domenica 5 maggio 2019

Nell'attesa di mettere le mani su Mortal Kombat 11 vi presentiamo "La strana storia della scoperta del politically correct in Mortal Kombat."




Siamo tutti un po' ragazzini, da queste parti sul blog, quando parliamo di Mortal Kombat. Anche se siamo già adulti da un sacco di tempo, questo gioco ci smuove passioni "pruriginose". Il senso del proibito che emana questo titolo da adulti attrae da sempre generazioni di ragazzini, spesso al di sotto della soglia di età richiesta dalla censura. Ci attirano la violenza visiva (anche se ultra-eccessiva al punto da essere parodistica), i contenuti più sessuali (anche se sono solo un paio di bikini succinti), il tema della lotta tra bene e male (anche se è affrontato come una faida tra due schieramenti di lottatori non dissimile dalla "trama" di una stagione di wrestling). Mortal Kombat è così eccessivo da essere innocuo. Davanti agli occhi di un ragazzino però è davvero roba mitica.


Donne succinte e splatter, un po' di epica, mostri a quattro braccia, ninja, uomini serpente e Christopher Lambert. Un tempo, anno del Signore 1995, con la regia di Anderson pre-Resident Evil, pre-Event Orizon, pre-Death Race, Mortal Kombat è diventato un film di successo e pure una hit musicale da discoteca quasi tuttora intramontabile.



Ma facciamo un passo indietro. Oggi parliamo della "sensualità in Mortal Kombat", analizzandola come uno dei (presunti) "pilastri del proibito" in virtù dei quali il gioco potrebbe di fatto avere il seguito di fan che ha. È un po' un delirio e un po' una supercazzola, come molti dei pezzi che scrivo per voi alle due di notte. Partiamo.


Quando uscì il primo Mortal Kombat, gli oggi storici e un po' mitologici sviluppatori, Ed Boon e John Tobias nel 1992, lavoravano per Midway, la casa di Rampage (da cui il brutto film recente con The Rock), ed erano nel pieno della fase storica di maggiore sperimentazione dei videogame con grafica digitalizzata, con NBA JAM che sarebbe uscito nel 1993.



La digitalizzazione è un processo che permette a partire dalle foto di attori veri (o da modellini) di imbastire in sequenza, frame by frame, delle animazioni di gioco. Se la grafica pixel, quella dei primi Street Fighter per intenderci, ha molto più a che fare con la tecnica del disegno a mano (cosa che si sta peraltro recuperando oggi con il cell shading che rielabora su base tridimensionale, come in Guilty Gear Xrd e Dragon Ball Fighterz), la grafica digitalizzata cerca di convertire al Game una tecnica più "cinematografica". Il gioco di combattimento Pit-Fighter di Atari aveva nel 1990 fatto scalpore più di altri prodotti simili che sfoggiavano questa tecnica, per il fatto di calare i giocatori in una atmosfera da film action b-movie anni '80. Roba muscolare, esagerata, scorretta e ipersessualizzata, tra il wrestling e il combattimento da strada, con l'appeal generale di una serata particolarmente truzza davanti alle peggiori discoteche di provincia. Gente mezza nuda che urla, birra ovunque, tre metallari e due punk, ci stava benissimo (nel senso che non c'è ma se c'era era ok) come colonna sonora un pezzo a caso dei Baltimora tipo Woody Boogie, oppure qualche b-side di Michael Sembello.



A monte di una grossa progettualità e investimento di risorse Mortal Kombat arrivò a costare il doppio rispetto agli altri cabinati da sala giochi. Venne ripreso un certo appeal da Pit-fighter, Boon e Tobias rielaborano un po' la tecnica e fecero sembrare gli esseri umani digitalizzati qualcosa di meno simile a delle scimmiette salterine in bianco e nero. Certo a dirlo oggi sembra strano, ma vedere su un cabinato delle scene di presentazione che sembravano uscire da un film, anche se in definizione laidissima, per l'epoca era roba da orgasmo multiplo. E Mortal Kombat ce le aveva! E pure "attori veri!!".


Soprattutto decisero di ficcare dentro al loro titolo, oltre a questo "digitalume" (per certi aspetti anche amabilmente trash),  un marasma di roba nerd citazionista che guardava ai film di Bruce Lee quanto a Grosso Guaio a China Town, Predator, tanto Van Damme e Michael Dudikoff. Tutta roba che Quentin Tarantino e in genere ogni ragazzo cresciuto negli anni '80 poteva volere da un intrattenimento digitale  in ambito di sesso, droga e rock'n'roll. Nasceva così una roba psichedelica e ultra-splatter che ambiva a collocarsi permanentemente nei cuori come gli amati film horror vietati ai minori che trasmetteva su Italia 1 lo Zio Tibia dopo Festival Bar. Se il rock'n'roll e la droga erano rimpiazzate/surrogate dal furioso ritmo di gioco e dall'atmosfera mistico-psichedelica, di sesso non ce n'era però ancora tantissimo, in quel del 1992. C'erano una masnada di uomini, alcuni mezzi nudi, ma di donne giusto una "eccezione meritevole", inserita all'ultimo per evidente mancanza di genere femminile (si racconta che per introdurre il personaggio si sacrificò "Stryker", che esordì solo in Mortal Kombat 2).


Il principale personaggio femminile del picchiaduro, Sonya Blade, era ispirata nelle forme e pose all'attrice marziale Cynthia Rothrock. Con quella specie di tuta da palestra alla Jane Fonda che indossava, era decisamente diversa e "interessante" (personalmente non la trovo nemmeno troppo "sessualizzata") rispetto a quelle "combattenti mezze nude" che già imperversavano in altri giochi di combattimento (in realtà pochissime e per lo più pure loro copertissime). Con  Mortal Kombat II, del 1993, arrivarono come rappresentati del gentil sesso le più "scoperte" donne-Ninja. Le mitiche Kitana, Meelina e Skarlet.


Non è che potevamo parlare ancora quindi di "donne troppo scoperte". In compenso in Mortal Kombat 3 nel cast femminile trovarono posto anche la quasi punk-Queen, un po' milf e un po' Crudelia, Syndel, ma soprattutto la mitica Sheeva. Sheeva era una guerriera della razza Shokan, a cui appartenevano altri storici personaggi della storia di Mortal Kombat, Goro e Motaro. Erano creature primitive e muscolose, con 4 braccia, tre dita per mano, aria cattiva. Erano combattenti tostissimi, che andavano in giro mezzi nudi come i barbari dei racconti fantasy. Sheeva era il primo Shokan ad essere giocabile, gli altri in sala giochi ti picchiavano e basta, in genere picchiavano molto duro. Non si poteva usare Sheeva nelle versioni console perché era un personaggio troppo difficile da convertire (e in effetti l'home computer gaming all'epoca era un piccolo martirio). Se Goro e Motaro erano un inno e omaggio alle creature fantasy dei film di Larry Harryhausen, pupazzi realizzati con l'animazione della tecnica passo a uno, pur mantenendo una certa cifra "grottesca" Sheeva risultava una figura femminile molto sensuale, una specie di culturista dal corpo sproporzionato ma armonioso e attraente, anche grazie al generosissimo e striminzito costumino che ne copre del corpo giusto nelle parti più intime. Ma sarebbe stato strano vedere Sheeva vestita diversamente, gli Shokan hanno una visione della moda tutta loro



Arriviamo all'era del "primo 3D" di Mortal Kombat. Messe in soffitta le foto e filmini di modelli e pupazzi, Boon e socio sperimentarono i primi rudimenti di picchiaduro in 3D. Il focus era ancora sulla valorizzazione dei movimenti del corpo (probabilmente grazie al motion capture), lo sviluppo dei vestiti non permetteva ancora particolari raffinatezze e si limitava quindi a completini molto aderenti o squadrati male, con pochi elementi di vestiario adatti a essere mossi dall'azione legata al combattimento. Visivamente i personaggi maschili erano un po' inquartati in goffe armature decorative (che nascondono goffe articolazioni), mentre i femminili erano tutti molto simili, un po' standardizzati/stereotipati e cartooneschi nelle forme, ma avevano comunque quella sensualità da Lara Croft prima maniera, che su qualche rotondità di fatto indugiava, giocando sulla fluidità delle animazioni ma anche sulla sinuosità della colorazione metallizzata dei (pochi) completini con cui erano vestite. È da qui che Mortal Kombat è sempre più diventato uno scenario ideale per vedere belle ragazze digitali in costumi da bagno più che in vestiti adatti alla lotta. La bella "Ninja verde" Jade, con il suo costumino striminzito, guanti e stivali con tacco e vezzoso mascherino ninja  era in pratica una combattente con l'animo della lap-dancer ultra sexy. E il palo da lap-dance era la sua arma.


Da qui Mortal Kombat, complice se vogliamo la difficoltà di creare al meglio i tessuti dei vestiti femminili dei personaggi 3D (evitando cose grottesche alle volte come le gonne che sembrano "origami"), ha in effetti un po' sessualizzato soprattutto le sue ninja (al netto di una laracroftizzazione che ha toccato pure la tenuta militare di Sonya). Che poi le Ninja sono già di loro personaggi super sexy in tutti i picchiaduro, compresa Ibuki di Street Fighter che peraltro usa vestiti molto più castigati. 
I comandi di gioco in ambiente 3D risultarono alla fine un po' scomodi, la voglia di sbattersi nel fare un buon gioco andava e veniva, con l'impressione generale che si lavorasse un tanto al chilo. A un certo punto in Mortal Kombat si arrivò non si sa come, a programmare come extra del gioco principale roba come quella qui sotto documentata.



Oltre al super go-kart, brutti spin-off di genere action adventure che ho i brividi anche solo a citare. Tutto crollò a picco, Tobias andò per altri lidi, Mortal Kombat andò in stand-by fino a che si apprestò a rinascere a nuova forma con un nuovo investitore.
Si arrivava al nuovo corso di Mortal Kombat, con il capitolo "9" del 2011, con alle redini solo Ed Boon che si ergeva a capo del nuovo studio "Netherrealm", per la produzione di Warner Bros Interactive Entertainmant. 
Ora la tecnologia 3d riusciva a creare oltre che modelli 3d più convincenti anche figure femminili meno stereotipate e più simili alle attrici digitalizzate dei primi episodi. Ora gli sfondi abbandonavano una impostazione tridimensionale libera (diventando subito così dettagliatissimi e meno confusionari da affrontare), scegliendo le "2 dimensioni e mezzo" che sposavano appunto il 3D dei personaggi e sfondi con movimenti e meccaniche più legati ai giochi di combattimento 2D. Potevano quindi essere  in qualche modo ri-considerati i personaggi femminili, ora che la tecnologia permetteva maggiori dettagli, compreso il fatto di animare in modo dinamico gli effetti sui corpi e vestiti di ogni colpo e taglio? O le "Ninja in bikini" ormai erano standard accettato e selling Point di Mortal Kombat quanto le fatality splatter e il contesto da b-movie fantasy? Nel dubbio, Ed Boon e soci presero questa strada...



Skarlet era davvero "Mortal Kombat all'ennesimo potenza". Un personaggio tanto splatter (in pratica è "fatta di sangue vivo") quanto sexy (micro - bikini rosso fuoco, il vestito più sexy fra tutti nella serie). Sembrava ancora più convincente come "stripper combattente" di quanto lo fosse Jade nei primi Mortal Kombat 3D. Forse per via della fatality che faceva tanto Flashdance.
In quel periodo Warner Bros Interactive, dopo l'ottimo rilancio di Batman Arkham Asylum realizzato da Rocksteady Interactive, del 2009, si stava riscattando da una carriera produttiva un po' moscia, giochi branderizzati Lego a parte. Aveva investito tantissimo sul rilancio di Mortal Kombat, già dai primi trailer e demo era evidente lo sforzo e la qualità produttiva, di sicuro puntava a preservare il brand come lo conoscevano i fan. Poi arrivò Injustice, sempre commissionato a Boon e al suo NetherRealm, un "Mortal Kombat senza sangue e senza donne svestite con protagonisti i personaggi dei fumetti DC Comics". Un'idea che non andava troppo lontano dall'interessante (ma criticato già allora per assenza di sangue e "tette", per usare un termine tecnico) "Mortal Kombat vs DC universe" del 2008, prodotto da Midway sotto le mani di un Boon ancora già nel ruolo di leader del gruppo di sviluppo interno. Ma un'idea che si aggiornava al motore del Mortal Kombat del 2011, visivamente anni luce in avanti. Era inevitabile il successo. Da allora Boon a periodi alterni si è occupato di nuovi capitoli di Mortal Kombat o di Injustice e quindi diveniva progressivamente inevitabile che i due brand iniziassero ad avvicinarsi sempre di più anche a livello concettuale. Se lo storytelling di Mortal Kombat ha abbracciato anche la prospettiva dell'incontro "generazionale" (sviluppando il buon seme narrativo proprio di Mortal Kombat vs DC Universe, già approcciato ulteriormente in Mortal Kombat 9), presentando sullo sfondo dei combattimenti le vicende di genitori e figli impegnati nella eterna lotta tra bene e male (che è uno dei cavalli di battaglia classici dei fumetti DC Comics), era inevitabile che qualcosa di Injustice influenzasse anche Mortal Kombat. Anche perché, svelando l'inevitabile velo di ipocrisia, al di là della differenza di target di utenti cui i due prodotti sono formalmente destinati secondo il visto censura che sfoggiano in copertina (Mortal Kombat "vietato ai minori", Injustice "per tutti"), i giocatori di entrambi i prodotti sono gli stessi. E Warner Bros ovviamente sa questa cosa e ci gioca, come nell'ultimo film su Shazam, dove il "supereroe bambino" come primo atto di "essere diventato grande" gioca con un suo amichetto a Mortal Kombat (siamo lontani dai tempi in cui Renato Pozzetto, in Da grande, come segno di essere diventato adulto voleva "Il Lego grande"). 
E torniamo a Skarlet, personaggio fatto di sangue, bikini e pelle gioiosamente, spudoratamente esposta... vediamo come appare da Mortal Kombat 9 al nuovo Mortal Kombat 11  uscito il 24 di aprile di questo 2019. Vediamo il suo nuovo "set di vestiti" selezionabile, giusto per vedere se nel suo camerino ha ancora stivali rossi e micro-bikini allegato...


C'è da dire che dal 2011 al 2018 il passo in avanti nella modellazione dei corpi, vestiti e volti, è pazzesco. Skarlett sembra una attrice vera, con tratti etnici e somatici riconoscibili, forme realistiche e un suo preciso carattere e sex appeal. Tuttavia i vestitini e bikini sono spariti del tutto in ragione di abiti ultra-coprenti. Allo stesso modo con cui il vestitino sexy di Miss Marvel si è trasformato nel competo quasi integrale da motociclista di Captain Marvel nell'ultimo film Marvel-Disney. Oggi presentare personaggi femminili con troppi centimetri di pelle esposta è "male". E ciò che si può dire per la nuova caratterizzazione di Skarlet vale per tutte le donne di Mortal Kombat 11, per una scelta motivata dal produttore stesso, nel senso di creare "figure femminili più reali e meno stereotipate". La cosa può forse sembrare ancora più strana, se vediamo come i personaggi maschili siano tuttora rappresentati da parecchi uomini mezzi nudi. 
Niente sesso, "siamo moderni".
Se nasceva fieramente come "piacere proibito per adulti"  (che poi non erano cosi adulti), Mortal Kombat sta ora passando "dalla serie b alla serie a" anche a livello di contenuti. Si sta "laccando", sta diventando mainstream e quindi cerca di essere più accettabile per tutti. Anche perché condivide sempre più personaggi con Injustice (che usano più la magia che le mosse splatter). Così le combattenti digitali sono corse a coprirsi di corazze di foglie di fico, aspetto che per me non pesa forse troppo, perché il Mortal Kombat degli inizi aveva appunto una sessualità piuttosto blanda. Certo posso capire che la cosa pesi su quanti sono cresciuti con le versioni di Mortal Kombat più scollacciate, è in effetti una censurata questa nuova visione del brand, oltre ovviamente che una modernizzazione. 
MA è un altro l'aspetto di Mortal Kombat che presto credo sarà soggetto di modernizzazione più profonda: la componente splatter dei combattimenti. Da sempre il gioco presenta delle mosse finali, le cosiddette Fatality, con cui è possibile letteralmente fare a pezzi l'avversario sconfitto, nei modi più perversi ed eccentrici possibili. Da quando le storie che riguardano lo sfondo dei combattimenti di Mortal Kombat, (dal capitolo 10 per l'esattezza, il capitolo che ha seguito il primo Injustice) hanno iniziato a mettere sul ring genitori contro figli (o fratelli contro fratelli), per molti giocatori è iniziato a sembrare sempre più inaccettabile che tra personaggi con questo legame si potesse di fatto realizzare, pur per finta, pur per gioco, pur in modo de tutto opzionale e non necessario, una Fatality. Allo stesso modo, in questi giorni YouTube sta oscurando, con la richiesta obbligatoria di accesso ristretto ai maggiorenni per la visione, ogni filmato di Mortal Kombat 11 che riguarda l'esecuzione di una fatality. Le fatality sono sempre più scomode. E Injustice (sempre più la Coca zero di Mortal Kombat) è lì, con le sue "mosse finali non violente" a dare una risposta al possibile contenimento di questo ulteriore aspetto caratterizzante di Mortal Kombat. Il passo da fare è breve e fattibile, probabilmente sarà pure indolore. Ma in questo modo un altro tratto esagerato quanto specifico di Mortal Kombat andrà, prima o poi, a cadere. Presto un gioco di Mortal Kombat avrà molto più in comune con i film di supereroi che con i film action del passato. Non che vedere Subzero che estrae da un nemico sconfitto la colonna vertebrale abbia un profondo valore simbolico, formativo o filosofico, bene inteso. Era solo un'amabile stronzata che richiamava al film Predator (Predator che oggi è un personaggio extra di Mortal Kombat XL, da citazione è diventato "cover autorizzata"). Forse presto genitori e figli giocheranno insieme a Mortal Kombat, mentre noi quando eravamo piccini facevamo una fatica boia a nascondere quel "gioco proibito" dagli occhi dei nostri genitori. Perché quel gioco era "nostro" quanto proibito, come svegliarsi di notte, bere coca cola e stare a vedere un horror fino alle due del mattino. Roba da ragazzini. E qualche madre al posto di comprarci quel gioco, ha pure tentato di limitare la nostra "violenza interiore e voglia di essere adulti", propinandoci un gioco di golf


Altri tempi. Forse.
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