L'ossessione di questa ricerca fece diventare Elijah  un pericoloso terrorista, il burattinaio occulto di una delle più grandi stragi locali, ma la sua fede venne ripagata quando scoprì David Dunn. Quando era piccolo, i bambini lo chiamavano "mister Glass", un soprannome da cattivo dei fumetti, conosciuto Dunn Elijah trova il suo posto nel mondo e si convince di essere un supercriminale, per tutti i crimini che ha compiuto per seguire la sua "fede". Un villain geniale e malinconico come Lex Luthor.


Oggi David Dunn, Kevin Crumb ed Elijah Price a seguito di alcune vicissitudini sono tutti internati in un manicomio criminale, nelle mani della dottoressa Ellie Stample (Sarah Paulson), esperta nel trattare persone con manie di grandezza e complesso da supereroi. Un medico che vorrà convincersi con tutte le forze e le scienze disponibili che i supereroi e i supercriminali, i demoni e le altre cose strane in fondo per il mondo comune "non esistono". Puro folklore se non peggio, fumetti di bassa lega, creduloneria per masse deboli. La Stample non sembra certo una "True believer" come Elaijah e farà di tutto per trasformare quel posto nel dannato Nido del Cuculo. Ma se i fumetti raccontassero storie vere? 
Sono passati vent'anni da quando M. Night Shyamalan dopo il grande botto di successo de Il sesto senso coinvolgeva per un nuovo progetto Bruce Willis. In un periodo in cui se ne parlava ancora a bassa voce, il regista di origine indiana iniziava a maneggiare il genere - tormentone degli anni futuri, il cine-comics, presentandone una versione già autorale, intimista, spesso religiosa più che mistica e decisamente anti-spettacolare. Conferma alle musiche il grande James Newton Howard, che gioca con un tema dell'eroe che sottotraccia rispolvera le trombe di Superman di Mancini, scambia le  inquietanti porte e palloncini rossi fotografati da Tak Fujimoto, e passa ai colori freddi ma "gentili", quasi pastello, di Eduardo Serra, dove il bene e il male si ammantano di verde e viola sotto un perenne cielo piovoso. Verde scuro/blu è Bruce Willis, che sembra un po' Superman è un po' Captain America, Viola è Samuel L.Jackson un po' Joker e molto Prince. Un film sussurrato, sull'importanza di credere in qualcosa, sul fatto che la cosmogonia americana non arrivi a Omero ma si fermi e cerchi grandezza e riconoscimento fra i fumetti di supereroi. A sorpresa, ma neanche troppo, un film sulla religione e sul fanatismo, su quanto uomini comuni (ma anche dei bambini americani medi, e questo è il "trigger" della pellicola), soprattutto se disperati, possono spostare oltre l'asticella per avere "una risposta" che dia un senso alla loro vita. Molto dramma, poche delle super-botte che i film cinecomici ci regaleranno in futuro, ma bellissime interpretazioni e la bella metafora che un supereroe può ben nascondersi tra le persone comuni. Forse non eravamo pronti, il film incassa ma non fa i numeri, anche se si riprenderà con l'home video diventando un piccolo classico, M. Night Shyamalan dopo fantasmi e supereroi passa agli alieni e sarà tutta una nuova storia. 


Passa un po' di acqua sotto i ponti, successi e anche no, M. Night Shyamalan è in Blumhouse, con un micro budget, dove è umilmente ripartita la sua carriera con The Visit e si inventa Split, una storia di personalità multiple e sovrannaturali con al centro un James McAvoy avvolto in colori gialli accesi dalla fotografia di Mike Gioulakis, raccontatoci musicalmente da un sincopato West Dylan Thordson. McAvoy mette in scena uno strabiliante One-man-show in cui è un uomo con 23 personalità di tutti i tipi, età, razza, sesso + 1 "rara", forse di matrice diabolica forse di matrice supereroistica alla Hulk. Sul finale M. Night Shyamalan pensa "E perché no? Oramai lo fanno tutti..." ed ecco che compare il personaggio di Willis di Unbreakable e già si pensa ad un capitolo tre. Ma a M. Night Shyamalan (il cui nome sto copia-incollando grazie ad un comodo tasto, guardate! M. Night Shyamalan, M. Night Shyamalan, M. Night Shyamalan, M. Night Shyamalan... tutte le volte che voglio e senza mai sbagliarlo!!) è davvero uno che ci crede ai fumetti al cinema? Gli interessa davvero questo filone al di là delle implicazioni religiose, della "origin story" e della follia dietro a mettersi una mantella per pestare i teppisti di notte? M. Night Shyamalan vuole farlo Avengers? Ma anche no, che i blockbuster dopo After Earth non gli vengono benissimo e questo Glass è un low budget come lo era Split. Low budget di stra-lusso, con grandi attori coinvolti e storia ben studiata, ma convintamente "minimal" rispetto quello che i fan dei cinecomics degli ultimi vent'anni si aspetterebbero. Anzi! Un film che ancora di più mette in dubbio l'esistenza dei superpoteri e la loro relativa rappresentazione visiva. Chi si aspetta botte da orbi qui "non gode", M. Night Shyamalan fa di tutto per creare tensione e spesso ci riesce ma non la butta mai davvero in liberatoria caciara, pensando invece al Nido del Cuculo, come sopra già citato, e facendo sì che il personaggio più terribile di tutti sia la Paulson, sempre bellissima e tagliente, che non a caso è perfetta nel ruolo di la dottoressa aguzzina. E se Willis è verde, McAvoy giallo e Jackson viola, l'aguzzina della Paulson è circondata e vestita (dalla fotografia sempre del bravo Mike Gioulakis ) di un terribile rosa pastello da educanda perfida e autoritaria, come la Dolores Jane Umbridge interpretata per Harry Potter da Imelda Staunton, tutta rosa e dannati gattini. Il colore "dell'amore fasullo" di chi ha a che fare "dall'alto" con i deboli e i pazzi.  


E che i pazzi impazzino, quindi. McAvoy fa di tutto per avere il premio di matto e sfoggia tutto il repertorio dell'orda, tra l'ancheggiamento e le pose sexy di Patricia, l'ingenuità del bimbo, la paranoia di Dennis, l'hulkesca Bestia che corre sui muri e parla coi rutti, il professore orientale, il bullo... una grande prova da matto. Willis, che dopo il remake de Il giustiziere della notte (che ci è piaciuto, vedi la recensione più indietro) è tornato un po' in pista dopo un periodo in ombra, qui si conferma solido e generoso, molto bravo a duettare con il "figlio" interpretato da Clark, sempre umano, sempre eroicamente dolente. Samuel L.Jackson si vede solo dopo una mezz'ora, ha il personaggio pieno di tranquillanti e mezza lobotomia, sta per lo più con la bava a fissare in camera. Ma si mangia letteralmente tutto il film. Con meno possibilità interpretative di una pianta, per la precisione, si mangia tutto il film. Imponente pur perennemente sulla sedia a rotelle, diviene tragico, titanico e alla fine pure "giusto". Si tifa per lui e lui non sa deludere, ancorato come è ad un personaggio che già vent'anni fa dichiarava di avere molto amato, Jackson dà il meglio e impone tutto il ritmo della pellicola. Tutti bravi, il film gira e anche se lunghissimo, più di due ore, non annoia. E poi arriva lo "Shyamalan twist", il colpo di scena marchio di fabbrica del regista indiano fin dai tempi dell'esordio. Chi lo rivela muore, come da tradizione, ma posso anticipare che è una bella rasoiata, qualcosa di forte, "utile" e che fa anche ben incazzare, ma che dà "potenza" (spero di non rivelare troppo con queste virgolette...) al messaggio finale a un film che negli ultimi minuti, forse per l'idiosincrasia di essere avvicinato per dinamiche agli altri cinecomics, vive di qualche alto e basso. A voi scoprirlo, a voi indagarne la "portata" effettiva. 


Tiriamo le somme. M. Night Shyamalan intreccia con stile e amore tanto Unbreakable quanto Split, recupera tutto il recuperabile in termini di contesto e personaggi, arricchisce e approfondisce, trova una chiosa unica e confeziona con stile. Il mood è quello di chiudere il cerchio e permettere la visione dei tre film in serie, come una piccolina mini-serie TV di lusso, per lo più facendoci trastullare con temi già espressi nel primo Unbreakable. In questo scegliendo/riconfermando tatticamente un "volare basso" che forse per chi legge "un nuovo film di supereroi al cinema" non porta tutte quelle esplosioni e stunt-man che ci aspetteremmo da un Deadpool (giusto per citare un altro film sui supereroi non esattamente con budget stellare ma con azione dieci volte più presente che qui in Glass). Bello il fatto che vengano recuperati molti momenti delle prime due pellicole per far vedere come gli interpreti e i loro personaggi siano cresciuti negli anni, anche se mi fa sentire dannatamente vecchio. 
L'ultimo M. Night Shyamalan mi è piaciuto, forse l'ho trovato un po' freddo e poco accogliente in certi passaggi (ma è giusto che il cinema "smuova" anche sentimenti come l'inquietudine), mi ha fatto un po' arrovellare (il tema "religioso" trova terreni semplificati ma per nulla banali) ed incazzare (anche un po' McAvoy, ma lo dico con simpatia). Ho amato i personaggi, ho amato le fumetterie dai colori fluo stile discoteca che non ho mai visto a Milano e nel resto del mondo. Ho amato rivedere la stazione di Filadelfia con al centro la grande statua dell'angelo della resurrezione, me ne ero scordato. Ho amato rivedere il Samuel Jackson bambino che va al parco giochi con i giganteschi pelouche per "foderare" la giostra e pararsi dagli urti, scena che mi fa ancora male al solo pensiero. Bella la clinica - prigione con le stanze piene di aggeggi tecnologici per "usare la kriptonite" contro i supereroi. Glass ha saputo bene giostrarsi nei territori più sinistri tipici del regista, tanto nella parte melodrammatica altrettanto tipica del regista. È un buon testamento di quanto di innovativo M. Night Shyamalan ha apportato al genere cinematografico dei tizi in calzamaglia. Gente colorata e palestrata forse non troppo dissimile, nei costumi e modi, dai freak e acrobati che un tempo vivevano nel circo, in un mondo in cui magari esordiva Superman, agli albori di Action Comics, come un Mosè spaziale. E nemmeno volava. Roba da veri credenti. 
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giovedì 10 gennaio 2019

Il bacio di Aiuti



Che cos'è un eroe? È un individuo dotato di un grande talento e straordinario coraggio, che sceglie il bene al posto del male, che sacrifica se stesso per salvare gli altri, ma soprattutto agisce, quando ha tutto da perdere e nulla da guadagnare. 
Fernando Aiuti, con alle spalle anni di impegno nella ricerca medica, con un bacio contribuì a spazzare via la paura per l'AIDS e allontanò lo stigma sociale (più terribile di ogni malattia) dalle persone che ne soffrono. Aiuti ha ravvivato la speranza per un futuro migliore, in uno dei momenti più critici, come solo sanno fare gli eroi. Purtroppo oggi Aiuti non c'è più. Ma noi non lo dimenticheremo, come la foto che lo rese famoso. 
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mercoledì 9 gennaio 2019

Dragon Ball Fighterz : che cacchio sta succedendo al migliore picchiaduro degli ultimi anni?



Mentre non si inventa più niente in ambito picchiaduro e gli ultimi giochi di combattimento non fanno che riscaldare minestre ormai vintage, ecco che l'anno scorso ti usciva da quei geni assoluti della Arc System Works, prodotto da Bandai Namco, Dragon Ball Fighterz. Per alcuni l'ennesimo gioco di Dragon Ball dopo la serie di combattimento "semi-aerei" di Dragon Ball Xenoverse e la serie "a carte" Dragon Ball Heroes, per quelli che lo hanno provato ed amato una alternativa seria ai giochi di combattimento dei cosiddetti E-Sports. Il Game di Arc System oltre alla più stupefacente trasposizione videoludica del mondo del manga di Toriyama ha un sistema di controllo semplice ma che sa diventare profondo, meccaniche di gioco veloci, un roster variegato, richiede una certa dose tattica e sa essere molto divertente. Il gioco galvanizza la stampa che gli dà voti altissimi, è amato dai videogiocatori (ma non da tutti i fan "storici" dei videogame di Dragon Ball, in quanto lo trovano troppo distante da prodotti come Xenoverse.. de gustibus), ha una campagna pubblicitaria dirompente e vende migliaia di copie, più di quelle mai sognate da Arc System Works, i cui fighting Game di punta come Blazblue e Guilty Gear non hanno mai incassato tanto. Merito anche del "traino" del nuovo anime e fumetto Dragon Ball Super, con molti nuovi personaggi che confluiscono nel roster di Dragon Ball Fighterz dall'inizio o attraverso una vasta copertura di DLC che si protrarrà fino alla fine di settembre (la cosiddetta Stagione 1). Gli e-sport sono tornei a cui accedono "giocatori professionisti", con grossa diffusione mediatica, uno show dal vivo seguito spesso in rete da un vasto pubblico e con anche ingenti somme di denaro come premio. Gli e-Sports sono sempre più un business che attira anche grosse marche come di recente Red Bull, la pubblicità fa faville. Chi organizza i tornei vuole già dalle prime indicazioni della stampa, che Dragon Ball Fighterz faccia parte dei tornei di  fighting Game che si tengono in giro per il mondo e all'ultimo EVO, uno dei massimi eventi di e- sports categoria Fighting capita l'incredibile. Ed è un successo travolgente. Gli iscritti al torneo per Dragon Ball Fighterz sono il doppio rispetto a quelli di Street Fighters V. È una rivoluzione copernicana, nessun gioco di Dragon Ball è mai arrivato così in alto per popolarità, consensi e copertura, ma in qualche modo è una rivoluzione "anticipata" dalla rete, dove arrivavo i primi nomi dei campioni di Dragon Ball Fighterz. Il numero 1 è Dominique "SonicFox" McLean, ed è davvero un personaggio, un grande intrattenitore oltre che un abilissimo giocatore. Un successo così consolidato da convincere Bandai Namco a portare su Nintendo Switch il gioco a fine settembre. Un ottimo slot per estendere il potere economico di Bandai Namco in ambito fighting Game. Un ottimo traino per le nuove serie animate di Dragon Ball Super di Toei, primo tra tutti il film su Broly, personaggio "recuperato all'attenzione" proprio come primo DLC di Dragon Ball Fighterz. Un successo in ambito E-sport così interessante per Shueisha, storica casa editrice che ne detiene i diritti, che mette in cantiere un manga che parla di e-sport e si basa "sui giocatori di Dragon Ball Fighterz", cioè Despo Fighterz. Non ci credete?


Quindi immaginate un manga alla Yugi-oh o Captain Tsubasa con 'sti bimbi un po' inquietanti che tutta la loro vita la giocano sfidandosi con queste brutte copie finte di Switch in tornei che occupano e riempiono gli stadi più della Champions League.
Tutti contenti, allora?
Sarà già pronta la stagione 2 dei DLC con nuovi personaggi giocabili o sarà già in cantiere Dragon Ball Fighterz 2? Ci saranno nuovi player a contenersi con SonicFox la palma di migliore dei migliori? 
E qui parte il giallo.
Dopo i tanti soldi investiti, dopo il grande successo di critica e seguito di fan ottenuto, dopo che a tantissimi è venuta voglia di cimentarsi in tornei di e-sport proprio grazie a Dragon Ball Fighterz... tutto sparisce.
Silenzio radio assoluto.
Dragon Ball Fighterz comincia a sparire da tutti i tornei di e-sports anche con cancellazioni dell'ultimo momento. L'EVO del nuovo anno lo ha richiesto ma non ha potuto averlo. Nessuna notizia sul futuro del gioco di fatto è apparsa dopo l'uscita dell'ultimo DLC, quello con C17, mentre sembravano da marzo scorso trapelate indiscrezioni circa uscite per altri 10 personaggi (se escludiamo piccoli aggiornamenti estetici legati ad Halloween e Natale). Perfino agli eventi pubblici in cui il gioco avrebbe dovuto essere presente per illustrare possibili novità (come il Jump Festa 2019 di dicembre) sono state zero. Bandai Namco non pubblicizza più niente su Dragon Ball Fighterz e sembra aver spostato l'attenzione mediatica sul già piuttosto bruttissimo e grossolano Jump Force. Gli organizzatori dei tornei si trincerano in un "no-comment" da cui trapela unicamente che i motivi dell'esclusione di Fighterz dai tornei sono "circostanze prima mai verificatesi". Mentre su reddit e tramite alcuni YouTubers sale lo sconcerto circa la "sparizione del più grosso successo videoludico legato a un anime", la stampa specializzata in videogames non si capisce se abbia o meno la possibilità di alzare la cornetta del telefono/mandare una mail/piccione e chiedere a Bandai Namco cosa sta succedendo alla produzione / evoluzione di quello che, il 7 dicembre 2018, è stato insignito come  gioco di combattimento dell'anno. 
27 dicembre Katsuhiro Harada, il celebre uomo dietro a Tekken, assurge a nuovo responsabile degli E-sports per Bandai Namco e dichiara che si occuperà personalmente dei tornei relativi a Tekken, Soul Calibur e anche Dragon Ball Fighterz. Questo significa che qualcosa è cambiato a fronte di qualcosa che non ha funzionato a livello organizzativo?


I "complottisti videoludici" intanto cercano intrighi e possibili scenari risolutivi dell'intricata matassa. Chi poteva "voler male" a Dragon Ball Fighterz? Tra Arc System Works, Toriyama, Bandai Namco, Toei Animation e Shueisha non erano tutti contenti di una produzione così importate tanto per i fondi iniziali che soddisfacente al punto che il suo sfruttamento era fruttuoso quanto ben lungi dall'essere ultimato?
Nel silenzio della stampa specializzata, che probabilmente non possiede alcun contatto con i produttori del gioco (o non ha lo spirito giornalistico di fare delle domande come il resto dei giornalisti), un ragazzino ha provato a modo suo a verificare se la scomparsa di Dragon Ball Fighterz fosse colpa di Toei Animation. Il gioco di fatto riproduce molte scene del cartone animato e si poteva sospettare che la Toei avesse richiesto agli organizzatori di tornei (o agli sviluppatori del gioco in caso di nuovi contenti) dei soldi extra per poter fare uso dei diritti di immagine di Dragon Ball di cui detiene i diritti. Toei, su Twitter, e in un modo ""ufficiale"" alla missiva del ragazzino che gli contestava come "quello che stavano facendo a Dragon Ball Fighterz non aveva nulla a che fare con i valori di fratellanza e amicizia espressi da Luffy e dalla ciurma della Staw Hat" (quando One Piece viene citato manco fosse un brano del Vangelo di Giovanni...), rispondeva che loro non sapevano nulla della storia dei tornei di Dragon Ball Fighterz. Per questo i complottisti hanno dirottato il dito su Shueisha, per gli stessi motivi, per il fatto di volere qualcosa in più per consentire la diffusione delle immagini di personaggi di cui sono proprietari, anche solo per la loro presenza a un torneo di videogame. Shueisha non ha risposto finora, ma il fatto che poche ora dopo la querelle Harada sia assurto a capo dell'e-sports per Bandai Namco per qualcuno ha qualche relazione sensata. 
Di sicuro sentiremo parlare di Dragon Ball Fighterz ancora per una volta, il 26-27 gennaio, durante la fase finale del Dragon Ball Fighterz World Tour voluto da Red Bull, unico evento di E-sports , che si terrà a Los Angeles, a cui il gioco è ancora legato.



Cosa dire ai complottari? Spero di avere notizie di qualsiasi tipo su Dragon Ball Fighterz, perché il gioco mi piace tantissimo e so che può ancora migliorare in futuro, anche nella forma di un nuovo capitolo. Si può auspicare per qualcuno che ci saranno eventi di E-sport dedicati al solo Dragon Ball, ma per me è un abbaglio, il gioco può durare di più negli anni proprio se dentro a tornei come EVO, che trattano di più giochi "storici". Più anni equivalgono a più titoli, anche in periodi in cui il brand animato è fermo, cosa che fino a Dragon Ball Super si è tradotta in 20 anni di fermo. Non so poi quanto converrebbe remare contro a un torneo di Dragon Ball Fighterz, rendendolo impossibile, mentre pubblichi un manga che si basa sui protagonisti di un torneo di Dragon Ball Fighterz.
Ad ogni modo, non vedo l'ora di trovare il tempo di farmi una partita nel weekend. Nonostante le sfighe e disguidi che il gioco sta subendo, è davvero un gioiellino e in questi giorni lo trovate pure ultra-scontato. Speriamo di risentirci sull'argomento a breve, con l'augurio che il guru di Tekken Harada risolva questa intricata matassa. 
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Update di pochissime ore fa!! (dopo 10 giorni dalla nomina di Harada) Da YouTube Bandai Namco Europe promette, sotto i commenti del video sopra postato,  "sorprese" per la fine del torneo...

Update dell'update. Mentre il canale gemello Namco Bandai America non pubblica ancora nulla, sul canale YouTube di Namco Bandai Europe, sotto il video delle semifinali del Dragon Ball Fighterz World Tour, Namco Bandai sta rispondendo direttamente a molti utenti con frasi del tipo "e il meglio deve ancora venire", "tenete duro per un paio di settimane", "preparatevi perché all'orizzonte, prestissimo, ci saranno molti nuovi tornei". Sembra che la situazione si stia normalizzando...


Update dell'update dell'update: all'ora italiana delle 1.00 di mattina di martedì 15 gennaio si terrà online il Dragon Ball Games Super Showcase. In questo evento saranno presentate le novità dei giochi di Dragon Ball di Bandai Namco, tra cui anche Dragon Ball Fighterz, alla presenza dei produttori. Naturalmente seguiremo l'evento e siamo contenti di come in pochi giorni, dopo un silenzio stampa assordante e complottaro di più di tre mesi, si torni a parlare di questo titolo. E tutto questo è accaduto proprio nel momento stesso in cui ho deciso di scrivere la notizia!! Forse dovevo parlarne prima... che Piccolo ci aiuti...

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Update dell'update dell'update dell'update 15.1.19: e venne la notte dei grandi annunci dei giochi di Dragon Ball!! In cui, dopo aver annunciato cose già annunciate o non ancora pronte (il photo mode per Xenoverse 2) e dopo aver annunciato il card Game Super Dragon Ball Heroes per l'Occidente su Switch (per alcuni so che è il momento di passare a Switch), sono arrivati gli annunci caldi per Dragon Ball Fighterz!!! 
La sempre carina Tomoko Hiroki, producer anche di quella piccola perla di Dragon Ball Super Butoden per 3DS e dietro a progetti di Dragon Ball videoludici da 10 anni, ha preso parola alla fine dell'evento, quando erano già passati 30 minuti e l'hype alle stelle. 
Ci aspettavamo qualcosa, in effetti. L'annuncio dell'evento ritraeva una foto buffa dei partecipanti che mimavano una celebre scena dell'anime di Dragon Ball, quella in cui Goku trattiene Radish alle spalle mentre Piccolo sta per colpirlo. Radish era l'unico personaggio completo  giocabile presente in Dragon Ball Super Butoden e non in Fighterz, le mosse e animazioni erano quindi già state un bel po' "studiate", poteva avere un senso come annuncio.
E Tomoko ha annunciato!!! Cioè... ha "annunciato che ci sarà un annuncio... alla fine del torneo della Red Bull di fine mese". Come peraltro già "annunciato" sotto i video del torneo postati da Bandai Namco Europe. Anche sotto la spinta del moderatore della trasmissione che ha supplicato informazioni extra, la gnappetta non ha potuto proferire molto altro, se non velatamente assicurare che "qualcosa ci sarà di sicuro" e che "i tornei saranno supportati", ricordando proprio la sua grande emozione per essere riuscita a portare un titolo anime come FighterZ all'EVO. Ha anche specificato come questo sia stata una esperienza produttiva nuova per Bandai (il pro gaming degli E-sport) e questo magari giustifica tutto il silenzio che ha avvolto Fighterz negli ultimi mesi. Forse c'erano davvero dei problemi di diritti alle spalle, legati proprio agli eventi non dedicati esclusivamente a Dragon Ball. E quindi niente, si aspetta il 26-27 gennaio o quello che è, la finale del Dragon Ball Fighterz World Tour di Red Bull, quando dopo la premiazione, presumibilmente, avverrà il vero annuncio. Che a questo punto può pure essere che ci saranno le prime immagini dei nuovi contenuti all'E3 di giugno. Cioè, a questo punto... 
Diciamo che Bandai Namco non conosce e non vuole conoscere (orgoglio giapponese puro) le "comunicazioni commerciali" in uso tra gli occidentali. La diretta, in streaming ufficiale da Switch, ha subito raccolto una serie infinita di commenti di fan delusi e incazzati, probabilmente tutti non nipponici e non avvezzi a "godere del dolore" (anche il proprio) di una nuova attesa. Comunque Dragon Ball Fighterz è vivo. Godiamoci il torneo. Alle precedenti fasi i vincitori hanno ottenuto una sfera del drago è nella finale potranno ottenere quelle degli altri, e poi "evocare il drago" ed esprimere il desiderio. 
Sonic Fox e il suo rivale numero uno GO1 (leggi "Go-ichi"), i due campioni del gaming che più hanno fatto scintille nei tornei fino ad ora, sono stati paragonati da Tomoko a Goku  e Vegeta e la loro passione ha esaltato gli streaming degli eventi.


E quando tra i Fighterz professionisti sarà decretato il vincitore il drago dovrà realizzare il suo sogno. E chissà che non ne esca con un altro annuncio di un annuncio. 

Sintetizzando... per ora molto rumore per nulla...
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