lunedì 22 maggio 2017

Codice Unlock - come amare un B - movie ed elevarlo a cult per il solo fatto di detestare Orlando Bloom




- Breve sinossi: Alice Racine (Noomi Rapace) è un agente segreto con sul groppone un attentato terroristico non sventato un tempo. Il suo mentore, Eric Lasch (Michael Douglas) sa quanto vale e la prepara per una nuova importante missione. Londra, c'è una cellula terroristica che potrebbe far partire un attentato biologico da un momento all'altro e solo Alice può impedirlo, perché per una serie di sfighe spionistiche è l'unica che parla il dialetto arabo giusto, conosce il Corano e la sua corretta interpretazione e sa condurre un interrogatorio con l'unica persona che potrebbe dare le informazioni utili per sventarlo, fornendole una parola in codice. Alice prende i contatti, si reca in logo, interroga, scopre quello che deve scoprire e va in pausa caffè. Gli agenti nella stanza accanto all'interrogatorio chiedono dettagli, ma lei dice "Fatemi controllare gli appunti del liceo per sicurezza, datemi un minuto per andare in bagno, telefonare a casa, bere un succo all'albicocca e sono da voi". Lavoro liscio, autostima a palla, Alice chiama Emily (Toni Collette), sua amica e capo di Londra per sparare due puttanate sulla pioggia di Londra e la scoperta del pilates quando, sorpresa, l'amica si incazza. "Dove sei finita? Gli agenti chiamati per l'interrogatorio non ti hanno ancora vista, sei da Harrods a prendere orsetti?". E quindi tutto si fa chiaro, c'è una talpa nell'agenzia, si trova nel posto sbagliato e tutti a due metri da lei sono pronti a sfoderare armi con silenziatore da spia e spararle contro non appena rivelerà loro cosa ha scoperto dall'interrogatorio. Come uscirà di li'? Ad ogni modo durante la sua fuga sarà accompagnata dallo stupido, molesto e irritante ladruncolo tatuato Jack Alcott (Orlando Bloom) e avversata dall'annoiatissimo e bolsissimo super capo cia Bob Hunter (John Malkovich).


- Al mio segnale, scatenate calci in faccia a Bloom!!!: Michael Apted è un regista inglese eclettico. Oltre al canonico Bond (Il mondo non basta) ha diretto Gorky Park, Conflitto di classe, Gorilla nella nebbia. Tra molta roba varia, tra cui un Narnia, figurano anche dei thriller interessanti come Occhi nelle tenebre o quella bombetta fuori di testa che era Extreme Measures. Peter O'Brien come sceneggiatore arriva dal videogame Halo: Reach e c'è da dire che trasporta su pellicola un animo action turbolenta e selvaggio. E poi c'è Noomi Rapace, una delle più affascinanti, cazzute e convincenti attrici degli ultimi anni. Brava nei ruoli drammatici, ottima nei ruoli action e con una voce arrapante che non vi dico (forse più della Johansson, ascoltatela in lingua originale). Ci aveva fatto innamorare di lei nei panni di Lisbet Salander nell'originale trilogia svedese di Millennium, aveva fatto innamorare di lei Ridley Scott che la aveva voluta in Prometheus (e Ridley l'ha un po' buttata via in Covenant, un peccato) e presto sarà Maria Callas. E qui in Codice Unlock la Rapace conferma che sa menare alla grande. Quello che viene fuori da questa strana combinazione non è però un noir spionistico elegante stile La Casa Russia, ma un bell'action, sincopato e tamarro all'inverosimile, dalle parti delle produzioni Besson. Molti inseguimenti, molte sparatorie, molti pugni in faccia e pure tanto splatter, anche in contesti grotteschi (vedasi la scena dell'ascensore pieno di sangue e pitbull). E tamarro all'inverosimile, e pure convincente come mai in tutta la sua carriera è Orlando Bloom. Sì, l'ho scritto. Con questa pellicola Orlando ha finalmente trovato il ruolo per cui lo ameremo negli anni a venire. Sporco, tatuato, sinceramente spiacevole e ambiguo fino al midollo, la sua trasformazione (per capacità attoriali) pare quella di un wrestler che viene "turnato" da combattente buono a cattivo per motivi di cartellone. E funziona, cavolo se funziona! In un'ora e mezza di pellicola Bloom millanta "bulleria", spara proclami inconsistenti e incassa più sberle e umiliazioni di Alfie Allen in tutto il Trono di Spade. Per chi non ha mai amato l'attore è una vera e propria catarsi, un palliativo alla pulsione insostenibile di tirargli un pugno virtuale, ma c'è di più. Abbiamo rivalutato Tom Cruise dopo che virtualmente moriva centinaia di volte di fila sullo schermo in Edge of Tomorrow (un autentico bagno di umiltà dopo troppi film autocelebrativi e superomistici), amiamo qui Orlando in versione "viscida" e scopriamo che è la sua versione "giusta", dopo che con l'aria da finto bravo ragazzo (inespressivo come una pianta grassa, forse però "fuori parte") ha devastato ElizabethTown di Cameron Crowe e Kingston of Heaven di Ridley Scott. Insomma, qualcuno chiami Scorsese e lo avverta che c'è in giro un nuovo caratterista per i ruoli da gangster. Ci sono poi su schermo anche John Malkovich e Michael Douglas. Il primo ha sempre una presenza scenica invidiabile, ma pure l'aria di essere lì in attesa del cestino per il pranzo, conscio che non sarà spettacolare. È incredibilmente centra il mood giusto! Le sue scene potrebbero essere montante pari pari in almeno 27 action thriller degli ultimi anni, assolutamente a caso. Ma farebbero comunque la loro scena, perché lui rimane istituzionale, "impassibile", un grande. In spolvero pure Michael Douglas, anche se il suo personaggio manca delle giuste sfumature per apprezzarlo, probabilmente per problemi di scrittura (si adattava meglio forse un Gary Oldman). 



-conclusione: fra spie e contro spie, minacce biologiche, inseguimenti e pugni belli pesanti abbiamo trovato il B-movie ideale per una bella serata. La presenza di attori in parte come la Rapace e di belle sorprese come Bloom non fa che rendere più gustoso il prodotto finale. La regia solida di Apted fa molto action anni '80 alla Bruce Willis, e questo è decisamente un punto positivo. Certo che se i servizi segreti lavorano in questo modo, si salvi chi può, ma intanto i pop corn sono garantiti. 
Talk0

venerdì 19 maggio 2017

Addio a Chris Cornell


Ci ho messo un giorno intero per metabolizzare la notizia. Il fatto è che Chris è entrato a far parte della mia vita in un periodo in cui l'adolescenza era al culmine, così come il grunge e il suo sound tagliente. Non vorrei perdere tempo a elencare quanto di grandioso è stato fatto in quegli anni dai Soundgarden e da tutti gli altri gruppi che ruotavano attorno a Seattle e ai suoi cieli grigi e piovosi. E' già storia. Vorrei invece ricordare l'immensità della figura di Cornell, la sua voce calda, ma graffiante, i suoi capolavori senza tempo...ma ance con mille parole non saprei esprimermi, allora lascio fare alla sua voce.


Addio Chris, mancherai davvero un casino...

martedì 16 maggio 2017

Blade Runner 2049 - il nuovo trailer del sequel di Villeneuve



Sono passati tanti anni. Pioveva a dirotto sopra una città grigia mentre la vita di uno schiavo si spegneva su un cornicione. Il "lavoro in pelle" Roy Batty aveva fatto decisamente cose discutibili, per cui il dio della biomeccanica non lo avrebbe certo fatto entrare in paradiso. Era comunque troppo tardi per cambiare, perché la sua luce ormai aveva arso con il doppio dello splendore e la vita di Roy si era quindi bruciata in metà del tempo. Nessuna nuova vita lo aspettava nelle colonie extra mondo. Se solo suo il suo costruttore di occhi sintetici avesse potuto vedere quanto Roy aveva visto negli anni, con quei suoi occhi finti coltivati come uova in batteria. Se solo suo padre, il costruttore di macchine umane, non lo avesse condannato a una vita a tempo ridotto. Roy era a terra, ma prima di morire riusciva in un atto estremo a riportare sul cornicione  del palazzo Deckart,  il cacciatore che lo aveva inseguito in quegli ultimi istanti di vita. Lo aveva preso al volo, mentre stava per cadere nel vuoto. 




Roy: "Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. (Ho cavalcato i ponti posteriori di un blinker) e visto i raggi C balenare nel buio, vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. E' tempo di morire. 

Deckart: "Non so perché mi salvò la vita, forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto la avesse mai amata... Non solo la sua vita, quella di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevano erano le risposte che noi tutti vogliamo: da dove vengo? Dove vado? Quanto mi resta ancora? Non ho potuto far altro che restare lì a guardarlo morire."


Questa è epica. Questa è tragedia greca. Questa è roba da libri di scuola. Il film di Villeneue ha un onere vertiginoso di aspettative sulle spalle, ma gli vogliamo già bene. Il cast è ricco, le atmosfere sembrano esserci così come gli effetti speciali e androidi dalle acconciature un po' anni '80. Ma questi testi sopra citati sono scritti a fuoco in noi e davanti anche allo spettacolo più bello rischiamo di rimanere indifferenti come "sushi", pesci freddi, a meno che dialoghi ugualmente spettacolari non arrivino a torcerci le budella di gioia. Speriamo di non essere troppo malinconici in sala. 
Talk0

domenica 14 maggio 2017

Alien: Covenant

- N.B. Nota Importante- Alien: Covenant è il seguito diretto di Prometheus, sempre di Ridley Scott. Gli eventi e il finale di Prometheus sono la base narrativa di questo nuovo film, al punto che risulta impossibile parlarne senza fare spoiler. Pertanto chi volesse continuare con la lettura o anche giusto andare al cinema si premuri di vedere prima Prometheus


- Pre-sinossi integrata da contributi video, propedeutici al film e non compresi nello stesso, gentilmente pre-confezionati da Ridley Scott. Ci sono tipo 10 minuti di film in più, reperibili già in rete come materiali extra. Dieci minuti che probabilmente sono costati da soli quanto quattro film italiani completi e che permettono di apprezzare meglio alcuni personaggi e riflettere sull'importanza di certi avvenimenti. È un peccato non vederli, trovo personalmente una stronzata la loro omissione dal film, e per questo qui ve li segnalo, per darvi da subito una visione più "uncut" del titolo. Se i filmati non dovessero essere in seguito più raggiungibili dai link, si chiamano Alien Covenant prologue: the crossing e Alien Covenant prologue: the last Supper. Di sicuro li pubblicheranno con l'home video. Forse. E andiamo quindi a incominciare!

- Quindi, sinossi dei prologhi: Sono passati dieci anni da Prometheus. Tra la fine della pellicola scorsa e l'inizio di questa il sintetico David (Michael Fassbender) e la dottoressa Elizabeth Shaw (Noomi Rapace), unici sopravvissuti della Prometheus (nave spaziale di ricerca che era partita alla scoperta degli ingegneri, i demiurgici della razza umana, ma era finita male), hanno vissuto straordinarie avventure che li hanno portati fino a questo punto: su un'astronave aliena, in un viaggio lungo con meta "importante" e un'idea "matterella" in testa, cioè di riattaccare la testa di David al corpo (a un certo punto nel vecchio film veniva staccata e... usata a modi randello stile "te strappo a capa stile Subzero e te ce meno")... probabilmente per motivi sessuali... Come è andata a finire? Guardatelo pure il filmato attivando i sottotitoli.



E mentre David gioca a far cadere cose dall'alto, una grossa astronave coloniale partiva per un gioioso viaggio interstellare. Colonizzare è "copulare", coltivare e riprodursi, affare da uomini semplici più che eroi e infatti l'equipaggio è formato interamente (cosa che nel film poi si intuisce senza formalizzarsi, quando sarebbe in effetti un tema chiave) da coppiette marito-moglie classiche, coppiette multietniche e pure coppiette dello stesso sesso per il politically correct (che tanto ci sono pure un mare di embrioni da affittare nelle stive). Al gruppo è aggiunto un sintetico dall'aria familiare, Walther (il "modello" infatti è sempre Fassbender), riteniamo sempre per scopi sessuali. Nell'equipaggio figurano ai più alti posti di comando James Franco e Danny Mcbride e per un attimo pensiamo che potrebbe spuntare dal cesso un guardiamarina Seth Rogen armato di canne per tutti. Ma non accade, anche perché James Franco è un capitano integerrimo, forse troppo amante del lettino solare, e Mcbride invece di essere lo "scoreggione molesto del gruppo" (come in tutti i film di Rogen e co) è un serio pilota spaziale, uno che darebbe le piste pure a Ian Solo e che è pure un sacco credibile (già promosso quindi al suo primo vero ruolo drammatico). C'e anche un capitano in seconda, interpretato da Billy Crudrup, che ora mi torna in mente il drogatissimo chitarrista degli Stillwaters nell'Almost Famous di Cameron Crowe. Qui è meno love-power, sta depresso per tutta la pellicola e impersona il "fedele", il religioso del gruppo (e come accadeva in Prometheus per il personaggio della Rapace essere credente in questi mondi alternativi è quasi una condizione di biasimo ed emarginazione, come a dire che la scienza ha vinto sulla fede. La suggestione è interessante, peccato che questo tratto in Covenant non sia troppo approfondito). E arriviamo alla donna. Anzi, alle donne. C'è una nuova Ripley a bordo, si chiama Daniels ed è la timida, lacrimosa, forse non troppo appariscente ma alla bisogna cazzuta Katherine Waterston (che a me in ogni caso ha convinto pochissimo). Nel suo background è una esperta di roccia e questo aspetto sarà cruciale per alcune scene a gravità zero. C'è poi la nuova donna - pilota, Faris, interpretata dalla brava Amy Seimetz (che sarà protagonista di una delle scelte più forti e meglio girate della pellicola) e la responsabile scientifica Karine, interpretata dalla convincente Carmen Ejogo. E avremmo voluto vedere, a fine film, molte più scene della stupenda navigatrice della Covenant, interpretata da una Callie Hernandez ultra sensuale (è lei nella scena della doccia) come della combattiva Rosenthal di Tess Haubrich (anche lei protagonista di una scena bella forte, che ha sempre a che fare con l'acqua...). Prima che la pellicola cominci, l'equipaggio della Covenant ci viene presentato al meglio qui (ed è grave che manchi questo tassello nel film), prima di andare a dormire insieme agli altri 2000 coloni stivati nei crio-lettucci spaziali, mente organizza  un piccolo party pre-sonno:



Personalmente, vista la performance, metterei Walter come dotazione standard in ogni fast food: tovaglioli, salse ketchup e maionese, olio, sale, stuzzicadenti e androide che con colpo preciso di Kung Fu praticati su uno tsubo preciso riesce a salvarvi la vita quanto va storto il Big Mac e alla bisogna fornisce anche medicine da banco. 


- Sinossi dell'entrare in sala: Ma torniamo al film! Anzi, entriamo per lo meno al cinema. Buio in sala e già arriva il primo "buuuuuu". Nel resto del mondo si parte con il trailer del nuovo Blade Runner di Scott / Villeneuve. Da noi no. Anzi, ci fanno sorbire per ben due volte I pirati dei Caraibi 5. Ed è un peccato, perché questo Covenant ha molte cose in comune tanto con Blade Runner che con Alien. Ma ne riparleremo. Intanto siamo fiduciosi sul fatto che Villeneue, dopo Prisoners, l'interessante Arrival e Sicario, possa essere il regista migliore per rileggere nel 2017 Blade Runner. Bella l'idea dell'Alien Day. Una maratona notturna per il trittico Prometheus, Covenant, Alien. Dovrò provarlo anche a casa...

- Sinossi vera, dopo tutto il cazzeggio inutile qui sopra, della pellicola. Anzi no. Più che una sinossi ci facciamo una anarchica discussione più o meno libera: Inizia il film e subito ci rendiamo conto di quanto sia ancora grande e importante Scott per l'epica cinematografica. Anche quando a livello di trama è costretto a seguire i peti fatti con le ascelle da Damon Lindelof (come era costretto a fare in Prometheus) visivamente Scott è un Padreterno che furoreggia con disinvoltura nella "rappresentazione", nella messa in scena di quello che è vero cinema. Tra musica classica, arte pittorica, religione, storia e cultura, Scott raccoglie suggestioni e fonde tutto in un'unica arte filmica. Nel commento di Prometheus per l'home video, Scott si definisce "un costruttore di stanze e universi" ed è dannatamente vero. La storia non è il suo focus, lui vuole rappresentare la potenza del cinema come mezzo espressivo. Gli basta qui una stanza bianca, un pianoforte e un Fassbender dall'aria ingenua per parlarci,  con la sola forza del cinema  (mentre i testi anche qui, diciamolo, sono un po' banalotti), di Dio, di destino, di creatori e creature, di parti e figli e del concetto più ampio di eredità. Siamo nel passato, in un flashback collocabile molto prima di Prometheus, in quello che è forse un sogno a pecorelle elettriche dell'androide David. Wayland (Guy Pierce) è in un momentino di intimità con David, in una stanza bianco monacale arricchita di alcune delle più grandi opere d'arte dell'umanità. Wayland si rivolge a David come alla sua più grande creazione, in parallelo e omaggio al David di Michelangelo, opera che ovviamente è presente nella stanza. In un dialogo "impossibile" tra padre e figlio che deve essere gustato in parallelo con una delle scene chiave del Gladiatore di Scott, quella di Joaquin Phoenix / Commodo che parla con alle spalle il busto del padre Richard Harris/ Marco Aurelio (e che è per forza diametricalmente opposto al confronto tra Roy Batty e il dr Tyrell in Blade Runner). In sottofondo Wagner, con i classici richiami superomistici della sua opera sull'Oro del Reno, e in un attimo, cullati dalle note e dall'arte, ci sentiamo in 2001 di Kubrick (opera inseguita da Scott per tutto Prometheus). Pazzesco. Questa sequenza vale tutto il biglietto da sola. 


Stacco. Ora ci troviamo a bordo dell'astronave Covenant dove incontriamo Walter, nella solitudine del Crio-sonno degli umani a bordo. Stesso volto e stesso corpo di David, ma Walter è un "maggiordomo sintetico" diverso, un'intelligenza artificiale calibrata per servire e forse per sognare più in piccolo rispetto alle possibilità del cervello artificiale di David. Un involucro di sangue bianco che non possiede l'estro e le passioni che David coltivava in solitudine sull'astronave Prometheus. Walter non gioca a palla, non guarda in TV Lawrence d'Arabia e non spia il crio-sonno degli umani. Walter lavora, dialoga con il computer centrale della nave, Mother (computer che ritroveremo anche in Alien) protegge i macchinari ed è un custode attento, amorevole. Spogliato dal superomismo di David, il modello sintetico Walter è ugualmente umano, anche se forse lui stesso ancora non se ne accorge. Anche lui sa amare. E subito ci ritorna alla memoria Bishop, il sintetico interpretato da Lance Henricksen in Aliens-Scontro Finale di Cameron. Walter e David come Ash e Bishop. Fratelli di una razza a sé, sintetici, "alieni" nell'accezione di "emarginati", una sotto-classe di artificiali, nati dall'umanità per l'umanità, servi  a discapito di immense conoscenze e di una vita quasi eterna che gli permette di sorvegliare il sonno dei piloti spaziali per molti anni. Diversi dal povero Roy Batty di Blade Runner, sintetico "a scadenza", carne da cannone intruppato nelle colonie extra-mondo che in fondo voleva solo più tempo per vivere, come uomo, e arrivava per questo ad amare ogni ultimo attimo della sua artificiale mortalità come  l'uomo dal fiore in bocca di Pirandello. David e Walter che ne dovrebbero essere per logica matematica (e qui Skynet approverebbe) dei dominatori tra gli uomini. 
Piccola digressione. Non è un caso per me che i migliori film di Alien siano scaturiti da registi come Scott e Cameron, persone che hanno portato sullo schermo opere importanti e seminali sulle intelligenze artificiali: alieno fa spesso rima con artificiale. 
E "alieni", nella accezione terminologica di  "estranei", sono anche gli incauti coloni della Covenant. Peccato che gli umani facciano cose meno interessanti degli alieni e il loro tempi in scena sia molto più esteso. Sprovveduti al punto da farsi attrarre da una trasmissione radio sconosciuta, nel mezzo del nulla spaziale, nel pieno  una sosta forzata per riparare una vela solare dopo una pioggia di neutrini, attratti da un pezzo musicale che pare un classico di John Denver (un pezzo che ci ha sfiniti pure nei "Sospiri del mio Cuore" dello studio Ghibli, maledetto lui..). Gli umani si presentano da subito come un disastro sociale annunciato. Non reggono la tensione, la disciplina, le emergenze. Non sarebbe un problema in sé tutto questo, quanto il fatto che sono mossi da dinamiche già sviscerate e logore.


Giusto il fatto di avere un equipaggio composto parimenti da uomini e donne offre delle suggestioni interessanti, ma è troppo poco. Il personaggio di Crudrup, il religioso, tira subito in ballo il destino e decide che tutti devono rispondere a John Denver. Daniels, capo in seconda, gli dice che è una cattiva idee ma non riesce a imporsi è tutti finiscono, come lemmings, per atterrare su un pianeta che è troppo bello per essere vero, un pianeta che apparirà  come un paradiso perduto dalle poco Miltoniane carte intergalattiche. Un pianeta che nasconde una inospitalità davvero aliena, al di là delle spighe dorate che qualcuno ha piantato e che lo fanno sembrare in una zona lussureggiante simile ai Campi Elisi che sfiorava con la mano Massimo Decimo Meridio, sempre ne Il gladiatore. Basta infatti svoltare la rigogliosa, ma sinistramente silenziosa, vallata per imbattersi in un'ecatombe di case distrutte e corpi bruciati. Il cimitero di una razza perduta, come a Pompei. Tutto è morto e la natura stessa non può che spurgare da ogni suo più piccolo poro miasmi di morte. Il pianeta te lo dice chiaro che è un posto brutto, e fa quasi incazzare che venga affrontato dai coloni con una ingenuità quasi criminale. Tutti atterrano gioiosamente sprovvisti di oggi tuta spaziale, solo perché "pare" avere aria respirabile. Un pianeta-trappola esplorato da cretini e dominato da un novello Prometeo (come la creatura di Mary Shelley), impazzito o forse troppo pieno di sé,  in cerca di carne e sangue per dar corpo ai suoi oscuri, osceni e alchemici esperimenti creazionisti. Come andrà a finire? Il sangue scorrerà a fiumi insieme a budella, teste mozzate, corpi sventrati. Tra radio che non comunicano per via di tempeste spaziali, coloni che si dividono per morire poi male, alieni che si muovono come ninja. Ordinaria amministrazione, ma con un ricco di classe. Su quel pianeta morto rinascerà in modo inaspettato l'alchimia e prenderanno vita, tra scienza e blasfemia, svariate creature xenomorfe biomeccaniche, con alito carico di acido corrosivo. Venite a conoscere gli Alien bianchi, gli Alien a basso contenuto di acido, le spore zombicanti e tutte le sorpresine del franchise che vi sono mancate in Prometheus! L'intero pianeta ribollirà di abomini e per i coloni, già piuttosto sprovveduti e poco avvezzi alle armi (dategli un'arma e si ammazzeranno da soli), sarà complicato tornare a casa. Però sarà anche molto divertente assistere alla mattanza colonica, con la giusta dose di humor nero, si intende. 


- se solo si avesse l'opzione di togliere l'audio ai dialoghi e sentire la sola, bellissima,  colonna sonora di Jed Kurzel. Ascoltatene almeno un brano e poi ditemi 



Durante la lavorazione di Prometheus, Ridley Scott era solito accompagnare le improvvisazioni di Fassbender con Dark Side of the Moon dei Pink Floyd. Io ho fatto più o meno lo stesso durante l'ultima mia visione di Prometheus, dialoghi lasciati a muti coi sottotitoli e Pink Floyd a palla. Ed è stato uno sballo. Ora vorrei provare la stessa cura per Covenant, magari salvaguardando la soudtrack di Kurzel. Prometheus al di là della sbalorditiva messa in scena peccava di una trama scribacchiata male, salvata solo dalla messa in scena. Covenant è forse in questo molto più ordinato, al punto che "tira su" pure un po' Prometheus, donandogli una logica a posteriori con dialoghi di raccordo. Peccato che salvo un paio di intuizioni davvero geniali il tutto suoni troppo, a fine visione, come già visto e sentito. Covenant è una autocelebrazione della saga smaccatamente ruffiana con il demerito che dove cerca, timidamente, una via alternativa non è in grado di giocarsela al meglio, risultando piuttosto prevedibile. Questa "messa cantata", uno stupido e ostinato ripetersi di topoi, schiaccia e deprime interpretazioni anche molto buone, come quella di McBride o di Crudrup, e arriva a far dimenticare in fretta anche le scene più valide. E ce ne sono. Si arriva quasi a depotenziare quello che è davvero il punto più alto della produzione, il confronto tanto intellettuale che fisico tra gli androidi interpretati da Fassbender. E questo perché accade? Per l'ossessivo bisogno di riproporre ciò che storicamente hanno amato i fan. Quante volte dovremo vedere le stesse scene del primo Alien, della celebre spremitura del 1979, seppur in "salsa diversa"?  È un interrogativo legittimo anche se, ve lo confermo e sottoscrivo subito, le scene con l'alieno sono realmente spettacolari, sanguigne, imprevedibili, crude, da applauso a un qualsiasi gore-fest. Pure cariche di geniali trucchi da humour nero, sexy. Però il film è sempre quello, produttivamente vuole sempre quello:  lo slasher spaziale per antonomasia, il solito Crystal Lake / parco giochi del mostro dalla testa allungata, con il suo carico di vittime sprovvedute da smembrare e spanciare (pure dalla schiena, novità 2017...). Torniamo al classico "nello spazio nessuno può sentirti urlare", con il suo animo da B-movie promosso in serie A per meriti tecnici. Mancano le critiche di Cameron al machismo Reaganiano (Aliens), manca la pazzia associata ai luoghi di auto - isolamento (Alien 3), mancano gli incubi legati al fatto di essere diventati creature intercambiabili (Alien - la clonazione). Manca la voglia di "osare di più", la voglia di spingersi dall'ottica distruttiva a quella creazionista che il pur pasticciato Prometheus possedeva, se non ridotta a un paio di belle scene (soprattutto i confronti David - Walter). Non si può partire a cannone con la scena iniziale e liquidare il confronto tra intelligenze artificiali per ridurre il 75% del resto del film al solito nascondino già visto e rivisto. L'idea, "brutta", è che si è volto chiudere velocemente la "pratica Prometheus"  (ed è fatto un po' goffamente) per andare a fotocopiare in fretta e furia e minutaggio insufficiente, l'Alien del '79. Ma in quanto a fruizione "alimentare" della pellicola, facendo una rapida conta degli squartamenti e delle azioni più cool, io,  da fan, sto già aspettando l'home video e il nuovo capitolo. Se a Prometheus chiedevate più azione, qui ce n'è a badilate. Se volevate sapere qualcosa di più sugli Ingegneri, qui si trovano comunque stimoli nuovi (che sicuro saranno espansi nei prossimi capitoli). Se vi mancava una "gnocca in canotta" che affronti alieni insettoidi, qui ne trovate una bella agguerrita. La trama è un po' maldestra e stra-telefonata? Io ve l'ho detto... aspetto di guardarmelo con i Pink Floyd a palla in cuffia. Perché visivamente è atomico, uno spettacolo visivo che è quasi criminale perdersi.


- For fans only? Inutile girarci troppo attorno, Alien: Covenant non è un capolavoro, ma è comunque un film più che valido per intrattenere ed esaltare, visivamente eccelso. È un film che può fare incazzare a prescindere in quanto non è l'Alien che volevamo vedere (quello diretto da Blomkamp con Sigurney Weaver, Lance Henricksen e Michael Bean), ma un Alien imposto da Scott al mondo (e supinamente accettato da 20th Century Fox), frutto di un suo personale progetto para-pensionistico di cui nessuno, neanche lui, sa i termini (un giorno si dice voglia farne un altro, poi cambia idea e ne vuole fare due, poi ci ripensa e immagina già una esalogia). E la cosa fa infuriare soprattutto perché "sembra" che le idee gli siano finite e voglia continuare a girare in loop l'Alien del 1979. Però ragazzi, che classe! Visivamente Scott quando deve parlare di Alieni o città piovose è ancora "gigantesco". La scena dell'attacco alla capitale degli ingegneri (estesa rispetto al prologo messo qui sopra) è soffocante. La "stanza dei giochi" di David ha qualcosa di luciferino, alchemico (c'è pure una scena che richiama le chimere di Full Metal Alchemist, davvero terribile). Lo scontro sulla navetta da esplorazione, con l'equipaggio che preso dal panico letteralmente si ammazza da solo, trasmette realmente paura. La scena del flauto con i dialoghi sul potere creativo della musica è molto stimolante (i più insensibili non la capiranno probabilmente, ma è un grave errore momento di condivisione e dialogo tramite l'arte). Si poteva fare qualcosa di più per la scena della doccia forse (io la volevo lunga tipo 10 minuti, da Scott mi aspettavo qualcosa di livello della doccia di Psycho e ci sono rimasto male), come impostare un ultimo atto ed epilogo meno prevedibile/ citazionista, più ritmato e più appagante (non si avverte qui il senso di pericolo perché si intuisce ore prima, inoltre si ha la sensazione di un arco narrativo potenzialmente vasto, ma  che deve essere sbrogliato e risolto in dieci minuti... non il massimo come resa finale). Il finale "urla" poi l'avvento di un nuovo capitolo, quando per me poteva fare lo stesso restando più sottile e conclusivo. Dettagli. Se esteticamente il livello di budella esposte rimane questo, comunque mi hanno già comprato. 

- Conclusioni: Molto bravi gli attori, con una Waterston interessante, un buon McBride e un ispirato e istrionico Fassbender. Bella la colonna sonora, molto riconoscibile e intensa. Ho finito gli aggettivi per esprimere quanto sia bello da vedere, vuoi per fotografia, montaggio, effetti, scenografie e trucchi. Quanto è bello visivamente? Un botto. Rimane il rammarico del deja vu di molte scene, quasi imposto dall'azienda, di una trama lineare e senza troppi guizzi e di un terzo atto stanco. Ma rimane un bel viaggio, suggestivo e crudo come si conviene, confezionato ad arte da uno dei più grandi maestri d cinema di sempre. 
Talk0

mercoledì 10 maggio 2017

Tanna - due tribù un amore: la nostra recensione





Sinossi stile Alpitour: Siamo nell'arcipelago di Vanuatu, a nord est dell'Australia, esattamente sulla piccola isola di Tanna, dove la popolazione Yalek, una delle ultime società tribali al mondo, parla la lingua nauvhal e vive tutta nuda a contatto con la natura. Il tempo è sempre bellissimo, i locali sono simpatici, le bambine passano allegre giornate a rubare i copri-pene  dei cacciatori, mentre le ragazze che diventano donne fanno tutto un rito erotico a base di olio di cocco e frustate con rami di palma. Gli uomini quando vogliono fare i gentili chiamano le donne "farfalle" e le donne quando temono che gli uomini siamo troppo dei piacioni li chiamano "collezionisti di farfalle". Se si è stanchi della spiaggia, della caccia al suino selvaggio e dei balli locali si può pensare a una gita breve fuori porta e andare a visitare, a tre passi dall'accampamento, con la guida di uno sciamano locale, il vulcano ancora in attività al cui interno si celerebbe una importante divinità, Yahul, lo spirito della vita e dell'amore. La popolazione è pacifica, piccoli vecchietti docili sono a capo del villaggio mentre il vero potere è detenuto dalle anziane locali, che con quel sorriso dolce è sdentato sempre stampato in volto, i capelli raccolti all'indietro e il seno prosperoso sembrano la personificazione stessa della dea Gaia. Cosa può andare male in un luogo da sogno dove non ci sono tasse da pagare, le ragazze ti accolgono a casa in topless coperte da olio di cocco e il suino selvatico aromatizzato alla brace è il top? Può andare male che c'è un'altra tribù in zona, gli Imedin, dei tizi un po' fumantini. Ogni tanto ci scappa una clavata sulla capoccia di qualcuno finito in una gita fuori porta e sono dolori e disastri diplomatici da risolvere. Anche perché la guerra non va bene a nessuno, essendo la popolazione dell'isola ai minimi storici, i capi villaggio in questi frangenti allestiscono delle tregue forzate a suon di matrimoni riparatori. Tutto funziona così da sempre, secondo il dettato della cultura Kastom, al punto che si potrebbe pensare che aggredire di notte qualcuno dell'altra tribù sia la strada più semplice per piazzare una moglie a quel figlio deficiente che ributta alle compaesane. Così capita che un vero tamarro Imedin, Mikum, pure un po' criminale e assassino, con tanto di piercing d'ossa al naso, a seguito di una aggressione "vince in dono" la ragazza più carina degli Yalek, Wawa. Solo che Wawa è già da molto tempo innamorata di Dain, il nipote del capo tribù dall'aria sognante e i capelli alla Battisti. Come andrà a finire? Riuscirà il vero amore a vincere sulle regole dell'isola di Tanna?




- Come una fiaba, ma inaspettatamente e incredibilmente moderna. Come un fulmine a ciel sereno spunta un film originale che è quasi fantasy, quasi fiaba, quasi dramma teatrale. Rapiti da un vortice di colori quasi disneyano (la mente non può che andare dritta a Oceania) ci aspettiamo qualcosa di più scontato e sonnecchioso di quanto in effetti la pellicola sia. Tanna è fantasy in quanto distantissimo come mondo e regole  da noi, ma è al contempo incredibilmente reale. Parla di una vicenda realmente accaduta, quanto shakespearianamente universale, e gli interpreti sono ugualmente autentici, attori per caso pescati in loco, bravissimi, spontanei e carichi di un vissuto quasi senza tempo. Per molti di loro questi non è solo il primo film che realizzano, ma anche il primo che vedono. I registi Dean Bentley e Martin Butler, vengono dai documentari e si apprezza molto il loro modo di guardare senza interferire su dinamiche spontanee che quei luoghi e persone racchiudono da millenni. Anche la storia che di racconta è una storia "loro", che non potrebbe trovare voce altrove. E come solo le storie e le persone vere sanno fare, la pellicola sorprende, descrivendo un arco narrativo e umano unico. E un punto di vista per noi occidentali nuovi, estremo e su cui riflettere: sopravvivere in un mondo che non ci appartiene quasi più, un mondo invaso, sporcato, moderno. E sopravvivere a questo è quanto mai una questione di testa, più che di muscoli, una ricerca di compromessi impossibili con persone che non sono abbastanza mature per ragionare davvero sul futuro. Sorprende, al di là della storia d'amore tragica, la scelta pacifica (in un mondo moderno in cui sembra sempre più scontato e facile imbracciare le armi) e senza compromessi che tiene in equilibrio i piccoli popoli di Tanna. È specchio di un così puro e pervicace odio della guerra che sfocia quasi ingiustizia morale nel confronto del vero amore. La soluzione finale della vicenda non è affatto scontata e c'è da domandarsi quanto possa influire positivamente nell'equilibri, di un popolo in continua precarietà di una gioiosa voglia di esistere e resistere alla modernità. Tanna sorprende e non è un caso che sia entrato agli Academy Awards nella rosa del miglior film straniero e abbia avuto svariati riconoscimenti nel mondo. Tanna è una sorpresa che come tale arriva in sala in punta di piedi, grazie all'impegno della Tycoon Distribution,  un vero tesoro da scovare. 
Talk0

domenica 7 maggio 2017

I guardiani della galassia vol.2 - la nostra recensione




Sinossi nostalgia mega mix: Passato. Siamo negli anni '80 in una stradina della provincia americana. Un giovane e aitante alieno belloccio stile Star Man (il classicone di Carpenter con Jeff Brigdes... strano non fosse proprio all'epoca interpretato da Kurt Russell, protagonista in quasi tutte le altre pellicole di Carpenter del periodo, che in questo GOTG V2 è comunque in splendida forma... come è strano non abbiano chiamato direttamente Jeff Bridges, per GOTG V2 avendo già pronta la Disney in cantina la sua "versione ringiovanita" digitale usata in Tron: Legacy... misteri misteriosi) arriva sulla Terra e tra love power e fascino del ciuffo ribelle seduce la futura mamma di "Star Lord". C'è musica nell'aria, macchinoni americani che come placidi barconi ancorano nei drive in, l'estate è alle porte ed E.T. al cinema, c'è il seme di una pianta extraterrestre da seminare e fondere con il nostro pianeta. Annotatevi il dettaglio. Tutto è bellissimo, ma perché quello Star Man, dopo una "doppia inseminazione" è poi andato via dalla sua nuova famiglia terrestre, come all'epoca facevano molti giocatori di calcio del campionato italiano? Perché per ritrovare suo figlio dopo anni invece della De Filippi ha pagato dei temibilissimi pirati spaziali, con intenti cannibali, capitanati da Yondu (Michael Rooker), che poi non hanno effettuato la "consegna"? Chi è in verità questo Star Man? 
Presente. Dopo averle suonate a passo di danza a Ronan l'accusatore, nel film precedente, salvando l'Universo al di là di ogni più realistica aspettativa, Star Lord e compagni, gli autoproclamati Guardiani della Galassia (un titolo che non sembra scelto troppo "a caso"... in questo film c'è una bella "lore" in espansione), forse anche in assenza dei Nova Corps attualmente in ri-strutturazione (presto probabilmente vedremo Nova, secondo me), sono sulla cresta dell'onda e vengono chiamati come eroi in affitto a sedare minacce cosmiche più o meno importanti. Groot (Vin Diesel) è tornato a essere una amabile piantina, Drax (Dave Bautista), "quasi" passata la voglia di strage, sta diventando sempre più malleabile se non addirittura molesto (si lamenta delle tute spaziali che gli strizzano i capezzoli), Rocket (Bradley Cooper), sarà che è "in quel periodo dell'anno" in cui i procioni sono stronzi, inizia ad avere un po' di insofferenza per la vita di gruppo. In compenso Peter (Chris Pratt) e Gamora (Zoe Saldana) si stanno finalmente iniziando a trovare sulla stessa lunghezza d'onda e pure l'amara / odiata Nebula (Karen Gillan) è "in corso di redenzione". Quindi, diciamolo, per i guardiani, anche grazie alle casse della astronave Milano che risuonano delle musiche dell'Awesome Mix Vol. 2, la compilation del meglio della musica terrestre, è un bel momento (anche perché si portano l'impianto stereo pure in missione!). Scorrazzano per il cosmo tra pianeti colorati insieme alle loro tute spaziali "for space'n'for fun" e non serve davvero altro. Cosa può andare male? Pure Thanos sembra essersi (momentaneamente) dimenticato di loro! Ma ecco che arriva la cazzata. Una scelta molto discutibile che fa inimicare i guardiani da una razza aliena, particolarmente malmostosa e vendicativa, che non esita a scatenargli contro tutte le astronavi da guerra di cui dispone. Situazione disperata, non fosse che a cavallo di una astronave bianca (letteralmente) arriva in loro soccorso Ego, lo "Star Man" di cui sopra, del tutto intenzionato a riagganciare il legame padre- figlio interrotto negli anni '80. Ma sarà pronto Star Lord a incontrare un padre di questo tipo? 



- Un po' come la festa di classe, la seconda a distanza di un mese: il primo Guardiani della Galassia di James Gunn è stato un autentico fulmine a ciel sereno nel panorama dei film Disney / Marvel Studios. Era il primo film della "linea cosmica" dei personaggi Marvel/Disney, quando i principali personaggi "cosmici" (Galactus, Skull, Terrax e compagni) erano inutilizzabili in quanto legati, in tempi nefasti, ai brand dei Fantastici 4 o degli X-Men, tuttora di proprietà 20th century Fox. I "guardiani" erano poi davvero gli ultimi degli ultimi, a livello editoriale sfigati, un team di eroi incasinato da anni di re-cast, per lo più figurine di storie con tremila personaggi diversi di cui nessuno si ricorda molto, messi sullo sfondo con in primo piano i "veri" eroi, quelli più commerciali. E questo con buona pace di Starlin e degli ultra-appassionati. Tuttavia i guardiani avevano  trovato, 2010 o giù di lì, di recente nuova identità, spazio e potenziale con la saga a fumetti di stampo "spaziale" Annihilition, ma erano, salvo un paio di nuove leve di recente ideazione, "for fans only". Anche solo mettersi a spigare le mille evoluzioni di Drax era un delirio (e per questo ha assunto una caratterizzazione più semplice e "smemorata", che aveva esordito da noi in un volumone costosissimo da fumetteria, che faceva un po' il verso al Riddick di Vin Diesel). Come fare? Fare tabula rasa, mettere pochi personaggi invece che seicento, una nuova origin store per Star Lord come bambino degli anni ottanta rapito da dei pirati spaziali per farlo fuggire dalla morte della madre. E poi affidare tutti a Gunn, che è come regista un po' l'ultimo arrivato e quindi se floppa (difficile comunque con quel budget) "colpa sua", colpa dei personaggi, colpa della Fox che tiene in ostaggio i Fantastici 4. Ma invece accade il miracolo, Star Lord e compagni sullo schermo spaccano, sono  "dei grandi". Starlord (anche se iconicamente nel fumetto con elmo, divisa militare e pistole, animo da kamikaze, battuta pronta e sfiga piuttosto nera è sempre stato un figo) diventa al cinema un novello Peter Pan, mischiato a Ian Solo e Indiana Jones. Un anti/eroe con stampato un sorriso beffardo alla Herrol Flinn, un po' bambinone e un po' sbruffone, eroico ma goffo. Un tizio con in testa, sotto la maschera spaziale, le cuffie arancioni, con dentro sparata la migliore musica anni '70-'80, perennemente ascoltata, anche durante i più intricati combattimenti spaziali, perché è il suo retaggio, il suo personale legame con la Terra e la famiglia, che passa dritto per uno spinotto. E quella musica era davvero perfetta, l'idea geniale che veniva dal film, da Gunn, e non dai fumetti: quello che ci metteva in comunicazione emotiva con personaggi che ancora non conoscevamo. Chris Pratt buca lo schermo e viene subito assorbito dallo star system per il rilancio di Jurassic Park. Il Drax di Dave Bautista è ugualmente fantastico e mostra una versatilità invidiabile (e se possibile Bautista migliora in questo secondo film), divertente la coppia Groot / Rocket (Vin Diesel/ Bradley Cooper) pianta / procione, interessate il rapporto di odio / amore tra Gamora e Nebula. E in più ci stanno i pianeti, i celestiali, le battaglie spaziali con centinaia di astronavi su schermo, prigioni interplanetarie, covi di pirati, oscure potenze che tramano nell'ombra sedute su troni galleggianti e collezionisti di energie misteriose. C'è un bonus aziendale piuttosto noto in casa Marvel, un premio per chi si distingue nel suo lavoro noto come la carta "fuori dai coglioni!".


Ogni tre mesi (e a volte meno) i personaggi Marvel devono partecipare a un cross-over con altri personaggi Marvel da lanciare, ri -lanciare, affiliare. A volte, sempre più di frequente, toccano pure eventi che durano otto/nove mesi, in cui alcuni personaggi sono "appiccicati dentro" anche se c'entrano poco o nulla con il contesto. Inutile dirvi che il fine ultimo è farvi comprare tutto il comprabile, con trame che iniziano su una testata, continuano con un'altra, hanno retroscena su numeri speciali da fumetteria e pure una testata principale che bada, con un diverso punto di vista, al racconto. Lo scrittore regolare di una serie deve quindi mettere da parte le sue storie per partecipare a forza a questi mega - eventi aziendali, che spesso sono una tritura di coglioni autentica. A meno che non abbia la carta "fuori dai coglioni!". E siccome questo accade anche al cinema, Gunn questa carta magica l'ha avuta. In "guardiani vol. 2" Gunn ha ottenuto la possibilità di espandere le sue storie e personaggi e l'ha colta in pieno, forse pure troppo. In GOTG V.2 riesce a non introdurre nessun nuovo personaggio ("quasi" per lo meno, vedasi titoli di coda...) se  non a recuperare alcuni pezzi del brand dei Guardiani già previsti nei fumetti. Non contento, decide coraggiosamente di espandere i caratteri dei personaggi, allestendo un film molto parlato e piuttosto statico. Anche qui il "piuttosto" non esclude che ci siano scena action spettacolari, ma vi anticipo che le avrete già viste più o meno tutte nel trailer, sebbene in forma "leggermente" contratta. Quello che rimane ha davvero il gusto di una cena di ex alunni in cui si raccontano, seduti, i reciproci sentimenti a distanza di tempo, salvo un ultimo atto che è davvero una bomba atomica per spettacolarità e chicche sulla gestione futura della saga. Insomma...



- Ok, è forse un po' statico, ma è un male? GOTG V2 è un film molto divertente, ben recitato, ha un buon ritmo ed è condito da effetti speciali mozzafiato. Tuttavia è un film senza grandi sorprese e anche l'evoluzione dei rapporti tra i personaggi non è così eclatante. A livello di rapporti, quasi tutto lo abbiamo già visto o intuito nel film precedente, qui in sostanza si usano "salse diverse" per dire le stesse cose. Kurt Russell dà vita a un personaggio interessante ma che sul finale dà l'impressione di non aver dato tutto quello che ci si aspettava, anche il suo rapporto con il personaggio di Chris Pratt ha ottimi spunti che poi vanno a scemare. Un plauso a Dave Bautista, che dà vita a un personaggio incredibilmente più profondo di quanto prima appariva nel primo episodio, ma anche a un Michael Rooker molto struggente. Dolcissimo Baby Groot, protagonista di molte scene divertenti e tenere spesso in compagnia di Rocket. I combattimenti spaziali sono sempre vorticosi e frenetici e il pianeta su cui è ambientata gran parte della pellicola è molto interessate e dalla natura sfaccettata. Non mancano sovrani alieni dorati e sopra le righe, dei cammei gustosi (stupendo il nuovo di Stan Lee) e poi c'è pure Stallone, e in futuro non vediamo l'ora di vederne di più. Anche qui gli anni '80 rivivono in modo tanto parossistico che maniacale e la colonna sonora è sempre al top, sempre appropriata, sempre toccante. Ma la sensazione rimane quella di aver interrotto il globe - throttling per stare fermi all'autogrill per un intero episodio. Fermi a parlare tra amici, sparare due puttanate, commuoversi e ricordarsi perché è bello stare insieme. La serata è salva in fin dei conti, anche se in un modo diverso dalle aspettative. 


Talk0

martedì 2 maggio 2017

The Circle


Sinossi espansa con emulsionante: Hermione (no, aspetta, qui si chiama in un altro modo… ma noi continueremo a chiamarla Hermione, l'amabile Emma Watson) lavora al servizio clienti dell’azienda dell’acqua del suo paesino. Non certo il lavoro dei sogni promessole da Hogwarts… In più, visto che non è mai stata brava a volare su una scopa, guida una scatoletta di sardine tutta sgarrupata, che la tiene in contatto col bambino ormai cresciuto di Boyhood (Ellar Coltrane), sempre pronto ad aggiustare l’auto e a provarci teneramente con lei. Ma Hermione ha altri gusti in fatto di uomini e non capisce i segnali. Poveri noi!!!
I genitori di Hermione (il compianto Bill Paxton e Glenne Headly, quella bionda che faceva la pediatra attempata in ER di cui si innamorava quell’amorino del Dott. Carter nella prima serie) sono due umili signori che si vogliono un gran bene e per la figlia vogliono solo il meglio, anche se non possono offrirle nulla in quanto ogni centesimo va per le cure della malattia degenerativa del padre.
Dal nulla si scopre che la BFF di Hermione (Karen Gillan, contemporaneamente al cinema, in I guardiani della Galassia vol. 2, nei panni di Nebula, in un ruolo che la avvicina sempre più alla Elsa di Frozen) ha un super mega lavoro fantastico a The Circle. Una specie di unico grande social media che comprende siti per la ricerca di cose, siti dove puoi incontrare l’anima gemella, siti dove puoi pubblicare tue foto, siti dove puoi partecipare a eventi e commentare tramite post, siti dove in 130 caratteri puoi dare il tuo parere e così via.
Eccoci quindi a fare il servizio clienti di The Circle. La postazione prevede un monitor piccolo e un tablet dove registrare tutte le attività. Hermione si ricorda di essere una “insopportabile so tutto” prima-della-classe e deve raggiungere subitissimo il punteggio più alto nelle recensioni degli utenti. E, ovviamente, ci riesce.
Dopo la prima settimana, ecco il primo evento di The Circle. Forrest Gump novello Steve Jobs (Tom Hanks in spolvero con i maglioni a collo alto, ma con un po' di artrite) lancia una biglia telecamera che cambierà tutto il mondo. D’ora in poi tutti saranno visibili a tutti, sempre e comunque. Segue party dove tutti sono amici di tutti e dove Hermione trova il suo prototipo maschile (John Boyega di Star Wars), un bellissimo cioccolatino (mmmm, un po’ troppo misterioso e figo quel tizio… c’è un telefono che mi sta chiamando…)
Iniziano gli attriti all’interno di The Circle. La piccola Hermione non posta, non mette like, non si esprime, non partecipa agli eventi. E qui le viene da dire: ovvio, la mia vita non ha nulla di che, perché far vedere che sono una sfigatina? Ignoro l’esistenza dei social, così lasciamo un po’ tutto nel dubbio. La mia vita è: lavoro, famiglia, canoa dopo essere stata dalla famiglia, lavoro, lavoro, lavoro. Avessi 18 fidanzati modello, viaggiassi come pilota del Motomondiale, fossi al centro della settimana della moda, del mobile, dell’artigianato o di Eurochocolate… hai voglia a quanto starei sui social a far vedere e a far morire di invidia glia altri. Nel mentre ad Hermione hanno dato uno smartphone e appioppato un altro monitor sulla scrivania.
E così Hermione inizia a partecipare a tutti gli eventi, a ridere di battute sceme, a pubblicare quanti passi fa al giorno, cosa mangia, cosa pensa a discapito della sua famiglia. Famiglia che però beneficia dell’assistenza sanitaria di The Circle che è pressochè fantastica. Così papà Bill Paxton può tirare un sospiro di sollievo. Ormai la scrivania di Hermione è quella di un piccolo hacker. Monitor per il servizio clienti, monitor per chattare, monitor per controllare il suo rating di popolarità e così via.
Finalmente i sacrifici di Hogwarts vengono ripagati, questo sì che è un lavoro perfetto!!!!! W The Circle! Ma qui inizieranno dei casini. I casini grossi. 



- Già che ci sono vi racconto pure il resto, ma sotto spoiler, andate a vedere il film prima al cinema

Ma ecco rispuntare cioccolatino. Lui è quello che ha dato l’idea di The Circle. È un genio! Vedi che Hermione ci aveva visto giusto?!?!?! Le fa vedere tutti i sistemi. Hermione è emozionata. Tutto è registrato, non esiste privacy. I politici saranno obbligati a fare le cose alla luce del sole. 
Una sera, improvvisamente, sbrocca e decide di andare a rubare una canoa per fare una nuotatina, di notte, col mare in tempesta. Ma… Scusate, il telefono risquilla. The Circle la va a salvare grazie alle biglie-videocamere ed Hermione diventa la superstar del sistema.
La proposta è “indossa la biglia sempre, così da vedere 24 ore al giorno la tua vita”. 
Tutto bellissimo, perfettissimo, commenti, likers, haters, vita reale. Mamma mia questo telefono che suoneria fastidiosa!!!!! Ed ecco che Hermione mi fa un paio di scivoloni… Il primo, posta una foto del lampadario fatto dal bambino ormai adulto di Boyhood con le corna di Bambi e dice “guardate che bello”. Ecco, insomma… La reazione è quella di dare al Boy dell’ammazza cervi e di creargli un sacco di problemi. La seconda scivolata è quella di videochiamare mamma e papà mentre stanno facendo roba. Poverini, è una cosa normale, ma farlo vedere in quel modo e a tutto il mondo. Famiglia e spasimante troncano, giustamente, con Hermione.
Ma Hermione è più forte. E dalla sua parte ha Forrest Gump!!! Lancio del nuovo prodotto: con le biglie possiamo prendere i ricercati dalla polizia in massimo 30 minuti. Lancio, prova, funziona in 10 minuti, tutti contenti e felici!!!!!!! W The Circle!!!!
L’unica contraria è la sua BFF, che nel mentre è sbroccata, non vuole più avere a che fare con lei e sparisce dal sistema The Circle.
Il telefono squilla, andiamo a vedere. 
Seconda prova “Hermione, cerchiamo il tuo amichetto, quello di Boyhood”. Persecuzione e in 2 secondi lo trovano, lui, terrorizzato, scappa, lo tallonano con auto, camion, droni, ecc. finché SPOILER ALERT SVELATO NEL TRAILER non lo mandano fuori strada e lui finisce giù da un dirupo.
Hermione torna a casa sconvolta. Non vuole più avere a che fare con The Circle, rivuole la sua amica e stare con la sua famiglia.
E quindi ha un’idea. Lei continua ad indossare la sua biglia, ma, grazie all’intervento di cioccolatino, mette in mostra tutto quello che c’è registrato di Forrest Gump e del suo socio, sputtanandoli in un nanosecondo.



- Morale della favola: il film è pro o contro i social? DIPENDE. Se la privacy violata è quella degli altri, noi amiamo i social. Se è la nostra privacy a essere messa in mostra, cambiamo subito parere e non vogliamo che gli altri sappiano cose su di noi. La difficoltà è trovare una giusta via di mezzo. Il film comunque lascia quel dubbio per farci riflettere.
Il film ha una trama abbastanza semplice, sullo stile Young Adult, per nulla cervellotico rispetto a quanto ci si aspetterebbe. Per questo magari potrebbe deludere chi si aspetta un approccio più articolato al problema. È quasi un "Ed TV aggiornato" (ma quella chicca della canoa ricorda moooooolto The Thruman Show, strizzando forte con entrambi gli occhi). C'è anche un pizzico di thriller non male. Il ritmo è buono, la pellicola si lascia vedere più che volentieri, è recitato bene. Il finale offre spunti di riflessione interessanti, alla base c'è un libro, e viene voglia di leggerlo dopo aver visto il film. 
Il regista, James Ponsoldt, ha diretto molte cose che potreste aver visto in TV se siete donne, tipo episodi di Parenthood e Shameless, ha una buona sensibilità nel dirigere gli attori.
Alla fine mi è piaciuto, anche se forse è un po' telefonato nello svolgimento. 

B-Gis