martedì 24 novembre 2020

Endless- il nuovo film romantico-fantasy di Scott Speer (Il sole a mezzanotte)


 


(Sinossi ponderata per un pubblico di adolescenti fan dei teen drama/Young Adult): La scintilla del grande amore tra Ridley (Alexandra Shipp, la “giovane tempesta” di X-Men) e Chris (Nicholas Hamilton, visto in IT e Captain Fantastic) arriva inaspettata e travolgente. Lei è una ragazza posata amante dell’arte, lui un fascinoso ribelle, gli opposti si attraggono ma è l’idillio è destinato a spegnersi di colpo in ragione di un terribile incidente. Senonché qualcosa di magico quanto la forza dell’amore impedirà che i due amanti si separino. Chris si ritrova fantasma, imprigionato in un eterno limbo ultraterreno, sotto la guida di un fantasma “esperto” quanto simpatico che gli insegnerà trucchi e privilegi di questo nuovo status. Ridley, grazie alla forza del legame che la lega a Chris, riuscirà attraverso un rituale a base di disegni al carboncino a comunicare con lui. I due prima si parlano nei luoghi del loro amore, poi si rincorrono nella vita di tutti i giorni, fanno gli stessi pensieri, alla fine forse si toccheranno. Ma questo contatto ha dei limiti e il loro frequentarsi ultraterreno forse non sarà... “Endless”. 



(Sinossi destinata a tutto il resto del pubblico): Nicholas Hamilton, attore che ricorda esteticamente un giovane Kevin Bacon, già scelto come archetipo del “bullo di paese” nel recente IT di Muschietti, oggi in sala interpreta più o meno lo stesso personaggio, Chris. Un ragazzotto ottuso dal medesimo sguardo vacuo del bulletto, comportamento primitivo - predatorio verso il genere femminile, disinteresse per studio o hobby, salvo una passione grave monomaniacale, a questo giro una moto al posto della macchina da zarro. Chris parla della sua moto e quando non lo fa beve pesante, fa l’asociale, è a livello culturale ripetitivo e pedante quanto un disco minore di Luciano Ligabue, dimostra zero prospettive per un futuro che difficilmente lo sposterà dal paesone tra i campi della provincia americana in cui vive. Inspiegabilmente, perché le donne sono creature inspiegabili, a Ridley (Alexandra Shipp), ragazza per bene, con futuro prestigioso all’università e poi nel campo legale, piace Chris. Ovviamente Chris non è di compagnia, non gli piacciono tute le “cose fighette da ragazze” come il sushi che piace a Ridley, l’amica pretenziosa altolocata di Ridley, la scuola che è “solo dei ricchi e che vuole fare Ridley solo per tirarsela lontano dal paesone provincialone”. Detesta e dileggia i genitori perfetti “e ricchi” di Ridley, presentandosi a casa sua in moto dopo che gli hanno chiesto per la trentesima volta di venire in macchina, che in moto guida come un cretino. Ma la moto per lui è tutto. Chris è contento, e questa è la sua precisa visione dell’amore, quando vede Ridley prendere quaderno e carboncino e disegnare lui sulla moto. Quello dovrebbe fare Ridley tutta la vita! Disegnini artistici su di lui con la moto, da farci le esposizioni artistiche e la carriera da pittrice monotematica, ovviamente senza muoversi dal paesone provincialone, pulendo casa, facendo da mangiare e aspettandolo a casa la sera quando lui torna ubriaco sulla moto. Perché questo deve fare una donna per il suo uomo, se lo rispetta cazzo!!  



Così siamo tutti con Ridley, quando la nostra eroina scopre di essere stata ammessa nella prestigiosa università lontana dal paesone provincialone e decide di non parlarne con Chris. Dice “prendiamo tempo” e noi immaginiamo che si allontanerà da questo molesto primitivo senza colpo ferire. Ma a una festa di lì a poche ore una amica di Ridley comunica la buona novella a tutti, al microfono della sala disco. Chris si ubriaca in tempo zero, Ridley è costretta a farsi prestare una macchina perché erano arrivati lì con la moto di Chris e nessuno guida la moto di Chris se no si arrabbia. Nel viaggio verso casa, Ridley guarda la strada mentre Chris continua da ore una nenia del tipo: “Perché non vuoi stare qui nel paesone per sempre a disegnarmi sulla moto? Perché rinunci al tuo talento di pittrice di me e della mia moto per andare a fare cose come studiare e realizzarti socialmente? Ma non capisci cos’è l’ammmore! Eeeeeri bellissima... ma Marlon Brando è sempre lui ooo lui ooo lui??”

Poi arriva il deus ex machina, la soluzione: la nota incapacità alla educazione stradale degli automobilisti del paesone provincialone porta ad una improvviso show di autoscontri. In due minuti: 1) Ridley va a sbattere contro un’auto che procede a fari spenti pianissimo tra i boschi e buio e nebbia; 2) Chris dal sedile passeggero va a sbattere contro il vetro perché il proprietario dell’auto in prestito non ha mai cambiato l’airbag rotto; 3) un’altra auto arriva a caso contro le due ferme procedendo in zona abitata a 300 miglia orarie. Quello che segue è in sostanza il senso di colpa di Ridley misto allo stress post-traumatico. Si sveglia all’ospedale e scopre che Chris è morto, ma se lo immagina dentro un brutto rip-off di Ghost con Patrick Swayze, con spalla comica e l’idea di rifare la scena del vaso usando dei pomodori cuore di bue. Per aumentare la connessione con Chris inizia a disegnare lui e la sua moto ovunque, arriva pure a chiedere alla madre gallerista una valutazione professionale sul suo modo di ritrarre Chris su una moto per lavoro (scena di angoscioso imbarazzo per entrambi in quanto i disegnini sono orrendi ). Come andrà avanti questa allucinazione? 

 


(Un amore Endless) quello che abbiamo in sala è in teen-drama sentimentale con un pizzico di soprannaturale, la malinconica cornice della provincia americana in autunno, una coppia di attori carini. Se siete adolescenti può avere le carte buone per intrattenervi, se siete un po’ più smaliziati è diverso. Endless punta molto su sguardi languidi e la chimica tra i due giovani protagonisti. Gioca narrativamente con i “fantasmi”, un po’ dalle parti della commedia a tinte noir Asso, con Adriano Celentano (dai ad Adriano quello che è di Adriano), un po’ dalle parti del romantico/soprannaturale Ghost, che ha consacrato la fama di Patrick Swayze. Come molti  young adult, ricerca riti e rituali soprannaturali che in fondo sono figli della passione per il fantasy anni ottanta, per dare pepe alla storia e al contempo elevare la materia. Si parla, sebbene con un mcguffin inconsueto fantasy, di elaborazione del lutto e la storia è ben studiata per apparirci tanto in chiave fantasy che realistica. Il fantasy aiuta, soprattutto il giovane pubblico, nel fornire una “prospettiva positiva dell’ultraterreno”, che parte dal sorriso infinito dello spirito-guida interpretato da Deron Horton. Ci troviamo narrativamente nella corrente “low-fantasy”, filone in cui  ai protagonisti vengono assegnate delle prove iniziatiche che li muovano dall’adolescenza all’età adulta, giocando con i simboli. Siamo un po’ dalla parte del fumetto I Kill giants di Kelly e Niimura o di A Monster Calls (Sette dopo mezzanotte) di Ness/Down. Speer usa bene il low-Fantasy -young-adult, per portare lo spettatore dentro a un percorso psicologico di “fronteggiamento del dolore”, allo stesso modo in cui con il suo precedente film, Il sole a mezzanotte, raccontava attraverso gli (apparenti) stilemi della favola “disneyana” la voglia di vivere di una protagonista gravemente malata, utilizzando come interprete una attrice bellissima, forte e determinata come Bella Thorne. Speer permetteva davvero  al pubblico di immedesimarsi nei  sentimenti della protagonista, senza farlo bloccare anzitempo nel constatare che fosse una “persona malata”, debole, destinata a essere protetta e accudita più che incoraggiata a vivere liberamente. Un modo interessante di fare cinema per ragazzi in grado di stimolare riflessioni, che rende anche questa nuova opera di Speer di intrattenimento quanto uno strumento didattico valido per una riflessione sul tema della “gestione del lutto”. 

Al di là di  questi meriti, Speer mette in scena un intreccio forse un po’ troppo sdolcinato per un pubblico più adulto, con attori “carini ma non travolgenti“ per lo spettatore più smaliziato, con una narrazione che si adagia forse con troppa disinvoltura sulle spalle di altre opere generando per i più anzianotti continui deja vu. Insomma, un film per un pubblico giovane interessante, ma un po’ sonnecchioso per i più grandicelli. 

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sabato 21 novembre 2020

Kill chain - uccisioni a catena: la nostra recensione di un simpatico action b-movie con Nicholas Cage

 

 


Un giorno questo blog recensirà tutti i film con Nicholas Cage. È un impegno di vecchia data che dobbiamo mantenere con quello che è uno dei nostri numi tutelari, l’uomo che con la sua pazzia affronta a muso duro ogni sfida cinematografica che gli si presenti. Anche quando non è in vena, la storia è brutta, il budget ridicolo: Cage c’è. Si mette una faccia da matto, indossa strani parrucchini ed è dentro l’azione, perché “Lui” è l’azione.

Kill chain è un filmetto. Te lo dice subito, con una “sigla di testa” che pare un telefilm tipo Squadra Cobra 11, te lo ripete quando Nick Cage entra effettivamente in azione dopo 45 minuti, come Stallone di Escape Plane 2. I primi 45 sono così “bypassabili” che potreste gustare il film saltandoli del tutto e arrivando alla “ciccia”. Quindi fate partire il film, cucinate i pop corn, fate un paio di telefonate e iniziate ad accomodarvi sul divano dopo la metà abbondante. Il nostro Nick gestisce un alberghetto pieno di alcol e mobili sfondati in qualche paese caldo del Sud America. Una sera gli arriva una donna in vestito rosso che vuole una camera, seguita subito dopo da un paio di sgherri armati. Presto tutti tireranno fuori pistole e partiranno intrighi, doppi e tripli giochi, con in mezzo a tutto un “tesoro”. Ma Kill Chain rimane un film “situazionale”, con Cage dietro al bancone della reception/bar dell’alberghetto che parla un casino, come in un film di Tarantino, giusto in tono minore. Si potrebbe anzi dire che al 90% Kill Chain sia come la scena della barzelletta al bar di Tarantino nel Desperado di Robert Rodriguez. Si spara, ma è un po’ confuso. Si parla, tanto, ma è una gioia. Perché tutti i personaggi chiacchierano in modo cool e buffo, amano “ascoltare storie”, trovano degli impossibili ma gustosi momenti di cameratismo, discutono di onore, passato e sogni, puttanate. Il tutto abbassando la canna di un fucile e sedendosi a condividere una bottiglia, per poi riprendere subito dopo le schermaglie. Così non è infrequente che assassini armati di fucili di precisione si trovano a parlare di “cuoci-riso” e subito ci troviamo “a casa”, in una pulp fiction. Ogni tanto qualcuno parla in spagnolo e la traduzione a schermo rende quasi fumettosa l’atmosfera generale. Funziona bene, si vede che è fatto con due lire, ma è dignitoso. Ken Sanzel, dopo aver buttato mezzo film, scrivein modo appropriatamente “logorroico” quanto “surreale”, dirige con mano sicura un tour di topoi stra-noti ma lo fa divertendosi e divertendoci. Ed è tutto merito di Cage se le cose vanno in porto. Il suo personaggio è occhialuto e compassato, simpatico e inoffensivo, ma è solo un’impressione. Appena gli viene concessa la possibilità di “tarantinare” qualche dialogo il nostro eroe si scioglie e rivela un background assurdo, folle, imprevedibile. Tutto contornato con il suo amabile sguardo elettrico, febbricitante. Anabelle Acosta, la “ragazza in rosso”, purtroppo non buca e lasciare a lei la gestione della prima parte della storia non ha aiutato. Angie Cepeda dà corpo a un personaggio femminile ugualmente insipida. Premio stima per Alimi Ballard ( ilkiller curioso), Eddie Martinez (Sanchez) e il simpatico Yusuf Tangarife (il killer Rasta) che avrebbero dovuto stare più tempo su schermo. Tarantino ci avrebbe fatto un film intero sui tre killer che parlano con Cage in questo albergo, si raccontano storie e tutto il resto. Le intuizioni buone ci stavano, Tarantino avrebbe dato motivazioni migliori al cast femminile e avrebbe licenziato sul tronco il tizio della colonna sonora. Ma qui non c’è Tarantino. La colonna sonora c’è, è di tale Mario Grigorov, moscissima nel suo giocare con le chitarre distorte di qualche band di scuola superiore. Per fotografia, ritmo e azione, tutto ciò che sta fuori dall’hotel e in genere tutta la prima parte del film, lo spettacolo è così scarso e  le cose girano così lente che sembra di stare davvero, troppo, in un telefilm tedesco. Taccio su tale Ryan Kwanten, attore belloccio e inespressivo che infesta i primi 45 minuti.  Amazon Studios produce, 96 minuti che sono la durata perfetta per un film di questo tipo. I primi 45 minuti purtroppo sono “non pervenuti”, potevano farci un altro film di 45 minuti e sarebbe stato un film a episodi più riuscito, ma non l’hanno fatto. Tirando le somme: da vedere in seconda serata, nel dormiveglia, concedendo un occhio a Cage, può essere simpatico e quasi sorprendente, fatto “nel modo giusto” di un gangster movie molto “narrativo”. Peccato che a una seconda visione, più lucida e critica, rimanga per lo più l’effetto simpatia. Ma Cage di simpatica ne ha comunque anche qui a pacchi. 

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giovedì 19 novembre 2020

JIU JITSU - primo trailer

 



Quando all’improvviso scopro che c’è in uscita un film in cui il nostro mito Nicholas Cage indossa una bandana armato di katana, il mondo mi appare subito più bello. Poi vedo che ci sono pure i nostri beniamini dei film di arti marziali di fascia b-fiera, come Alan “Kickboxer 2.0” Moussi, Rick “Drift King” June, il nostro villain preferito Frank Grillo e soprattutto sua maestà Tony Jaa, e inizio a credere nel futuro. Poi ti vedo sto tizio in tuta low budget da predator-wannabe che si muove come un power ranger e sono sicuro di aspettare già, nei migliori cestoni dei film in dvd a 3 euro, questa nuova fatica del folle, tamarro e irresistibile Dimitri Logothetis. L’uomo che ha ridato lustro alla saga di Kickboxer, dando un’occasione da attore a quel simpatico stoccafisso, ma pazzesco lottatore che è Alan Moussi, potrebbe regalarci una nuova adrenalinica perla action-vintage, da mettere già lì sullo scaffale, sulla fiducia, tra un Arma Non Convenzionale e Skyline Beyond, con la benedizione di Paramount. Attendiamo trepidanti un bel match Tony Jaa vs Rick Yune vs Moussi vs Cage con katana. 

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P.s. E se non riuscite ad aspettare l’uscita nelle sale (22 novembre in America, da noi ancora non confermato), su Amazon potete già trovare il fantastico e ultra-underground fumetto che ha ispirato la pellicola. Rigorosamente anche lui parto di Logothesis.

lunedì 16 novembre 2020

Monster Hunter - il primo trailer

 



L’ultima volta che P.T. Anderson ha detto alla bellissima Milla Jovovich “facciamo un film tratto da un videogioco Capcom di successo” sono usciti i 6 film di Resident Evil. Come andrà a questo giro? 

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mercoledì 11 novembre 2020

Diabolik - il primo teaser del nuovo film dei Manetti Bros con Luca Marinelli protagonista

 



Era tanto atteso un nuovo adattamento cinematografico del fumetto delle sorelle Giussani, dopo il film diretto da Bava nel 1968. Diabolik è una vera istituzione e vanta da anni schiere di fans che vanno anche al di là della nostra piccola Italia. È un ladro spietato, sexy, astuto. Un antieroe con un passato misterioso e violento, ha un cuore che sembra di ghiaccio. Predilige un coltello affilato come arma, ma nella sua cassetta degli attrezzi non può mancare un rampino e una serie infinita di molle e strumenti per il salto. Un fisico scultoreo, degli occhi azzurri penetranti, delle sopracciglia cespugliose da vero uomo, i lineamenti de volto ispirati all’attore Robert Taylor. Guida una Jaguar E, è l’unico in tutta la regione che ce l’ha ma nessuno riesce a risalire a lui (Claudio Bisio, cit.). Indossa una tuta senza zip dalla quale può entrare solo dai buchi fatti per gli occhi (Claudio Bisio cit.). La sua donna, Eva Kant, ha i lineamenti algidi della Principessa di Monaco Grace Kelly, che con i suoi occhi di ghiaccio lo segue nelle sue imprese con devozione ed esperienza. Ha un nemico, il commissario Ginko, infaticabile e scaltro, ma non quanto lui.

Migliaia di copie e migliaia di omaggi, dal fumetto Cattivik di Bonvi alla parodia con Johnny Dorelli Dorellik (Arriva Dorellik, film di Steno), passando per tutta una serie di antieroi che a lui si ispirano e per questa devozione portano una “K” nel nome, da Satanik a Kriminal



Servivano gli attori giusti, i registi giusti, il glam più corretto. È interessante che a vestire i panni dell’antieroe sia stato chiamato Luca Marinetti, già meraviglioso nei panni dello Zingaro, un villain “alla Joker”, in Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, già Fabrizio De André nello sceneggiato Rai diretto da Luca Faccino, splendido interprete in Non essere cattivo. Forse non ce lo aspettavamo per il fisico un po’ segaligno, ma nel frattempo potrebbe aver fatto una “cura Christian Bale”. Di sicuro gli occhi ci sono, come una predisposizione a interpretare personaggi complessi, spesso maledetti. Eva Kant è il nostro tesoro nazionale Miriam Leone. Un fisico da infarto, un sorriso infinito, uno sguardo da innamorarsi all’istante. Valerio Mastrandrea è Ginko, anche lui un po’ magretto per il ruolo ma con la giusta esperienza.

Dirigono, producono e scrivono i Manetti Bros, cultori assoluti della cultura pop anni 60/70, i cui temi, spirito e colori inseguono in molte loro opere, dal “poliziottesco” Coliandro agli horror come Paura, passando dal “musicarello” Song’e Napule. Tra i pochissimi in Italia a fare film di genere, dalla fantascienza aliena di L’arrivo di Wang ai concept thriller come Piano 17. Ci piacciono e non vediamo l’ora di vederli scatenati con un budget più corposo del solito. La fotografia è di Francesca Amitrano, già collaboratrice dei Manetti per Ammore e malavita e per le stagioni cinque e sei dell’Ispettore Colliandro. Produttore Esecutivo è Carlo Macchitella, di Rai Cinema e 01 Distribution, che nel recente ci ha portato anche l’horror zombesco The End? L’inferno fuori di Daniele Misischia, un piccolo ma divertente “action da ascensore” come lo era Piano 17 dei Manetti, ma anche il bel thriller Non sono un assassino di Andrea Zaccariello. Le buone premesse ci sono tutte, si parla di un adattamento del terzo numero della serie, quello sull’incontro tra Diabolik ed Eva Kant. 

La data di uscita è il 31 dicembre 2020. 

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domenica 8 novembre 2020

Eggshells - il film “ritrovato”di Tobe Hooper



(Dove trovare Eggshell): Amo profondamente la label Midnight Factory di Koch media, poche storie. Porta in home video horror di tutti i paesi e le tendenze, da Train to Busan di Yeon Sang-oh a Goodnight Mommy dei fratelli Franz, passando da Amer di Cattet e Forzani, virando verso il Babadook della Kent, i film Blumhouse, Lucky McKee, Nicholas Winding Refn, Robert Mitchell, Pascal Laugier, Kevin Smith, Kitamura, Maury e Bustillo. La lista è lunga. Midnight Factory inoltre recupera dal passato, restaura e traduce cose introvabili o mai viste, come Street Trash, il delirante hobo-splatter di Muro, gli Halloween 5 e 6, i film di amabile serie z come Troll 2, Squirm - I carnivori venuti dalla savana e il suo quantitativo oversize di vermi viscidosi. Ci sono le antologie horror come ABC of The death, V.H.S, Holidays, ci sono i classici, Re-Animator, La Mosca, Zombie... tanta roba e tutta gustosa per chi ama il genere horror in tutte le sue declinazioni, al punto che spesso viene la voglia di pescare a scatola chiusa un titolo mai sentito, rischiare sulla fiducia e scoprire magari Road of The Dead, un Mad Max in cui dagli zombie si ricava carburate per auto. Non è certo un rischio comunque prendere tra le mani il lussuoso cofanetto contenete Funhouse di Tobe Hooper, conosciuto da noi come Il tunnel dell’orrore.  E‘ un piccolo cult del papà di Texas Chainsaw Massacre (Non aprite quella porta), per una volta in quel periodo non scritto dall’amico Kim Henkel, con cui realizzò oltre che i due primi capitoli della saga di Faccia di Cuoio (Henkel dirigerà il terzo capitolo: Texas Chainsaw Massacre: New Generation) anche Eaten Alive (Da noi Quel motel vicino alla palude), ma dal carneade Larry Block. Uno slasher divertente, con un villain estremamente interessante, Twibunt (un freak pieno di fragilità che nasconde il volto sotto una maschera di Frankenstein... quasi un personaggio felliniano, nel senso migliore del termine), una bella ambientazione sudicia e fatiscente come da “manuale Hooper”, tanto ritmo, ironia e squartamenti, ragazzetti odiosi che vorremmo vedere subito falcidiati. In un certo senso è la risposta “ironica“ di Hooper all’Halloween di Carpenter, una lettera d’amore all’interno di una palla infuocata di odio, dal New Horror sociale anni ‘70 indirizzata al principale (anche se ancora incolpevole) ispiratore del pruriginoso Teen-horror anni ‘80. Guardate Funhouse e capirete ancora di più l’amore di Rob Zombie per i freak-show che fuoriesce fin dalla Casa dei 1000 corpi. Certo non costa esattamente due lire il cofanetto de Il tunnel dell’orrore confezionato da Midnight Factory, ma ecco la sorpresa. Nel disco 3. Il primo corto di Hooper, per lo più una prova tecnica di stile con personaggi sopra le righe che si tirano torte in faccia in un contesto medieval-umoristico sotto acido. Poi un film intero, accidenti, questo Eggshells, che è invece tutto un acido ricolmo di amore dalla testa ai piedi!


(Eggshells):
Austin, Texas. Quattro amici + “1” che passano da una comunità Hippie a un appartamento più piccolo. Destinazione finale-mortale “sposarsi” e “conformarsi”. Voglia di sballarsi, essere liberi e ribelli, fare sesso, scrivere storie nudi per casa, all’epoca delle marce contro la guerra in Vietnam, Woodstock, Hair. Prendere un’auto, colorarla tutta, metterci sopra un oblò trasparente, farci gli scemi andando in giro e poi nel pomeriggio rompersi le palle, prenderla ad accettate come simbolo di improvviso “conformismo”, darle fuoco insieme a tutti i propri vestiti conformisti e correre nudi con il pisello di fuori, mentre l’auto alle spalle esplode. Iniziare a dipingere una stanza da letto di blu, togliersi i vestiti e dipingere i capezzoli della propria ragazza di blu, andare in bagno dopo aver pennellato su e giù e iniziare a tirare le tette su e giù, allo stesso modo e con lo stesso ritmo. Intorno allo sballo o creato dallo sballo stesso, in giro per casa si trovano tizi che forse sono fantasmi, forse sono invisibili perché sfigati, forse sono personaggi di un racconto, forse una personalità multipla di un altro tizio, forse sono di un’altra dimensione. Tizi che vanno al parco, si innamorano di una che lecca gli alberi e iniziano a ricoprirsi di palloncini colorati. Che diavolo è Eggshells?

È decisamente un film fatto senza una lira con un gruppi di amici, tra cui lo stesso Kim Henkel a pisello al vento (peraltro c’è una scena in cui senza un perché manca un personaggio, forse perché nel pomeriggio aveva Judo o per via della personalità multipla...). Molte scene sembrano rubacchiate a filmati d’epoca, matrimoni e cresime per dare l’impressione che i nostri eroi siano in mezzo a una folla di comparse. Ma quante idee, quanta poesia! Monologhi pre-tarantiniani a non finire, scene di montaggio veloce a telecamera invisibile che piroetta, sgasa, si ribalta, frulla e farebbero impallidire Sam Raimi, psichedelia e roba surreale in ogni dove, tra aeroplanini di carta che prendono fuoco e strumenti alchemici che succhiano e spremono hippie. Perché tutto questo non ha avuto un seguito? Perché Hooper è finito a fare gli horror sporchi e cattivi (tra i più bei film sporchi e cattivi di sempre) senza tornare a bazzicare questa anarchica e satirica visione del mondo? Questo Eggshells dovrebbe essere nella filmografia privata di Nanni Moretti, dovrebbe essere tra i film indipendenti più di grido, invece è semi-nascosto come extra di un film di nicchia (pur un bellissimo film di nicchia), nessuno ha avuto l’incoscienza di scommetterci sopra un ghello. Forse perché Hooper è davvero troppo libero e come sempre, come nei suoi Texas Chainsaw Massacre, “pericoloso”. Nei suoi film i “cattivi” non sono più i mostri fuori dal tempo e dallo spazio della Universal, ma dei freak, dei dimenticato dalla società moderna. Chi va più alla macelleria di Leatherface, se la nuova superstrada in trenta minuti ti porta al centro commerciale più fornito (Texas Chainsaw Massacre)? Chi va più al circo degli orrori, quando in tv c’è già tutto e non si rischia di incontrare la “brutta gente” come i giostrai (Funhouse)? Anche gli Hippie di Eggshells sono a loro modo dei dimenticati. Dimenticati e arrabbiati quanto “bambinoni”, come Leatherface o Twibunt. Gli adulti, il cui credo e idea di famiglia è per loro da rinnegare dichiarandosi “comunisti”, sono sempre fuori fuoco, lontani, come nelle strisce dei Paenuts. Anche gli atti di ribellione alla società più rumorosi (accompagnati da motivetti stile comiche) non sortiscono effetto e l’unica valvola di sfogo è la fuga psicotropa dal reale, la necessità di diventare “spirito”, fondersi con il partner e con il mondo (accompagnati da musiche mistiche) fino a leccare le radici degli alberi, consapevoli che come nel cerchio della vita Disney tutto ritorna e diventeremo concime di quegli alberi da leccare. C’è molta magnificata autodistruzione in Eggshells, come fuga dallo stigma della “normalità”. Ma forse è più forte la gioiosa voglia di vivere degli hippie che brulicano la pellicola, sbattendo gli uni contro gli altri sulle scale della piccola comune/mondo, condividendo i letti in quattro. Forse Hooper li ama davvero e un po’ li rimpiange, quei giovani scapestrati degli anni '60 di Austin. Al punto da sottrargli un futuro deprimente facendoli metaforicamente sbranare dai suoi orchi mangia-uomini di provincia, palude o Freak-Show. Un po’ come il pifferaio di Hamlin, Hooper con la sua arte “nichilista” porta via i bambini e il futuro da quel grande paesone che è l’America, in cui non si riconosce più. È forse per questo pessimismo verso il futuro, come Fulci in Non si sevizia un paperino, che Hooper è diventato un creatore di mostri di celluloide, rinunciando a cantare l’amore e la ribellione giovanile  come un Bertolucci in The Dreamers

The Eggshells ci arriva quindi di nascosto, solo sottotitolato, nel terzo disco di uno slasher a tema freak-show. Ma è un bel tesoro ed è carico di tutta la malinconia e dolcezza che solo chi suona musica pesante sa infondere in una ballata. 

Attenzione al viso d’angelo e al sorriso della splendida Amy Lester, c’è il serio rischio di innamorarsi e iniziare a volare in aria sospesi a palloncini colorati. 

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mercoledì 4 novembre 2020

Dragonero Il ribelle n.12 - Dove la luce muore: La nostra recensione a risparmio energetico



In un oscuro bosco fantasy, pieno di nebbia, che sembra maledetto e carico di fantasmi, Ian, Aura e Gmor, insieme ad un nutrito numero di comprimari sacrificabili stile i pigiami rossi di Star Trek, incontrano per l’appunto i fantasmi di cui sopra. O per lo meno una versione tostissima, ultra-fantasy degli stessi, che risultano aggressivi, pompati, in grado di uccidere, probabilmente perché alimentati da una pietra maledetta che ne potenza i poteri. Ebbene sì, ci troviamo in una classica avventura da D&D che definisco di “ricerca dell’oggetto magico per Sandro”. Sandro giocava a D&D con poca voglia, saltava gli after-hours con il gruppo, non c’era mai. Così il suo personaggio rimaneva indietro e il Roby, un game-Master onesto stile metà anni ‘80, invece di appioppare il personaggio di Sandro ad un altro, gli faceva le avventure dedicate per livellarlo a suon di missioni speciali. Quindi pure i nostri eroi oggi sono in cerca di una pietra magica per potenziare i punti magia di Alben-Sandro e presto scopriranno che per ottenerla devono raccoglierne più pezzi dispersi sulla mappa, forse fonderla, forse fare due o tre subquest ed extra. Perché giocare solo per Sandro in fondo è una palla. Così, dopo una strage di pigiamini rossi, che vanno a morire male nella nebbia prima che ne abbiamo assimilato nome, equipaggiamento e punti abilità, i nostri eroi giungono in un villaggio abbandonato, ma dove il cibo non manca sui tavoli della locanda, tipo La città incantata di Miyazaki, ultimo film che deve aver visto il Roby per ispirarsi. I nostri si mettono a mangiare da pagina 22 a 38, magari in attesa che il Sandro si palesi per la sua avventura. Nel mentre nel palazzo dei cattivi, Rodney, il cattivo dal braccio strano, incontra tipi che gli comunicano cose misteriose su persone misteriose. Farà mai qualcosa in questa serie Rodney, a parte tramare e incazzarsi perché non lo tengono in considerazione? Lo scopriremo nelle prossime puntate! Nel mentre Alben-Sandro lo stregone, da tutt’altra parte dello scenario di gioco e immaginiamo pure nel mondo reale,  prova un nuovo bed’n’breakfast consigliatogli dalla nuova guida degli scout erondariani. Il pollo con le erbette al fuoco pirico sembra da paura e c’è pure la stanza con vista panoramica! Perché quel maledetto di Sandro ha alla fine telefonato tirando il pacco, con il master Roby che per disperazione crisi isterica ha cercato di fargli fare un paio di turni in viva voce al telefono, materializzandogli contro un paio di maghetti direttamente al bad’n’breakfast. Tristezza e sconforto, si fa una certa. Nel villaggio misterioso arrivano i misteriosi  abitanti che raccontano al party una storia misteriosa sul fatto che una pietra magica ha incasinato le cose e in buona sostanza per tenere insieme le cose hanno fatto una brutta azione “diverse volte”, il bosco vicino al villaggio è in balia di questi fantasmi, loro si sentono un po’ stronzi per l’accaduto... esattamene come dovrebbe sentirsi un po’ infame Sandro, che sono tre giornate che manca!!! Nel bosco c’è inoltre qualcuno che si è opposto al villaggio, un po’ come la Principessa Mononoke. Si vede che il Roby oggi è in fissa con Miyazaki... sempre meglio di lunedì scorso, quando era in fissa con Nathan Never e aveva riempito tutta la storia di alieni, robot e astronavi. Risolveranno i nostri eroi la situazione ? Del resto è un affare che i villici non potevano gestire fino a quando non sarebbe arrivato un vero eroe! Non uno che pacca!! 



Il mitico Vietti racconta (sicuramente tra e righe) in questo numero uno dei momenti di maggiore sconforto di un appassionato di D&D, quando il tuo compagno di giochi di ruolo pacca e il resto del gruppo non può andare avanti senza inventarsi qualcosa. Perché si fa presto a dire “faccio anche il suo personaggio”, ma è di una tristezza atavica, pare di gestire un morto, non si può sentire. Quindi, in tema di morti “ruolistici”, è giusto che la storia prenda delle atmosfere horror e parli di gente amica che si è fatta fantasma. Ci sono le atmosfere giuste, tra nebbie e avamposti isolati, giungle tossiche (aridaje con Miyazaki), zombie. Ci scappa anche un bel power-up Segreto per Ian in stile Devil May Cry che sicuramente il pubblico (me compreso) amerà. Il ritmo è veloce, come sempre non vengono lesinate le scene di azione, tra cui svetta la sequenza finale, in un tripudio di zolfo e corpi corrotti. Molto bello il lavoro grafico svolto da Fabio Babich e Fabrizio Galliccia dalle prime tavole immerse nella nebbia alla resa traslucida dei fantasmi, passando per la dinamica sequenza che coinvolge Alben. Come già accennato, di forte impatto anche i disegni della parte finale della storia, carichi di mille effetti speciali. Delle diverse filosofie di disegnare Aura, qui si sceglie la via un po’ sexy, un po’ da miss camicetta bagnata, e io apprezzo. 
Un altro numero divertente, leggero e pieno di azione, mentre si avvicina sempre di più un mega-scontro all’orizzonte. Avanti così! 
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