giovedì 29 maggio 2014

Dragonero vol.12 : Minaccia dal profondo


Solian, città dove ha sede il villino di Gmor e Ian. Dei ragazzini stanno osservando da lontano, riparati dalle frasche, la vita lasciva della strana coppia uomo-orco con elfa di adozione. D'un tratto vengono sorpresi da quest'ultima e si scatenano grida, fuga e tante risate. Tutto è un gioco e tutti sono felici. Mentre Gmor, intento nel preparare la colazione, guarda maternamente la sua elfetta Sera giocare con i bambini, Ian se la gode in barca a vela a due passi da casa. Poi la pappa è pronta. Sera saluta i suoi amici, balza in casa e suona il corno, tuttti accorrono per la colazione. Quand'ecco che uno strano rumore smuove la tranquillità di tutta Solian. Il terremoto. I nostri eroi accorrono all'epicentro insieme a tutta la comunità. Da un buco nel terreno esce un buffo omino. Dice di essere un esperto di mappe sotterranee e di trovarsi di lì per caso. Di certo non pare l'artefice dei terremoti ma tutti vogliono comunque fargli la pelle sulla fiducia. Quand'ecco che Gmor si frappone e minaccia di picchiare i concittadini se non risparmiano il tapino. La cittadinanza di fronte al sanguinario Gmor prorompe in una crassa risata, desiste dalla vendetta e chiede a Gmor se ha ultimato quella salsa di mirtilli per la gara di torte cittadine e sistemato i merletti per le lenzuola da rattoppare. Riportata la calma si organizza una spedizione per indagare nel cratere la causa della scossa e delle ulteriori scosse che di lì a poco conseguono. L'omino delle mappe, arruolato di fiducia al seguito della spedizione, racconta a Ian di essersi imbattuto in caverne scavate dai nani. Ok, vai con il contributo musicale...


Ecco che nel mondo di Dragonero, inevitabilmente, arrivano i nani. E lo fannno nel modo più classico, quello degli epigoni dei 7 nani. Omini buffi intenti a scavare, scavare e scavare, pronti a fare cose buffe per guadagnare il più possibile, un po' farlocchi, un po' coraggiosi, un po' altezzosi. Dei peluche da trattare come tali, da tirare qua e là tra le tavole delle pagine. Forse qualcosa soluzione più originale sarebbe stato lecito trovarla, ma il fantasy ha regole "classiche" da rispettare e qui il compito è eseguito alla perfezione.Viene altresì introdotto un complicato e oscuro mondo sotterraneo, inedito per le pagine del fumetto fino a ora. Il mondo di Dragonero è in continua espansione e questo numero serve proprio a questo, a fornirci una profondità ulteriore delle mappe, a incuriosirci su futuri prossimi sviluppi narrativi. I disegni di Cristiano Cucina sono molto belli, carichi di dettagli, dinamici. Scenari maestosi, personaggi ben definiti. Tante belle scenografie, tante bellissime scene di massa.  Chiari e ben orchestrati i combattimenti. Un altro splendido lavoro grafico per una collana che finora non pare sul versante aver incontrato alcun punto debole. La trama, opera di Enoch, è simpatica, si fa seguire, prende i giusti tempi per descrivere personaggi e luoghi nuovi nel più classico numero "di passaggio". Il tutto risulta gradevole, se non fosse che a me la decompressione (classica nel genere fantasy e bla bla bla) mi lascia un po' così, un po' insoddisfatto. L'azione c'è, ma è pochissima. Tutto è un rimirare spazi e immaginare trame future che qui iniziano a piantare radici. Troppe sono le chiacchiere e l'azione vera arriva dopo 80 pagine. Pare di leggere Martin Mystère. Vabbè. La copertina in appendice parla chiaro: il prossimo numero saranno in scena dei draghi. E noi siamo pronti a rimirarli. 
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mercoledì 28 maggio 2014

Waterworld - fra poco compie vent'anni!



Me ne stavo bel bello a ciondolare nel reparto novità home video, pronto a elargire oboli per interessanti titoli in uscita, quand'ecco che mi ritrovo la parete mezza vuota, predisposta ai nuovi arrivi ma destinata a rimanere così, desolata, a causa di qualche macello distributivo - burocratico. Sconforto. Poi ecco che il mio occhio cade lì, su un titolo del 1995, costato all'epoca un botto e riconosciuto nella storia del cinema come un mezzo se non totale disastro ai botteghini. Un b-movie costato 200 milioni di dollari. Un film truzzo come pochi, dalla visione del quale il me stesso del 1995 era uscito ganzamente fiero e soddisfatto, nonostante vivide perplessità del resto della platea. Felice perché ero giovane e inesperto? Un troppo felice? Un comportamento certo così radicale che mi sono convinto che oggi, col blu ray a 4.99 e in mancanza di altro, dovevo fare il più classico dei salti della fede, rivederlo e rivalutarlo con l'esperienza della vita adulta, dissezionarlo, sventrarlo ed esporlo al pubblico ludibrio nel massimo impeto recensiorio-gladiatorio. E così, con già troppi capelli bianchi in testa, eccomi a tornare in un mondo fantastico e futuribile fatto di acqua, di acqua e di poco altro in effetti. Nella speranza di non constatare quanto il me stesso di 20 anni fa fosse solo un pischello che orgasmava per tre o quattro effetti speciali. Me lo sono rivisto. Incredulo. L'ho riapprezzato. In toto. Forse per motivi diversi dal canonico. Ma sono qui a condividere con voi il mio viaggio, nel timore che nel 2015 una nuova edizione per "il ventennale" non la tirerà mai fuori nessuno...


Sinossi: Futuro. Ghiacci sciolti. Mondo coperto d'acqua e popolato da poche persone fuori di testa. Integralisti religiosi che creano una sorta di humus con i cadaveri del "blasfemi e defunti".  Costner è un mutante uomo-pesce che va in giro a petto nudo e villoso, catenazze, conchiglie all'orecchio, pantaloncini fashion e scarponi da sci. Sbarca il lunario barattando roba sommersa, mangiando piantine di pomodori e riempiendosi la bocca di piscio da lui stesso prodotto, riciclato e distillato. Per pescare mostri marini ama farsi inghiottire da loro per poi farli esplodere da dentro. Ama usare le donne come merce di scambio, buttare bambine in mare dopo averle tagliato i capelli con una mannaia, uccide come respirare. Il figo definitivo.
Maschio uomo-pesce alfa con evidente metaforone fallico a corredo e simpatico pendaglio su petto villoso

Jeanne Tripplehorn dopo aver fatto le vere scene di sesso in Basic Instinct è qui "gnocca per famiglie", quella che al protagonista "nun gliela dà", non si spoglia e accompagna una petulante ragazzina bionda con le treccine per istinto materno. Inutile che incediate con il fermo immagine quando fa cadere la spallina, pare che sotto abbia una cotta di Mitril impenetrabile da qualunque sguardo lascivo.

Apettative disilluse per un potenziale atomico al grido di "voglio essere la nuova Bullock!"
Hopper è drogatissimo capo di tizi drogatissimi devoti allo scazzo assoluto. Conciato come Jack Sparrow e con un buffo occhio posticcio da bambolotto, crede di stare girando Easy Rider 2 con gli acqua-scooter e fa cose buffe e pazzesche.

Bella zio, siamo trucidi quanto i Teletubbies! Un giro di Negroni per tutti!!
Tutti cercano la leggendaria Dryland. Costner per farci soldi recuperando il pubblico di pischelle che lo seguivano ai tempi di Robin Hood ma si erano addormentate in sala in tutte le sue recenti pellicole per cercare la sua umanità perduta o, per meglio dire, "annacquata" in un mondo violento. La Tripplehorn per riciclarsi al grande pubblico  come nuova "Sandra Bullock", facendo dimenticare che ha fatto quella nota scena con Michael Douglas e il tavolo per  il futuro e l'umanità in genere (che probabilmente ripopolerà da sola). Hopper perchè è sicuro che dal nome è un posto dove si beve perchè deve trovare un tabacchino per comprare le sighe e la benza della petroliera sulla quale vive sta finendo e quindi per fare le gare di acquascooter ne serve dell'altra, urge benzinaio. Non per spostarsi con la petroliera, bene inteso, per quella, che peserà miliardi di tonnellate e sul fondo presenta pure una specie di montagna incagliata, Hopper preferisce utilizzare dei remi lunghi decine di metri e sospinti dal suo drogato (e presumo fortissimo) equipaggio. La mappa di Dryland è sulla schiena della bambina con le treccine, ma decifrarla pare impossibile anche per i più esperti scienziati moderni, in quanto celata da un criptico e impossibile enigma: per leggerla correttamente bisogna girare il disegno a testa in giù.
Però..che figata:  Come succede ai giorni nostri con le sceneggiature di Damon - Satana - Lindelof, anche nel 1995 uscivano film con cast stellare, scenografie bellissime, effetti speciali rimarchevoli ma scritte con il vero culo, con errori così evidenti e plateali, tanto di logica che di fondo, da scoraggiare anche il più volenteroso degli ottimisti. Waterword nasce come Mad Max sull'acqua (per i mangofili come "Kenshiro sull'acqua"), vengono costruiti ex novo, in un periodo in cui gli effetti speciali non riempiono stanze coperte da blue screen, interi atolli, navi, imbarcazioni, villaggi su palafitte.
Mad Max sull'acqua versione 1995
Dalla fotografia e costumi saranno tratti spunti interessanti anche per opere più recenti di grandi autori (magari opere un po' malate). Il look di Waterworld, la fotografia plumbea, i vestiti cuciti in un modo neo-medioevale è rimarchevole e ha fatto quindi scuola.
Mad Max sull'acqua, versione 2014. trova le 6 piccole differenze.
C'è anche un gusto retrò alla ricerca dei film corsari classici di Errol Flynn, guasconerie miste a combattimenti tra funi volanti e sciabole sguainate, in un periodo storico in cui i Pirati dei Caraibi erano ben lontani dagli schermi. L'azione funziona e pure bene, i luoghi sono iconici, l'intera troupe tecnica sembra urlare al mondo: "siamo dei fighi". Tuttavia lo sceneggiatore è un pazzo, un pazzo assecondato dalla Mayor. La trama de L'Armata delle Tenebre a confronto pare una ricostruzione storica accurata dell'epoca merovingia.  Ma i guizzi sono tanti, l'idea figa, da fumettone, ce l'aveva, magari nascosta ma la teneva in caldo. Ed ecco che l'eroe senza nome di Costner compie atti da vero bastardo che ce lo fanno amare tanto quanto il suo disfunzionale Elvis del crimine di qualche anno dopo. L'uomo pesce scambia donne in cambio di pagine di carta rarissima con su riprodotte pubblicità di tostapane. Butta a mare la bambina petulante come tutti gli eroi di film d'azione vorrebbero fare ma che la morale glielo impedisce. Affetta persone senza troppi problemi. Stermina innocenti (ma in scene buffe, così la gente non ci bada)! C'è purtroppo una sorta di "redenzione in corso d'opera", ma questa appare meno stucchevole di quanto si possa immaginare. Ugualmente concepire gli smookers, l'allegra armata di Hopper, è qualcosa di fuori di testa. In un mondo in cui ci sono zero risorse alimentari sembrano avere un carico infinito di alcoolici e sigarette, benzina a strafottere e nessuna, dico nessuna, voglia di risparmiare le proprie risorse. Non credono nelle energie naturali e rinnovabili e, ribadisco, pur di issare delle vele e stare a pensare a roba complicata come venti e menate varie, sospingono a remi una città galleggiante. A remi!!! In una scena così assurda che anche solo immaginarla pare impossibile. Allo stesso modo non vogliono nuotare e quando preparano un agguato subacqueo lo fanno ancorandosi ai loro fidi acquascooter e munendosi di maschera con tubetto da piscina per respirare ore e ore. Ugualmente sono dei fini tattici che per fare un assalto a un fortino nemico acquatico non pensano al tramonto, alle azioni ninja, la truppa di infiltrazione. Ma a bordo di prodi acquascooter si fanno trainare da un idrovolante per poi attraverso delle rampe saltare oltre le barricate nemiche, roba da decine di metri. E molti di loro non ce la fanno e sbattono sul muro. Ma sono dei dannati geni del male! E Costner-uomo-pesce riesce a fregarli come si fa con i bambini in alcune scene da pura antologia del ridicolo (quella della "mitragliatrice" è da annali della demenzialità umana). Pur tacendo dell'idiotissima, ma tamarra e memorabile, resa dei conti finale.

Tipico attacco stealth di marchio Smookers..

Certo il problema è che questo ben di Dio si associa a un attore che ha sempre fatto ruoli più seri. L'uomo di "JFK" di Stone, il tizio che "Balla coi Lupi", il marinaio di "Sotto il segno del pericolo". Sempre l'attore della commedia sofisticata e dello sguardo languido rivolto alle donne, in cose come "Revenge" e "Robin Hood, principe dei ladri" (Peraltro dello stesso regista, Reynolds, di questa pellicola), lo straordinario "Il mondo perfetto" di Eastwood. Lo ripeto, ai tempi "Costner" era scritto sulla locandina gigante, come "Al Pacino" negli anni '70. Era un marchio. Questo Waterworld l'avesse fatto il mitico Nicholas Cage nessuno avrebbe detto nulla, ma la pellicola si portava dietro il pubblico di Costner, gente raffinata e romanticone che alle tamarrate, in genere, reagisce con schifo. No, Waterworld non è The Road, giusto per citare un film postapocalittico che avrebbe visto Costner credibile. Ma è comunque un cumulo di fesserie e roba che esplode divertente e colorata che, anche grazie ad una colonna sonora azzeccatissima, passa in un lampo e diverte chi riesce a sospendere l'incredulità al punto da ritenere che tutto possa succedere. Ci si aspetta una visione del futuro, un messaggio più profondo del "basta inquinare come gli smookers", ci si ritrova davanti a una favola un po' cupa. Una favola che guardata con gli occhi di un bambino diventa gigante e si imprime giustamente nella testa, nei ricordi. L'azione non è mai troppo violenta, i nemici non sono mai troppo cattivi, l'eroe entra in scena attaccato a una liana e tutti applaudono. La favola è servita. La favola del mostro che è diventato uomo grazie a una bambina. Niente di più a ben vedere, ma quanto basta, se non si aspetta un capolavoro. Per i sognatori. E siamo ancora in tanti.

Dopo 20 anni Costner pesca in modo diverso...

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martedì 27 maggio 2014

X-Men: Giorni di un futuro passato - la nostra recensione


Sinossi: Futuro: Le armi anti-mutanti conosciute come "sentinelle" sono riuscite a sterminare quasi tutti i mutanti oltre a buona parte della razza umana. Come diceva una classica massima borg "la resistenza è inutile". L'unica via d'uscita è tornare indietro nel tempo, al momento in cui l'umanità decise di costruire questi strumenti mortali, per impedirne la creazione. Una finestra temporale che riporta a un preciso momento degli anni '70, nel quale Nixon è presidente e in cui un giovane Professor X (McHavoy) sembra essersi perso in un vortice di frustrazioni e antidolorifici. Mentre nel frattempo Magneto (Fassbender) si trova fuori gioco e Raven (Lawrence) sta iniziando ad appassionarsi troppo al suo lato oscuro. Per tornare indetro nel tempo a livello subconscio "riabitando il corpo di se stessi 50 anni prima" viene scelto il guerriero X-men per eccellenza, l'artigliato Wolverine.
Subito al sodo: Il nuovo film di Bryan Singer è bello, funziona, ricuce con grande attenzione ed entusiasmo tutte le vicende passate dei film degli X-Men e spin - off vari e arriva a rilanciare appieno il brand, già proiettato al prossimo capitolo schedulato 2016. La dimostrazione che quando il materiale di base è tanto buono, un titolo messo forse prematuramente in soffitta ha tutta la capacità di rinascere e riattirare a sé tanto i fan che mai lo hanno dimenticato quanto nuove leve. La conferma che prima del cosiddetto "universo coeso marvel vendicativo" già l'universo X-Men c'era ed era ben formato. Serviva la spinta giusta (l'episodio X-Men - l'inizio) ed eccoci di nuovo a bordo, a sostenere tronfiamente quanto gli X-Men, la cosa più "strana e piagnona" di casa Marvel, non risente di nessun complesso di inferiorità rispetto a saghe più alla moda. E questo per una intelligente e vincente formula che si perpetra da 15 anni: ottimi attori, ottime trame aderenti al fumetto originale, una visione del pubblico pagante non nerd-centrica ma che attira a sé le persone più disparate. Un universo che puntata dopo puntata si arricchisce di più attori e di più suggestioni, migliori effetti e trame più elaborate ma mai troppo intricate a dipingere un unico scenario. Probabilmente tutto questo non lo avremmo avuto se non fosse stato anche per le decine di migliaia di fan che hanno creduto da subito nelle chiappe sode di Hugh Jackman, appassionate che hanno invaso le sale di tutto il mondo, da anni, con una costanza che nessun nerd potrà mai equiparare.

A nome di tutti i lettori e fan degli X-Men, grazie, natiche di Hugh Jackman. L'80% della riuscita del brand è vostra.


Con più parole: C'è stato un tempo in cui realizzare un film sui supereroi non era poi una cosa tanto scontata. Gli effetti speciali non avevano ancora fatto il balzo tecnologico per permettere la perfetta riproduzione di tizi che volavano, si teletrasportavano, spostavano roba, si trasformavano in altra gente. Si riusciva se mai a dare il giusto look o a far fare al super-personaggio almeno una di queste super cose ma fatta bene. Si viveva di atmosfera e kung-fu per i combattimenti. Poi è arrivato il primo grande film di nuova generazione, Matrix. Sì, sì, continuate a pensare che Matrix non sia stato un cinecomic... chiamatelo pure "cinemanga" ma la sostanza non cambia. Da un certo punto i mezzi per realizzare cose complesse iniziarono a farsi vedere. Anche se costavano uno sproposito e George Lucas in genere non concedeva grossi sconti. In quei temi, e siamo nel 2000 a essere pignoli, Bryan Singer, regista giovane ma che nel 1995 aveva già centrato un capolavoro con "I soliti Sospetti", viene messo dalla 20th century Fox al comando di una pellicola sugli X-Men. E siccome i super non tiravano una fava, il budget a disposizione era buono ma non fantasmagorico. Il nostro, perché era ed è tuttora un grande, fece di necessità virtù e arruolò un cast stellare ma ancora non così stellare e una sceneggiatura perfetta. Patrick Stewart, amatissimo capitano Picard della Next Generation di Star Trek, era perfetto sul Dottor X. L'attore shakespeariano Ian McKellen, già diretto de Singer ne l'Allievo e noto per una visione in salsa hitleriana del Riccardo III, perfetto su Magneto. Hugh Jackman, australiano di belle speranze troppo alto e troppo figo per essere Wolverine, ma decretato da subito per il fandom femminile perfetto nel suo fisico asciutto e chiappe di marmo, peraltro ostentate a mo' di marchio di fabbrica in quante più occasioni possibile. Il resto del cast accontenta più o meno tutti. Tanto i maschietti,  presentando le bellissime Rebecca Romijn, Halle Barry, Framke Janssen e la brava Anna Paquin. Quanto le femminucce, grazie al già citato e testosteronico Jackman, al beniamino delle teenager Ashmore e al simpatico (e un po' cagacazzo) Marsden. Buon ritmo, una trama veloce, drammatica e divertente al contempo, un considerevole numero di giovani attori e attrici facevano sorvolare magari sul fatto di fondo, ossia che in un normale numero del fumetto degli X-men ci sono scontri tra decine di mutanti, mentre qui la messa in scena è decisamente più contenuta. A questo si aggiungeva pure la spada di Damocle del produttore Fox che non amava vedere robottoni dei suoi film, e quindi addio Sentinelle. Ma chissene, il film viene così bello, incassa così tanto, che si chiede a Singer un numero 2. Ma siccome i tempi per i super-movie non sono ancora maturi, il budget rimane ancora bassino.  Siamo nel 2003 e nonostante il film sia fico come e quanto il primo, gli effetti ancora più belli e le chiappa di Jackman sempre sode, la sensazione che gli X-men siano sempre in due gatti invece che un esercito pesa. Il successo viene confermato, ma Singer, forse un po' depresso passa al lato produttivo del progetto, e diviene nel contempo produttore di quel best seller televisivo noto come Dr. House. Siamo nel 2006 e Singer scazza. Passa a dirigere Superman Returns lasciando "X-Men conflitto finale" nelle mani di Brett Ratner, il tizio di "Rush Hour" con Jackie Chan, serie di film universalmente riconosciuti come merda e regista del patetico "Family Man" con Nicholas Cage. Il film non viene così brutto come si pensava, anzi è pure ben fatto e con effetti decisamente fighi, ma trasuda autodistruzione da tutte le parti e disintegra (letteralmente!) gran parte del cast. Questo X-Men tre è definitivo, tombale. Fine trilogia. Di contro anche "Superman Returns" non convince, pur essendo anch'esso tutt'altro che un brutto film. Ma gli X-men fan sono ancora lì, vogliono ancora una porzione di quel mondo, ci credono. Vengono nuovamente invocate le chiappe sode di Hugh Jackman ed ecco che nel 2009 "Wolverine - le origini", pur essendo un filmetto bruttarello e buttato lì, roba degna di Steven Seagal, ma tuttavia simpatico, vende. E vende così bene che "X-Men First class" (O X men l'inizio), che tratta della prima squadra di mutanti viene messo in cantiere. Un regista promettente, quello di Kick Ass, Vaughn, nuovi e bravi attori, anni '70 con musiche a tema, bella sceneggiatura, un paio di soldini più del solito. Gli X-men come collettivo, anno domini 2011,  rinascono e vendono altrettanto bene nonostante Jackman vi compaia solo per pochi secondi (ma alle fan basta, probabilmente... forse in Pacific Rim dovevano mettere di sorpresa le chiappe di Jackman, e ora si parlerebbe più concretamente di sequel... la butto lì...). Certo a portare arrapate fan al cinema ci hanno messo un altro figo, Fassbender, e l'ormone fa sempre cassa. Ma pure il sempreverde Jackman con il nuovo titolo della saga mutante in solitaria Wolverine - L'immortale, quasi sulla stessa linea del primo, forse un pelo più divertente ma non troppo, nel 2013 vende! Insomma i presupposti per il ritorno di Singer ci sono ed ecco che questo film prende forma. Ecco che noi pure ce ne interessiamo e fin dall'inizio, dal titolo, facciamo elucubrazioni sul nostro blogghino. E ci abbiamo sempre preso. Anche perchè alla Fox hanno cambiato idea sui robottoni e la voglia di bissare il successo degli Avengers c'è, ed è forte. Ed ecco quindi quello che doveva essere fin dall'inizio ma ora si può fare, merito delle fan, merito degli effetti speciali moderni, merito di grandi attori e ottime sceneggiature. Un X-Men ad altissimo Budget si può fare e lo fanno. I capitoli passati e presenti entrano in risonanza,  praticamente tutto il cast di tutti i film degli X-Men viene richiamato (anche se mancano un paio di miei preferiti, sob), la storia giusta per rendere plausibile il tutto, che esiste ed è nota e amata, viene trovata e ricucita per il cinema, Tutti felici e contenti quindi.
Il più grande attore del momento, poche storie
Ma le novità? Area per gli incontentabili: Peter Dinklage ed Evan Peters. Se amate le serie tv fantasy e horror conoscerete sicuramente "The Game of Throne" e "American Horror Story". Quindi saranno per voi volti noti. Se non conoscete queste serie, vi invito ad andare a recuperarle, anche perché sono autentiche fucine di talenti.  Quando comparve per la prima volta in rete il nome di Dinklage, tutti erroneamente pensarono che fosse stato scelto per impersonare un personaggio di bassa statura, che effettivamente esiste nell'universo degli X-Men. Ma Dinklage è stato scelto da Singer in quanto grandissimo attore e il suo ruolo è quello del dr. Bolivar Trask, uno degli storici grandi nemici degli X-men, l'uomo dietro al progetto "Sentinelle". Un genio con a cuore la sopravvivenza della razza umana, spaventato a ragione da tizi come Magneto che incarnano al massimo il superomismo. Certo non è una persona aperta al dialogo ma Dinklage ne sottolinea l'animo curioso, il senso di responsabilità e quella goccia di pazzia in più prerogativa dei geni. Un cattivo che no si riesce ad odiare del tutto.

Pietro e Wanda Maximov, foto di natale...
Evan Peters introduce il velocista Quicksilver, al secolo Pietro Maximov, al secolo figlio di "tu sai chi" anche se nel film la cosa viene liquidata con un serafico: "la mamma mi ha detto che anche mio padre era un mutante, ma non l'ho mai conosciuto". Evan da vita a quella che è senza dubbio una delle migliori interpretazioni di Quicksilver degli ultimi anni, un Quicksilver carico di stimoli adolescenziali e a cui si può volere bene. Pietro è veloce, spiritoso, un po' con il complesso di onnipotenza che il suo potere bene fa figurare, ma soprattutto un personaggio godibile. Aver così abilmente glissato sul padre e sulla sua ossessione per la sorella ha giovato, ha fatto riemergere la simpatia del personaggio. Le scene che lo riguardano sono senza mezzi termini le più belle del film. Leggere, piene di dettagli, realizzate con stile. Un personaggio di cui vogliamo ancora sentire parlare, di sicuro.
Nello scenario futuro compaiono un sacco di nuovi personaggi, ma lascio a voi la voglia di scoprirli. Sappiate però che le scene che riguardano i loro combattimenti a squadra sono davvero belle, ben realizzate, dinamiche e un autentico sfoggio dei migliori effetti speciali di sempre. Sono altresì scene incredibilmente crude, spietate, disperate, battaglie il cui esito finale è spesso drammatico. Ma danno la giusta colorazione al tutto, divertono e appassionano facendo intuire qualcosa di ancora più estremo per il prossimo capitolo del brand ora in cantiere.
Le sentinelle sono venute particolarmente bene. Sono grosse, inquietanti, aliene e inesorabili nella loro volontà omicida.Tra tutti i mutanti svettano come sempre per onnipotenza il Porfessor X e Magneto, ma tutto il cast ha tempo e modo di mettersi in mostra. McKellen e Stewart si contendono con la coppia McAvoy-Fassbender la palma dei migliori, non solo per l'azione ma anche per i dialoghi, ma il grande collante rimane lui, Jackman, che nuovamente in questa pellicola mostra fiero le chiappe sode in un bel nudo integrale da far rizzare tutta la platea femminile in sala. Jackman è un grandissimo soldato, è l'uomo di spogliatoio fidato su cui fare sempre e comunque affidamento, una garanzia. Anche la Lawrence fa uno splendido lavoro, ma forse avremmo voluta vederla maggiormente su schermo.
Titoli di coda: Tutto il cast svolge un lavoro di squadra sentito, ottimale, senza sbavature. Tutti gli attori coinvolti nella pellicola dimostrano appartenenza e dedizione ai ruoli e fa piacere vedere tante persone che compaiono magari solo per pochi secondi pur di salutare il loro pubblico, pur di rendere grande la pellicola e ancora più amata la saga. Anche ad una lettura più critica non ci sono buchi di trama dal primo X-men a oggi e credo saranno in molti quelli che arrivati a casa avranno la voglia di riprendere in mano le vecchie pellicole per godere di come tutto fili e si integri alla perfezione.  Buona visione a tutti. E rimanete dopo i titoli di coda per il primo sguardo alla nuova pellicola. Certo che circolando da un sacco il titolo della suddetta il contenuto di questo extra non vi stupirà per la sorpera, quanto per la pazzesca presenza di effetti speciali. Se gli Avengers avranno il loro da fare per le future pellicole, anche i mutanti se la vedranno con quello che è decisamente un peso massimo. 
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venerdì 23 maggio 2014

Guardians of the Galaxy - il nuovo full trailer finalmente disponibile anche per i comuni mortali


Ooooh, finalmente! Gli faccio la posta da quando è uscito ma non me lo facevano caricare nel blog per questioni di diritti, embarghi, sudditanze e mazzette varie. Che poi chi lo aveva in esclusiva spesso scriveva due, righe, una banfata, la bulleria di averlo "esclusiva paiura" e archiviava tutto. Senza condire con le solite fesserie che invece qui elargiamo. Pure i trailer hanno logiche di mercato, Strani Giorni cantava Battiato. Perché da nerdacci quali noi siamo, noi che i Guardiani li abbiamo visti nascere prima della formazione del ciclo Annihilition,  la voglia di parlarvi di questo nuovo contenuto gentilmente offertoci (in ritardo) dai Marvel Studios, ce la abbiamo avuta da subito. Naturalmente a partire dalla cosina qui sotto esposta.Ta-dah!


Avevamo visto i bozzetti, ci era sembrata un po' una maschera alla Jason, che in verità lo rendeva, anche in virtù dell'abbinamento con il capponnone lungo,  abbastanza simile ad un altro noto chara marvel che per un po' di tempo ha militato nei Thunderbolts. Invece a vederla qui in azione su schermo, nonostante l'assenza del elmo "asburgico a coprire la nuca" e la "nuova" implementata con una specie di tecnologia di occultamento piuttosto figa (e che ci ricorda che Peter Quillis è comunque un uomo che viaggia su mondi alieni e un qualcosa anche solo per respirare dovrebbe averla...), la maschera-elmo di Starlord spacca.  L'intero personaggio con tutti i suoi bei gadget a razzo e pistole spacca e ci riporta alla sua interpretazione cartacea migliore, quella che assume proprio dal ciclo Annihilition, a eoni di distanza dal totale anonimato che suscita il costume che indossa ora nella serie in edicola.

Starlord, versione Annihilition, mentre fa brutto con le sue bocche da fuoco
Una maschera iconica per un personaggio guascone alla Errol Flynn, più che ad Iron Man simile al mai troppo elogiato Rocketeer, personaggio non appartenente alla Marvel, nato negli anni '80 con squisite vocazioni vintage e che incarna alla perfezione l'eroe anni quaranta, un po' Indiana Jones, un po' Dick Tracy, un po' Flash Gordon. La maschera gli dona un look da "soldatino di piombo", un po' anonimo e un po' sfigato anche perché di fatto, nonostante sia il capo di una squadra bad-ass lui è il membro più debole, più sfigato. Starlord non è solo eroico in modo classico "nei limiti", è anche impacciato quanto Spiderman, bullo quanto Deadpool e l'attore scelto per la parte pare aver capito alla perfezione il suo ruolo. Mancava la maschera, che gli conferiva la migliore espressione da "scemotto" (anche in contrapposizione a un attore molto aitante), cosa su cui i feticisti del fumetto speravano poco ma che miracolosamente qui appare dal nulla. E tutti sono felici.


Rocket Racoon è un'altra bella sorpresa e Bradley Cooper è riuscito in pieno, con il motion capture a rendere al meglio un personaggio che nonostante sia un procione e paia un pupazzo teneroso è un terribile e disincantato artigliere. Un duro che ci pare buffo solo perché appartenente a una razza aliena buffa. Un figo che qui nel trailer vediamo fiero e grezzo sistemarsi il cavallo dei pantaloni mente incede con movenze da autentico macho. Un personaggio tostissimo di cui vedremo presto una marea di action figures. Altrettanto convincente appare Groot, gigante buono "interpretato" da Vin Diesel che in un istante ci riporta alla sua performance nel bellissimo e tenero Gigante di Ferro. Gmoor è un barbalbero che a vederlo non ti incazzi (unico nella sua specie...), ha animo gentile, offre fiorellini, crea momenti lisergici alla "Frozen", ma all'occorrenza sa tirare fuori gli artigli o, per meglio dire, le spine. Le scene che vediamo in cui Groot e Rocket combattono insieme sono un puro spettacolo.


Gli altri personaggi risultavano già ben definiti-definitivi nel precedente trailer. Gamora è perfetta, anche  se nel fumetto ha un'aria più cinica e cattiva non ci sentiamo di dire nulla sulla bellezza e carisma dell'attrice che la interpreta. Anche se sono un fan di Dave Bautista, avrei visto più grosso (umanamente impossibile, diciamo realizzato in cga) il suo Drax, magari con una colorazione più cupa e maggiormente in evidenza la zona del contorno occhi, che nel fumetto pare quasi una maschera rossa. Curioso non abbiano utilizzato Diesel per Drax, considerando che il suo Riddick (parliamo sempre della interpretazione del ciclo Annihilition, prima Drax appariva come una variant di Visione degli Avengers, una variant bruttarella...) è stato il modello di tante tavole del personaggio (insieme al digitale Kratos di God of War). Tra una scena e l'altra vediamo apparire anche il mitico Ronan L'Accusatore, uno dei più famosi Kree (razza a cui apparteneva anche Capitan Marvel), figura fondamentale nell'universo Marvel e che, siamo sicuri, farà altre apparizioni nell'immediato futuro. Curiosamente mancano all'appello i Nova Corps e mi chiedo come la cosa sia possibile. Ma forse non li ho notati o saranno introdotti con differenti meccaniche (di fatti anche nel recente sono stati oggetto di un periodo di ricostruzione interna). Astronavi bellissime, una colonna sonora che appare fighissima da subito. Tutto è nelle mani di James Gunn. Abbiamo un po' paura per questo, ve lo abbiamo esternato anche in nostri recenti post. Il ragazzo è bravo, in grado di dirigere film perfetti con attori ed effetti speciali come Slither.  Ma è spaventosamente scostante. Agosto non è poi così lontano, anche se, devo dire, prima di allora abbiamo le sale gremite di un considerevole numero di pezzi grossi. Di sicuro non ci dimenticheremo di seguire le evoluzioni di questi Guardiani della Galassia.
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giovedì 22 maggio 2014

Il giardino delle parole, Kotonoha no niwa di Makoto Shinkai, recensione


Takao è un ragazzo timido e un po' introverso che frequenta le superiori. Una famiglia un po' disastrata ma felice, una grande passione per la creazione delle scarpe. Takao ha un suo luogo speciale. Nelle giornate di pioggia, saltando la prima ora delle lezioni, si reca presso un giardino giapponese vicino alla sua scuola, a osservare sotto una panchina con tettoia lo spettacolo dell'acqua che sfiora la lussureggiante natura del luogo. Qui con il tintinnare dell'acqua a fare da sfondo trova la pace e la concentrazione giusta per disegnare i prototipi di scarpe. Un giorno presso le panchine del parco Takao incontra una giovane donna, affascinante e misteriosa intenta a leggere libri. Già dalle prime ore del giorno la donna beve birra, accompagnandola con della cioccolata. Veste elegante, indossa bellissime scarpe, ma che in qualche modo le stanno scomode. Takao al primo sguardo pensa che sia la creatura più bella del mondo. Poi i due si parlano, Takao pensa di averla già vista da qualche parte e di rimando la donna gli risponde con i versi di una poesia (questo ha a che fare anche con il titolo del film, ma non vi faccio spoiler). Un messaggio che Takao da subito non comprende ma che inizia a far sedimentare tra i due un rapporto. Ogni volta che scende la pioggia, e dal giorno dell'incontro di fatto si apre in Giappone una piccola stagione delle piogge, Takao e la donna misteriosa si incontrano nel parco. Si scambiano poche parole ma con il tempo l'uno diventa sempre più indispensabile per l'altra. Lui non conosce nemmeno il nome d lei, ma nemmeno lo chiede, nella paura che tale rivelazione possa rompere la loro complicità. Lei fa altrettanto, gode della compagnia del ragazzo, ma non si sbilancia per paura di perderlo o affrontare una relazione che potrebbe essere difficile, "chiacchierata". Fino a che qualcuno, o il semplice caso, abbatterà del tutto il silenzioso modo da loro costruito.


Makoto Shinkai è un giovane e talentuoso regista, per molti destinato a riscrivere la storia dell'animazione giapponese. Nel 1999 realizza un riuscito, simpatico e tenero corto, "Lei e il suo Gatto", poi nel 2002 realizza il suo primo capolavoro, l'oav "La voce delle stelle". Questo piccolo film di pochi minuti ottiene un grande e meritato successo internazionale per la sua peculiarissima struttura e realizzazione. Un'opera per la cui realizzazione non dorme per un sacco di tempo.

Il regista lavora un botto con di solito pochi collaboratori, e qui ha l'aria un po' stremata.Il gatto lo fissa perplesso
Un'opera semplice ma profonda sull'amore e sulla distanza dalla persona amata, condita nella più classica fantascienza robotica, che cita Gainax ma che sa essere originale. Un'opera che pare frutto di un grosso ed esperto staff, di un sapiente sceneggiatore e affermato regista, ma che Makoto Shinkai realizza interamente da solo, esordiente, nel suo piccolo studio. Ripeto: da solo. Un esempio di maturità artistica sconvolgente, un'opera bellissima da vedere, con una trama malinconica e personaggi ben caratterizzati, il cui messaggio rimane scolpito negli spettatori, che si sono segnati il nome del regista e ora sono desiderosi di nuovi lavori.  Shinkai nel 2004 realizza il suo primo lungometraggio, "The place promised in our early days", una splendida elegia sulla voglia di spiccare il volo, e già qualcuno lo considera un nuovo Miyazaki.

Prima immagine de Il giardino delle parole  in concorso per il Tarantino's foot fetish award, categoria dream
Nel 2007 poi arriva la sua opera più personale, manifesto e sintesi della particolare poetica di questo artista, "5 cm per second". Una storia d'amore e distanze (di nuovo), quando la voglia di diventare grandi o la vita ci portano lontano dalle persone che amiamo. Dove la bellezza di un attimo di felicità si può misurare con la velocità di 5 cm al secondo, il tempo che un petalo di ciliegio impiega per staccarsi dall'albero nel massimo momento di fioritura per poi cadere al suolo. Affiancato nella realizzazione da un piccolo staff, con il quale condivide la sua abitazione-studio come un gruppo di studenti in affitto, Shinkai trova l'ambiente ideale per sintetizzare la sua poetica. Il suo amore nel ritrarre stazioni ferroviarie, passaggi a livello e gli alti palazzi di Shibuya (palazzi immensi ma non troppo distanti mai dalla casa in cui vive), alle cui pendici-aliene estremità possono arrivare solo corvi in volo. Luoghi a lui cari per la sua vita da pendolare squattrinato, perennemente in viaggio ma affascinato-intimorito dalla grande città, al punto da poterla vedere solo dal basso, magari con i piedi ben piantati nel verde di un prato (ma in molte sue opere c'è il desiderio di andare verso l'alto, volando come i corvi, appunto, un po'come le colombe per John Woo). Qui ritorna la sua ossessione-paura per il tempo che scorre, per le parole non dette, per amori mai sbocciati per timidezza, segnali di un artista sensibile, incline alla solitudine ma che sa che il tempo è in grado di aggiustare le cose, il tempo o un luogo diverso (perché per Shinkai spazio e tempo sono spesso la stessa cosa). Un artista per lui la "felicità si suda" e non sempre arriva. Qui afferma inoltre la scelta di lasciare in silenzio le animazioni, lasciandosi trascinare magari dai rumori della natura o dalle canzoni,  note in sottofondo per lo più di brani conosciuti (e la musica sa essere potente quanto serve, ricordate I can stop lovin' you in Metropolis di Rin Taro?). Luoghi urbani ma rurali in minima parte, il tempo ad ordinare-sconvolgere il tutto, la musica per ascoltare il silenzio, l'amore. Magari l'amore effimero di un momento, lo sguardo rapito da una ragazza che ci sorride, l'amore che domani non ci sarà, ma comunque l'Amore. Con 5cm per second Shinkai diviene  uno dei più grande cantori orientali "dell'amore che viene racchiuso in una piccola bolla di tempo", al pari di Wong Kar-Wai (In the mood of love, 2046, ma anche nell'ultimo The Grand Master), al pari di Kim Ki-duk (Ferro 3, L'isola, L'arco, Primavera, estate, autunno, inverno..e ancora primavera, film che a giorni alterni trovo divini o pesantissimi...). E l'aspetto bello di Shinkai è che questo gli riesce con una naturalezza pazzesca, con una genuinità e onestà totale. Nel 2011 l'autore è alle prese con la sua più grande produzione, Viaggio verso Agartha, film meraviglioso funestato da noi da una edizione Kaze semplicemente indegna, un autentico insulto ai fan degli anime italiani (e di cui parlerò volentieri quando qualcuno avrà voglia di portare da noi una versione degna e curata come si deve).

Seconda immagine in concorso per il Tarantino's foot fetish award, categoria touch
Nel 2013 arriva "Il Giardino delle parole". Shinkai torna ai fasti di "5cm per second" per raccontarci però una storia diversa. Si affida nell'ispirazione alla canzone Rain di Motohiro Hata, classicone giapponese anni '80, per inquadrare al meglio le vicende e dare il giusto effetto amarcord. Sceglie sempre di parlare d'amore. Sceglie di affrontare un tipo di relazione inconsueta, il difficile e strano rapporto che si instaura tra un giovane ed una persona adulta.

Motohiro Hata - Max Pezzali nipponico
Uno scambio di attenzioni che si racchiude in un momento effimero quanto lisergico, scandito dal cadere della pioggia in quello che è un piccolo paradiso terrestre a due passi dalla routine-vita, al di sotto dei palazzi ma ben distinto da loro, protetto da una barriera verde e da gocce che provengono direttamente da oltre il grigio, dal cielo (...più che la passione della verticalità, alla spinta verso l'alto- futuro dei personaggi visti nelle sue opere passate, andiamo qui all'opposto, nella preservazione dell'attimo, come se la pioggia cercasse di fermare il tempo andando in senso opposto ai palazzi-futuro-volo-corvi... ma qui è chiaro che sono un po' brillo, e sto forse vaneggiando...). Il contatto tra i due personaggi avviene per la passione delle scarpe del ragazzo che si trasforma in amore per la donna quando tocca, quasi di sfuggita e professionalmente (ma con chiaro erotismo), i piedi della sua affascinante compagna più grande per poterne studiare l'anatomia. L'atto di costruire le scarpe si trasforma anch'esso in un atto d'amore, un amore altruistico, lavorare per fornire la giusta spinta a reagire, ad andare avanti. Scarpe destinate con affetto a una persona che non riesce più a camminare da sola, che traumatizzata dalla vita si ritrova a scappare, rinchiudersi in un angolo di pace. Il film colpisce e lo fa con questi pochissimi elementi, tutto il resto della rappresentazione è autentica poesia, suoni, colori. Un ramo che carico d'acqua si bagna in un laghetto, le goccioline di pioggia che si infrangono al di fuori del vetro di un treno all'albeggiare di una bella giornata (che nella logica del racconto è "brutta"... mi ricorda Dellamorte Dellamore di Sclavi, quando il protagonista felice di un futuro temporale guarda il cielo e sorride dicendo "il maltempo si è rimesso"), il fumo che sbuffa dalla pentola con la pasta e i coltelli che tagliano verdura colorata prima di un pasto insieme. Non serve altro, è tutto misurato alla perfezione e della trama non voglio dirvi altro, per non rovinarvi la sorpresa in sala.
Ecco, dovreste vedere in movimento questa animazione per capirne la potenza, la voglio sul desktop...
Dynit porta nelle sale e presto in home video "Il giardino delle parole" con una formula intrigante, direttamente presentato dal suo autore, anticipato da un corto e seguito dal making of dell'opera. Un modo decisamente originale per portare al cinema un film che da solo durerebbe solo un'ora. Bello il corto, realizzato per una specie di "salone del mobile nipponico". Una piccola storia famigliare che parla di affetti e distanze nel classico stile del regista e che risulta piacevolissimo. Interessante vedere come per realizzare al meglio l'arte del calzolaio lo staff sia andato ad un vero e proprio corso intensivo. Sempre interessati le interviste al cast.  Ma piccola critica, vedere dopo il film 17 minuti di making of e poi 6 dico 6 minuti di storyboard, pur commentati, è una cosa interessante, utile alla comprensione come un buon mini cine-forum... ma un po' pesantina. Una scelta comunque coraggiosa che non ha fatto desistere dalla visione gli spettatori in sala, almeno non tutti.
Questo è il secondo film proposto da Nexo-Dynit che vedo al cinema. Alla passata Comicon di Milano Carlo Cavazzoni di Dynit aveva chiesto al pubblico cosa ne pensasse dell'esperienza degli anime in sala, se gli fosse piaciuta l'esperienza. E lì silenzio glaciale. Volevo parlare della mia esperienza durante la visione di Evangelion 3.0, ma non sapevo bene come mettere giù la questione. La sala era gremita ma quella non era la visione di un film, era un autentico nerd-pride in mano a scimmie urlatrici dove le persone interessate a vedere il film (leggi: "quelle che non l'avevano ancora visto", quei sei) erano nella totale impossibilità di goderlo a causa di continui schiamazzi, coretti, gare di rutto e fastidiosi led dei cellulari, costantemente accessi nel più totale menefreghismo delle persone che siedono dietro di loro, abbagliate a morte. Un girone dantesco fatto da persone che in sala non sembrano venire mai, o che almeno io non ho visto mai, e di conseguenza si comportano come bambini di seconda elementare in gita all'acquario. Persone che per la prima volta fieramente "marcavano il territorio". Di sicuro l'emozione di "vedersi insieme" e "contarsi", del vedere tanta gente condividere la propria passione dona gioia ed euforia all'evento. Lo spirito giusto forse è questo, ma io sono troppo vecchio. Pertanto avevo giurato che io della partita non ci sarei più stato, se anche sono felice di vedere i miei amici vado al bar con loro dopo la visione e non rompo i coglioni all'interno di un cinema. Questo era stato Evangelion 3.0 al cinema. E, preciso, nel cinema dove sono andato io. Con "Il giardino delle Parole" mi sono trovato in una realtà del tutto diversa, vuoi anche per la diversità della pellicola. Un nutrito gruppo di appassionati tutti felicemente radunati, educati e contenti di apprezzare in tranquillità l'opera. Un piccolo paradiso di pace similare a quel piccolo parco coperto nel verde dove vengono ambientate le vicende del film. 
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Tarantino approva questa pellicola per ovvi meriti artistici

mercoledì 21 maggio 2014

Doubt di Yoshiki Tonogai


Rabbit Doubt è un gioco per smart phone molto popolare in Giappone.  I concorrenti interpretano dei simpatici coniglietti (debitamente personalizzabili) alle prese con un terribile lupo che si nasconde tra di loro, scelto a caso dalla sorte tra i giocatori a inizio partita e rigorosamente segreto. Un lupo che punterà a  divorarli uno a uno, a meno che il gruppo non riesca a smascherarlo ponendo termine alla partita. Attraverso l'analisi del comportamento dei giocatori durante dei mini-giochi (tipo domande a risposta multipla), il gruppo potrà avere occasione di capire chi impersona il predatore in quanto il lupo ha lo scopo di far fallire tutti i giochi (e far perdere i relativi punti ai giocatori, che invece passano a lui) ed è l'unico che conosce la soluzione dei giochini. Una volta terminato un turno, il gruppo si coalizzerà contro il giocatore che appare come il lupo più papabile, condannandolo a morte per impiccagione. Se l'impiccato non era il lupo il gioco prosegue con i restanti giocatori.
Questo più o meno è il regolamento dei gioco di società "protagonista" di questo manga di Yoshiki Tonogai. Un gioco che nelle premesse pare una favola malata medioevale uscita dalla mente di un pazzo, ma che ho comunque constatato esistere ed essere distribuito sul mercato, in varie forme, anche nel nostro paese, tra cui il molto similare gioco Lupus in Tabula.
In Lupus in Tabula c'è un gruppo di uomini tra cui si nasconde un licantropo, ma il succo è più o meno lo stesso e se avete almeno un po' di amici (un sacco di amici, mi pare ne servano minimo 8 o 9...) vi consiglio di provarlo. Ma torniamo a noi.
Dicevamo che Rabbit Doubt è un gioco molto popolare nel Giappone del racconto, al punto da aver creato una grossa rete di appassionati che si sfidano costantemente e che magari ogni tanto decidono di incontrarsi a qualche raduno. Yu è uno studente assiduo giocatore de Rabbit Doubt, il classico tipo timido ma acuto, generoso e un po' irresponsabile, ideale protagonista di un manga a tematica thriller. Yu sta andando a un raduno di giocatori quando gli viene incontro Mitsuki, sua compagna di classe, insostenibile cagacazzo piagnona tipica anch'essa di un manga a tematica thriller. Ma non solo! Mitsuki è affetta da una sorta di giustizialismo malato che la spinge costantemente a rimbrottare il prossimo (conosciuti e sconosciuti) citando articoli di legge tipo "non si fuma (in Giappone) prima dei 21 anni", "non si beve in Giappone...", "non si sta troppo vicino o è molestia sessuale". E spesso accompagna tali citazioni con pugni, sberloni e quant'altro alla diretta attenzione di chi commette la tale infrazione. Un autentico miracolo che una persona del genere sia ancora viva. Mentre Yu aspetta i giocatori è subito chiaro che Mitsuki non vuole andar via e che quindi ce la sorbiremo per il resto della storia, aspetto che farà desistere i meno coraggiosi-masochisti dal perpetrare la lettura del manga. Alla spicciolata arriveranno poi all'incontro Eiji, Haruka e Rei. Eiji è un sociopatico in grado di venire alle mani se gli chiedi se può dirti l'ora, Haruka ha tutta l'aria della ragazza "vissuta", tanto sexy quanto pericolosa, Rei è una timida ragazza sulla sedia a rotelle. Manca Hajime a completare il gruppo, il giocatore più bravo e riflessivo, ma i nostri decidono di andare comunque a divertirsi al karaoke.
Ve li ho descritti, in 6 secondi mi sa che riuscite a collegate nomi e volti...
Peccato che dopo i primi momenti di gioia succede qualcosa di strano. Eiji scompare in bagno e Yu, andatolo a cercare, viene colpito alla testa, con una chiave inglese, da una figura che indossa una inquietante maschera di coniglio.

Il risveglio di Yu è traumatico. Si trova in uno scantinato fatiscente degno del film Saw L'enigmista. Dietro a una porta, un'immagine agghiacciante. Qualcuno ha ucciso il primo giocatore. Qualcuno che vuole giocare con il gruppo di Yu a Rabbit Doubt ed è intenzionato a uccidere, realmente, tutti i partecipanti uno alla volta. La caccia al lupo è aperta.
Non conoscevo Doubt di Yoshiki Tonogai, così ho pescato in fumetteria il primo numero di Judge, il suo manga successivo, con il quale condivide più di una suggestione, prima fra tutte l'utilizzo ai fini della trama di enormi mascheroni di animali, per lo più deformi e parecchio inquietanti-carismatici. Devo ringraziare anche la mitica Acalia Fenders di Prevalentemente Anime e Manga per avermi incuriosito con un suo post su questo manga, non nuovo in fumetteria ma che è possibile in effetti ordinare e ricevere in breve tempo, visto che ancora tranquillamente in catalogo per la J-Pop.
Mi piacciono i thriller, la caccia all'assassino, i contesti più malati da torture porn alla Saw fatti di giochini e colpi di scena. Così Doubt ha fatto subito presa su di me, nonostante una messa in scena che all'inizio è più ludica che emotiva, dove più che le motivazioni è tutto un ragionare su chi può o meno agire indisturbato come lupo. In fondo tutti possono essere il lupo ed emotivamente non c'è nessuno che ci piaccia particolarmente all'inizio. Ma è solo l'inizio, appunto, a essere spompo. Il manga ha fascino e cresce di numero in numero confondendo le carte nelle aspettative così come nella caratterizzazione dei personaggi, al punto che se ho messo un bel po' a terminare il primo volume, ho letto di volata i restanti tre in un paio d'ore. Ho provato anche un po' di angoscia quando alcuni personaggi sono "fuori scena", magari in balia del lupo e questo è un aspetto da non sottovalutare in un thriller. Il finale può starci e molti giallisti probabilmente ci prenderanno, ma l'autore riesce bene a mischiare  e a spiazzare. A me non è piaciuto tantissimo, ma non è così male.  Quello che colpisce di più è invece la realizzazione grafica. Il disegno è semplice ma "cool", gestisce al meglio personaggi, solo apparentemente canonici, descrivendo con precisione movimenti e angosce  e calandoli in una precisa, spietata e geometrica ambientazione, uno spazio bianco infinito che in un attimo si carica di dettagli oscuri e inquietanti, tra sedie da tortura, armi da taglio e corde da impiccato che cominceranno a comparire ovunque. Un simpatico inferno in miniatura dove è comunque possibile perdersi e dove ogni angolo regala inattese sorprese. Allo stesso modo gli oggetti, le armi, sono dettagliatissimi fino allo sfinimento, ricordandomi in qualche modo Kenichi Sonoda (ma qui ci sono meno tette purtroppo...). Ugualmente gustose le copertine, che riproducono i nostri eroi-conigli in pose tanto "classiche" quanto inquietanti. Un buon biglietto da visita per le future opere di Yoshiki Tonogai, tra cui appunto Judge, di cui per ora sono usciti 4 volumi dei sei totali. Anche in questo caso aspetterò che il manga sia ultimato per la lettura, per non barcollare nel buio tra strani testoni di animali antropomorfi a farmi da incubo.
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martedì 20 maggio 2014

Dawn of the planet of the apes ("Revolution") - nuovo trailer

Dopo mooolta attesa (vi rimando al nostro vecchio post sugli scimmioni per approfondimenti circa la saga), eccoci giungere al nuovo grosso aggiornamento riguardo all'atteso blockbuster scimmiesco amato da grandi e piccini.  Considerando che avevamo visto finora sì e no dieci secondi, pur sufficienti per farci apprezzare il fighissimo look "da guerra" dei simpatici primati, adesso possiamo già valutare dove il film voglia andare a parare. Ma dal materiale che segue mi pare si veda "fin troppo" e quindi avverto in anticipo chi non vuole alcuni tipo di anticipazioni del forte rischio di venire a sapere molti aspetti della vicenda. Bene, ora la metto già professionale, accendo il megafono  e dico: QUESTO TRAILER PUO' CONTENERE SPOILER TIPO GIGANTESCHI SU DOVE IL FILM ANDRA' A PARARE. VISTO CHE GIA' QUALCUNO VE LO METTERA' A TRADIMENTO AL CINEMA E VOI, INERMI CUCCIOLI, DOVRETE SORBIRVELO, ALMENO QUI VOGLIAMO TUTELARVI DANDOVI LA SCELTA SE VISIONARLO O MENO. E NON DITE CHE NON VI VOGLIAMO BENE!   Bene, se siete ancora qui avete deciso di  metterla in quel posto al sistema, visionare il trailer e desistere dal proposito di non accendere la televisione o andare al cinema per mesi temendo eventuali spoiler. Vedrete che la vita sociale sarà migliore. Ora preparate il popcorn al micro-onde (a me il pop corn ha distrutto 3, dico 3, micro-onde... passerò alle patatine semplici...), il barile di coca cola e gustatevi queste esaltanti features!


Sì, già vedo la delusione del fan storici, quelli che pensavano che dopo la rivolta le scimmie avessero provveduto a confezionare per tutto il popolo vestitini degni di Star Trek glitterati e a collo alto. Piango insieme a voi il vostro dolore e spero che il capitolo della "mega-sartoria" sia stato solo momentaneamente posticipato. Anche i lavori per l'abbattimento della Statua della Libertà paiono proseguire un po' a rilento in effetti. Quelli che invece non badano a questi dettagli possono ammirare la nascita del primo nucleo di scimmie evolute, la forza e gentilezza del grande Caesar (dietro cui c'è sempre il mitico Andy Serkis) e gli albori del primo conflitto armato serio uomini - scimmie. Credo che l'aumento del costo delle banane in qualche modo abbia influito al tracollo degli eventi.
In linea con il primo capitolo del reboot possiamo apprezzare l'incredibile lavoro svolto dalla computer grafica e le immagini proposteci fanno di tutto per farci pregustare un lavoro che già appare più articolato e complesso. Le scene d'azione appaiono già da qui belle grosse e cattive e aumentano di certo l'asticella del gasamento. Non è stata sacrificata nemmeno la linea emotiva, fiore all'occhiello del primo film e a ben guardare sotto-testo di tutta la saga. Scimmie e uomini si odiano, ma non fino in fondo, risultando le seconde spesso molto più clementi dei bipedi senza peli. Dietro l'angolo pertanto la possibilità che tali scene inter-specie possano risultare troppo melense, pericolo fugato dall'ottimo lavoro del regista del reboot (ingiustamente defenestrato) ma che qui, in "mani nuove" può in qualche modo ripresentarsi. Ancora non mi sono chiare le logiche che muovono le grandi major (tipo chiamare a dirigere Amazing Spiderman un tizio che si chiama Webb...), ma davvero non capisco perché hanno qui oltre al regista che ha rilanciato la serie, defenestrato anche James Franco dopo l'ottimo lavoro da lui svolto nella prima pellicola e l'importante legame che univa il suo personaggio con Cesare. 
Lo rimpiazzano nel cast degli "umani" la sempre carina Keri Russell di "Felicity", un Gary Oldman che non è più come un tempo una garanzia (ma quando fa teatralmente il mostro o il predicatore pazzo rimane insuperabile, io lo metterei in pianta stabile a fare roba tipo "Dracula contro Frankenstein" o "Il mostro della laguna contro bambola assassina" ma film così non li fanno più) e alcune facce nuove o quasi. Del resto Matt Reeves fa parte dell'ondata di sceneggiatori (suo Felicity ma anche la sceneggiatura di "Trappola sulle montagne rocciose") di J.J.Abrahms che diventano registi, il prossimo sarà Orci su Star Trek Cap.3. Il trend è quello ora, dopo che il trend dei registi Pixar assegnati al cinema live-action non ha spaccato troppo i botteghini. Mode. Ma se uno, il regista Rupert Wyatt al secolo, ti resuscita un brand dato per morto e sepolto, con classe e grossi incassi, un minimo di riconoscenza sarebbe stata per lo meno "dovuta". Vabbeh. Speriamo bene. L'attesa sta finendo e presto saremo tutti scimmiati all'idea di andare in sala a vedere questo film. 
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lunedì 19 maggio 2014

I libri del mese

Eccomi tornato a qualche mese di distanza dall'ultimo appuntamento. Vi sono mancato? Non credo. A ogni modo sono stato molto occupato, oltre che a leggere per voi, anche per ritirare in tutto il mondo numerosi premi dedicati alle migliori rubriche letterarie della storia. Questo per far capire che tengo ai miei lettori, ma anche ai premi. Detto questo, ho molta carne al fuoco...


"Le ceneri di Angela", classico moderno dello scrittore di origini irlandesi Frank McCourt, primo libro, vincitore del Pulitzer e capolavoro assoluto; romanzo autobiografico sul ritorno dell'autore in Irlanda dopo l'infanzia trascorsa in America, tra povertà, primi lavoretti, scuola e amicizie. Da leggere assolutamente se cercate un libro facile, ma ricco e che al contempo possa rendervi fighi agli occhi dei vicini di casa... "Sai, ho letto le ceneri di Angela..." "Ma dai? Quanto sei intelligente! Io un libro con un titolo così non riuscirei neanche ad aprirlo!"




"Il superstite" di Wulf Dorn, scrittore tedesco conosciuto in Italia dopo il successo del suo primo romanzo "La psichiatra", L'autore ritorna a occuparsi dell'ambito che meglio conosce, ovvero quello della psichiatria, ambientando il suo romanzo in una clinica in cui è chiamato a lavorare Jan Forstner, unico sopravvissuto a una tragedia familiare avvenuta molti anni prima. 
Come molti romanzi del nord Europa, mantiene una scansione con capitoli molto brevi, adatto a una lettura con poco tempo a disposizione. Non sto pensando solo al bagno!. Il romanzo scorre via, ma lascia poco e credo sia destinato a essere dimenticato in breve tempo. Il precedente era sicuramente più riuscito.

"Staship troopers" di Robert A. Heinlein. Andrebbe letto anche solo per il fatto di aver ispirato il lungometraggio di Verhoeven. Dico ispirato, perché chiunque lo acquisti con l'idea di trovarsi tra le mani praticamente la sceneggiatura del film potrebbe rimanere deluso. Il libro è datato 1959 (!!!) e segue la carriera di Johnnie all'interno della fanteria spaziale, unità militare nata con l'intento di difendersi e/o muovere guerra a creature aliene (aracnidi ma non solo). 
Johnnie inizierà come semplice fante, ma mostrerà presto di avere la stoffa per diventare un ufficiale e poter quindi comandare un numero via via sempre maggiore di unità sul campo. Capolavoro della fantascienza, che presenta innovazioni tecnologiche come esoscheletri potenziati, navi da guerra e armi atomiche portatili. Heinlein è un genio e credo che leggerò la sua opera omnia in breve tempo!

"Ronnie - giorni e notti dei Rolling Stones", autobiografia del chitarrista degli Stones Ron Wood, dalla nascita agli esordi fino all'ingresso di quella che è tuttora una delle band più importanti della storia della musica. Libro entusiasmante, che ripercorre una carriera pazzesca, dai tour con Jeff Beck e Rod Stewart, alle serate passate a suonare in cantina con Clapton, Mayall, Bob Dylan e tutti i più grandi musicisti della scena internazionale. 
Si scoprono altarini come scambi di fidanzate tra chitarristi o litigi a bordo di un pulmino troppo stretto per contenere l'ego spropositato di tante rock star. E mentre si scopre che le controvoci di "It's only rock and roll" sono di Bowie, si viaggia tra droga e alcol sul palco degli Stones e di tutti i loro memorabili concerti. Da consigliare per chi ama la buona musica.

venerdì 16 maggio 2014

Transformers: age of extinction - nuovo fiammante trailer!


Potevamo mancare di uppare, fresco fresco, il nuovo arrembante trailer dell'ultima opera del vate della distruzione rallentata non-sense Michael Bay? E allora eccoci qui a sperticare giusti elogi per il monte di aspettative appagato da pochi semplici minuti elargitici dal sommo in medio tempore di maggio. Volevamo vedere di più del nuovo Optimus Prime a cavallo del t-rex transf Grim-Lock? Abbiamo una sequenza da orgasmo multiplo. Volevamo sapere di più della spada spaziale alla Conan che Mark Wahlberg impugnava in quelle immagini rubate dal set? La spada c'è, e Wahlberg, come è giusto che sia in un film di Michael Bay, la impugna come fosse un mitragliatore.
Volevamo vedere più cattivi e magari qualche attore vero? Abbiamo uno strano transformer nero, tante nuove astronavine e Stanley Tucci. Volevamo di più delle classiche scene della serie, ossia gente che salta e scappa mentre cadono dei palazzi? Abbiamo pure quello. Ma non facciamo i cinici ora, pensando in errore che al cinema ormai non potremmo vedere più di così, perché dal nulla ti spunta il nuovo transformer barbuto che pare David Gnomo e manda la folla subito in delirio. Michael Bay appaga il palato, migliora la ricetta con una nuova salsa, tira fuori il nuovo McTransformers sempre uguale e sempre diverso. E questa volta, per venire incontro a chi ha problemi di digestione, pure "Shia LaBeouf free". Sempre un film di "robe che si menano" diranno i più, ma per gli appassionati IL film di "robe che si menano". Quello da non mancare il 26 di giugno cascasse il mondo. Quello di cui vi parleremo doverosamente ancora e ancora, fino all'arrivo dei pupazzi e del blu ray. E chi ha mai detto che il cinema è in crisi di idee?
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