martedì 27 novembre 2018

Il re leone - il trailer già campione di visualizzazioni in rete






Questo sono io che cerco di replicare la scena del trailer che avete appena visto o che avete visto già un milione di volte da quando ha iniziato a imperversare in rete. Ero a Londra, un paio di anni fa ormai, ad assistere proprio al musical tratto da The Lion King presso il Lyceum Theatre, diretto da Julie Taymor. Magnifico. Tutto magnifico, tranne il mio sguardo da fesso un po' troppo cresciuto, che guarda un pupazzo come fosse la cosa più bella del mondo. Il Re Leone è in casa mia qualcosa di più di una istituzione. È la pellicola Disney più gettonata durante il periodo delle feste, ha una colonna sonora fantastica, che ci ha accompagnato praticamente ovunque, per oltre vent'anni all'interno dell'autoradio della macchina di famiglia, sia nella versione italiana che in quella internazionale. Di Hakuna Matata era obbligatorio conoscere tutte le parole. A memoria, soprattutto nelle giornate di pioggia. Un altro film stabilmente visto e rivisto con piacere sotto le feste è Il principe cerca moglie di John Landis con Eddie Murphy, in pratica una versione di Black Panther senza le tute potenziate. Anche lì come ne Il Re Leone (e in Guerre Stellari in versione originale, misteriosamente da noi in famiglia "film natalizio" pure lui) il padre del protagonista aveva la voce calda e potente  di James Earl Jones. 


Credo che la mia espressione sia stata la stessa, un po' da fesso, che vedete qui sopra, quando mi sono avvicinato la prima volta al trailer del nuovo film Disney diretto, come il nuovo Il libro della giungla, da Jon Favreau. Anche qui James Earl Jones è di nuovo il padre del protagonista, risentirlo con la sua voce, sempre calda e potente, mi fa sentire a casa sotto le feste, anche in questo acquoso e grigiastro mese di novembre. 
Il cast è ricco ed è molta la curiosità, ma in casa qualcuno avanza dubbi sul fatto che Beyoncé possa scavalcare nella memoria Ivana Spagna. Donald Glover, che dà voce a Simba (sostituendo Matthew Broderick), mi è ancora impresso, nella memoria recente come l'interprete più riuscito di Solo - A Star Wars Story, ossia Il giovane Lando (e quindi un nuovo strano legame tra Il Re Leone e Star Wars entra in essere, anche se non passa per Earl Jones!). A interpretare Scar, il "cattivo", è invece Chiwetel Ejiofor, che avrà il non facile compito di sostituire il grande Jeremy Irons. Seth Rogen sembra nato per interpretare il facocero Pumbaa, credo che la sua carriera di attore comico sia stata dedicata quasi integralmente alla preparazione più accurata e professionale di questo personaggio, spero che gli Academy Awards ne tengano conto. Favreau con Il libro della giungla è per me riuscito quasi a migliorare uno dei classici Disney più amati. La sfida qui se vogliamo è per me ancora più difficile, quasi da far tremare le mani. Ma se il film saprà sprigionare la magia e armonia delle scene riportate in questo trailer, sarà di sicuro uno spettacolo imperdibile. Non vedo l'ora di essere in sala. Forse mi porterò dietro il pupazzo. 
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venerdì 23 novembre 2018

Il vizio della speranza : la nostra recensione del nuovo film scritto e diretto da Edoardo De Angelis



Maria (Pina Turco, anche moglie del regista), una giovane donna dall'aria sofferente e dallo sguardo basso e arrabbiato, vive per lo più galleggiando sulla poppa di una barca insieme al suo cane, dalle parti del Volturno. Trasporta al di là del fiume le prostitute straniere nel cui corpo galleggiano piccoli feti di cui vogliono presto sbarazzarsi, in cambio di denaro. Le trasporta anche con il maltempo e in una certa misura sembra che anche il cielo pianga questo continuo abbandono. Il traffico si replica ogni giorno come la monotona, spietata e precisa costanza dell'attività corporale di un unico organismo. Il Volturno, con le sue correnti,  espelle "il futuro dimenticabile" di queste donne, i loro "nuovi nati" per poi riportarle a battere sulla strada, dall'altra parte del fiume. Questo flusso di anime, che a sua volte diviene flusso di soldi, viene gestito e sovrinteso da un'altra donna di nome Maria. Anziana, scontenta, delusa dalla vita e carica di gioielli, vive al di là dell'altra sponda del fiume, dove ha sede, tra le baracche adiacenti e un lurido maneggio per cavalli, un'improvvisata nursery fatta di camerette fatiscenti, fango e sbarre. Questa seconda Maria, chiamata da tutti "la zia" (Marina Confalone), è ammaliante come una strega,  paga bene e in fondo è lei la donna che permette il "vero futuro". In un mondo dove non esistono prospettive e i figli finiscono per essere buttati via, quegli stessi bambini giungono grazie alla zia nelle mani di famiglie per bene, che non possono avere figli, ma li vogliono per davvero. Gente che paga. E tutti sono felici, dopo quel piccolo viaggio di abbandono sul fiume. O almeno forse è così. La ragazza "traghettatrice" ha affari con la Zia, è sul libro paga. Affari grossi e una madre problematica che, a suo modo, vive anch'ella nell'acqua, in un mondo tutto suo, dissociata, perennemente nella vasca del bagno di casa, a mollo per lunghe ore, finendo spesso con l'addormentarsi, come cullata nel liquido amniotico. Poi tutto cambia.  Maria decide di alzare la testa, rompendo l'equilibrio monotono, quotidiano e tragico del viaggio dei bambini sul fiume. Le si insinua dentro lo strano vizio che le cose possano andare diversamente. Inizia a sperare, almeno per un bambino, un futuro diverso.  


Dopo Indivisibili De Angelis ci porta di nuovo in un sud Italia sinistro e medioevale, tra luoghi naturali maestosi quanto contaminati da una umanità malata che vive e sopravvive, assiepata e brulicante,  tra sporco e macerie. Un luogo dove si confondono vecchi e nuovi poveri, dove nell'aria echeggiano musiche (sempre opera del sodale Enzo Avitabile) che mischiano il neomelodico con ritmi africani ed arabeggianti, in una suggestione multiculturale quasi tribale che dà voce ai sentimenti di protagonisti per lo più muti, schiacciati nella loro condizione umana. Il Volturno assume l'aspetto di un crudele e ineluttabile regno acquatico che con forza sospinge e travolge, all'infinito, ciclicamente, le vite delle persone che cercano di vivere alle sue sponde, tra le macerie (vere macerie, quando la storia umana crea le condizioni più inverosimili!!) di una città dimenticata tra abusivismo edilizio e opere non terminate. Uno scenario reale ma che sembra il Mare Marcio di Miyazaki, un set da Mad Max già pronto che non richiede effetti speciali, che tramortisce per la forza, lo sporco e la crudele bellezza del Volturno e dei suoi luoghi limitrofi. Un luogo che potrebbe essere scenario di una favola di Giambattista Basile e che in parte lo è, laddove De Angelis sceglie per il suo racconto la sintesi e geometricità dell'intreccio, pescando ad ampie mani dal sacro, come del resto fece per Inseparabili. C'è magari un richiamo alla "cosmogonia di Dario Argento" (sempre più vivo in questo periodo con il remake di lusso di Suspiria) in queste tre donne che vivono sull'acqua (lasciamo ai tecnici le citazioni dantesche). Una Mater Suspiriorum, che sospinge donne disparate che devono abbandonare i loro figli oltre il fiume. Una Mater Lacrimarum che vive nella sua vasca a mollo nelle sue lacrime. Una Mater Tenebrarum spietata che abita oltre il fiume. C'è probabilmente una ricercata valenza simbolica (creazione e distruzione), un "legame", tra tutte le "forme d'acqua" descritte e visitate da De Angelis. L'isola di Kim Ki-duk sembra altresì un referente visivo chiaro quanto un metronomo dell'azione molto presente. C'è anche un libro, sempre scritto da De Angelis, che esce in concomitanza col film, approfondisce e ci porta in luoghi nuovi, con ampio tributo autobiografico del regista. Un compendio interessante per completare il "viaggio" di questo film a cavallo della favola, ma che sa pescare in quello che in fondo è il volto più oscuro del cinema realista. La storia è tragica e i personaggi trasudano di dolore e speranze infrante, in scena è spesso presente un coro greco di donne mute. Se si va oltre una scorza così ruvida e malevola il film di De Angelis sa però aprirsi a una dimensione nuova, complessa e "titanicamente" positiva. Una dimensione che permette alla pellicola di colpirci al cuore oltre che a cullarci di immagini forti. Una dimensione che ha la voce, il carattere e la fisicità esile ma potente di Pina Turco. Qui quasi una Gong Li per il suo Zhang Yimou o, se preferite, una Linda Hamilton per James Cameron. Una donna combattente che rimarrà impressa anche a fine visione. 
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mercoledì 21 novembre 2018

Overlord - la nostra recensione di un film con potenziale ma un po' moscio



- Sinossi fatta male: seconda guerra mondiale. Aerei in fiamme con dentro gente che vomita e precipita tra mitragliate letali, fuoco e paracaduti che non si aprono. In mezzo a tutto, lo spaurito Boyce (quel bravo ragazzo simpatico di Jovan Adepo) e il cazzuto Ford (uno Jena Plisskin wannabe convinto, fuoriuscito secondo un procedimento di "scienza esatta" dall'attore Wyatt Russell... che di fatto faceva già un piccolo ruolo da ragazzino orfano in Fuga da Los Angeles a inizio carriera e l'anno dopo interpretava proprio Kurt Russell da piccolo in Soldier e in fondo ci è nato proprio da Kurt Russell, perché è il figlio di Russell e Goldie Hawn!! Più scientificamente Kurt Russell di così...). I due, insieme ad altri tre tizi, sono tutto quello che rimane di una unità di assaltatori che avrebbero dovuto dopo l'atterraggio tirare giù una torre radio al centro di una piccola cittadina sinistra frequentata da gente oscura e strana stile Resisent Evil 4. L'orologio corre e la mega storica gita in Normandia delle truppe americane deve partire, bisogna improvvisare. Ripresi dalla brutta caduta i nostri si accorgono di essere effettivamente in una piccola cittadina sinistra frequentata da gente oscura e strana stile Resisent Evil 4, con l'aggiunta di nazi folli, stranamente invulnerabili e deformi provenienti da altri videogame e film stile Wolfenstein, Frankenstein Army, Dead Snow e roba così. C'è una specie di sostanza nera che scorre sotto il paesino e da strabilianti poteri curativi/rigenerativi, ci sono scienziati nazi che fanno esprimenti sulla cittadinanza locale, ci sono nazi cattivi che un po' puntano a sedurre con il fascino superomistico le contadine (come la bellissima e fragile Mathilde Ollivier) e un po' sparano a tutti a caso (Pilou Asbaek). Così la missione di sabotaggio si trasforma presto in una caccia al mostro condita di tante pallottole da sparare in testa ai soldati nazisti, da sempre il "cattivo da film" più "amato da odiare" dopo Darth Vader. 


- E poi non c'è altro, purtroppo: perché, maledizione, non c'è davvero altro. Il film ha una partenza a trecento all'ora che sembra il sogno bagnato di ogni videogiocatore medio di Call of Duty, ha scene ideali nate per appagare il videogiocatore medio di Wolfenstein e Resident Evil, ma si perde a girare su se stesso, per un mare di tempo, per lo più per via in una trama che riesce nel difficile compito di non approfondire manco per sbaglio i rapporti tra i personaggi, così come riesce a gestire  in modo confusionario una sequenza di azioni che sembrerebbero già chiarissime prima ancora di leggerle sulla sceneggiatura. Il regista Julius Avery è come un bambino che al parco giochi, davanti alla indecisione di salire sulle montagne russe o entrare nella casa degli orrori, si mette a leggere il bugiardino delle Zigulì per due ore. Avery sente la tensione spontanea verso il divertimento e una azione matta degna di un Planet Terror di Rodriguez, ma al contempo vorrebbe girare Inglorious Basterds e avendo a disposizione un Wyatt Russell "così tanto Kurt Russell" ha pure voglia di girare un po' di roba stile La cosa o comunque di citare "per conseguenza logico/tematica" il Carpenter dalle parti di Distretto 13, Fantasmi da Marte, Fuga da Los Angeles e pure perché no con un tocco di Grosso Guaio a Chinatown. E visto che una cosa contraddice l'altra, visto che non puoi essere action e introspettivo e Horror e divertente tutto insieme (se non sei appunto Carpenter o James Cameron), te lo vedi proprio Avery lì, sul set, inebetito, nel leggere il bugiardino delle Zigulì, mentre in resto del cast monta scene e corre a destra a sinistra seguendo la scaletta delle riprese. 
- In conclusione: una volta si ventilava che questo Overlord fosse legato al franchise di Cloverfield (la produzione è di J.J.Abrams) e in effetti che la pellicola non esploda in un crescendo hellzapoppin fatto di nazisti zombie, alieni, mostri giganti e realtà parallele è un peccato. A prenderlo come una specie di prequel apocrifo della saga di Resident Evil, il film di sicuro funziona, tutto sommato a vederlo ci si diverte. Il comparto artistico e tecnico è ragguardevole e riesce spesso a coprire il grottesco immobilismo e mancanza di slancio della regia. Belli i mostri, bello lo splatter, personaggi comunque divertenti e un cattivo piuttosto solido. Di sicuro è un film che invoglia a una seconda visione, anche solo per godere dell'ampio minutaggio dedicato alle scene action e alla messa in scena "cattiva quanto basta". Ma con un budget simile Carpenter ne girava dieci di film action b-movie, probabilmente tutti superiori a questo. Altri tempi e altri registi. Se volete ad ogni modo sfoggiare Overlord per una serata tra amici, tre birrette e rutto libero, al cinema o quando sarà in home video, un po' di divertimento la pellicola di Avery saprà donarvelo. Per il prossimo film però togliete le Zigulì dalle mani di quest'uomo. 
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giovedì 8 novembre 2018

Gungrave Gore - in arrivo per il 2019



Qualche tempo fa (il luglio del 2002) Sega, in collaborazione con il mangaka Yasuhiro "Trigun" Nightow portò sulle PlayStation 2 un assurdo videogioco sparatutto realizzato da Red Entertainment (che ricordo soprattutto per il per me bellissimo Blood will tell, videogame sempre per ps2, realizzato qualche tempo dopo, tratto dal manga Dororo di Tezuka). Parliamo ovviamente di Gungrave.


Realizzato in grafica cell shading per renderlo più simile ad un anime, arricchito di una struggente musica jazz e ambientato in un futuro hardboiled con elementi neo-noir, Gungrave era uno sparatutto in terza persona che ci metteva nei panni di un misterioso omone armato pesantemente, che portava costantemente con sé (come nello storico western Django) una bara. I'ingombrante feretro, pesante ed eccentrico (opera come tutto il mecha design di un altro nome illustre tra i mangaka, Kosuke "Oh mia Dea/Tales of" Fujishima), era legato alle braccia stesse del protagonista ed era in grado di cambiare il suo aspetto in una combinazione infinita di armi pesanti, similmente alla leggendaria croce del reverendo Wolfwood di Trigun. Ma il nostro oscuro eroe, conosciuto come Beyold the Grave, la teneva solo come extra, prediligendo farsi strada, tra montagne di gangster futuribili, robot da combattimento e una casta di vampiri, dando voce alle sue due enormi pistole. Grave è un non-morto, una specie di mostro di Frankenstein muto, tragico e letale. Per portare a compimento l'inevitabile sterminio che un gioco action a base di tanti proiettili impone, seguendo una trama che lo porterà a scontrarsi con figure legate al suo oscuro passato, Grave viene collegato periodicamente da uno scienziato a un macchinario che gli trasfonde grosse quantità di sangue. Giocare nei panni di Grave permette di assaporare l'onnipotenza, la tragicità e la bellezza di un personaggio unico, ma questo non rende il gioco un titolo perfetto, anzi. Grave è "troppo grosso", al punto che il suo personaggio di spalle + bara copre i tre quarti dello schermo di gioco. Grave è "troppo potente" e se si cerca una sfida il gioco risulta molto facile anche nei livelli di difficoltà più elevati. I livelli sono "troppo simili",  pur contando su alcuni guizzi davvero felici (che me lo fanno paragonare alle opere di Susa 51), la trama è "troppo breve". In genere c'è di molto meglio in giro per i videogame action e Red non è il top degli sviluppatori quanto un onesto e volenteroso team di pochi membri. Però l'intero gioco trasuda carisma e se preso nel modo giusto sa farsi amare. Il blasonato studio di animazione Mad House, non a caso uno degli sviluppatori di alcune puntate di Cowboy Bebop, non si lascia certo perdere il fascino di Beyond The Grave e del suo mondo. E così nasce un anime da paura, che è una vera tragedia non sia mai arrivato in italiano.



La trama dell'anima è più hard-boiled e molte delle derive steampunk  "alla Batman di  Tim Burton" del videogioco originale vengono accantonate in ragione di un contesto più concreto e tragico. Ma lo spirito è ancora quello, la realizzazione ottima e la storia avvincente. Non passa troppo tempo e arriva un nuovo capitolo del videogame, sempre targato Red.


Questa volta il nostro eroe è accompagnato nelle scorribande da una sua banda di Mariachi (ogni riferimento alla trilogia western moderna di Robert Rodriguez è assolutamente voluto). I livelli sono più vasti e ragionati, il divertimento è sempre presente, ma tutte le amabili imperfezioni che rendevano unico il primo gioco sono sparite. Gungrave Overdose è imprescindibile per i fan ma allo stesso tempo una delusione che di fatto affossa il piccolo brand. Ci sono meno scene animate evocative, si sente di trovarsi tra livelli spogli, anche se la formula e il budget impiegato sarà probabilmente lo stesso. La danza delle pistole ipnotizza come sempre i fan di Equilibrium (altra citazione voluta), ma il corpo lento e pesante di Grave appare "troppo piccolo". Gungrave chiude. 


Qualcosa è però rimasto nei sogni di una silenziosa comunità di videogiocatori che hanno adorato il primo piccolo ed imperfettissimo capitolo. Qualcuno aspettava un ritorno del pistolero con la bara. Ogni tanto ci rigioco a dispetto delle animazioni legnose, della scarsa interazione di gioco, dell'approssimazione dei comandi. Per me è uno dei titolo che riescono ancora oggi a trascinarmi di peso in un anime, come Asura Wrath, Killer is dead e Killer 7. Tutti titoli imperfetti (per questo non ho citato cose come Zone of The Enders second runner, che gli sta diverse spanne sopra), ma che rigioco come "riguardando un anime". Così ho fatto i salti quando un annetto fa sono iniziati i lavori di non uno, ma due Gungrave. Un titolo è per i visori vr e di lui per ora non mi interesso (forse i vr di prossima generazione...). L'altro è Gungrave Gore, ed è a tutti gli effetti il nuovo capitolo.



Sembra che presto, intorno all'inverno 2019, tornerò a impersonale il buon Grave su ps4.  La storia è ovviamente ancora blindata, il timore di un titolo non epocale è palpabile e giustificato da un Gungrave Overdose così così. Ma il fascino c'è tutto ed è ancora intatto e la produzione sembra promettere un lavoro di classe, benedetto da un alto budget. Se fosse uscito un capito 3 di Gungrave per la ps3 mi sarei immaginato meccaniche alla Gear of War o un ritmo di gioco indiavolato alla Vanquish. Certo aspettative altissime per il Red studio, ma qualcosa di "similare" mi avrebbe per lo meno fatto felice. Oggi incrocio le dita più che posso e non vedo l'ora di sapere di più di questo Gungrave Gore. Se saranno guilty pleasure fioriranno (tanto anche se sarà una ciofeca so che vorrò prenderlo), ma se la saga godrà di un primo, vero, titolo tripla A non vedo l'ora di esultare. 
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domenica 4 novembre 2018

L'attacco dei giganti, in edicola il numero 25 del manga di Isayama che è in testa alle classifiche di gradimento da 10 anni



 Era un secolo o due fa quando le avventure di Eren, Mikasa e compagni iniziarono a infiammare la fantasia degli appassionati, prima con il manga scritto e disegnato dall'allora molto giovane Isayama, poi con l'anime prodotto dallo studio Witt. 
Indietro nel blog c'è un ormai vetusto post in cui parlavamo di questo vero e proprio fenomeno culturale, che è stato in grado di imporsi all'attenzione attraverso tutti i media possibili tanto in modo diretto che attraverso citazioni più o meno dirette. Un successo meritato a una produzione generale che negli anni ha saputo migliorarsi e arricchirsi quasi su ogni aspetto, ma che non avrebbe potuto arrivare così lontano se non fosse stato per la grande intuizione iniziale di Isayama.
Tutto nasce da un'idea forte, primordiale, in grado di scuotere nel profondo ogni lettore: in un mondo di stampo medioevale, all'interno di città circondate da alte mura, l'umanità vive inquieta ben sapendo cosa si cela nel mondo esterno: creature giganti e deformi, antropofagi e folli. Le mura sono l'unica difesa possibile dai "giganti", ma al contempo rapprendano una barriera sociale laddove i poteri forti risiedono al centro di più fila di mura, mentre i paesi più poveri vivono esposti a ridosso delle barriere. Poi un giorno accade l'inevitabile, giganti particolarmente alti e minacciosi creano una breccia in un muro esterno e Eren, il nostro protagonista, che è ancora un ragazzino gracile con enormi occhi verdi, assiste impotente all'invasione del suo paese da parte di migliaia di giganti. Impotente, assiste a una carneficina brutale che si protrae senza sosta e infine guarda con i suoi stessi occhi un gigante divorare sua madre. Eren cresce e diventa un soldato, vuole affrontare i giganti e ora c'è un'innovazione tecnologica (che in pratica dà a chi la usa la capacità di volteggiare come Spiderman) che permette di affrontarli. Seguono battaglie, colpi di scena, lutti e rivelazioni incredibili sulla natura stessa dei giganti e sul loro scopo. Tutte cose che vi consiglio di scoprire in prima persona attraverso la lettura del manga, pubblicato da noi da Planet Manga, o attraverso la visione dell'anime, anche se quello è un bel po' indietro al momento, pubblicato da Dynit. Negli episodi contenuti nel volume 25 dell'edizione italiana ho avvertito in un certo modo la sensazione che si sia "chiuso un cerchio", che l'opera abbia raggiunto il punto più alto che si prefissava fin dall'inizio su uno dei temi che aveva più a cuore: descrivere il senso ultimo delle guerre, l'annichilimento nell'individuo di ogni umanità dietro all'ineluttabilità del comando o della strategia che gli impone un "dover fare". È questa sconfitta, sul piano morale e materiale, il sentimento che aleggia maggiormente tra le pagine. È pesante, è spiacevole ed è un aspetto che raramente un fumetto ha davvero il coraggio di esporre, dando per di più al lettore tutti gli elementi possibili per giudicarlo. Giudicarlo sulla base della storia letta fino allora, sul piano emotivo dell'evoluzione che hanno avuto i personaggi, sul piano meramente "strategico-militare". Dopo questo momento la storia del fumetto prosegue, i combattimenti proseguono e sembra che nei prossimi mesi arriveranno ancora nuovi colpi di scena importanti. Ma per me qui si è già arrivati alla riflessione più importate e dolorosa, al punto in cui non mi sarà più possibile guardare ad alcuni personaggi con gli stessi occhi. Sto leggendo molti fumetti interessanti nell'ultimo periodo, alcuni che hanno una propensione a essere provocatori, scorretti e scomodi fin dall'inizio e che mi piacciono proprio per la loro carica sovversiva. Pura evasione nella maggior parte dei casi. L'opera di Isayama, che partiva in modo molto pulp, tra i corpi smembrati da creature che potevamo tranquillamente definire "zombie 2.0", ha saputo arricchirsi di significato, aprendosi a livelli di lettura spesso esaltanti, a volte davvero intelligenti. Mi fa specie celebrare questi 10 anni di pubblicazione in un momento narrativo così complicato per la vita dei personaggi del manga, ma questa è solo l'ennesima dimostrazione del talento di Isayama come narratore per immagini unico e sempre originale, all'interno di un panorama di nuvole parlanti che oggi, forse, sembrava non avere più molto da dire. Se volete seguire la storia senza leggere, anche l'anime è molto bello, anche se per me troppo stiracchiato nella narrazione. Mi sarei aspettato dei film animati senza animazioni riciclate e con l'esplorazione di aspetti inediti, ma per ora da questo punto di vista sono stato un po' deluso. Rimane "tanta roba". Buona continuazione a chi è già un lettore e buona scoperta a chi non si è ancora avvicinato all'Attacco dei Gianti
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