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Sinossi: Nel magico oriente, tra le dune del deserto e i comignoli dei palazzi
arabi, è nascosta la caverna delle meraviglie. È un luogo che cela
incomparabili ricchezze e una lampada magica recante un misterioso potere. Chi
può entravi senza rischio è solo un prescelto, una persona che reca in sé la
natura di un diamante allo stato grezzo. Forse a nascondere queste qualità è
Aladdin (Mena Massoud), un ladruncolo di Agrabah che per un gioco del destino
si incontra e innamora della bella principessa Jasmine (Naomi Scott). La
lampada può avere il poter di farlo diventare un principe per chiedere la sua
mano, ma dovrà fare i conti con il perfido Jafar (Marwan Kenzari), un potente
e manipolatore Gran Visir. Ad aiutare il ragazzo ci sono però una scimmietta,
un tappeto volante e la misteriosa e potentissima entità che vive nella
lampada, un genio dalla pelle azzurra (Will Smith).
- E vai
di Amarcord: C'è una materia importante alla base di questo live-action, ed è
ovviante il film animato del 1992. A tutti gli effetti parliamo di un film
fantasy con Tom Cruise, più vicino idealmente ad un I predatori
dell'arca perduta, fumi magici, fanatici di potere e scimmietta compresa,
che a un Raperonzolo. C'erano gli inseguimenti, gli scontri con le scimitarre,
i templi maledetti pieni di "tracobetti" e gli inseriti grafici in
computer animation Made in Lucas Film stile Star Wars (e parlo di quello
classico, la seconda trilogia sarebbe arrivata quasi un decennio dopo).
Ovviamente a un certo punto la storia virava troppo sul sentimentale, ma
rimaneva comunque un cartone animato più "per maschietti" che per
femminucce, al netto di una colonna sonora grandiosa, anche se in un paio di
casi sdolcinata, ma sempre supportata da scenografie da paura con tappeti che
volano in tre dimensioni. Ed avere un film Disney con protagonista non una
principessa ma anche "un eroe adulto normale" e non un
"bimbetto-frignetto" era all'epoca un vero lusso. C'era stato giusto
Taron e avremmo avuto Hercules solo nel 1997. E per un ragazzino non farsi
trovare per una volta in sala a vedere un Disney con principesse protagoniste
era già allora molto importante! E ho parlato delle musiche? Anche quelle erano
per la maggior parte di argomento "maschile", sull'amicizia e il
potere e non sul principe azzurro e sul lavare i piatti. Aladdin era ed è
tutt'oggi un cartone animato bellissimo. Un colossal di stampo e filosofia
hollywoodiana con bene in testa i colori e costumi dei "film di
sandaloni". Con al centro una creatura folle, libero da ogni schema e
realizzabile solo con l'animazione: il genio. Il genio è un film nel film.
Rompe la quarta parete, fa riferimenti alla cultura degli anni '90, imita
attori, si sdoppia, strizza, scompone, lancia fulmini, coriandoli e crea dal
nulla scenari da quiz show o balletti di Broadway. Il genio c'è solo in Aladdin
ed è la cifra anarchica che rende unico lo spettacolo, spesso il motivo più
ghiotto per una seconda visione. Io il film lo avrò visto dieci milioni di
volte e credo abbia definito un preciso look che ha influenzato negli anni cose
come la saga di Prince of Persia (che nell'edizione del 1989 non è che avesse
poi tutto l'appeal di questo mondo), le Mummie di Sommers e il ritorno dei film
"sandaloni" come i vari scontri tra titani. Ma all'epoca, nel 1992,
Aladdin era per me molto di più, era l'equivalente di una gita da 90 minuti al
parco giochi di Gardaland (i parchi a tema Disney all'epoca erano solo in
America). C'era la caverna che sembrava la Valle dei Re, i voli sul tappeto che
sembrano montagne russe, le sfilate, i pappagalli, la zona bazar con al centro
il celebre self service arabeggiante: il self service Aladino. E questo fatto,
per ogni bambino del 1992 era da andare giù di testa dalla gioia. Ho di recente
visto a Londra il musical di Aladdin, ritrovando tutti i colori, humor e
musiche originali al netto di una trama abbastanza fedele che accennava anche a
qualcosa di inedito (i fratelli di Aladdin). Come i migliori musical di
Broadway.
- Guy
Ritchie alla regia: Si può fare oggi un film di "sandaloni" con
attori mascelloni americani tutti biondi con occhi azzurri che fanno personaggi
asiatici, greci o arabi e portano costumi che "sarebbero di duemila anni
fa" che sembrano bikini o mantelli da super-eroe? Per qualcuno "fa
brutto" e quella che è una ingenuità stilistica passa spesso per
furto/fraintendimento/offesa culturale. Quindi i costumi e gli attori per un
generale politically correct atto a evitare l'onta del cosiddetto whitewashing
devono adeguarsi a un maggiore supposto "realismo". Quindi dell'Aladdin
originale e un po' dell'Aladdin musical bisogna sottrarre qualcosa in tema di
umorismo yankee, stile di ballo e costumi sgargianti, magari scegliendo abiti e
movenze più simili ai musical di Bollywood e giochi di parole più
"internazionali". Quindi invece di un Aladdin che cita graficamente
Tom Cruise nel protagonista quanto Vincent Price nell'antagonista, bisogna
cercare attori più vicini al contesto etnico arabeggiante. Queste scelte
infliggono da sole per qualcuno delle ferite mortali alla riuscita del film,
modificando sensibilmente l'aspetto visivo quanto il feeling. E qui arriva pure
Guy Ritchie, che decide di infondere elementi pur interessanti ma che vanno in
parte a discapito della leggerezza originale. Ritchie, similmente a quanto
fatto per King Arthur e per ogni altro suo precedente film, decide di infilarci
nella realtà più suburbana e criminale dello scenario. Aladdin diviene quindi
un film in cui si fronteggiano due ladri venuti dal basso, il protagonista e
Jafar, alla ricerca di un loro senso speculare di "realizzazione
personale". Il potere è avere un oggetto come un titolo, il modo di
ottenerlo è un "furto", in un contesto sociale in cui le regole sono
graniticamente legate a chi è nobile ed è formalmente giusto ribellarsi.
L'obiettivo indugia nella prima parte spesso su gioielli, bastoni
ornamentali, pietre preziose e altri simboli "materiali" di ricchezza
per poi trasformarsi in un secondo momento in una variante di My fair lady, con
il genio che insegna ad Aladdin il modo migliore con cui "apparire come un
principe". È tutto un balletto tra la "forma e sostanza" del
concetto di potere, che coinvolge presto anche Jasmine, nella forma una
principessa da "vendere in sposa" per ottenere un'alleanza, nella
sostanza un capo politico forte che rivendica giustizia per il suo ruolo
femminile contratto. Anche il genio è una vulcanica espressione di potere, che
a sua volta vive il contrappasso di essere uno schiavo. Anche i "tre
desideri" sono un simbolo della temporalità / fugacità del potere. Sono
temi nelle corde di Ritchie e la sua personale cifra artistica che eleva la
storiella di fondo a qualcosa di più tridimensionale. Peccato che la leggerezza
del cartone animato fosse il suo vero potere, la sua capacità di sintetizzare
in poche immagini e qualche canzone un ragionamento che Ritchie non riesce
proprio a far suo, rimuginando scena su scena in ragione di un
maggiore realismo nella rappresentazione. Servono alle volte più tappeti
volanti di quanti il regista ne faccia volare.
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Commento finale: l'ex Signor Madonna innesta il suo personale crime-world fatto
di piccoli e grandi ladri, inseguimenti e donne forti nel cuore da 90 minuti
dell'originale film animato Disney del 1992 per la regia di Clements e Musker.
Ne esce un balenottero da 128 minuti. La favolosa colonna sonora di Alan Menken
cerca di sposarsi con i balletti di Bollywood, risultando però spesso
schiacciata su se stessa. La pelle bluastra da genio, che fu di Robin
Williams, prova a rianimare l'ancora simpatico Will Smith, regalandogli, come
ai tempi d'oro, anche dei brani di musica pop - rap adatti alla sua ugola. Gli
effetti speciali e i balletti danno brio alla miscela, le scenografie sono
molto particolareggiate e sontuose, ma la trama risulta forse troppo pesante
alla prima visione (come spesso capita a Ritchie) e il povero Mena Massoud,
che si sforza con impegno di imitare il sorriso beffardo di Tom Cruise che
ispirò l'Aladdin originale, non scalda troppo i cuori e in alcuni frangenti non
è chiaro nelle intenzioni (mentre cercano di ammazzarlo buttandolo da un
balcone pare che rida). Ugualmente è impietoso paragonare il Jafar animato, a
metà tra Vincent Price e Christopher Lee, con l'interpretazione un po' troppo
trattenuta e seriosa di Kenzari. Il resto del cast lavora con diligenza, la
Jasmine della Scott plasma e approfondisce bene il carattere indipendente e
"politico" del suo personaggio (che sposa alla perfezione il
Ritchie-pensiero). I costumi di scena per il sottoscritto vivono troppo nell'indecisione
generale di stare tra la finzione più smaccatamente hollywoodiana (scelta
stilistica chiave del cartone animato) e la ricerca della tradizione di
Bollywood. Come vale per tutti i live-action di Disney usciti negli ultimi
tempi, la visione risulta un compendio molto succoso e
"affettuoso" per i fan, che troveranno approfondimenti sui personaggi
e variazioni musicali dei brani più amati (qui anche con un pezzo del tutto
nuovo per Jasmine). Ma forse si sono persi nel troppo "diluito" e
"umanizzato" la bellezza di quei 90 minuti perfetti e stilizzati del
film animato, il fascino di quei paesaggi dai colori caldi e definiti, il ritmo
sempre incalzante di musica sfolgorante e mai ridondante nonché, infine, la
pura e meravigliosa anarchia grafica del genio creato dalla penna di Al
Hirschfeld, la voce di Williams (in italiano il nuovo doppiaggio poi è
conseguentemente del doppiatore storico di Smith Moneta, con la voce di Marco
Manca per le musiche, e non c'è quindi più Proietti) insieme al team di
animatori capitanato di Eric Goldberg, si è un po' persa. Willie però è
simpatico e gli vogliamo bene.
Talk0
Davvero interessante :) Grazie
RispondiEliminaNon c'è di che! :)
EliminaDovresti guardare i film qui in una qualità decente https://filmstreaming.page/ Personalmente mi è piaciuto tutto, quindi ti consiglio di familiarizzare con esso nel suo insieme.
RispondiEliminaNiente spam per cortesia
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