venerdì 23 novembre 2018

Il vizio della speranza : la nostra recensione del nuovo film scritto e diretto da Edoardo De Angelis



Maria (Pina Turco, anche moglie del regista), una giovane donna dall'aria sofferente e dallo sguardo basso e arrabbiato, vive per lo più galleggiando sulla poppa di una barca insieme al suo cane, dalle parti del Volturno. Trasporta al di là del fiume le prostitute straniere nel cui corpo galleggiano piccoli feti di cui vogliono presto sbarazzarsi, in cambio di denaro. Le trasporta anche con il maltempo e in una certa misura sembra che anche il cielo pianga questo continuo abbandono. Il traffico si replica ogni giorno come la monotona, spietata e precisa costanza dell'attività corporale di un unico organismo. Il Volturno, con le sue correnti,  espelle "il futuro dimenticabile" di queste donne, i loro "nuovi nati" per poi riportarle a battere sulla strada, dall'altra parte del fiume. Questo flusso di anime, che a sua volte diviene flusso di soldi, viene gestito e sovrinteso da un'altra donna di nome Maria. Anziana, scontenta, delusa dalla vita e carica di gioielli, vive al di là dell'altra sponda del fiume, dove ha sede, tra le baracche adiacenti e un lurido maneggio per cavalli, un'improvvisata nursery fatta di camerette fatiscenti, fango e sbarre. Questa seconda Maria, chiamata da tutti "la zia" (Marina Confalone), è ammaliante come una strega,  paga bene e in fondo è lei la donna che permette il "vero futuro". In un mondo dove non esistono prospettive e i figli finiscono per essere buttati via, quegli stessi bambini giungono grazie alla zia nelle mani di famiglie per bene, che non possono avere figli, ma li vogliono per davvero. Gente che paga. E tutti sono felici, dopo quel piccolo viaggio di abbandono sul fiume. O almeno forse è così. La ragazza "traghettatrice" ha affari con la Zia, è sul libro paga. Affari grossi e una madre problematica che, a suo modo, vive anch'ella nell'acqua, in un mondo tutto suo, dissociata, perennemente nella vasca del bagno di casa, a mollo per lunghe ore, finendo spesso con l'addormentarsi, come cullata nel liquido amniotico. Poi tutto cambia.  Maria decide di alzare la testa, rompendo l'equilibrio monotono, quotidiano e tragico del viaggio dei bambini sul fiume. Le si insinua dentro lo strano vizio che le cose possano andare diversamente. Inizia a sperare, almeno per un bambino, un futuro diverso.  


Dopo Indivisibili De Angelis ci porta di nuovo in un sud Italia sinistro e medioevale, tra luoghi naturali maestosi quanto contaminati da una umanità malata che vive e sopravvive, assiepata e brulicante,  tra sporco e macerie. Un luogo dove si confondono vecchi e nuovi poveri, dove nell'aria echeggiano musiche (sempre opera del sodale Enzo Avitabile) che mischiano il neomelodico con ritmi africani ed arabeggianti, in una suggestione multiculturale quasi tribale che dà voce ai sentimenti di protagonisti per lo più muti, schiacciati nella loro condizione umana. Il Volturno assume l'aspetto di un crudele e ineluttabile regno acquatico che con forza sospinge e travolge, all'infinito, ciclicamente, le vite delle persone che cercano di vivere alle sue sponde, tra le macerie (vere macerie, quando la storia umana crea le condizioni più inverosimili!!) di una città dimenticata tra abusivismo edilizio e opere non terminate. Uno scenario reale ma che sembra il Mare Marcio di Miyazaki, un set da Mad Max già pronto che non richiede effetti speciali, che tramortisce per la forza, lo sporco e la crudele bellezza del Volturno e dei suoi luoghi limitrofi. Un luogo che potrebbe essere scenario di una favola di Giambattista Basile e che in parte lo è, laddove De Angelis sceglie per il suo racconto la sintesi e geometricità dell'intreccio, pescando ad ampie mani dal sacro, come del resto fece per Inseparabili. C'è magari un richiamo alla "cosmogonia di Dario Argento" (sempre più vivo in questo periodo con il remake di lusso di Suspiria) in queste tre donne che vivono sull'acqua (lasciamo ai tecnici le citazioni dantesche). Una Mater Suspiriorum, che sospinge donne disparate che devono abbandonare i loro figli oltre il fiume. Una Mater Lacrimarum che vive nella sua vasca a mollo nelle sue lacrime. Una Mater Tenebrarum spietata che abita oltre il fiume. C'è probabilmente una ricercata valenza simbolica (creazione e distruzione), un "legame", tra tutte le "forme d'acqua" descritte e visitate da De Angelis. L'isola di Kim Ki-duk sembra altresì un referente visivo chiaro quanto un metronomo dell'azione molto presente. C'è anche un libro, sempre scritto da De Angelis, che esce in concomitanza col film, approfondisce e ci porta in luoghi nuovi, con ampio tributo autobiografico del regista. Un compendio interessante per completare il "viaggio" di questo film a cavallo della favola, ma che sa pescare in quello che in fondo è il volto più oscuro del cinema realista. La storia è tragica e i personaggi trasudano di dolore e speranze infrante, in scena è spesso presente un coro greco di donne mute. Se si va oltre una scorza così ruvida e malevola il film di De Angelis sa però aprirsi a una dimensione nuova, complessa e "titanicamente" positiva. Una dimensione che permette alla pellicola di colpirci al cuore oltre che a cullarci di immagini forti. Una dimensione che ha la voce, il carattere e la fisicità esile ma potente di Pina Turco. Qui quasi una Gong Li per il suo Zhang Yimou o, se preferite, una Linda Hamilton per James Cameron. Una donna combattente che rimarrà impressa anche a fine visione. 
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