lunedì 31 dicembre 2012

L'uomo con i pugni di ferro


Rza del Wu-Tang Clan (da antologia la track list del film Ghost dog come la track dell'anime, purtroppo da noi ancora inedito, Afro Samurai) è una leggenda della musica e, come già fece Rob Zombie, si appresta a diventare leggenda del cinema. Questo film è solo il primo di tre: seguiranno nel 2013 No man's land, che non so se è il remake del famoso film-della-mina, imdb tace, e poi nel 2014 una sua personale reinterpretazione di Genghis Khan. Non poteva che essere, questo Uomo con i pugni di ferro, un film di arti marziali e, a sentire i nomi coinvolti, un grade film di arti marziali. Produce Tarantino, scrive Rza insieme a Eli Roth.
Ecco la foto per Talk0
Nel cast oltre allo stesso Rza figurano sua maestà Russel Crowe, Rick Yune, già visto nel fico Ninja Assassin e come cattivo nel primo Fast'n'furious, e la bellissima Lucy Liu. Ma non è finita, è presente anche il roccioso westler Dave Batista, la bellissima Jamie Chung di Sucker Punch (la ragazza orientale alla guida del mech corazzato), Cung Le (che vedremo presto anche in The Grandmasters di Wong Kar-Wai con Tony Leung – qui il grande Tony farà Ip Man! Sì Ip Man!! Sì, il maestro di Bruce Lee che in “Ip Man” è stato interpretato dal mitico Donnie Yen!!! Ma, non potevano richiamare Donnie Yen?? Perchè non hanno chiamato Donnie Yen? Pare che il mitico Donnie Yen si sia stufato di interpretare Ip Man dopo che, a seguito del successo della prima e della seconda pellicola, avevano pianificato anche Ip Man 3 e 4 e il crossover Ip Man contro la falena Mothra... Cosa ci siamo persi...), Byron Mann (che avrete visto in seimila telefilm e doppia in originale Tian Zhao in Call of Duty Black Ops 2... come, non lo giocate il inglese?) la topona Zhu Zhu (di cui spero Gianluca trovi una gigantografia), Chia Hui Liu (che interpretava Pai Mei in Kill Bill vol.2), Pam Grier (Sì, quella di Jackie Brown e Fantasmi da Marte e migliaia di film fichissimi anni 70).

Trama: della gente si frantuma le ossa in modo pittoresco. Serve altro? C'è anche un contesto fantasy, con vagonate di effetti speciali. E poi si picchiano. Fidatevi, per certi film non serve davvero altro, solo splendide coreografie di lotta insensata. Ne uscirete felici. Garantito.
Come sempre da noi arriva tutto dopo, la pellicola è del 2012 e in terra italica approderà a fine febbraio. Un bel trailer? Un bel trailer....

Manca ancora troppo a febbraio. Interessante comunque il discorso del potere attraverso il sesso...
Talk0

domenica 30 dicembre 2012

Pacific Rim




Finalmente lo vedo! Finalmente voi tutti lo vedete! Finalmente anche chi non lo voleva vedere lo vedrà perchè sarà dappertutto, su tutti i media, sulle patatine, negli happy meal, nei telegiornali economici, all'interno dei cereali. Il film di robottoni che combattono contro dinosauri alieni è tra noi. Lo hanno fatto davvero! E sembra figherrimo! Voglio tutti i pupazzi, ucciderei per averne tutti i pupazzi! Non saprei dove cacchio metterli, ma ho sempre il tavolo da cucina e su quel tavolo metterei i pupazzi. Non mangerei più, ma potrei stare in contemplazione dei pupazzi. E se ne facessero altri ho sempre sedie e letto, che non userei più, la mia casa diventerebbe un tempio pagano a Pacific Rim e lì verrei trovato trapassato, morto di fame, mentre con un pennellino ancora in mano cercavo di togliere la polvere al pugno a razzo di un robottone. Sarei felice.
Guillermo Del Toro è un ottimo regista, uno di quelli che non si comprano, uno che per fare “cose sue” rinuncia anche a grossi incarichi. La major chiede: “Vuoi fare Harry potter 3?” e lui "No, devo rifinire Il Labirinto del Fauno”, un'altra major chiede “Vuoi fare lo Hobbit?” e lui, no “Devo fare Pacific Rim”. “Dirigere Megamind?” e lui “No, ma ti faccio il character dell'assistente di Megamind” (grandioso). “Un film sugli zombie-vampiri?”. “No, ne sto già facendo uno mio (The strain), ho già scritto il libro, lavorato sul fumetto e farò una serie tv, magari un film, magari pure un videogame”. Non si vedeva un simile integralismo dai tempi del Lucas della prima trilogia. Non si vedeva una simile visione d'insieme nelle opere dall'epoca d'oro di Spielberg. Blade è bellino, ma Blade 2 diretto da Del Toro è bellissimo. I film di supereroi scarseggiano ancora e lui ti esce con Hellboy e Hellboy 2 e, siccome è uno serio, si fa coaudiuvare dall'autore del fumetto, Mignola, che viene coinvolto in tutta la produzione. Proprio nel periodo di Hellboy usciva Daredevil, parto di un regista pazzo, aizzato da un produttore pazzo, che non ha mai letto il suddetto fumetto e ne ha sminchiato tutto il significato: Del Toro batte Hollywood 1-0. Un regista troppo dotato, che ha fatto da apripista, sdoganandoli, ad altri registi spagnoli. “Non posso fare Harry Potter 3... ma c'è questo mio amico regista...” (che guarda caso è lo stesso regista del capolavoro “I figli degli uomini”). Un mito, quindi, che oggi mi regala un film con i robottoni girato con i soldoni veri.
Quante volte vedendo i Power Ranger vi siete trovati a commiserare l'attore che impersona il fintissimo robottone in cartonato, le cui articolazioni sono costituite per lo più da sgraziati scatoloni (e ne hai voglia a fare il figo...)? Quante volte vi siete depressi per l'attore che muove il mostro preistorico di turno che lo affronta, che indossa un calco di plastica con braccia incollate, inibito in tutti i movimenti, con unico guizzo di vitalità concesso alla posticcia creatura grazie a uno swing delle gambe, atte alla ridicola unica strategia di esistenza-attacco, la “culata” con codone di plastica dalla rotazione del bacino? Insomma quante volte avreste voluto essere Megaloman? Come? Mai? Infedeli.
Un robottone enorme non in cartone e plastica!!!
Ma ora finalemente si può vedere nel cinema Usa quanto era relegato al Giappone! Ma perchè i Giappi non hanno mai fatto robottoni in cg nei film con attori dal vero? Probabilmente hanno un potentissimo sindacato attori-mini-contenitori-di-mostri-in-silicone. Roba da incatenarsi davanti alla Saban e minacciare di darsi fuoco. Problema che per gli americani non sussiste.
Al di là della mia malcelata passione per gli anime giapponesi di robottoni, vedere al cinema pupazzoni giganti mi ha sempre esaltato. Ho amato Ed209 di Robocop, il T800, i bellissimi esoscheletri scoperti (aliens scontro finale, Matrix, Avatar), ma colossi grandi quanto una palazzina che combattono colossi grandi una palazzina...è un orgasomo! Deve essere un sacco liberatorio distruggere palazzi di plastica e macchinine.
Speriamo che non succeda come con Godzilla. Io ho amato molto la trasposizione americana, ma purtroppo non vi è stato un seguito. Credo che il sindacato attori giappi si sia fatto sentire. Ora, fare uscire Pacific Rim in anteprima in Giappone a luglio 2013 sarà effettivamente una furbata? Temo ritorsioni.
Speriamo che dopo Pacific Rim vedere giganti che distruggono paesi diventi una consuetudine, il cinema troppe volte ha promesso per poi non mantenere. Gans diceva che avrebbe fatto un film su Patlabor. La Weta avrebbe dovuto lavorare ad Evangelion. Tutta roba abortita, mannaggia. Ma chissà che Pacific Rim non faccia tornare qualche grasso produttore sui suoi passi...
Ma chi recita in questo Pacific Rim? Ma naturalente l'attore feticcio di Del Toro, Ron “Hellboy” Perlman, seguito dal massiccio Idris Elba, Charlie Hunnam di Son of Anarchy e un sacco di gente che non ho mai sentito. Meglio, più soldi per gli fx. Sceneggia Del Toro insieme a Trevis Beacham (già su Scontro tra titani... bah...). Seguiremo con vivo entusiasmo la gestazione di questo film e vi faremo sapere. Talk0

sabato 29 dicembre 2012

Oblivion




Mmmmmm.........ho come un brutto presentimento. Lo stesso prurito dietro alle scapole che mi aveva provocato la visione del trailer di Knight'n'Day... Ma siccome siamo tra persone razionali, eviterò di indugiare ulteriormente sulle proprietà prognostiche delle mie scapole. In fondo siamo di fronte a un nuovo film di fantascienza, per lo più dagli stessi produttori di quell'indubbio ottimo film che rispondeva al nome de “L'alba del pianeta delle scimmie”. In virtù di questo particolare aspetto dovremmo spazzare via ogni dubbio e preconcetto: mai un film arrivava con un hype più basso de “L'alba del pianeta delle scimmie”, dimostrandosi poi per pubblico e critica un prodotto davvero valido sotto tutti i punti di vista, degno di ricevere a breve un sequel che, ammetto, attendo con gioia. Ma torniamo all'oggetto misterioso “Oblivion”, nome quanto mai perfetto per mandare in confusione tutte le schiere di fan della serie Elder Scrolls....
Uscirà intorno ad aprile. Nel cast insieme a Cruise (che peggiora a ogni nuova pellicola che esce in una picchiata che non conosce sosta... salvo forse la sua parte in Rock of Ages, film comunque bruttino) figurano la (ormai non più) garanzia di qualità di Morgan Freeman e la gnocca di bondiana e hitmaniana memoria Olga Kurylenko, oltre alla amata (da Tarantino) Zoe Bell. La regia è del tale di Tron Legacy, il che garantirebbe da sola una miriade di effetti fichissimi e… poco altro. Sento fortemente l'esigenza di qualche voce di conforto, la parola amica di qualcuno che mi inviti a ragionare con ponderazione evitando di franare a subitanee e ingannevoli impressioni preconcette. Dai, almeno visivamente pare caruccio. 
Talk0

venerdì 28 dicembre 2012

Sine Mora



Mahiro Maeda, capo carismatico di Gonzo e uno dei più apprezzati designer giapponesi. Ha concepito lui lo splendido 3d di Blue Submarine n.6, ha diretto Last Exile e Il Conte di Montecristo. Un genio. Oggi la sua arte viene incontro a un genere videoludico decaduto, quello di Defender, portando una bella iniezione di innovazione e attualizzazione. 
In un mondo distopico razze zoomorfe combattono una guerra di lungo corso. Tali specie hanno il dono di poter manipolare il tempo e pertanto è il tempo la loro stessa ricchezza. Scontri furibondi contro creature biomeccaniche vengono quindi affrontati in piccole bare-abitacoli in cui vengono stivati in modo infinito milioni e milioni di proiettili. Arrivare alla fine di un capitolo del gioco è tutta questione del suddetto tempo: venendo colpiti verranno tolti dei secondi, colpendo si potrà ricavare tempo extra da spendersi in armi più grosse e nella capacità di riavvolgere momentaneamente, fino a fermare, le lancette dell'orologio. Sembra complicato, ma alla fine non lo è troppo.
Grasshopper Manufacture e Digital Reality per soli 9.99 sul PSN (ma è presente già da tempo sul XBL) sia per ps3 che per Vita, compiono la letterale resurrezione di un genere, quello degli sparatutto a scorrimento.
Una volta le sale erano piene di questo genere di giochi. Certo, gli sparatutto verticali hanno sempre dominato, ma anche gli orizzontali avevano la loro bella fetta di pubblico. Si andava da R-type della Irem a Thunderforce IV per quanto riguardava la fantascienza, al mio genere preferito, il bellico pseudorealistico con il mitico Area 88, basato sul fumetto e anime dei mercenari dell'aria, in cui aerei realistici si scontravano tra i cieli o si lanciavano in raid contro fortezze terrestri, portaaerei e tra conuculi dei canyon. Una figata. E con Sine Mora siamo di nuovo in un simile esaltante scenario.
Sine Mora è uno sparatutto orizzontale di connotazione “bullet hell”, ossia un sottogenere, noto per lo più in Giappone, in cui lo schermo viene letteralmente invaso da un numero sproporzionato di proiettili e dove la difficoltà è calibrata tra l'impossibile e l'illogico. Grazie a Dio esiste anche una modalità storia decisamente più semplice e abbordabile, forse non altrettanto appagante, ma decisamente moooolto divertente. La colonna sonora è meravigliosa, la trama e i characters che la costellano sono ultracool, la grafica bruta è quanto di più bello si sia mai visto per questo tipo di produzioni. Considerando la difficoltà di reperire al giorno d'oggi tale tipologia di giochi, è una vera manna che esista una tale offerta vidoeludica. Da comprare subito e senza riserve. Se vi cruciate per lo spazio che occupa su disco, siamo intorno ai 900 mb. Se volete un assaggio, andate sul psn e scaricate la demo. Ideale per saggiare quanto siete davvero duri nelle prove di riflessi, ideale per essere travolti in un mondo alternativo vivo e palpitante, soggetto a costanti esplosioni di colori. Difficile, dannatamente difficile. 
Talk0

giovedì 27 dicembre 2012

The walking dead


“Finalmente é SPOILER!!! Sì! Sì! Sì! Non se ne poteva più, il personaggio più soporifero del mondo ci ha lasciato! Grande!!” Scene di isteria, lacrime, pacche sulle spalle tra gli appassionati, l'incubo è finito. Passano due puntate, ecco che pure SPOILER comincia a rompere l'anima, diventa petulante, fa cose idiote, nessuno sopporta più SPOILER e poi, un paio di puntate dopo... "finalmente è SPOILER! Sì! Sì! Sì! Non se ne poteva più, il secondo personaggio più soporifero di sempre ci ha lasciato! Grande!” Scene di compiacimento virile, birra a fiumi, l'incubo è finito! Passano due puntate...
Questo è Walking Dead. Con i suoi pregi e difetti.
Nasce come fumetto, diventa serie tv di culto al punto che volevano segarla, ma i fan li avrebbero uccisi, così la serie è continuata e decollata con la stagione 3, dopo una ultra-statica (ed economica presumo) stagione 2, diventa un fenomeno con pupazzetti, libri, videogame. Un cult, materia obbligatoria in nerdologia. La cosa accattivante non è tanto parlare di zombie. C'è chi lo so sa fare meglio (Snyder, Boyle), c'è chi non fa altro nella vita (Romero), c'è chi lo farà presto alla grande (vedi il prossivo World War Z con Brad Pitt). La figata è la serializzazione lunga dell'opera, il conoscere i personaggi in modo così intimo, il sapere, chi più chi meno, che sono tutti un branco di stupidi suicidi, pronti a fare qualcosa di illogico perfino per un Lemming da un momento all'altro. Se questo inevitabilmente fa calare l'empatia tra spettatori e attori, poiché vi ritroverete a odiare tutti in un breve lasso di tempo, la sceneggiatura diviene veramente un oggetto oscuro e imprevedibile. A volte pure troppo. Ancora non è chiaro come 5 minuti prima ci sono in giro due-tre non-morti e cinque minuti dopo abbiamo un'invasione che manco alla prima saronnese di Indipendence Day al Silvio Pellico. Una mandria sterminata che si muove silenziosa come un ninja muto. Qualcosa di troppo assurdo per comprenderlo. Ma chissene, c'è così tanto splatter che ogni amante del genere esce felice da ogni puntata e agogna la nuova. Un prodotto quindi che, nonostante gli sceneggiatori facciano di tutto per farvelo odiare, risulta comunque godibile e avvincente. La prima serie parte lenta, ma con un sacco di trovate geniali. La seconda è uno stallo senza fine, ma regala un bel colpo di scena in coda, la terza è moooooolto valida. Ora permane il classico dubbio: quanto si andrà avanti ancora? Non è dato saperlo per ora, ma se il viaggio è buono quanto ciò che accade nelle ultime puntate spero molto, molto ancora.
Molto carina anche la premessa della trasformazione in zombie, che vi taccio nel caso vogliate appassionarvi a questo seria. Cosa che vi consiglio senza remore. Se un personaggio poi diventa odioso sappiate che SPOILER sempre e comunque. Tranquilli, non vi ci sarete troppo affezionati in genere. Dannati Lemmings...
Consiglio per Natale: in fumetteria è uscito un volume non-tascabile da 55 euro con una montagna di puntate del fumetto originale. Si discosta qua e là ma è per me pure meglio del telefilm. Assolutamente da tenere in considerazione. 
Talk0

mercoledì 26 dicembre 2012

Colpi di fulmine



Regia di Neri Parenti. Film in due episodi. Il primo con De Sica, Arisa, Luisa Ranieri. Il secondo con Lillo e Greg e Anna Foglietta. Ogni anno c'è l'obolo da pagare. Sleale, falso, vergognoso. Chiariamo da subito, non credo che esista essere umano che davvero voglia andare a vedere un cinepanettone. Esistono semmai dei poveri cristi a cui, in concomitanza con le feste di fine anno, viene concessa dal cielo la possibilità di passare una o due serate libere, magari con la famiglia. E allora prendono l'auto, si recano in un multisala, pregustano di vedere una pellicola che vada bene per tutti.
Ma i viscidi produttori italiani non gli permetteranno questa scelta. Vuoi vedere l'Hobbit? No, qui non si proietta. Le 5 leggende? No, c'era fino a ieri, oggi lo si è tolto. Il nuovo film sui Miserabili, la versione musical che tutto (ma TUTTO) il mondo può vedere già adesso? No, da noi esce a gennaio. L'ultimo Disney in 3d, quello fatto con la collaborazione degli autori dei Simpson e Futurama? No, quello è uscito solo in 6 esemplari in tutto il paese, in copie la cui risoluzione è da ipad, un amico riferisce lo proiettino solo in una sala alle 3 del pomeriggio, in sala 17 per l'esattezza, capienza 15 posti a sedere, schermo da 12 pollici a tre metri d'altezza, ricavata dall'abbattimento del muro di congiunzione con i cessi a muro (l'acqua ancora scorre...), e comunque non c'è posto, tutto prenotato fino al 20 di gennaio. Ok, allora, calma. Un un multisala: Ci saranno in virtù di “multe”sale ancora un sacco di film in programmazione, non saranno tutte dedicate alla propiezione di uno stesso film!!!.
Affrontiamo il baratro, ci rechiamo in cassa. Il led con il riepilogo dei film nelle sale è sinistramente rotto, bisogna chiedere alla cassa per informazioni.“Cosa c'è in sala 1, quella da nove milioni di posti a sedere, area un tempo adibita ad aeroporto?” e la cassa “Ma il cinepanettone!”. Quindi tu ci speri, il mostro è stato confinato nel suo ambiente preferito, sia lui maledetto volevo vederci un film con gli effetti speciali in sala uno, per una commedia è spreco puro. Rilanci “E in sala 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 per un perimetro da San Siro?” e lei “Ma il cinepanettone, potete scegliere di vederlo quando volete, uno spettacolo ogni 15 minuti!” Depressi, un po' ve lo sareste aspettati, rilanciate “Sala 9, 10, 11,12?” e lei “Ah beh, la commedia sofisticata “Il peggior natale della mia vita”, dicono che sia da sogno (falso!!!)”. “Sala 13?” e lei “ ll film con Clint Eastwood, una vera libidine per portare dei bambini al cinema, come nel vostro caso”. “14?” "Allora... abbiamo “The Grey, vedi sopra”. Ma ci sono seimila sale ce la si deve fare per forza. Rilancio coraggioso "15?" e la cassa “un classico Twilight saga parte quattro comma 2”. “No, cheppalle ancora? Sala 16?” ed ecco la luce “Moonrise Kingdom” che presto si spegne “...spettacolo sospeso. Non possiamo fare andare la macchina, devono venire almeno 4 persone (in effetti Anderson è un po' di nicchia...)” per poi riaccendersi con un secco “Veniamo noi!” fiducioso. Il sinistro custode dei biglietti esita: “ Sicuri?”. Ma io sono più forte “ Davvero!”. Allora si arrende: “Stampo allora?” e voi siete incontenibili “Sì. Dai!” . “Ok! Ecco stampati 4 posti per... il cinepanettone! Queste macchine infernali... Provo a ristamparlo? Vedo che mi guardate male, quindi riprovo! (armeggia quindi con il cellulare) Ettore? C'è Ettore? Mi dà cartuccia finita, devi andare in magazzino a prendere il rotolo nuovo. Vai! Corri! Come, sei a sciare? Mi lasci il numero del tuo sostituto? Sì, hai ragione, che scortese... buon Natale anche a te! (armeggia di nuovo con il cell) Nando? Mi servono i rulli per gli scontrini non è che tu...? Come sono finiti? 58 rotoli? Tutti già prestampati per ingressi in sala 1 a vedere il cinepanettone? Ma è una cosa che non sta in cielo! Come? Dove dovrei mettermi i rulli? Questo atteggiamento non è professionale da parte tua, e ti ricordo che sei ancora a contratto a tempo determinato....”
Ecco come funziona. Ora siete in sala.
Tuttavia è meno peggio del previsto.
De Sica si traveste da prete per scappare da Equitalia, diventando il nuovo pastore, grazie a una combinazione di eventi, di un paesino nei pressi di San Martino di Castrozza, dove ovviamente vivono Luisa Ranieri e Arisa, non propriamente autoctone. Ma la cosa funziona e le trovate sono tutto sommato divertenti. Si ride anche, cosa da non sottovalutare. Dispiace sentitamente che le vicende si consumino nell'arco di un'ora, con un'impennata di eventi che avrebbero potuto godere di una migliore gestazione in ragione della durata canonica di una pellicola. Un finale rovinoso quindi che però non intacca la buona sensazione dell'opera, non priva di spunti validi. Ecco, mi arrischio, sarebbe stato interessante vederlo in ottica di serie tv di cui questo capitolo, epurato della sbrigativa seconda parte, poteva essere un grazioso episodio pilota.
Poi parte il secondo episodio, Lillo e Greg con la Foglietta. Lillo e Greg. Lillo e Greg sono quelli di Takashi Castle. Takashi Castle sotto la Gialappa's si chiamava Mai dire Banzai. Ci siamo capiti. Come, non ci siamo capiti? Beh, diciamo che Lillo e Greg non sono la Gialappa's band. La storia vede quello dei due che crede di assomigliare a Dan Aykroyd rivestire i panni di un ambasciatore del vaticano, mentre l'altro (quello che fa ridere) si improvvisa suo autista. Come dite? Non si capisce se faccia ridere il contesto o un attore più di un altro? E dire che mi esprimo in modo così cristallino...Questo secondo episodio è poco propenso a una visione continuativa. Cioè? Esattametne quello che ho scritto. Scherzi a parte, l'episodio con Lillo e Greg non presenta né particolari guizzi narrativi né memorabili battute comiche. È carino e nulla più, per di più afflitto da un finale totalmente privo di mordente e ironia. 'Na palla, insomma. Ammetto comunque di essermi perso una buona decina di minuti causa essermi ritrovato catatonicamente nelle braccia di Morfeo, per ragioni inerenti anche al freddo, alla giornata pesante, al metabolismo, all'avvicinarsi del 21 di dicembre.
Pertanto un cinepanettone carino, non memorabile ma passabile. Si può andare sereni a vederlo, se tocca. 
Talk0

martedì 25 dicembre 2012

Le 5 Leggende – Rise of the Guardians



Difficile trattare con i poppanti.
Proiezione serale, assedio programmato di scolaresche e deposito di bambini urlanti, scalcitanti, imbottiti di bevande gassate. Per tamponare la sovraeccitazione del momento, alcuni piccini non possono esimersi dal correre come insani tossici nello spazio libero sotto-schermo in una gara furiosa che non risparmia incidenti cruenti, con bambini che partono in volo per poi schiantarsi sullo schermo danneggiando momentaneamente il telo bianco. Poi si rialzano, risate, un altro giro a rifornirsi di Coca Cola, la red bull per minori, e di nuovo in pista, elaborando ultrasuoni agghiaccianti. Le maestre e i genitori stanno defilati, con le orecchie cerate, credo abbiano sviluppato un linguaggio gestuale per comunicare tra di loro, incuranti dei pericoli cui incorrono i pargoli, sbatte una sega degli altri spettatori paganti. I bambini lo sanno, i cartoni sono il loro territorio franco. La loro personale vigilanza rimane adagiata sulle seggiole, nel caso degli insegnanti c'è la consapevolezza che anche una mezza urlata verso di lor può avere conseguenze penali, i genitori hanno sentito che non bisogna essere punitivi, che quando diventano adulti poi ti ingabbiano all'ospizio, i piccoli sono liberi e bestialmente lo proclamano, drogati di orsetti gommosi e cocacola: il film e il conseguente stare fermi è immotivata costrizione, il cinema è il luogo in cui vengono imbottiti di sostanze gassate e dove i genitori si siedono lasciandoli liberi di fare quello che a casa loro non potrebbero mai fare. Invoco Tata Lucia quando un bambino di 3 anni sfugge alla presa della madre, scavalca la fila, salta le scale e in volata schizza dietro la platea, spuntando dall'altro lato della fila. Da lì per almeno cinquanta posti numerati salta da bracciolo in bracciolo, cadendo di testa all'indietro un paio di volte ma senza scomporsi, perchè i piccoli demoni urlano solo quando vogliono farti sentire in colpa.
La madre, l'altro nome di Dio sulla bocca e nei cuori dei bambini (Il Corvo. Cit.), distratta, butta un'occhiata al pargolo novello Brumotti e con vocina che sembra uscire sussurrata da una formichina, che orecchie umane a fatica distinguono dal rumore di una piuma cadente, si rivolge a Damien il demonio, che sta a 90 metri di distanza. “Torna qui, fai il bravo”. Ormai la lotta è persa, verrebbe voglia di descrivere ai genitori il loro stato di polifolsfato organico, tanto per svegliarli dal torpore, ma questo provocherebbe altre querele e non smuoverebbe il loro mood sbatte-sega-mio-bimbo-del-çççç*-ora sto seduta e che il mondo intorno a me si sputtani, ci sentiamo tra due ore. Recentemente ho visto Brave della Disney, una bambina, infastidita dal fatto che una trama complessa avesse tanti toni di nero, impedendo la corsa in galleria, è prorotta in un fintissimo pianto “Questo film fa paura, non è adatto alla nostra età” (giuro, testuali parole). Ma la magia dei cartoni animati è proprio questa: se sono fatti bene i bambini si siedono composti e non fiatano. Non esiste una qualsiasi pellicola che abbia lo stesso effetto sui truzzi, salvo Fast'n'furious. Ecco la magia del cinema. I bambini si fermano, restituiscono al compagno di classe gli incisivi strappati per gioco, i loro occhioni diventano grandi e la boccuccia descrive una “o” di stupore. Se il film è davvero valido l'effetto placebo si estende su tutta la durata e genitori e insegnanti si compiacciono della trappola-zittisci-bambini e, a turno, fanno capolino al bar antistante per rinfrescarsi di Gin Tonic.

Le 5 leggende è uno di questi film incanta bambini.

Crepuscolare. Tutte le Leggende sembrano personaggi creati per far sconfiggere ai bambini la paura del buio, rappresentato dall'Uomo Nero o Peach Black, cui da la voce in originale un bravissimo Jude Law. Babbo Natale o North (mai così tamarro, pare uscito da Natale di sangue, il fumetto in cui armato di coltelli affrontava in un lago di sangue Lobo), che arriva di notte per portare i regali, il Coniglietto Pasquale (mezzo wolverine dicevamo), che porta sempre di notte le uova per la mattina di Pasqua, la Fata Dentina, che porta un soldino se sotto il cuscino metti il dentino, (tanto che hanno fatto pure una serie di film horror sulla fata dentina, “Al calare delle tenebre”, che io adoro in quanto agglomerato di assurde e stupide situazioni improbabili, tipo torce elettriche alimentate da batterie che durano nuove da i sette ai quindici secondi per aumentare la paura del buio, Gianluca lo odia per gli stessi motivi), Sandman o l'omino del sonno, che veglia i sogni dei bambini (Morpheus per Gaiman, poco noto da noi), Jack Frost (a cui hanno in precedenza dedicato un malinconico film con Michael Keaton, dalle premesse simili al Jack Frost di questa versione), che, quando arriva di notte, il giorno dopo ha sommerso tutto di neve e non si va a scuola. Il buio con loro non fa più paura, Pitch deve intervenire per evitare di scoparire, Jack da poco diventato leggenda deve trovare il suo ruolo nel mondo o, come gli dice North, il “suo centro”. Tanta azione, qualche piccolo spavento, molti momenti commoventi e tantissime gag. Azione scavezzacollo frutto di inquadrature folli, colori caldi e un sacco di dettagli esilaranti da scoprire analizzando le scene. Ho letto critiche feroci da oltre Oceano, io mi ci sono trovato benissimo, la mia sala di pargoli urlanti ci si è trovata benissimo. Magari ne faranno altri 6 e diventerà atroce, per ora è davvero buono. Ho notato con piacere una inversione di tendenza favorevole, come già si intuiva in Dragon Trainer: non attori che vengono animati ma cartoni animati che fanno i cartoni animati. Ciuchino è Eddie Murphy, Il Gatto è Banderas, Alex è Ben Stiller, Po è Jack Black e a volte nel caso di doppiaggio italiano alcuni personaggi diventavano attori italiani con i tic degli attori italiani. Presente la versione italiana di Robots? Quella in cui Dj Francesco diceva “Bella di padella”? Non volevate ricordarvelo e vi ho rovinato la giornata? Ecco, cose così non succedono ne Le 5 leggende. I personaggi delle 5 leggende sono sì interpretati da attori famosi, ma sono prima di tutto personaggi, come in Dragon Trainer, cui gli attori prestano la voce, non per forza la loro riconoscibilità. Allora abbiamo Alec Baldwin, ma interpreta un Babbo Natale cosacco e non il dirigente di 30 rock, abbiamo un Hugh Jackman (che ha firmato per X-men giorni di un futuro passato di recente, evviva!), ma interpreta un coniglio pasquale guerriero ultra diffidente (sì, assomiglia a Wolverine ma il carattere è tutto diverso), Chris Pine, non è il giovane Kirk di Star Trek, ma un tormentato e convincente Jack Frost. Attori che servono la pellicola, non vetrina che ribadisce l'esistenza di attori noti quindi. Le loro interpretazioni sono molto coinvolgenti, davvero un bel lavoro. Qualità che non cala anche per quanto concerne la versione italiana, che utilizza i doppiatori classici delle suddette star americane, professionisti validi e affidabili (ancora ho il mal di stomaco per la scelta insensata di Fabio Volo per rendere in italiano la performance di Jack Black in Kung Fu Panda... lento, smorto, privo di ritmo, privo di coinvolgimento quando bastava usare il doppiatore di Jack Black, che è invece bravissimo. Ma davvero doveva fregarmi qualcosa il nome “Fabio Volo” riferito a Kung Fu Panda? L'esito finale mi conferma una scelta bislacca, magari operata dall'addetto marketing folle che ha voluto Tiziano Ferro per doppiare Willie Smith in Shark's Tales...). Bella di padella.

Dal punto di vista grafico siamo al di sopra degli standard Dreamworks, di solito comunque alti (amo alla follia Megamind...), ma quello che fa davvero fare il “salto” qualitativo è la scrittura. Basata su una serie di racconti noti in America, la sceneggiatura è davvero bella, varia, ben sviluppata, ricca di trovate non banali. Dalla risatina forzata, il classico effetto che su di me hanno pellicole come Shark's Tales, con Le 5 leggende sono riuscito pure a commuovermi. Furbescamente, ma forse è una derivazione dell'opera letteraria, si è lavorato molto sull'umorismo dei comprimari, raggiungendo effetti esilaranti che non possono non far tornare alla memoria, in bene, Cattivissimo Me. Peter Ramsey dirige ed è un nome noto tra le fila Dreamworks, uno che si è fatto una bella gavetta. Come storyboard artist ha però visualizzato un sacco di bei film, alcuni anche capolavori: da Nightmare 5 e Predator 2, passando per Castaway, Godzilla (dove è stato anche aiuto alla regia), il Dracula di Coppola, Men in Black, Minority Report, A.I., pure Fight Club. Un curriculum di tutto rispetto. Come regista in precedenza aveva solo diretto lo special di Halloween di Mostri contro Alieni, pellicola di pochi minuti che già era dotata di un buon ritmo. Nelle 5 leggende si dimostra come uno dei migliori registi Dreamworks del momento, aria del tutto nuova in casa Dreamworks. Riusciranno come con Shrek a farne millemila versioni? La trama parrebbe conclusiva. 
Talk0

lunedì 24 dicembre 2012

Django unchained


Il pistolero con bara armata (che un po' tutti hanno ripreso, per primo Rodriguez con la chitarra armata de El mariachi) cambia pelle, diventa schiavo e poi cacciatore di taglie sotto la guida di un bizzarro pistolero. Il mito risorge, lo spaghetti western ha ancora qualcosa da dire e per lui parla Tarantino.
Pubblicato fresco fresco sul canale ufficiale di youtube della casa produttrice, la Weinstein Company, arriva il tv spot da 30 secondi dell'attesissima ultima fatica dell'autore di Pulp Fiction. Con ossequio e servile reverenza riportiamo il filmato qui in calce



Per gli americani si preannuncia un Natale grondante sangue, noi come al solito ci attacchiamo perchè a Natale devono uscire i nostri sempre bruttissimi personali carrozzoni cinevomitosi italiani. Speriamo che la distrubuzione nella nostra ridente terra, che ha dato i natali a Dante quanto a Signorini, non si faccia troppo aspettare più del (il)lecito.
Ricordiamo che nella pellicola vedremo un cattivissimo Leonardo di Caprio (cosa che attendo quanto la peperonata nel dopo digestione), il sempre ottimo e ormai feticcio Christoph Waltz nel ruolo del mentore dell'eroe, il carismatico Jamie Foxx nei panni dell'eroe con bara armata (no, non è Gungrave, la fonte è comunque sempre il Django con Franco Nero..), il blackspoitation man Samuel Jackson (che nei nostri cuori insidia il trono di Nick Cage), Kerry Washington e la solita manciata maxi di special guest ben felici di fare una comparsata nella pellicola di Tarantino. Figura anche un bel cameo di Franco Nero!! Circa la durata del film, pare che il primo cut della visione di prova ammonti a tre ore e quindici minuti, ridotti poi a due ore e quarantacunque minuti. Uscirà una Director's cut o Tarantino la annuncerà per poi dimenticarsi di farla come fece prima con Kill Bill e poi con Inglourious Basterds? Siamo tutti comunque eccitati. 
Per celebrare degnamente un tale evento il 4 dicembre arriva in dvd anche l'originale Django! Se non l'avete ancora visto, di sicuro non vorrete perdervelo e constaterete che piccolo-grande capolavoro sia.
A proposito di Django, stavo quasi per incazzarmi come una biscia al pensiero di non poter mai vedere il cult giapponese "Sukiyaki western Django" (pellicola, dove tra l'altro figurava Tarantino in qualità di guest star), quando Dinyt, forse spinta dall'imminente filmone di Quentin, ne ha annunciato l'uscita in Blu Ray e DVD per il 27 febbraio 2013.

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domenica 23 dicembre 2012

Le Storie Vol. 3 “La rivolta dei Sepoy”


Disegni: Bruno Brindisi; Testi: Giuseppe De Nardo


Mi sento un po' in colpa per non avere ancora fornito il nome dell'autore delle bellissime copertine di questa serie, Aldo Di Gennaro. Sono le copertine più belle  di sempre per una serie della Bonelli? Senza ombra di dubbio sì, sono spettacolari e ultradettagliate, con un'impostazione pittorica spiccata. Affiancando le copertine delle storie uscite finora devo dire che proprio la cover de "La rivolta dei Sepoy" è quella che mi garba di più, anche per il fatto, senza dubbio originale, di racchiudere in sé due diverse immagini. Grande impatto.
Eccoci dunque al consueto mensile angolino sulla più bella delle collane Bonelli.
Ai testi Giuseppe De Nardo, classe 1958, esponente della scuola salentino-partenopea, a detta del suo profilo nell'elenco collaboratori della Bonelli. Ha scritto qualche numero di Dylan Dog. Me lo ricordo per “La via degli enigmi”, una doppia storia ispirata al Professor Layton, davvero carina. Brindisi ai disegni, è una colonna di Dylan Dog, uno dei migliori disegnatori di sempre. In un affresco storico complesso, siamo intorno alla prima guerra di indipendenza indiana con le truppe coloniali che iniziano a ribellarsi agli inglesi, De Nardo sceglie di guidarci nelle vicende tenedoci per mano, allestendo un classico triangolo amoroso. L'idea originale è che non saremo vittime di sbaciucchiamenti e canzoni al chiar di luna, il protagonista delle vicende è il padre dell'innamorato, al servizio dell'ufficiale che vuole privare il figlio della bella di turno. Il contesto come consueto è descritto con una serie costante di note a pie di pagina, interessanti anche nella misura in cui se ne può trascendere senza rovinarsi il viaggio, fornendo in tal modo un approfondimento a chi ne sia interessato. Non mancano guizzi di trama interessanti, come la questione del caricamento dell'arma da fuoco, così come la narrazione regala ottimi colpi di scena. Come nel caso de Il Boia di Parigi, prima uscita della collana, si avverte il fatto che il numero massimo di pagine sia insufficiente a un'idonea dimensione del racconto, molte scene chiave appaiono compresse o saltate del tutto, ho avuto almeno in un paio di occasioni la netta sensazione che siano stati operati effettivi tagli alla narrazione che, invece di seguire nelle pagine successive, viene sintetizzata di massima al cambio di scenario. La cosa non mi ha fatto saltare troppo di gioia, soprattutto in un caso, quando mi sarei aspettato di assistere a delle scene di massa, che di fatto non si sono mai palesate. Nell'insieme il lavoro di De Nardo è comuque assolutamente valido e traspare una particolare cura nella descrizione dei molti rapporti interpersonali di cui è costellata l'opera. Ho apprezzato molto il rapporto tra padre e figlio, così come il rapporto tra il padre e il fratello della sua defunta moglie.
Brindisi è un maestro delle nuvole parlanti e dimostra una piena padronanza delle sue doti artistiche, riuscendo a sintetizzare uno scenario particolarmente complesso con un'azione fluida e chiara. La resa degli edifici così come la vegetazione è stupefacente, le figure umane sono dettagliatissime e presentano una gamma di espressionui molto convincenti, le scene di massa sono uno spettacolo da guardare nei minimi dettagli.
Un'ottima terza uscita quindi, che mantiene alto quanto di già buono si è visto, dimostrando sul piano grafico l'ennesima eccellenza dell'arte italiana del fumetto. Le pagine stanno sempre un po' troppo strette, ma la scelta di una tale impostazione è comunque coraggiosa e meritevole di essere sostenuta. 

sabato 22 dicembre 2012

World War Z – la guerra mondiale degli zombie



Sì, ci piacciono gli zombie. Dedichiamo annualmente una buona parte del nostro tempo e budget agli zombie, tra Resident Evil, Walking Dead e opere che non riguardano zombie in senso stretto, ma ci si avvicinano comunque, come Crossed o la serie Dead Space o gli “zombie” di Call of Duty. Che striscino anchilosati o corrano come velocisti, gli zombie piacciono a un sacco di persone e ormai sono diventati un vero brand. Ho ancora da poco i ricordi del libro Orgoglio e Pregiudizio Zombie, dello stesso autore di Abramo Lincoln la leggenda del cacciatore di vampiri (ma non ne ho ancora parlato? Possibile? È comunque una divertente trashata...), che ora mi si propone il nuovo blockbuster hollywoodiano con la star Brad Pitt (molla la pazza e torna a fare l'attore serio!), trasposizione di un fortunatissimo romanzo. che ovviamente da noi è stata distribuito poco e male.
La guerra mondiale zombie, uscito nel 2006 è la seconda opera di quel mattacchione di Max Brooks, che ha esordito in libreria nel 2003 con il simpatico “Manuale per sopravvivere agli zombie”, un vademecum ironico per sopravvivere a un'ecatombe zombie, che mi ha ricordato in più punti il mitico “Benvenuti a Zombieville”, pellicola imprescindibile per ogni zombie-fan, con il migliore Woody Harrelson di sempre.
World War Z parla di un conflitto su scala mondiale tra uomini e zombie, dove gli zombie sono esseri estremamente evoluti, per molti aspetti simili ai mutati di Io sono leggenda, capaci di combinare strategie di massa. In sintesi, carri armati e marines incacchiati con mitragliatori vulcan contro zombie che paiono dei dannati velociraptor, organizzati come un compatto esercito di formiche incazzato, in grado di spostarsi in scame come un unico corpo o “blob”. Terrificanti. Tutti a Hollywood vogliono la storia, si sente profumo di incassi solo a leggerne tre righe, la spunta Brad Pitt, cacciandoci i soldi di suo insieme all'amico Di Caprio. Viene chiamato a sceneggiare un nome già letto in queste pagine, il mitico J.M.Staczynski (ne abbiamo parlato per il suo ciclo di Supreme Power, ma dovremmo parlarne anche in merito a storiche sue run in Spiderman, Thor, Rising powers, Twelve, Midnight nation e per una montagna di altra ottima roba, come la sceneggiatura del film Changeling di Clint Eastwood ), alla regia si chiama Mark Forster ( una tremenda pippa... dopo Monster's Ball, noto per lo più per il nudo di Halle Berry, confeziona il palloso Neverland, il soporifiero Cacciatore di Aquiloni e quasi distrugge Bond nel troppo complesso e cerebrale Quantum of Solace. Di recente, The Machine Gun Preacher, che al di là del titolo figherrimo che richiama suggestioni tarantiniane in affreschi miikiani è una palla... una tremenda e rotolante palla... insomma, deve essere un amico di squash di Brad Pitt). Insomma, se ne parla dal 2006, ora è quasi pronto. A giudicare dal trailer che lasciamo in calce è pure bello fico. Aspettiamo spasmodicamente di poterlo vedere su grande schermo.





Fico vero? 
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venerdì 21 dicembre 2012

Kaze Tachinu (Si alza il vento) di Hayao Miyazaki


Ecco il primo poster ufficiale direttamente dallo Studio Ghibli.
È un chiaro poster di pre-presentazione, atto a non far trapelare una fava di una fava.
In Giappolandia è previsto per l'estate 2013, in concomitanza con l'uscita, proprio nel medesimo giorno, dell'altro film prodotto da Ghibli by Takahata sulla principessa Kaguja (mito noto... chi se la ricorda in Lamu?).
Così come accaduto con The Ring e Spiral in Giappolandia, uno che si trovi in quel di Tokyo per bighellonare, può andare al cinema e spararsi la double feature Ghibli (come si cantava in Rocky Horror Pictures Show): vedere un film, magari partendo da Miyazaki, farsi un secondo biglietto ed entrare nell'altra sala a completare la scorpacciata con Takahata, se avanza tempo. Ricordiamo che tale strategia portò una sfiga clamorosa a Spiral e già vedo male Takahata... misteri del marketing giapponese.
Pagherà il fatto di dividero lo studio per seguire due prodotti in parallelo? Certo non stiamo parlando della diversificazione di offerta di una segheria che dagli stuzzicadenti vuole passare anche agli spiedi per spiedini, stiamo parlando dello studio Ghibli e dei più grandi talenti dell'animazione internazionale.
Già dalla locandina sembra di respirare l'aria di Porco Rosso, il cui Blu ray spero di vedere a breve anche in questi lidi...
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giovedì 20 dicembre 2012

Il peggior natale della mia vita




Avete visto La peggiore settimana della mia vita con Fabio De Luigi? Ecco pronto e scodellato il seguito delle vicende della (poco) strana coppia Capotondi – De Luigi, ora alle prese con pancione e primi pannolini. La regia è sempre affidata ad Alessandro Genovesi e il cast viene impreziosito da Diego Abatantuono.Viuuuuleeeenza!! Ma torniamo all'incipit, lo avete visto il primo film? Vi è davvero piaciuto? Sulla carta l'operazione è quantomai nobile: come Paolo Villaggio ha attinto dalla caustica commedia british per creare Fantozzi, Genovesi pesca nella commedia americana sentimenatle, direi più alla Ben Stiller che alla Billy Cristal, per dare un nuovo approccio alla commedia italiana. Qualcosa di più sofisticato, più scritto e meno improvvisato, di sicuro aria fresca. A supporto vengono attori come De Luigi e Capotondi, rodati da anni di gavetta. La Capotondi praticamente girava che era ancora in fasce, me la ricordo figlia di Massimo Boldi innamorata di Dylan di Beverly Hills – Luke Perry in un Vacanze di Natale 90 ormai da archivio rai. De Luigi è stato mattatore di una delle migliori stagioni di Mai dire gol, ha sorretto da solo una sit-com come Love Bugs, ha convinto con l'ultimo Salvadores. Ma poi arriva Antonio Catania, che molto meglio aveva fatto in Boris, nel ruolo del padre della Capotondi, un ruolo che sembra disegnato di ricalco sul Robert De Niro di Ti presento i miei senza troppa convinzione in fase di scrittura. Poi arrivano le gag tipiche dei fratelli Farrelly, quelle che in genere hanno a che fare con cibo-cacca-animali e l'effetto copia carbone permane. Poi arriva Siani, simpatico in coppia con Bisio, ma che, sovraccaricato sotto la direzione di Genovesi, passa da simpatico scapestrato (quasi degno erede di Troisi. Speriamo continui su quella strada) a intollerabile rompipalle odioso. Tutto appare come già visto (e meglio) altrove. Alla fine della visione si esce pertanto sereni, lo spettacolo è oggettivamente carino, passabile. Ma non del tutto soddisfatti, sfamati. Si sarebbe voluto ridere di più, ma non si è riusciti. Confrontiamo solo la gag sugli animali, versione Genovesi da La peggiore settimana della mia vita, rispetto alla versione dei Farrelly, in Tutti pazzi per Mary. In entrambi i casi gli animali vengono usati come se fossero dei pupazzi animati. Ma nella celebre commedia americana anche le situazioni più buffe e assurde si ricompongono, si torna allo scherzo e l'animale esce infine incolume.

 Nel film di Genovesi la battuta si ferma prima di far ridere e di ricomporre la normalità dello status quo prima di passare alla gag successiva: la creaturina ha decorsi tanatologici a cui conseguono esplorazioni interne onde rinvenire oggetti smarriti. Senza falsi moralismi, fa ridere una scena simile? Riceverebbe il beneplacito dell'Ente protezione Animali? E già nel trailer di questo Natale peggiore della mia vita si hanno le avvisaglie che su analoghi schetch di cattivo gusto si voglia perseverare, quasi che sia questo che il pubblico vuole. Le gag sul cibo? Confrontiamo La peggior settimana delle mia vita con E all'improvviso arriva Polly: due similari casi di intossicazione alimentare, che in comune hanno l'escretamento di fluidi corporei (sebbene da orifizi e in diverse modalità), che in comune hanno la distruzione-imbrattamento di zone abitative. Nel caso del film di Stiller dopo l'imbarazzo viene la comprensione, la pacca sulla spalla, l'accettazione del fatto che tutti ci possiamo trovare in situazioni del cavolo. In film di Genovesi anche qui si blocca prima che si abbia una riconciliazione e gli effetti sulla gag sono tremendi: da una premessa comico-simpatica si arriva a un decorso tragico, che avrei visto più correttamente contestualizzato in quei filmoni drammatici in cui suore cattive sottopongono ad angherie i bambini di un orfanotrofio. Anche qui, almeno nelle intenzioni della regia, era proprio questo il risultato cui si mirava? Ci sarebbe altro da dire (la tremenda gag del trattorino, per come è girata e per come dovrebbe far ridere), ma non sarebbe consono e sarebbe troppo. La pellicola ha dei pregi che i difetti non riescono comunque a oscurare ed è frutto di una impostazione di massima che mi piace. Riuscirà Abatantuono, Attila fratello di Dio, cioè nel senso di molto vicino a Dio, a fare il miracolo? Staremo all'erta.
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mercoledì 19 dicembre 2012

In memoria del presumo ancora vivo Daniele Luttazzi


In televisione il professor Fontecedro imperversava con i suoi “cosmico” a Mai dire Gol, io avevo 18 anni, un neopatentato felice, ma poco praticante. Per le vie del centro di Milano un mio amico lo nota e me lo indica: “Quello è Luttazzi, guarda!” e io “Ma no, dai, in tv è più alto.” “Ti dico che è lui”, rincara, “Adesso ci avviciniamo e vedi che te lo confermerà”. Ci avviciniamo. “Scusi il disturbo, lei è Daniele Luttazzi, il comico?" E Lui, molto più timido di come me lo sarei immaginato “Sì, sono io.” Quindi colgo l'occasione, chiedo un autografo per la mia sorellina e lui non si sottrae. Sulla mia smemo disegna un omino stilizzato che dice “cosmico”, firma e mi rassicura: “Vedrai, tra 15 anni questo disegno non varrà comunque un C@zzo”. Aveva ragione!
Da allora l'ho sempre più o meno seguito. Ho amato moltissimo la trasmissione Barracuda, un talk alla Letterman con gag comiche surreali e una gargantuesca presenza di gnocca, dalla Salerno alla Colombari alla Pandolfi alla Ferrari c'era da rimanere ciechi. Da buon discepolo fedele leggevo anche la rubrica che teneva sul mensile GQ, altro contenitore ad altissimo tasso di gnocca. Inizio a pensare oggi che forse lo seguivo per i motivi sbagliati. All'ultima puntata di Barracuda Luttazzi esce di scena con una battuta citazionista. A uno che gli chiede “Dove andrai adesso Daniele?” risponde “Vado a farmi il mondo”. Il personaggio di Mai dire Gol è diventato un attore completo e sfaccettato, dimostrando di essere anche valido presentatore. Guardando oggi su rai 5 David Letterman mi accorgo, in positivo, di quanto il Luttazzi di Barracuda fosse vicino al modello del front man dell'intrattenimento serale americano. Mi sarebbe piaciuto vedere Barracuda almeno per dieci anni, magari con il conseguente annichilimento del Costanzo Show e un ritorno di Bruno Vespa alla conduzione del TG1. Ho deciso di continuare a seguirlo, nel modo all'epoca possibile, ho preso un paio di libri sui suoi spettacoli teatrali, dovrei avere forse anche delle videocassette. Ho un consiglio da dare a chiunque abbia intenzione di andare a vedere a teatro un comico: non comprate prima il libro sul suo spettacolo. All'Auditorium Giuditta Pasta di Saronno, e saremo a ben vedere nel 1997-98 io sono intorno alla decima fila in compagnia di Gianluca ad assistere a "Sesso con Luttazzi", spettacolo in cui relativo libro di riferimento conoscevo ormai a memoria. Data la sfortunata conformazione delle poltroncine del teatro, mi trovo seduto dietro un tizio di sei metri che, in sfregio a chiunque volesse vedere lo spettacolo, e soprattutto a me che gli stavo dietro, aveva una spropositata e vaporosa chioma phonata modello Jackson 5. Trovandosi comunque Luttazzi su di un palco, riuscivo a vedere a fatica la sua testa e piccolissima parte del busto, essendo preclusa la visione del resto della fisionomia in ragione di tale sconsiderata massa capillare. Ok, non si vede una sega. Parte lo spettacolo e so tutte, ma tutte le battute. Nei concerti è attività lecita e incitata cantare insieme al cantante, un effetto di risonanza diapason; negli spettacoli a conoscere le battute in anticipo ci si rompe decisamente le palle, ma alla fine è stato comunque divertente. 
Parto per la naja, destinazione Friuli, in tv Luttazzi ottiene un importante programma in rai, Satyricon. Non riesco a vederne manco una puntata, recupererò solo alcuni anni dopo, quando youtube inizierà a significare qualcosa. Ma all'epoca chiedevo curioso a chi poteva vederla come la trovasse, mi rispondevano che era “troppo politica” e la politica, come si sa, spesso divide in scompartimenti stagni la gente, che dal giono alla notte decide che il tal programma non lo vuole più vedere, è “diventato noioso”. Io, che la politica la trascendo non legando facce a colorazioni, trovo il programma geniale e irriverente, un Barracuda più “cattivo”, forse troppo cattivo e per questo difficile da vendere a un pubblico geriatrico come quello rai, sonnolento e statico davanti alle innovazioni, pronto a scatenarsi come comari di paese e a puntare il dito quando il conduttore, uscendo dagli schemi, parla degli argomenti più grevi o faccia una satira politica troppo cruda, priva dei mascheroni, e correlata gnocca, del Bagaglino. La trasmissione avrà uno stop dopo l'ospitata di Travaglio, cui seguiranno denunce, assoluzioni molto tardive e un considerevole tempo lontano dal video. Riesco a vedere un paio di spettacoli teatrali, scopro che Luttazzi canta dal suo blog, che seguo con curiosità, e da quello che si può sentire in rete non canta neanche male e soprattutto a suonare mette dei professionisti assoluti. In breve raccatto i cd. Mi piace il dialogo che intrattiene sul suo blog, mi piace il fatto di poter leggere lì i pezzi che pubblica sui quotidiani senza sborsare una lira, mi piacciono molto i disegni che utilizza a corredo dei post. Poi il grande ritorno, anticipato da un paio di ospitate, dalla benedizione di Baudo, su La7, il programma è Decameron. Saremo tipo nel 2008? No, nel 2007. Il nome deve avere influenzato molto il comico, il Decameron di Boccaccio parle di dieci giorni di storie goliardiche che si scambiano dei giovani chiusi in un'abitazione, mentre fuori imperversa la morte e la peste. Anche nel Decameron di Luttazzi si scherza, ma è come se la morte, la malinconia e il senso di un tragico futuro imminente avessero già oltrepassato la porta, insinuandosi nel contesto goliardico. Di colpo Luttazzi cede il fianco alla sua vena più nera. Rimasto lontano per anni, ingabbiato al di fuori del media che meglio sa gestire, relegato ai teatri che comunque riempie e ai libri che comunque vende, è come se il comico riversasse sul programma la sua rabbia repressa, concedendosi umanamente solo un velato senso di malinconia, propria della sua canzone Money for Dope, utilizzata da surreale siglia di coda. Decameron diverte ma in larga parte assesta violenti pugni allo stomaco dello spettatore, dimostrando che la satira può anche non essere comicità, può farsi rientrare anche nella tragedia così come la commedia può parlare di morte, parlarci a tu per tu. É l'opera di massima espressione di un autore maturo e tormentato. Si ride? Poco. Ci si sorprende per le trovate narrative? Sicuro. Poi arriva la puntata sulla battuta riferita a Giuliano Ferrara, un rischio alto in virtù della libertà di satira sostenuta sempre e comunque da Luttazzi, un rischio che ha già preso, con gli esiti noti, con la questione relativa all'intervista con Travaglio, di sicuro alimentato da una piccola vena autodistruttiva. Dopo Travaglio, la battuta su Ferrara è la seconda roulette russa mediatica cui si sottopone Luttazzi. Dalla prima roulette di Luttazzi è conseguita la consacrazione televisiva e maggiore notorietà di Marco Travaglio, che da poco conosciuto ma già prolifico giornalista e scrittore (mi è piaciuto il libro che analizzava il rapporto tra Berlusconi e Montanelli), è diventato idolo delle folle, prima collaboratore di Grillo con settimanale rubrica di critica giornalistica su you tube, puntate da un'ora l'una, per poi passare a presenza fissa nei programmi di Santoro e poi a fondatore e prima penna del Fatto Quotidiano. Spero che Travaglio gli abbia almeno offerto una pizza. La seconda roulette non riesco ancora a spiegarmela. Davvero non lo so, non riesco a comprendere, se facessi speculazioni queste sarebbero prive di fondamento e quindi mi astengo.
Dopo il Decameron televisivo, Luttazzi mette in piedi un Decameron teatrale che spiritualmente è volto a completare il progetto iniziale, successo, libro, il comico non si ferma e mette in piedi sul suo blog “La palestra”, uno spazio in cui permette a tutti di cimentarsi nella crezione di satira, in cui Luttazzi indica le modalità e i trucchi per creare battute divertenti. Da questa scuola virtuale escono trovate interessanti e trovate più banalotte ma l'intento è originale, buono e sincero, la palestra diventa un libro che raccoglie i frutti migliori. La conseguenza è che ora c'è una nutrita community dietro a Luttazzi.
2010. Luttazzi partecipa per una quindicina di minuti di intervento a Raiperunanotte insieme ad un nutrito cast di attori, giornalisti e cantanti che sotto la guida di Santoro denunciano in un maxievento le censure del tubo catodico, anche qui è successo. Luttazzi viene sommerso di applausi quando esce di scena citando Aristofane.
Poi arrivano le accuse di plagio, gira in rete un filmato in cui sembra palese che Luttazzi riproduca, tradotti in italiano molti monologhi di comici inglesi, qualcuno arriva a dire che il 60% del suoi spettacoli sono traduzioni di opere intellettive altrui. Copiature, pura ispirazione o citazioni? La parola torna ai banchi del tribunale, dei fans si sentono traditi, Luttazzi sparisce di nuovo dai media e non mi è ancora chiaro se la vicenda abbia già avuto o avrà in breve un epilogo. Al di là di tutto ciò che si potrebbe dire o pensare sulla vicenda, da quando è girata la lista delle fonti di Luttazzi mi si è aperto un intero universo e attraverso la rete ho potuto attingere a un numero spropositato di monologhi comici davvero spassosi, opere d'arte che per pigrizia, essendo per lo più in inglese, avevo sempre colpevolmente ignorato. Cose che allo Zelig se le sognano. Venite anche voi, in massa, ad esplorare magari su youtube, magari sottotitolati, i monologhi di George Carlin e Chris Rock! Da depresso cronico in cerce di rare occasioni per divertirsi ringrazio e apprezzo.
E adesso? Blog ufficiale chiuso, un account twitter con più di ventimila followers e quattro parole in croce, distribuite in tre post pubblicati nell'arco anche di molti mesi. Silenzio quasi totale. Mi chiedo se senza Luttazzi avrei mai preso il mio primo numero di GQ, rivista che all'epoca mi ha procurato il calo di molte diottrie (ho disdetto l'abbonamento quando il numero di poppe è calato), mi chiedo se senza il Barracuda di Luttazzi avei apprezzato il Late Show di Letterman che vedo oggi su rai5 (sempre per la pigrizia di far uso dei sottotitoli). Mi chiedo se senza Luttazzi, Travaglio avrebbe conquistato la stessa visibilità che ha ora. Mi chiedo se senza Luttazzi avrei mai visto un programma strano e malinconico come Decameron. Mi chiedo se senza Luttazzi mi sarei mai avventurato alla scoperta della comicità americana. Nonostante tutto Luttazzi è stato un comunicatore straordinario, qualcosa di davvero alieno e innovativo nel panorama italiano. E mi piacerebbe che tornasse a interpretare questo ruolo, magari presto, magari in nuove forme, mutatis mutandis. Così il suo disegno con dedica potrò capitalizzarlo degnamente su ebay... Un po' mi manca. 
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martedì 18 dicembre 2012

Lord of War

 (Come Cage può invecchiare in ragione dei tupè)


Mai sottovalutare un club sandwich con uova e maionese. Da buon amico di un istante diventa ospite sgradevole nello stomaco per diverse ore, ripresentandosi ogni 20 minuti fino a che non ce la fai più e, vinto nell'ego, decidi di alzarti e saderti sul trono di ceramica, sperando che presto tutto sia finito. È in ragione di uno di questi panini killer, per altro ingurgitati svariate ore prima, che di recente ho perso il sonno e mi sono affidato per ninna nanna alla programmazione televisiva, prima meta i canali locali in cerca del leggendario “Baffo market”. Ricerca vana e tra una riproposizione di Uomini e donne, puntata geriatrica, e Come è fatto, illustrante l'affascinante mondo delle palline da golf, capito su rai 4, chissà mai mi imbattessi su un Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto o Emanuelle Nera. E invece eccolo lì, il mio amico, il mio personale dio pagano, Nick Cage, beccato con un colpo di fortuna a inizio film, Lord of War. Non l'avevo mai visto, ma umanamente è impossibile vedere tutti i film che Cage gira, ne stai vedendo uno e quel giorno lui ne sta girando altri 6. Questo Lord of War fa parte di quelli belli belli e al di là di Cage, si fa apprezzare per indubbie qualità “proprie”. Andrew Niccol, regista e sceneggiatore, è uno che lavora troppo poco in ragione delle sue eccelse qualità. Nel 1997 scrive e dirige quell'indubbio capolavoro di sci-fi che è Gattaca, lanciando Jude Law e confermando Uma Thurman ed Ethan Hawke. É il 1998 e scrive e produce The Truman Show, forse a tutt'oggi la migliore interpretazione di Jim Carrey di sempre (ma io l'ho forse amato di più in Man on the moon). 2002 scrive, dirige, produce S1mOne, ancora fantascienza, un ottimo De Niro demiurgo di una star virtuale: magnifico film che però si fileranno in pochi. Nel 2004 scrive e produce The Terminal, un ispirato Tom Hanks e un sobrio Spielberg ne fanno una delle più belle elegie sulla perdita-assenza dei confini geografici, elogio ai non-luoghi della civiltà moderna. Nel 2005 scrive, produce, dirige questo Lord of War. Nel 2011 scrive, produce e dirige l'ottimo In Time, che se non avete visto dovete vedere, ancora fantascienza alta, in questo caso il tempo diviene il bene più prezioso dell'uomo, moneta di scambio, il film che ne esce è spettacolare. Non c'è che dire. Niccol è un grande, in Lord of War lo dimostra ancora una volta.
Cage è Yuri Orlof ed è un trafficante d'armi. Il nome è finto e già ci mette sulla strada giusta per capire il personaggio. Un uomo doppio, in cui il legale e l'illegale si intrecciano. Ma forse “nemmeno un uomo”: in assenza di quel finto nome-etichetta, atto a predisporne finti legami affettivi o commerciali, di Yuri rimarrebbe davvero poco, una entità astratta, una mera esistenza funzionale, di facciata. In un dialogo tra Yuri e il dittatore Andre Baptiste, interpretato da Eamonn Walker (già straoridnario nell'Othello di inizio 2000), il dittatore dice: “Mi chiamano dio della guerra, ma in effetti sbagliano, il vero dio della guerra sei tu”. Yuri quindi lo corregge: “Si dice signore della guerra, non dio della guerra”. Ma Andre Baptiste è convinto e precisa: “Preferisco la mia versione”.
Ricordo un bel film italiano, Finchè c'è guerra c'è speranza, interpretato magistralmente da Alberto Sordi, uno dei miei attori preferiti di sempre. Anche lui faceva in quella pellicola il trafficante d'armi, vendeva morte soprattutto ai paesi più poveri. La famiglia non sapeva di questo, fino a che qualcuno lo buttava sulle prime pagine, poneva i riflettori sul mostro. Allora la famiglia lo ripudiava, ma in silenzio: troppi erano gli agi che un lavoro del genere aveva loro portato, troppe le rinunce in caso di tardiva redenzione del padre famiglia. I famigliari allora potevano e avevano il diritto di odiarlo, ma non se la sentivano di fermarlo, lasciavano che lui tornasse al suo vero lavoro, perchè in questo modo la loro vita dorata non si sarebbe interrotta.
Qui è un po' diverso, ma non troppo in sostanza: non è la famiglia a volere che ci siano comunque dei trafficanti d'armi, quanto più la società. Niccol è in questo lucidamente critico, ferocemente satirico quanto spietato.
Ma stiamo per un secondo sul piano ludico; il film è feroce, ma sa in più casi divertire. Seguiamo Yuri dagli inizi della sua carriera, quando inizia a improvvisarsi venditore d'armi con il fratello Vitaly Orloff, interpretato da uno straordinario Jared Leto, altro bravo attore, poco sfruttato. Devo dire che ho perso il sonno, fino a decidere di seguire il film fino alla fine, roba tipo le 4.30 di notte, in virtù di questa prima parte. È possibile che un autore completo, sceneggiatore-produttore-regista, acclamato dalla critica, non abbia alcun potere sul reparto costumi e sui capelli del protagonista principale dell'opera? No dico, è possibile che accada ciò a Hollywood? Mai come in questa pellicola i colorati tupè di Cage si sono dimostrati una così invadente fonte di distrazione. Cage non invecchia, del resto non lo fa neanche Chuck Norris. Non puoi utilizzare delle rughe posticce su Cage, la sua pelle splendente diviene subito lucida e respigne il trucco. Si dice che per Ghost Rider non fosse necessario utilizzare effetti speciali facciali, dopo che si infiammava la faccia di Cage fino a livello teschio fumante la sua pelle si rigenerava spontaneamente (sì, ok è una cacchiata...). Come rendere quindi il trascorrere del tempo sul viso di Cage? Ma utilizzando un plotone di tupè che, come piccoli shnauzer addestrati, farà il lavoro sporco.
Fine anni 70, parrucchino Elvis. Dal ciuffo prepotente e ribelle, il trafficante Yuri decide di mollare la pizzeria (o qualcosa di simile) e dedicarsi alle armi.
Anni 80 inizio, parrucchino Robert Redford. Yuri si espande, inizia a vedere la concorrenza e a doverci fare i conti, tra cui un trafficante russo interpretato da Ian Holm, eccelso, che diventerà in un modo un po' distorto la sua guida spirituale.
Metà anni 80, parrucchino JFK modello Kevin Costner, elegante e con la striatura sul lato, professionale. Prime scaramucce di Yuri con il federale Valentine, interpretato da Ethan Hawke. Yuri è protetto dall'altro, il federale arriva sempre tardi. Divertente la scena in cui in pochi secondi cambiano il nome a una barca con materiale che “scotta”. Tra Yuri e Valentine i siparietti si susseguiranno, con il secondo così ligio alla legge da sfiorare l'idiozia, carattere che in senso lato lo stesso Yuri apprezza. Un cane e gatto che stempera.
Anni 90, capello più corto con abbinamento occhiali scuri, potrei definirlo un modello “Ice Man”, in riferimento al look di Val Kilmer in Top Gun. Iuri invecchia, inizia a pensare di mettere su famiglia. Il fratello Vitaly passa da una striscia di coca lunga quanto una pista di decollo a sesso multiplo (non) occasionale. Uno dei due sta vivendo una vita poco appagante. Non vi dico quale.
1992, Yuri decide di mettersi l'anello al dito e convola a nozze. Basta spericolatezze e colpi di testa, di conseguenza il parrucchino diviene un rassicurante modello Mike Bongiorno con connotazioni dark. Prima di attestarsi su un modello definitivo non manca il colpo di genio. Forse per venire incontro ad una più accurata contestualizzazione storica, in virtù del problemi di impiantistica dei capelli di metà anni 90, viene considerato un modello azzardato di parrucchino con spaventosa stempiatura, dall'alto si direbbe sintomo di una calvizie che si spinge ad oltre la metà del cranio. Il modello prescelto è simile a quello sfoggiato in The Rock, che è uscito nel 1996, nove anni prima di questo Lord of War, un peccato perchè poteva essere un modello “The rock anniversary edition 10th year”, peccato per quell'anno. Rispetto al celebre tupè del 1996 questo è però almeno di 2 taglie più piccolo e con la terrificante attaccatuta di cui sopra. Indescrivibile. Yuri intanto diventa papà ma non si fila i primi passi del figlio, è preoccupato per la guerra di Saddam, perchè sta per finire. Grazie al cielo il film è ancora bello lungo e viene data pace alla pettinatura di Cage scegliendo un definitivo, ma per me comunque irrisolto, modello che fa riferimento a una fase giovane di Raimondo Vianello.
Questo unicamente per giocare, il film da ogni altro punto di vista è inattaccabile e la recitazione di Cage è davvero straordinaria. Magistrale sentire l'esecuzione de "La morte del cigno"  mentre vengono decantate le qualità dell'ak47, stessa arma a cui in un'altra scena viene sostituito il rumore degli spari al tipico scampanellio del registratore di cassa. Le elegie sulle armi non si limitano all'ak47, ma riguardano anche la glock e la 357 magnum in un'atmosfera di ricercato feticismo ed esaltazione. Il figlio del dittaore Andre Baptiste incalza: “Puoi procurarmi l'arma di Rambo?”e Yuri "Rambo 1, 2 o 3?”. “Ho visto solo l'uno, non sapevo di altri”. “Allora vuoi un m60!”. Yuri è il Babbo Natale della guerra, capace di districarsi nelle situazioni più assurde perchè è il mondo stesso a essere assurdo. Sembra parecchio, ma vi sto rivelando solo il 10 % di quanto la pellicola offre, dovete vederla, ne vale la pena. Vi lascio con un ultimo aforisma del Niccol sceneggiatore: le sigarette uccidono più delle armi, solo che le armi hanno la sicura. Ovviamente questo non basta per il mondo alla deriva in cui Cage, quasi un metafisico dio della morte, sguazza. Il finale è davvero bello, non lo dimenticherete facilmente. 
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