Ian e Gmor sono in
viaggio da soli, come Tex e Kit Carson, diretti in missione a
Merovia, cittadella nella zona pedemontana del Supreldurildureldural
(o qualcosa di simile). Li aspetta una gilda di mercanti spaventati
da una banda di brutti predoni. Durante il tragitto si imbattono in
una specie di altarino mistico uscito diretto da Warcraft ma
dall'aria abbandonata (forse occorre accatastare ancora un po' di
legname e rocce...). Urge sosta a un autogrill e i nostri eroi si
addentrano nel classico paesino tetro e sinistramente deserto dove in
genere succede qualcosa di brutto. Manco dieci secondi nella landa e
un orco strapieno di Redbull e pompato come un culturista “anni
uttanta” si palesa davanti a loro urlando e devastando tutto. Un
coriaceo gruppo di villici riesce a ogni modo a sedarlo e
decapitarlo. Da dove veniva l'orco pazzo-pompato? Perché i villici
stanno per fare la pelle anche a Gmor? Ian impugna il sigillo degli
scout imperiali come fosse il distintivo dello shogun Mitsukurimito,
gli animi si placano e iniziano le indagini. Subito si palesa al
biondo eroe una smandrappa locale disposta a supportare il ranger in
quanto curatrice nell'autopsia. Gmor intanto decide di predisporre un
funerale per lo sfortunato orco, ma mentre prepara la pira funebre
viene narcotizzato da degli strani figuri e al suo risveglio si
trova, legato, all'interno di una carovana ricoperta di sbarre. Di
sicuro qualcuno vorrà offrirgli una Redbull.
Nuovo appuntamento
per Dragonero e nuova saga al suo avvio. Testi di un Vietti
decisamente in vena supportati da splendidi disegni di Rizzato. La
trama è lineare, ma scorre via che è un piacere ed è ricca di
personaggi e spunti interessanti. Lo scenario permette al
disegnatore di scatenarsi nella rappresentazione grafica di un vasto
numero di creature fantasy diverse e ne risultano avvincenti e
dinamiche scene d'azione supportate da un chiaro e dettagliato
paesaggio. Nell'insieme una autentica goduria. L'utilizzo di un cast
ristretto, “selezionato”, di personaggi, come accade sempre in Tex,
permette davvero di sperimentare nuove linee narrative senza pesare
troppo sull'economia dell'intreccio e al contempo meglio definire i
personaggi. Apprezzo molto questa formula e devo dire di nutrire
sempre più intresse per questa testata. Rimane il fardello di un
mondo narrativo piuttosto compassato e per il momento inerte, anche
per la costruzione voluta espressamente dai suoi autori, nella
prospettiva di offrire significativi colpi di scena degni di dare un
po' di pepe al tutto. Ma la solidità di base c'è e si vede. Da
continuare a seguire.
Fenomenale. Ecco
cosa significa la vera magia del cinema. Effetti, scenari e mezzi
storici ricostruiti da capo a piedi, fotografia (di Bazelli, come in "The ring" collaboratore di Verbinski), sonoro (di Hans Zimmer), stunt,
cut, recitazione tutto al top senza compromessi e tutto sparato nel
cervello dello spettatore come un big bang sonico all'interno della
sala più fica con l'audio che spacca di più di tutto il creato.
Un'esperienza trascendente la cui proiezione su un cartellone
pubblicitario creerebbe più ingorghi della gigantografia di Belen
Rodriguez unicamente coperta da un orsetto di peluche grande quanto
un portachiavi. Gli ultimi trenta minuti di The Lone Ranger di Gore
Verbinski sono così. Una lezione di cinema da incorniciare e
studiare sequenza per sequenza alla prima lezione di un corso per
registi. Orgasmo puro.
Poi c'è il resto del film, un po' troppo
lungo, un po' sonnecchioso, calcato a forza sulle sole-solide spalle
di Johnny Depp coadiuvato unicamente da un co-protagonista, che
annaspa tra il simpatico e l'insignificante, interpretato da Armie
Hammer, e da un cavallo (sì, ho scritto “un cavallo”), Silver,
che letteralmente riesce a rubare la scena a tutto e tutti. L'impresa
era far tornare il grade pubblico a vedere western. Il rischio era
grande, ma Verbinski è uno che ama il rischio e che già è riuscito
con successo a far tornare il pubblico a vedere film sui pirati. La
fedeltà e l'amore del regista per il genere è materia già
acclarata per chiunque abbia posato gli occhi su quella perla
d'animazione che è Rango (non a caso sempre Depp come
attore-mattatore), mettergli nelle mani un mito americano come il
ranger solitario è di contro un gesto d'amore quanto una cassa
contenente nitroglicerina. Armeggiare con cura. Perché è sì un
personaggio leggendario, ma è anche un'icona considerata retrò,
superata come tutto il terroso e muffoso genere della frontiera, che
vive ormai di poche grandi uscite che in un decennio non contano
nemmeno tutte le dita di una mano. Un eroe vecchio, ma così vecchio
che è difficile trovarne oggi fascinazione. Se lo lasci inalterato
non te lo cagherà nessuno, se cerchi di innovarlo ti daranno del
bastardo perché il tuo gesto equivarrebbe a lesa della costituzione
americana. Tutti questo mi ricorda in qualche modo The Spirit. Non
troppo tempo fa il grande Frank Miller decise di portare sullo
schermo The Spirit di Eisner. Da autore Miller prese la materia, la
fece sua reimpastando le carte e servì con classe. The Spirit è
esattamente incamerato nel pantheon Milleriano, racconta del suo
amore-odio simbiontico tra l'uomo e la città (già descritti nei
suoi Daredevil e Batman), fa uso del grandangolo grottesco (del suo
Sin City), abbonda delle architetture folli e del sangue dei suoi
personaggi più amati (Elektra), incarna il mito del perdente
vincitore (300, Sin City).
Lo Spirit di Eisner è più positivo e
meno cupo (e dire che Miller fa di tutto per non essere cupo in The
Spirit!), la pellicola è derivativa di Sin City dicono (che sarebbe
come dire che E.T. è derivativo di Incontri ravvicinati del terzo
tipo), il pubblico vede il personaggio “tradito” e defeca sulla
pellicola di Miller. Chi non conosce The Spirit prende per buona la
critica americana e fa altrettanto. La scelta di gestione del Lone
Ranger di Verbinski fa tesoro dell'increscioso flop di The Spirit
(film da rivalutare, ma che ai più sembra scolpito indelebile quale
la merda delle merde, ulteriore frutto sgraziato di quel fascistone
di Miller). Verbinski non sposta di un centimetro il Ranger solitario
dalla sua icona, dalla sua interpretazione vintage o originale che
dir si voglia, ma concentra tutti gli sforzi innovatori su Tonto, la
spalla dell'eroe, spostando su di lui il baricentro della storia. E
fa centro. Tonto è un personaggio complesso e tormentato, nonché
assolutamente pazzo, cui Depp infonde una insperata luce di
credibilità senza dimenticare di trattare anche il registro più
leggero, in virtù della mission dichiarata della produzione: è una
pellicola per tutta la famiglia. Ma come far interagire un'icona con
un personaggio reale, come appunto si presenta Tonto. Ecco che
Verbinski trova un ingegnoso stratagemma. Tutta la trama è di fatto
una narrazione degli eventi che un vecchio Tonto elargisce a un
piccolo fan del Ranger Solitario che negli anni '30 incontra in un'attrazione a tema “cowboy e indiani” di un parco giochi. Geniale,
con un solo lazzo Verbinski cattura l'attenzione dei più piccini
spettatori in sala ed evita di intaccare il mito di troppe
implicazioni drammatiche e di difficile assimilazione. In fondo il
ranger solitario è un tipo sorridente che per anni compare a cavallo
con in sottofondo una marcetta, fa fuori i cattivi e scompare
all'orizzonte. Come Fantaman. Non è che Fantaman quando entrava in
azione diceva cosa faceva, chi era, perché era lì: rideva
satanicamente, affrontava il Dr.Zero e i suoi mostri e con una risata
se ne andava lasciandoci in balia dei noiosissimi piccoli cagosi
personaggi di contorno. Ora mi rendo conto che non tutti si ricordano
di chi cacchio sia Fantaman. Quindi eccovi un trailer che a molti
comunque continuerà a non dire una fava.
Dalla regia mi
dicono che in estrema sintesi il Ranger Solitario è paragonabile ad
un pokemon: quando entra in azione dice “Picaciu!”, fa fuori il
team Rocket e torna nella palla colorata. Che gli dei abbiano pietà
di me per aver fatto tale paragone...
Pertanto Armie
Hammer ha un compito al contempo più facile, perché la maggior parte
del lavoro sporco la fa Depp, ma anche più difficile, in quanto deve
recitare come uno stereotipo retrò anni '30. Per una assurda serie di
circostanze (ma se vogliamo possiamo anche qui parlare di genio della
regia) il fatto di essere un attore bolso e imbalsamato gioca a suo
favore nelle scene più iconiche-action, ma mostra ovviamente tutti i
suoi limiti nelle parti più narrative e drammatiche. Pertanto tutta
la parte introduttiva risulta un po' debole. Anche le connotazioni più
dark del personaggio vengono smussate, forse per non renderlo troppo
cupo ai bambini (ma sarà poi una strada giusta? Io mi ricordo
perfettamente di mio cugino ultra esaltato e per nulla terrorizzato
nella scena in cui Nick Cage diventa Ghost Rider...). Il Lone Ranger è
di fatto un “Dead man” quanto lo sono il Corvo, il Punitore,
Gungrave e appunto Spirit e Fantaman. In sostanza uno spirito
vendicativo e inesorabile che non si può uccidere, in quanto
interiormente (come il Punitore) o fisicamente (come tutti gli altri)
è già morto.
Nello specifico i poteri soprannaturali del Ranger
derivano dall'argento, metallo “maledetto” che fa da filo
conduttore di tutte le vicende, ma lo spunto rimane abbozzato ed è
un peccato, perché il personaggio di Hammer appare al pubblico come
un simpatico e fortunatissimo pistola (giusto per stare in tema
“western”) e nulla più. Alla lunga crepe derivano anche dalla
narrazione Tonto-Bambino, incapace di scavare a fondo dove la trama
si fa giusto un pelo complicata. Ma sono peccati veniali di una
pelllicola decisamente meritevole, peraltro benedetta da un cast di
comprimari di prim'ordine. Su tutti svetta la simpatica Helena Bonham
Carter, in un ruolo cucito su misura per lei, ma fanno il loro lavoro
alla grande anche Tom Wilkinson, un cinico Barry Pepper e un
bravissimo e quasi irriconoscibile per il trucco William Fichtner.
Tirando le
conclusioni eccoci davanti a un film difficile da gestire sulla
carta, sapientemente e originalmente gestito nei frangenti più
complessi, con tutti i comparti tecnico-artistici al top cui ad
alcuni passaggi poco movimentati e noiosetti si contrappongono scene
maestose, grande simpatia dei personaggi e una delle mezzore finali
più avvincenti ed esaltanti della storia del cinema. Decisamente
vale il biglietto. Ma riuscirà il Lone Ranger ad attirare a sé
nuovi fan e diventare come i Pirati dei Caraibi un brand? Riuscirà il bluray a portare gli incassi non eccezionali ottenuti al botteghino a un livello sufficiente per ispirare almeno un seguito? E chi lo sa!
Una grossa botta
in testa. Sangue. Tutto confuso il mondo ruota tra le orbite di
Robert Langdon. Il celebre professore di simbologia e iconografia
religiosa di Harvard si risveglia così in un letto d'ospedale con la
più agghiacciante e angosciosa delle scoperte. Il suo orologio di
topolino. Rubato. Tutto crolla senza il suo confortevole monile
massonico orecchiuto e per di più ci sono dei tizi strani che gli
stanno parlando in camici bianchi. Pare parlino italiano, in quanto
riportano sui loro vestiti gli inconfondibili aromi di tabacco e
caffè espresso (!!!!), ma è ancora tutto annebbiato. Poi i sensi
ritornano a funzionare a sprazzi e l'esimio professore scorgendo
dalla finestra uno skyline inconfondibile si accorge di trovarsi a
Firenze. Come ci è arrivato? Cosa è successo nelle ultime ore? Chi
si è fottuto l'orologio di Topolino? A fornire le prime risposte è
una donna in camice bianco, che come tutte le coprotgoniste dei
romanzi di Langdon è una figa misteriosa con tratti da psicopatica.
Langdon è lì perché ha perso la memoria. E sticazzi. Manco un
minuto e irrompe dalla porta sforacchiando tutto e tutti una triste
parodia di spia russa di nome Yelena. Fuga. Botti a ripetizione. Ma
già importanti conferme. I profumi sono inconfondibili. Lampredotto
e Chianti (!!!!). Langdon si trova veramente a Firenze. Il professore
dovrà ricostruire gli eventi passati facendo uso dei pochi strumenti
di cui dispone in tasca e di una memoria farraginosa, che non fa
altro che trasmettergli in loop sogni sinistri riguardanti l'inferno
dantesco. Come sempre non sarà facile sbrogliare la matassa, perchè
potenti nemici si avvicendano sulla strada della verità e non manca
il solito pazzoide d'ordinanza, pazzoide che ha preparato per il
nostro enigmi riguardanti come sempre roba storica-iconografica,
nello specifico riguardanti un pallino del pazzoide, Dante Alighieri.
Autore sul quale Langdon sa proprio tutto di tutto (!!!!!!!!!!!!).
Il professor
Langdon è tornato! Febbrili si susseguono pellegrinaggi presso
librerie e supermercati per impossessarsi del “tomo misterioso”,
l'oggetto ambito per le vacanze (finite da un pezzo) il Santo Graal
dell'intrattenimento estivo o comunque un buon intrattenimento per i
post-vacanzieri. Trama blindata, adattamento pare avvenuto in un
bunker in quel di Milano 2 dove nottetempo sono stati segregati
traduttori internazionali, pare a regime di pane e acqua, pare
minacciati di morte da sedicenti contractor in caso di prematura
divulgazione dell'artefatto (è per questo pare che non vedremo mai
la versione in Giamaicano..). Sarà l'ennesimo miracolo commerciale?
È sempre
affascinante leggere i testi di Dan Brown. Nonostante situazioni al
limite dell'assurdo, nonostante tremende puttanate sugli usi e
costumi dei villici in cui si svolgono i romanzi (il lampredotto??
Sigarette e caffè l'odore degli italiani???), la lettura scorre e
scorre di brutto, famelica e instancabile fino all'ultima pagina. Una
capacità narrativa non comune che si accompagna alla proposizione di
mistery interessanti in cui pervade quella sana atmosfera da gita
turistica colta. C'è gente che va nei musei con sottobraccio i libri
di Dan Brown per riconoscerne dettagli narrativi e personalmente
ritengo che qualsiasi cosa spinga qualcuno ad andare a vedere un
museo sia buona e giusta. E poi è figo guardare la tal statuina o
dipinto e ritenere di essere davanti a una scoperta degna di Indiana
Jones. Per questo il personaggio funziona e diverte. Certo alcune
riflessioni di Brown sono forti, l'autore ha una propria mentalità
ed esprime attraverso i suoi personaggi pensieri piuttosto netti,
anche antipatici e impopolari. Qualcuno potrà quindi trovare
antipatie focose per tale volontà, ma personalmente apprezzo i
personaggi scomodi, gli eroi che non restano bidimensionali. Langdon
è spesso superficiale, stupido, pedante ma è molto più umano di un
Dirk Pitt qualsiasi.
Il simbolo
perduto, il romanzo precedente, devo ammettere di averlo digerito un
po' a fatica. Suonava come un mega spottone pro-massoneria, ma il suo
reale limite era di essere troppo lento. Questo libro affronta un
problema sociale gravissimo e lo esplica nel modo e condizioni più
stronze immaginabili, tuttavia il ritmo narrativo è più veloce,
incalzante, le pagine volano. Rimane poi, come in Angeli e Demoni,
questa curiosa visione dell'Italia attraverso l'occhio del turista in
visita. Per lo meno Dan Brown ci dipinge meglio che Yoichi Takahashi
in Holly e Benji, per il quale il nostro popolo vive in baraccopoli
coperto di stracci. Come direbbe Paolo Villaggio nelle vesti della
invaghita infermiera tedesca mentre visita l'immigrato italiano Lino
Banfi (in “Pappa e ciccia”): “Tu, pagliaccen italiano, dofe
tiene tuo mandolino? Fa me federe solo una folta tuo
mandolino, pajaccio”.
Una lettura
divertente quindi. Senza pretese. Leggete sereni. Avrei voluto da un
libro che si chiama Inferno che si parlasse mooolto di più
dell'inferno dantesco. Gli spunti sarebbero stati diecimila, ma pare
che Brown abbia letto solo la riduzione dell'opera di Go Nagai.
Dan Brown sostiene
di voler girare il film, di volerci dentro Benigni. Io vorrei che a
interpretare Langdon non ci sia più Tom Hanks con quegli
inquietanti untuosi finti capelli corvini. Chi legge i libri sa che
l'unico attore che interpreterebbe al meglio il professore è Liam
Neeson (oh, io la penso così per lo meno...). Con Liam Neeson
sarebbe un film bello.
Newark, New
Jersey. Alcuni indiani d'America sono impegnati nella costruzione di
un palazzo. Vivono in una baracca costruita nel cantiere, arroccati
in pochi metri e tanti letti a castello. Poi degli spari. Poi una
porta si apre. Dei delinquenti entrano nella stanza e fanno una
strage. Eliminano possibili testimoni scomodi di un reato che si è
compiuto di lì a pochi metri, ma di cui i nativi americani non sanno
nulla. Mentre la maggioranza degli indiani nello stabile viene
colpita a morte da fucilate, mentre i criminali dispongono tutto per
un rogo dell'intera baracca, due di loro, che si trovavano nel bagno,
scappano all'eccidio e da subito vengono inseguiti quali superstiti.
Jeff Cardiff è un giornalista. Accorre nel cantiere dell'eccidio,
non crede all'insabbiatura predisposta dalla ditta appaltatrice che
vuole chiudere la questione parlando di una stufa che ha ucciso gli
indiani nel sonno provocando l'incendio, decide di indagare. Ma la
vita lo porta momentaneamente altrove. Luna che Ride, la sua nonna
indiana, è spirata. Jeff partirà quindi per un lungo e doloroso
percorso interiore alla ricerca delle sue radici, ma per questo non
rinuncerà a continuare la sua inchiesta. Perché sangue chiama sangue
e anche se solo in parte indiano Jeff ha un Cuore di lupo. Strano,
onirico, spiazzante.
Ambrosini continua nella sua missione di offrire
opere originali quanto profonde, distanti dai luoghi comuni del
fumetto. Opere che spiazzano, che molto si amano o molto si odiano, ma
che ad ogni modo non lasciano indifferenti. Cuore di lupo non si
sottrae a questa visione e offre davvero molto di più di quanto
traspaia a una lettura veloce. È un racconto sofferto, pieno di
personaggi delusi e perdenti che può magari richiamare alle
atmosfere filmiche dei fratelli Cohen. Ma dove davvero tocca e
rimane alla memoria è in ragione di un piano ulteriore di lettura,
quasi metafisico, non invadente ha che di fatto guida e unisce i fili
invisibili del racconto. Mito, fantasia, cuore. Ambrosini opera
sull'onirico per andare a descrivere con più forza le dinamiche
emotive, per dimostrare che la storia può essere in funzione dei
sentimenti e non viceversa. Facile pensare per gli affezionati di
Ambrosini a certe suggestioni “napoleoniche”, che tanto mancano
nel panorama fumettistico moderno. Quanto ci manca Napoleone, quanto
ci manca Jan Dix. Vi consiglio vivamente questo nuovo volume de “Le
storie”, tanto per l'unicità della storia quanto per i dettagli
delle tavole di Ambrosini, sempre dettagliate quanto peculiari, quasi
espressioniste, ruvide. L'unica punta negativa dell'opera risiede
forse in un livello generale non al top della forma del nostro
autore, ma il viaggio vale comunque il biglietto.
contiene un paio di piccoli e poco
significativi spoiler, roba che si vede al 90% già dal trailer
comunque
Come l'anno scorso
sotto Natale mi reco al cinema Odeon di Milano con il Maurino,
l'esperto tolkeniano di zona, ad assistere al rituale spettacolo
allegorico di Peter Jackson in salsa fantasy. Si guarda l'albero in
Duomo, la galleria Vittorio Emanuele stracolma di gente con pacchi e
pacchettini, si mangia una pizza di lusso. Anno dopo anno questo
piccolo rito assume sempre di più la fragranza tipica degli aromi
delle feste, quasi fosse l'anice stellato che insaporisce alcuni
dolci natalizi. Solo che l'anice stellato deve dare sapore per poi
essere tolto dall'impasto, o rischiate che la pietanza sappia solo di
quello e stomachi un po'. Allo stesso modo lo Hobbit è qualcosa che
va gustato senza soffermarcisi troppo, o si rischia che la pietanza
arrivi un po' indigesta. La sala presenta ovviamente oltre agli ormai
inevitabili occhialini 3d il tanto arcigno sistema di riproduzione in
HF già utilizzato per il primo Hobbit. A una seconda visione mi
pare che sia meno devastante, ma risulta una bizzarria che è tuttora
lontana dal piacermi.
Dove eravamo
rimasti? Gandalf tirava i dadi, faceva +6 e giocava la carta aquile
in posizione di difesa salvando i nani e l'Hobbit dalle grinfie delle
schiere dell'orco (fintissimo) senza una mano, così che i nostri
potessero continuare la loro allegra avventura finalizzata al
risveglio con incazzatura del drago Smaug (più o meno). Nelle ultime
battute del film precedente Bilbo si era casualmente (ma nulla capita
a caso per Tolken) imbattuto nella triste creatura Gollum ed era
riuscito con astuzia a sottrargli il suo prezioso tesoro, un anello
dal potere oscuro in grado di rendere invisibile chi lo indossi. Le
successive tappe del viaggio, per tre abbondanti e ammorbanti ore in
sala, comprendono un bosco oscuro verdeggiante, la solita stronza
magione elfica abitata da stronzi elfi (e qui ritorna lo stronzo
Legolas), una versione triste di Venezia in novembre abitata da
psicotici e infine la montagna del tesoro difesa dal (bellissimo)
drago digitale. Ok, iniziamo con slancio... cheppalle...
Nonostante in rete
c'è gente calva perchè ha con questa pellicola finito di strapparsi
i capelli dalla gioia, il film ripresenta, come la peperonata il
giorno dopo, tutti i più atroci difetti della pellicola precedente.
Salvo le canzoncine, grazie a Dio qui non si canta! Una trama
ampiamente imperfetta, tra una parte iniziale brusca dove dovrebbe
essere centrale, un tizio importante nel libro che si vede tre secondi
in tutto, un capitolo sugli elfi straripante di una noia mortale
(basta soffermarsi su sti elfi, hanno rotto!!! - frase ammorbidita in
ragione del fatto che abbiamo anche lettori giovani -), un capitolo
su Venezia superficiale e stupido fino quasi a essere irritante dove
tutto e tutti appaiono caotici o cretini (prima si detestano
cortesemente, poi si ignorano, poi si aggrediscono, poi complottano,
poi gli eventi precipitano e il tutto avviene in 6 minuti!!! Capisco
che si volesse mettere in questa pellicola il drago, ma aveva più
senso tagliare l'inutile parte sugli elfi rispetto a questa porzione
di trama! Spero che le scene aggiuntive della scontata versione
estesa home video diano maggiore logica agli eventi di questa
parte).
Tredici nani di cui non ci importa nulla e per i quali il
regista non fa nulla per renderli simpatici, salvo tre o quattro.
Gandalf, che per mascherare la sua indole over-powered (o in ragione
di un aumento richiesto dalla controfigura) viene mandato non si sa
dove a non si sa bene fare cosa, (pare si faccia mezza mappa della
terra di mezzo per incontrare il fratello che vive con la cacca
d'uccello in testa e comunicargli pazzesche ovvietà) risulta se
possibile più irritante del solito. Ritorna Legolas, interpretato dal peggiore attore mai nato, Orlando Bloom, che ha per lo meno il pregio
di parlare poco e menare tanto e in modo figo. Lo hobbit di Martin
Freeman (ribadisco la tesi che sia un lontano cugino di Jackson a cui
quest'ultimo doveva dei soldi), di una antipatia quasi tattile e dai
costumi più brutti mai creati per un'opera fantasy (perché invece i
costumi degli Hobbit nella saga dell'anello mi piacevano? Il cugino è
anche costumista?) e per il quale non possiamo che sognare una morte
atroce nella tragica consapevolezza che questa non avverrà (che bello
se Smaug lo facesse a pezzi, lo disponesse a spiedino e ricoprendolo
di salsa Yaki Tori provvedesse a media cottura). E poi perché, per
Thor, i ragni parlano!!!! L'esperto tolkeniano mi dice che in origine
parlano e cantano pure e devo pertanto ringraziare Jackson per aver
tolto i canti. Ma abbiamo anche aspetti della pellicola così belli da
renderla ad ogni modo, proprio come il primo film, qualcosa di
imperdibile.
L'ottima implementazione dell'elfa Tauriel offerta da
Evangelyn Lily, non a caso un personaggio così bello e ben riuscito
da non far parte dell'Hobbit originale (si capisce che Tolken non è
esattamente il mio autore preferito? Beh, vi sbagliate, non di tanto
ma vi sbagliate...). Il sempre affascinante personaggio di Scudo di
quercia, doloroso, ambiguo, rissoso, eroico, accidioso, titanico,
collerico, maestoso, altruista e senza glutine. La lunga ed elaborata
scena della foresta con i ragni con più di un eco dal King Kong di
Jackson, l'adrenalinica corsa sui barili, la maestosa apparizione di
Sauron, le maxi-zuffe naniche ed elfiche perfettamente coreografate
che infarciscono il film in ogni dove, l'ultima stupefacente (per
ritmo, recitazione ed effetti) ora della pellicola con lo scontro con
il drago più bello e spaventoso che cinematograficamente parlando si
ricordi, una sequenza da iscrivere agli annali come quanto di più
figo visto al cinema almeno negli ultimi cinque anni. Laddove La
desolazione di Smaug eccelle, la pellicola si fa di culto ed è
addirittura in grado di ridefinire l'asticella massima
dell'eccellenza verso l'alto, e questo automaticamente fa perdonare i
mille difettacci elencati poc'anzi. Certo ogni tanto ci si sente
ostaggi del film, affamati di maggiore azione e irritati da una
scansione degli eventi che non convince. In un film di tre ore non si
spiega perché il personaggio del muta-forma sia appena accennato così
come non si spiega lo strabordante spazio nella solita dimora elfica.
Il film rimane ampiamente imperfetto e non raggiunge le vette di
scrittura del Signore degli Anelli. Ma lo spettacolo, se superate
incolumi la prima oretta, diverte e avvince e porta in dote alcune
delle più belle scene d'azione cinematografica di sempre. È questo
quello che conta. Per questo promuoviamo La desolazione di Smaug
nonostante i suoi difetti e attendiamo con gioia il capitolo 3.
Gli alieni vivono
tra noi. Qualcuno finisce pure sotto i ferri di persone tentate di
scoprirne la natura, qualcuno viene salvato e riportato in una
patria che non pensava di avere. Le protesi facciali e gli abiti
degli alieni sembrano usciti dal Mukka Assassina.
Tornano al cinema
sotto egida Warner Brothers i fratelli terribili, i mitici Wachowski!
Questa volta il dinamico duo darà vita ad una pellicola
fantascientifica in grande stile, da loro scritta e diretta,
interpretata dal bietolone Channing Tatum (che è appunto bietolone
ma pure simpatico, vedasi alla voce 21 Jump Street e imminente
seguito) e dalla sempre bellissima Milla Kunis (amatissima Meg dei
Griffin nonché interprete de Il cigno nero).
Sono di parte, amo
integralmente la filmografia dei Wachowski (sì, anche Bound e Speed
Racer, passando dalle collaborazioni produttive come V per vendetta e
persino il bruttino Invasion) e credo che Cloud Atlas sia uno dei film
più belli degli ultimi cinque anni (e perché non l'ho ancora
recensito? Ci ho provato, ma veniva un post-atto-d'amore diviso in
nove parti abbastanza deliranti troppo incompresnibile pure per i
miei livelli... ad ogni modo se amate la fantascienza intelligente
alla Gattaca, le storie d'amore tormentate, i romanzi marinareschi,
le commedie sofisticate tipo Allen, le ambientazioni alla Mad Max, i
drammi interiori alla Shine e il tutto mischiato in un unico film
andate a recuperare Cloud Atlas e leggetevi il libro collegato, che
ne vale la pena!). Alieni, esperimenti sul genoma, bullet time a
manetta, tizi che volano dalle pettinature impossibili e dal trucco
pure peggio, quel senso a volte irritante di porti sopra le
righe, Jupiter Ascending si presenta da subito con l'inconfondibile
stile delle pellicole Wachowski, che sono, per chi riesce ad amarle,
più che la somma dei singoli componenti. Pellicole spesso
altisonanti, ma sempre in grado di dare qualcosa, offrire occasioni
per riflettere, gemme rare degne di essere viste e riviste. Perdere
tempo a sezionarle, opacizzare la sgargiante superficie esteriore
alla ricerca delle ovvie esagerazioni e ipocrisie, equivale a
svilirle quanto a perdersi qualcosa di bello. Per goderne davvero
bisogna farcisi trasportare dentro con tutta l'ingenuità di un
bambino che varca la soglia di un negozio di dolciumi alla ricerca
degli squali gommosi e delle rotelle di liquirizia: pura estasi
emozionale. Certo che il trucco di Tatum è oggettivamente di quelli
che stimolano ilarità, ma questo non mi farà certo desistere dalla
visione. Giugno è lontato, questa prima visione di assaggio non si
presenta affatto male. Vi terremo aggiornati!
Il teaser è un'invenzione degli ultimi anni, per dare qualcosa in pasto ai fan che sbavano da mesi in attesa di un trailer da spulciare per ore e ore in cerca dei più piccoli dettagli, per poi discuterne con altri malati sui forum dedicati. Le case di produzione hanno quindi ben pensato di lanciare dei mini trailer di pochi secondi giusto per rendere l'attesa ancor più lunga e spasmodica... Ma non tutti i teaser riescono nell'intento di gasare il pubblico. Volete un esempio? Ecco qui:
Quando ho visto che durava ben 2 minuti (che per un teaser è tantissimo), mi sono subito gasato, anche perché il nuovo film di Nolan è attesissimo. Peccato che il teaser in questione non voglia dire una beata minchia. Sembra la pubblicità di un profumo, manca solo che la voce narrante finisca con "the new fragrance by Paco Rabanne". Fa solo girare le balle modello ventilatore in una giornata di metà luglio. Cioè... piuttosto non pubblicate nulla!
Lo volete un teaser figo?
Chi dopo questi 50 secondi scarsi non vorrebbe arruolarsi tra le fila dei mercenari di Stallone? Chi non vorrebbe comprarsi un cargo con un teschio aerografato sopra? C'è sicuramente già qualcuno che è uscito di casa per andare al più vicino negozio di soft-air per comprarsi una divisa nera e il coltello di Lundgren... ave o Stallone, ho già i biglietti per il tuo film e spero che nelle tue intenzioni i mercenari saranno come minimo quindici film. Nolan, guarda e impara! Gianluca
Il pianeta delle
scimmie, un primo sguardo a Il pianeta delle scimmie – Revolution (Dawn of the planet of the apes) e una piccola chiacchierata sulla
storia della saga scimmiesca
Il Pianeta delle
Scimmie è una delle saghe di fantascienza più amate di sempre. Da
un primo capitolo imperdibile, del 1968, magistralmente interpretato
da Charlton Heston e che ancora costituisce il punto più alto della
produzione, il brand si è espanso negli anni con altri quattro
capitoli, realizzati fino al 1973, una serie televisiva del 1974, una
serie a cartoni animati del 1975. Poi il mito si è sedimentato tra i
fan, la saga ha assunto l'egida di oggetto di culto, qualcuno trovava
bellissime le orrenderrime mascherone da scimpanzé caratteristiche
della produzione.
Fino a che trenta
e passa anni dopo la 20th Century Fox decise di resuscitare
il brand, di affidarlo alle abili mani di Tim Burton e di un cast
stellare e farne un mega blockbuster al passo coi tempi. Ma la
pellicola fa flop. Nonostante gli effetti visivi ILM, nonostante il
trucco da urlo, opera del genio del make up Rick Backer, nonostante
la presenza di bravi attori come Paul Giamatti, il compianto Michael
Clarke-Duncan, Helena Bonham Carter, uno straordinario Tim Roth, Kris
Kristofferson e Charlton Heston stesso, nonostante la strato-gnocca
Estella Warren (partita a razzo proprio nel 2001, dopo una carriera
di nuotatrice, con questo film e con Driven per poi finire tra un
Cangaroo Jack e una minchiatina dispersa, con ultima traccia di sè
nel 2010 per l'orrendo Jonah Hex), nonostante le chiappe di Mark
Wahlberg.
Il film non
funziona, il finale è così assurdo poi da far storcere il naso a
più di una persona. Il brand incassa comunque tanti soldini, ma
ritorna in soffita. Il finale di pellicola, per altro più aderente
al libro, sarebbe stato spiegato in un seguito che la major non volle
mai mettere in cantiere. Ed è un peccato perché il film di Burton
era buono sotto molti aspetti e visivamente eccelso. Poi inaspettato,
10 anni dopo, si fece timidamente avanti un nuovo capitolo del brand:
Rise of the planet of the apes, diretto dal misconosciuto ma
talentuoso Rupert Wyatt per la sceneggiatura opera degli artefici del
bello ma poco noto Relic: Jaffa (accreditato anche per il prossimo
Jurassic Park del 2015) e Amanda Silver. L'idea è di offrire una
sorta di prequel del capitolo originale del '68, basandosi su una
novella dell'autore del romanzo originale, Pierre Boulle, ma la vera
chicca è squisitamente a livello realizzativo. Grazie a una
tecnologia che negli anni ha compiuto autentici passi da gigante
nella riproduzione in digitale di animali, si decide di creare al
computer le scimmie e nel contempo fare uso di reali primati in
ragione di tizi con mascheroni pelosi. A rendere le movenze di
Caesar, la prima scimmia senziente evoluta, viene quindi chiamato uno
degli attori più straordinari degli ultimi anni, l'uomo che con le
sue movenze e la sua interpretazione ha dato vita al Gollum della
saga del Signore degli Anelli, Andy Serkis. Peraltro Serkis è da
poco reduce dalla interpretazione di un'altro illustre primate oggi
riproposto in digitale, il King Kong di Peter Jackson, e quindi già
profondo conoscitore delle dinamiche di comportamento delle scimmie.
Il talento di
Serkis unito a una sorprendente sceneggiatura, che lega l'ascesa
delle scimmie alle decimazione della razza umana come conseguenze di
un catastrofico esperimento volto in origine a curare l'Altzeimer (che
invece rende le scimmie superintelligenti), fanno della pellicola
qualcosa di originale. Soprattutto la prima e seconda parte
dell'opera, grazie oltre che a Serkis al taleto di attori molto validi
come James Franco, Freida Pinto e John Lithgow (quest'ultimo
straordinario), apporta qualcosa di davvero mai visto nella saga, una
dinamica familiare interessante e sfaccettata, una drammaticità
autentica e desolante. Vediamo Cesare, figlio di una cavia-schiava
dell'uomo, nascere, crescere, scoprire la sua strada e infine
diventare simbolo per il suo popolo in quella che parrebbe, grazie al
filtro della migliore fantascienza, una biografia credibile e
realistica.
Il film piace, e
molto. Tanto che si mette subito in cantiere un numero due. Dopo un
tira e molla, la produzione decide però di accantonare regista e
cast dell'ottima pellicola in ragione di voler offrire qualcosa di
differente. Così alla regia subentra Matt Reevers, noto braccio
destro di J.J.Abrams, regista dello spledido Cloverfield sui mostri
ripresi con telecamera a mano e di Blood Story, riuscito remake
americano della tenera e inquietante pellicola vampirica Lasciami
entrare. Se Reevers non fosse un talento verrebbe quasi da pensare
all'influenza di Abrams in 20th Century Fox in relazione
ai suoi incarichi direttivi per il brand di Star Wars... e si sa che a
pensar male... Giocoforza Franco e gli altri vengono scaricati, ma
rimane (e ci sarebbe mancato il contrario) Andy Serkis, che qui sarà
accompagnato da Jason Clarke (già visto in Zero Dark Thirty e nel
Grande Gatsby), il sempre eccelso Gary Oldman, Keri Russel (la
Felicity nella serie guarda caso di J.J.Abrams e Matt Reeves) e Kodi
Smit-McPhee, già visto in The Road e (guarda tu il caso) nel ramake
di Lasciami Entrare.
La trama sembra
riguardare un periodo succesivo agli eventi della precedente
pellicola, un'epoca nella quale un certo numero di esseri umani è
comunque sopravvissuto e deve vedersela con la nuova dominazione
scimmiesca. Come sarà? Ecco il nuovo trailer!
Wow. Credo che ci
sarà da divertirsi! Vi forniremo aggiornamenti sullo status della
pellicola non appena ne avremo la possibilità. Restate con noi!
Medioevo con
qualche licenza poetica, centro Europa senza particolari specifiche.
Il mondo è pieno di streghe che rapiscono bambini per mangiarli,
sventrano cacciatori che troppo si avvicinano ai loro covi, evocano
demoni di ogni tipo. La gente ha paura. Nei villaggi vengono arse
vive in continuazione donne accusate di stregoneria pur non avendo i
cittadini prove concrete sulla loro natura demoniaca. Tutto sembra
volgersi verso una prematura fine del mondo quando sta per
approssimarsi in cielo la notte della luna di sangue. Ma come ci sono
le streghe, c'è anche qualcuno che si oppone a loro come gli orfani
coraggiosi Hansel e Gretel. Abbandonati nel bosco da piccoli, questi
sono stati attratti da una casa interamente fatta di dolciumi abitata
da una terribile strega. Imprigionati e messi all'ingrasso in vista
di essere mangiati dalla fattucchiera, i due bambini riuscirono a opporsi, contrattaccare e spingere nel forno la loro aguzzina. Da
allora cresciutelli e diventati Hansel un figo (Jeremy – occhio di
falco – Renner) e Gretel una stratognocca (la divina Gemma
Arterton) vestiti di abiti in pelle e armati pesantemente vagano di
villaggio in villaggio nella loro personale opera di sterminio.
L'obiettivo più grosso è la potente strega Muriel (Framke – Jean
Grey - Janssen), ma avranno inaspettati problemi con il tutore della
legge di un piccolo villaggio, l'ottuso sceriffo Berringer (Peter
Stormare).
Nuovo B-movie
dell'arrembante Tommy Wirkola, lanciatissimo dopo il simpatico Dead
Snow. Il budget qui è considerevolmente accresciuto e possiamo
quindi godere di stupendi effetti speciali dall'anima retrò- anni '80, di predatoriana memoria mi verrebbe da dire. Il focus è nel
realizzare le streghe più brutte e grottesche possibili e si nota
chiaramente l'omaggio alle fattucchiere-ninja di Raimi tanto nel make
up che nelle movenze. I combattimenti tra orfanelli e le megere sono
un autentico spettacolo, scanditi da humor nero ed eccessi di vernice
rosso sangue e più di una volta ci si trova a pensare alla trilogia
di Evil Dead. Le ambientazioni sono altrettanto evocative (sempre di
Evil Dead verrebbe da dire), con piante che attaccano come nelle più
tetre scene del Biancaneve della Disney e con i gustosamente
spettrali villaggi medioevali. Gustosa in tutti i sensi la casetta
costruita di dolciumi, al contempo innocua e sinistra fin dalle sue
porte che si spalancano come una bocca dentuta. Al centro di una
continua e concitata azione ecco che vediamo i nostri eroi. Il
simpatico e sempre bravo Renner e soprattutto la divina Gemma
Arterton. Pelle bianchissima, forme generose, viso che incanta. Non
sarò razionale qui, nutro una profonda e incurabile cotta per la
suddetta attrice inglese, roba che non mi capitava dai tempi di
Jennifer Jason Leight e Juliette Lewis. Una fascinazione in grado di
farmi dimenticare tutto, dalla trama alla fotografia al momento di
pausa pubblicitaria, e rimanere in estatica contemplazione per ore. I
produttori sanno del potere di questa sirena ammaliatrice e spesso la
mettono in filmacci come Prince of Persia e Scontro tra Titani, dove
io come un ebete passo il tempo a guardare solo ed esclusivamente
lei, incurante di tutto il resto. Ho visto il seguito di Scontro tra
Titani, ossia l'Ira dei Titani incurante della sua assenza e ho
trovato per ampi tratti la suddetta pellicola terribile. Ho rivisto
Scontro tra Titani cercando di isolare le scene in cui non appare
Gemma, ma non ci riesco (Tuttora non mi importa nulla della trama di
Scontro tra Titani o dell'anacronistico taglio di capelli del
protagonista), sono completamente soggiogato e maledetto alla visione
continuativa di film come Tamara Drew, la scomparsa di Alice Creed e
Quantum of Solace (che apprezzo sempre tantissimo, ma potrebbe
essere per via del “Tamara Drew bless”). È stato annunciato un
Hansel e Gretel 2, anche se mancano ancora conferme specifiche è
quasi sicuro che si farà. Gemma ha di nuovo fatto il miracolo dei
titani, quello che comunque non è riuscito con Prince of Persia (era
davvero un film troppo brutto quello... con un principe
sbagliatissimo).
Tiriamo le somme!
Il film è un B-movie dal chiaro e dichiarato old-style fashion per
effettistica e trama. I riferimenti a Evil Dead sono evidenti,
bellissimi e fanno da ossatura a tutta l'operazione. I due
protagonisti si muovono in ruoli di stampo quasi supereroistico
simpatici, eccessivi e soprattutto divertenti. Tanto ma tanto sangue,
budella, deflagrazioni cefaliche e quant'altro, pare una puntata di
Ken il Guerriero. Gemma Arterton. Non ho provato il 3d. 88 minuti che
passano in un soffio, una pellicola che si presta a essere vista e
rivista per i suoi eccessi visivi e per Gemma. W Gemma. Giudizio
critico: una puntata di Hercules/Xena con tanto sangue (e a me
piace Xena). Giudizio acritico: una figata spaziale per chiunque
sogni scene come una strega che imbraccia la scopa per schivare i
dardi intrisi si acqua santa esplosi da una balestra a ripetizione.
Epico.
Ne abbiamo già
parlato su queste pagine. L'iniziale entusiasmo per la realizzazione
di un reboot di una delle più belle e splatterose pellicole “anni ottanta” si è andato spegnendosi notizia dopo notizia fino alla
visione del primo trailer, dove lo scoramento ha raggiunto
preoccupanti livelli di guardia, quasi da caduta testicolare
verticale. Il problema è la tremenda scelta, già evidente da una
manciata di immagini, di livellare il target, di fare di Robocop un
film per tutti come i Teletubbies. A essere onesti lo stupro del
povero Murphy in senso “spettacolo per tutti” si è avuto subito
all'indomani della seconda pellicola quando cartone animato e serie
tv sono provvidenzialmente partite con l'intento di fare di Robocop
un pupazzo da vendere, cosa che la prima pellicola non voleva, cosa
che la prima pellicola cinicamente criticava, ma che giocoforza la
serie è diventata a colpi di cartoni e pupazzi. Non metto nel
livellamento target i videogiochi perchè negli anni “ottanta” era
già costume sul c64 o sull'Amiga o Megadrive proporre giochi per
adulti, cosa che di fatto Robocop era... ricordo in proposito un
leggendario Robocop vs Terminator sanguinolento come pochi di cui un
remake non schiferebbe, anzi. Noi, nerd sadici, che amiamo il sangue
e sbudellamenti della prima, cinica e disperata, pellicola del
crociato meccanizzato non possiamo nulla contro le major. Ci
aggrappiamo al regista già noto per Tropa d'elite, Padilha, ma le
immagini sconfortano. Fanno tornare alla mente Street Hawk, Kamen
Raider, Captain Power.
Tutto questo fino
al nuovo trailer di cui sopra, una leggera botta di entusiasmo. Nelle
poche scene vediamo gran sfoggio di attori, dal mitico trash-hero
Samuel L. Jackson al mai dimenticato Beetlejuice Michael Keaton al
sempre valido Gary Oldman. Anche la computergraficaccia del primo
trailer pare dimenticata e l'aspetto visivo speciale non lo trovo
così sgradevole; infine, direi quasi figlio di suggestioni
calate (bene) da Io Robot o Real Steel (sperem). Certo Robocop di
Verhoeven era “acciaio che schiaccia carne, carne che si comprime e
scoppia schizzando” (questa frase è mia, già depositato il
copyright.-.). Qui siamo molto più dalle parti di bullone schiaccia
bullone, più innocuo e socialmente accettabile. Ma se il tutto sarà
veloce e divertente chissenefrega e benvenga anche questo “Robocop
Light”, con la sua moto rombante, psicologia appianata e la
stupidissima (almeno a vederla così) “mano umana”. Potrebbe
almeno essere una valida alternativa ad Ironman in fondo. Forse.
Passato. Prosegue
l'addestramento degli Orfani presso il campo Dorsoduro. Molti non ce
l'hanno fatta nella recente missione di sopravvivenza all'aria
aperto. Juno piange la perdita del fratetto Hector, che ha
sacrificato la sua vita anteponendosi tra loro e un orso. La ragazza
nutre profondo rancore e si allena con il massimo dell'impegno per
riuscire un giorno a essere abbastanza forte per uccidere il
comandante Nakamura, da lei ritenuto responsabile dell'accaduto. Il
comandante cerca di alimentare questo odio, comprendendo il
potenziale della ragazza; vuole che attraverso l'odio forgi il suo
carattere per diventare un'arma perfetta.
Presente. Continua
l'attacco al pianeta alieno. Iniziano a moltiplicarsi i dubbi sul
nemico e sulla loro misteriosa struttura cristallina. L'orfano Scout,
che si scopre essere Jonas, chiede al comandante di procedere per una
missione di pattugliamento accompagnato da Angelo, che si scopre
essere prorpio Juno. I due arriveranno molto vicino a un'inquietante realtà, in inferiorità numerica ed esposti al nemico. I
due ragazzi pertanto decidono che, qualora riuscissero a scampare,
daranno una svolta alla loro vita.
Secondo
appuntamento con il fumetto block-buster di Recchioni, con ai disegni
Bignamini e ai colori di Leoni. Si rinnova il piano temporale
sfalsato tra passato e presente e si approfondiscono ulteriormente i
rapporti tra i personaggi. L'atmosfera generale omaggia qui
grandemente la riduzione filmica di Starship Troopers, tanto sul
piano dell'addestramento che riguardo alla vita sugli incrociatori
spaziali del tempo presente. Ci sono riferimenti che arrivano fin nei
dettagli delle uniformi militari e i fan della serie ne saranno di
certo estasiati. Finalmente ci viene data la possibilità di
indugiare, fugacemente, sotto le corazze dei nostri protagonisti ed è
una svolta interessante che non riduce di una pagina l'azione
continua per la quale si contraddistingue questa testata. I segreti
sul mondo alieno si infittiscono e danno luogo anche a un paio di
tavole spettacolari. C'è un colpo di scena che potrebbe avere
interessanti conseguenze sull'economia del racconto e mutarne la
forma, ma ci riserviamo di appurarne l'effettiva portata di lungo
corso. I disegni sono sempre molto belli, anche se iniziano a venire
al vostro recensore alcuni dubbi. Le strutture extraterrestri come la
caratterizzazione attuale degli alieni sono peculiari, originali ma
poco accattivanti, languono un po' di fascino e ad essere proprio
bastardi si ha per ora l'impressione che la razza umana stia
combattendo contro una razza di orsetti gommosi.
Siamo gli alieni gommosi!!
Anche le suit
ultra-dettagliate degli orfani quando si accompagnano ai quod fanno un
po' l'effetto di giocattoli a causa di una errata rappresentazione
scenica. A queste perplessità grafiche si insinua stronzamente pure
qualche effettivo dubbio sulla bontà della caratterizzazione di
alcuni personaggi, che pericolosamente stanno in bilico tra il
drammatico e il ridicolo; è una sensazione ancora subcutanea, grazie
al cielo, speriamo che chi di dovere ci stia attento. Secondo numero
con più ombre che luci e dove la narrazione frenetica davvero fa
rimpiangere rimi narrativi più compassati.
Finalmente ci siamo, ecco il trailer dell'attesissimo remake marchiato Hollywood del lucertolone più radioattivo della storia. Che dire? Il bestione sembra sontuoso e questo teaser lascia ben sperare. Poca carne al fuoco per il momento per tutti quelli che, come noi, si aspettavano (e ancora aspettano...) eventuali collegamenti al mondo di Pacific Rim, dopo la boutade di Del Toro, che avrebbe seriamente intenzione di legare in qualche modo i due marchi. In ogni caso, nella spasmodica attesa di un secondo capitolo con robottoni alti come palazzi (secondo di almeno nove vogliamo sperare...), questo Godzilla pare proprio interessante.
Il cast? Non fa urlare al miracolo, ma forse è anche giusto così, in un titolo dove a farla da padrone deve essere il bestione famelico... comunque troveremo Elisabeth Olsen (sorellina delle più famose gemelle, ora scomparse probabilmente a disintossicarsi su qualche isola caraibica), Bryan "Breaking Bad" Craston, Aaron Taylor Johnson (il simpatico Kick ass dell'omonimo film , con tanto di seguito in uscita), la mitica Juliette Binoche e l'ancor più mitico Ken Watanabe, che da solo varrebbe il prezzo del biglietto. Uscita prevista in Italia: 15 maggio. Stringiamo i denti, mancano solo 5 mesi, 3 giorni, 11 ore, 2 minuti e 13 secondi... 12... 11... 10...
Diamo un occhio al trailer e rimembriamo il capitolo 1
Sfoggio
indiscriminato di effetti speciali, musica struggente in sottofondo,
Spiderman torna a solcare i cieli di New York di ragnatela in
ragnatela. Dopo aver scoperto per l'ennesima volta, senza che nessuno
lo avesse richiesto, che da grandi poteri derivano grandi
responsabilità, dopo aver sconfitto il digitalmente orrendo Lizard,
ecco che il nostro eroe è pronto a elargire umiliazioni a nuovi
super-cattivi di turno nonché a fare luce sul torbido passato alla
doctor Frankenstein che lega la famiglia Parker agli Osborn.
Riusciremo almeno a vedere una tetta di Emma Stone?
Ecco finalmente il
tanto agognato (?) primo trailer “consistente” dell'ultima fatica
cinematografica di Marc Web, il reboot di Spiderman capitolo due.
Sony riccamente produce, forse anche più di prima. La sceneggiature,
basata sempre sul lavoro di Vanderblit (che ricordiamo aver messo
mano allo sconfortante e mai dimenticato “Al calare delle
tenebre”), che in qualche modo seguiva la versione ultimate di
Spiderman (alla lontanissima... vuoi forse per il legame Parker-Osborn
e pochissimo altro) è qui curata dai “lostiani” Pinkner, Orci e
Kurtzman (e deve essere corposa dato il già annunciato Spider-man 3
per il 2016) in luogo delle penne del capitolo 1, cioè Vanderbilt,
Sargent e altri quattro (imdb. Cit). La musica è sempre lo
spettacolo sonoro garantito da Hans – Il Gladiatore (e Pasta
Barilla) - Zimmer.
Confermato in toto
il cast del capitolo 1, da Garfield (insopportabile) nel ruolo di
Peter Parker alla Stone (carinissima) a interpretare Gwen Stacy
passando a Selly Field ad impersonare zia May e Denis Learly
(insignificante) sul capitano Stacy. Martin Sheen sarà un quantomai
spettrale o flashbackkato zio Ben, Chris Zylka vestirà i panni di
uno spero “venomiano” Flash Thompson. A questi si aggiunge un
nutrito e interessante cast di cattivoni e comprimari vari. Tra i
nuovi arrivi, per gli affezionati dei cattivi pigiamati
dell'arrampicamuri, ecco allora la benemerita famiglia Goblin (...cioè
Osborn... ) rappresentata da Norman (Chris Cooper) e Harry (Dane
DeHaan, già visto ed apprezzato in Chronicles come pazzo scatenato),
seguita da Rhino (Paul Giamatti, in versione Rhino meccanizzato
direttamente dalla versione ultimizzata del personaggio) e da Electro
(Jamie Foxx, anche lui ultimizzato).
Che dire? La
giostra colorata offerta da questo trailer è molto attraente e
stimola automaticamente all'acquisto del biglietto per la prima del
mese di maggio. Da quello che vedo mi trovo inaspettatamente
contento.
Dico
“inaspettatamente” perché ho detestato con tutto me stesso il
capitolo 1. Non ho capito il motivo di far ripartire da zero una saga
eccelsa come quella di Raimi, seguendo lo slogan cretino “regista
giovane per un pubblico giovane”, anche se devo ammettere che
ripercorrere le dinamiche dello Spiderman anni '70 miscelate
all'universo ultimate non sia stata una cattiva idea. L'idea però che tale scelta sia dovuta al fatto che vendono di più le “storie
delle origini” piuttosto che i nuovi capitoli, che sono più
complessi da realizzare, mi rattrista e annoia. Quante volte dovremo
risorbirci le origini di Batman, Superman, X-Men perché degli
sceneggiatori cani non sono il grado di continuare un lavoro senza
ripartire sempre da capo ogni due o tre anni? Ai fan si raccontano
sempre le stesse fregnacce, i nuovi fan esultano e al prossimo giro
di boa pure loro ricorderanno le fregnacce. Tristezza. Non ho capito
poi perché trasformare Peter Parker in un bulletto belloccio del
tutto in antitesi al Peter Parker sfigato e mingherlino, uno che nei
fumetti dal “nuovo” Peter Parker le avrebbe prese di santa
ragione. Drammaturgicamente equivale a non avere mai letto o non aver
capito una sega del fumetto. Si può parlare di modernità, bocciare
per anacronistici gli scontri tra lo spiderman raimiano e doc ock in
cui i due si affrontano lanciandosi sacchi di monete d'oro modello
Paperon de Paperoni, ben vengano contesti più tecnologici e
realistici in luogo di ragni radioattivi. Ma non si può disintegrare
del tutto il carattere del personaggio. A Garfield, che interpreta il
ruolo in modo tronfio, sguardo da ragazzetto ribelle e con muscoli
guizzanti non serve il costume dell'uomo ragno per essere figo e
sentirsi realizzato nel mondo. Posso capire che le ragazzine lo
preferiscono al bruttino Tobey Maguire, ma Spideman è
sostanzialmente questo, un ragazzo buono, altruista, ma che non
spicca, uno che se non lo conosci non ci parleresti, uno con sempre
la nonna tra le palle e i vestiti sgualciti, uno che ha grandi
potenzialità ma è ancora così insicuro da non riuscire a esprimerle al meglio. È un insicuro a cui guarda caso si scioglie la
parlantina quando indossa il costume e può sfogare su beoti in
calzamaglia (pur con i limiti di un codice morale auto-imposto da
bravo ragazzo) tutte le paranoie che la sua vita da frustrato gli
propone giorno per giorno.
Garfield (che mi sta sul cazzo e quindi
quando lo vedo in Social Network prenderla in quel posto dall'altro
attore odioso godo...) non ha nulla di tutto questo a parte la
formula delle ragnatele (che poi tutta sta storia dello
spara-ragnatele... cheppalle!!!), che vedendo un po' il personaggio non
mi stupirei avesse rubato a un secchione fracassandogli la faccia
(cosa che non accade da che a prima vista potrebbe pure starci).
Tralasciando il vomitevole personaggio e passando al cattivo di
turno, non ho capito perché disintegrare Lizard rendendolo al
contempo un personaggio superficiale e un villain esteticamente
insignificante. Da un lato ringrazio per non essere ricorsi come
primo cattivo di nuovo al Goblin, che tanto ce lo ripiglieremo nel
capitolo2 o 3, ma non si può prendere uno dei personaggi più
tragici e complessi della storyline e brutalizzarlo in questo modo.
Lizard è combattuto, in perenne conflitto interiore tra umanità e
bestialità. Lizard è sofferente, sempre pronto ad auto-sedarsi per
non perdere il controllo, è una specie di Hulk con la consapevolezza; se si accende il suo cervello rettile inizierà a mangiare le
persone che lo circondano. Quando Connors diventa Lizard poi ecco che
pensa come Lizard, attua strategie e si muove con la furtività di un
rettile che conosce anche gli schemi comportamentali umani, è un
predatore cosciente. Un personaggio da film horror, ma può essere
affrontato come una figura shakespeariana e funzionerebbe. Qui è un
cattivo da fumetto buttato nel cesso quanto il due facce di Tommy Lee
Jones, uno che dovrebbe essere riflessivo, distaccato, austero ma
invece è solo isterico. Pura cacca. E poi la cga. In un'epoca poi in
cui al cinema arrivano i Transformers e i mostri giganti di Pacific
Rim possibile poi che Lizard abbia una cga così orrenda e
approssimativa, qualcosa che avrebbe fatto vergognare i costumisti
del power rangers? Riguardatevi i vituperati dai produttori
Spider-man di Raimi: Doc Ock, Sandman e l'Obgoblin sono personaggi
mille volte più fighi di Lizard (certo Goblin e Venom sono un
po' ciofeche, ma non si può avere tutto...).
Al di là della
nuova caratterizzazione del personaggio principale e del cattivo, al
di là del solito “spirito americano” della scena delle gru (che
c'è a chi piace...), al di là della forzosa re-visione della
scoperta dei poteri, le responsabilità, zio Ben in carriola e tutto il
resto, al di là di tutto il primo Amazing Spiderman ha comunque i
suoi meriti, primo tra tutti una regia dinamica, un apparato visivo
sontuoso, ottime interpretazioni di quasi tutti i personaggi. Perfino
una limit edition con pupazzetto su Amazon, esticazzi. Così lo
spettacolo passa, diverte. Non è “lo spider-man che dico io” ma
chissene.
Partendo da queste
premesse bassine è quindi facilissimo per me essere stupito da
Amazing Spider-man pellicola 2. Il trailer mi fa ben sperare,
l'effettistica appare fighissima, ho quasi più attrattiva per questo
che per il nuovo Capitan America. Di sicuro il biglietto per il
cinema lo prendo. Ne riparleremo.
Ai tempi di Bor,
padre di Odino, i guerrieri asgardiani hanno dovuto combattere la
minaccia degli elfi oscuri, una belligerante razza di bastardi spinti
dalla brama incolmabile di portare l'intero universo verso la
tenebra. Naturalmente gli elfi le presero, e ne presero tante, ma
qualcuno (il rancoroso Malekith interpretato dall'incolore
Christopher Eccleston) si salvò, meditando vedetta per un secolo o due, mentre la loro
principale arma, che è sempre marvellianamente una fonte di energia
distruttiva, veniva dagli asgardiani nascosta nel posto più
improbabile dell'universo, la Terra. Giorni nostri. La missione degli
Avengers per liberare New York dall'invasione dei Chitauri capitanati
da Loki (Tom Hiddleston, sempre bravissimo) è andata a buon fine e
ora il belligerante infingardo fratellastro di Thor (Chris
Hernsworth, sempre biondo) gode di una suite nelle prigioni
personali di Odino (Anthony Hopkins sempre compassato, ma nei momenti
di veglia dal pisolino quotidiano abbastanza reattivo), schifato da
tutti ma sempre amato dalla madre adottiva Frigga (Rene Russo,
commovente).
Thor nel frattempo brandisce il martello sedando guerre
e riportando la pace in tutti i regni e il suo divino padre inizia a
pensare che la corona donerebbe proprio sulla capoccia bionda del
ragazzone. Jane Foster (Natalie Portman, sempre carinissima), la
scienziata di cui Thor si è innamorato, intanto attende che il suo
biondissimo eroe torni a trovarla (Se Natalie Portman avesse
partecipato ad Avengers tutto questo casino non sarebbe successo).
Il suo capo Eric Selvig (un incredibilmente versatile Stellan
Skarsgard... che attendo nelle annunciate evoluzioni erotiche nel
prossimo Nimphomaniac di Von Trier, che uscirà in patria in versione
censurata e versione super-porno-deluxe per la notte di Natale) è
letteralmente uscito di testa dopo aver subito il lavaggio del
cervello da Loki e ora vaga nudo per l'Inghilterra, la sua stagista
Darcy Lewis (l'adorabile Kat Dennings) si sta allargando e si è
pertanto trovata Ian, un sub-stagista (Jonathan Howard) da utilizzare
come personale giocattolo. Mentre Jane guarda le stelle e viene
invitata in tragici appuntamenti al buio volti a farle dimenticare i
muscoli di un dio celtico, Darcy scopre non distante da Londra una
strana anomalia gravitazionale che pare una barbara scopiazzatura di
un episodio di Animatrix, (Aldilà di Koji Morimoto); guarda caso è
proprio al cento di quella stranezza spaziale che si nasconde l'arma
definitiva degli elfi oscuri.
Secondo
appuntamento con le avventure che vedono nominalmente Thor come
protagonista, anche se c'è subito da dire come il film Avengers
rappresenti un tassello importante e irrinunciabile che fa da ponte
tra la prima e seconda pellicola. Se in Iron Man 3 gli eventi di
Avengers si avvertono ma con una certa distanza, l'intero cast del
primo Thor è stato letteralmente stravolto dalla pellicola sui
vendicatori. Alla regia troviamo Alan Taylor, tanta gavetta nella HBO
dietro la macchina da presa, da Sex'n'The City ai Soprano al recente
Games of thrones e già accreditato come regista nel 2015 per il
nuovo Terminator. Il film è più “grosso” del primo in termini di
combattimenti, effetti speciali e drammaticità, ma non rinuncia del
tutto a gustosi siparietti comici e al divertimento generale (da
sempre anima dei comic-movie Marvel, aspetto che la DC dovrebbe
imparare a copiare). Gli attori sono perfettamente in parte e il
film riesce abbastanza a ritagliare qualcosa di significativo anche
per i personaggi che sono relegati ai ruoli più marginali come i tre
guerrieri (Fandral interpretato dal belloccio e simpatico Zachary
Levi, Volstagg intepretato dal granitico Ray Stevenson - uno dei
nostri attori preferiti amato anche in The Punisher, G.I. Joe la
vendetta, King Arthur - e per finire il terzo guerriero Hogun,
interpretato da Tadanobu Asano che arriva, dice una battuta e va
via), Sif ( Jaimie Alexander, sempre bellissima) e il mitico Heimdall
(interpretato da Idris Elba, stra-amato da noi in Pacific
Rim e Prometheus, anche se in quest'ultimo fa una parte un po' del
cacchio... ma pur sempre rocciosa!).
Tuttavia, come io stesso mi sto
rompendo di scrivere nomi su nomi di gente, appare evidente allo
spettatore che Dark World patisca un po' di overbooking... é vero che
Taylor con Games of Thrones abitualmente gestisce decine di
personaggi, ma per i tempi filmici di qualcosa che non sia il Signore
degli Anelli quando c'è troppa gente sullo schermo qualcosa
giocoforza si comprime. Per assurdo in questa pellicola quello che
maggiormente viene compresso è quello che dovrebbe essere il
cattivo, Malekith, già figura piuttosto incolore nei fumetti, che
vegetando troppo tempo nelle retrovie pur adoperandosi in un paio di
scene chiave della pellicola non riesce, per il ristretto minutaggio a lui concesso, a bucare lo schermo come a
farsi ricordare dopo i titoli di coda. Tuttavia quello che non riesce
a scatenare emotivamente Malekith riesce a farlo senza troppi
problemi Loki, colui che finora risulta essere il villain più
convincente di tutto il marveluniverso filmico. Hiddleston ne
accentua la tragicità ed emotività, promuovendolo a effettivo
antieroe in grado di oscurare per carisma il pur sempre simpatico e
appropriato Thor. Loki è contorto, spietato, ma al contempo
umanissimo, fragile e ferito. Le sue scene con Frigga, una
straordinaria Rene Russo, e Thor sono in assoluto le parti più belle
della pellicola e riescono ad avere un peso, per quanto possa
sembrare assurdo, anche le scene che Loki “non” ha con Odino.
Davanti a un personaggio come il dio degli inganni il pubblico viene
quindi rapito e anche se l'elfo oscuro e cattivo appare sciapo la
struttura drammaturgica del film risulta comunque valida. Altro aspetto che mi ha colpito in negativo sono le mini-battaglie campali,
quella collocata nella scena iniziale, come della prima battaglia di Thor.
Sembrano monche di qualcosa, partono maestose per poi fermarsi una
manciatina di secondi dopo. Non le capisco. Forse per probelmi di
durata della pellicola le hanno ristrette. Forse per problemi di
costo le hanno ristrette. Forse per entrambi questi motivi quando il
film avrà racimolato abbastanza soldi saranno reinserite in una
versione estesa del dvd o blu ray. Mi sarei pure accontentato di vederle "ingigantite"al rallentatore! Un po' squalificano l'epicità di base dell'opera. Poteva essere tipo il Signore degli Anelli e invece..
Tirando le somme. Il secondo
film di Thor funziona bene quanto il primo, ma forse soffre di
eccessiva bulimia tematica senza mai diventare travolgente nelle singole parti. Appaiono a ogni modo divertenti sia le
scene di natura guerresca che si svolgono per lo più ad Asgard e
dintorni che le scene più prettamente sentimentali e comiche che si
svolgono sulla Terra. A fatica anche la bella love story tra Thor e
Jane trova i suoi spazi e questo è decisamente un bene per
l'economia della storia e della serie. Assolutamente spettacolare
Skarsgard nella su demitizzazione di attore serio, una prova che non
può che rimandare alla strepitosa performance di Ben Kingsley sul
Mandarino in Iron Man 3. I film della Marvel continuano a dimostrarsi
stupende giostre animate per tutta la famiglia,divertenti e leggeri
ma carichi della giusta tensione per appassionare anche il pubblico
più grandicello. Thor 2 è divertente, magari non a livello di
Avengers per mille motivi, ma comunque un film che fa passare con
piacere il tempo della visione e che più di una persona amerà
collezionare in home video. In attesa del Soldato D'inverno, Marvel
prosegue la sua cavalcata gloriosa nei cinema.