sabato 20 febbraio 2021

Antrum - il film più maledetto mai girato, ora su Amazon Plus - la nostra recensione!

 


(Sinossi fatta male) Alla fine degli anni ‘70 è stato girato da qualche parte tra le selve oscure della Bulgaria un piccolo, ma letalissimo, film horror in lingua inglese.

Partiamo dal “piccolo film”. La storia, semplice ma curata, ci parla di due fratelli, armati di tenda ed entusiasmo, in giro per campi sterrati e alberi adunchi, intenti a realizzare uno strano rito. Il fratello più piccolo, Nathan (Rowan Smyth), è triste per la morte della sua cagnolona Maxime, ma soprattutto per l’anatema scagliato contro quest’ultima da sua madre: “Maxime non andrà in paradiso perché è stata un cane cattivo”. La sorella più grande, Oralee (Nicole Tompkins), organizza tutta una messinscena per convincere il fratellino che si può salvare l’anima di Maxime, facendola ascendere in cielo, attraverso una serie di azioni da compiere, tra la tavola Ouija e la caccia al tesoro, in quello che definisce l’Antrum, il passaggio per l’inferno, comodamente situato nel boschetto vicino a casa. Oralee per convincere Nathan si inventa addirittura tutto un libro illustrato di suo pugno, artisticamente notevole e rilegato, quasi gothic/punk, con tutte le istruzioni su come arrivare all’inferno e salvare la cagnolona, peccato che i due fratellini finiscano a giocare in un posto dove i riti satanici si fanno per davvero, per di più popolato da gente parecchio inquietante e amante della tortura di innocenti, praticata con l’uso di pentole/prigioni a forma di diavoli realizzati in rame finemente lavorato. Riusciranno i fratellini a non finire nel pentolone di Belzebu?



E qui arriviamo alla nomea di film “letale”. Attraverso un breve, accorto, intelligente ed interessantissimo documentario a inizio pellicola, davvero ritmato e ben girato, si parla di come l’ultima copia esistente di Antrum sia finita nelle mani di questi due registi, David Amito e Michael Laicini, dopo che la distribuzione della pellicola, secondo le interviste di addetti ai lavori “reali” e a resoconti storici “realistici”, avrebbe causato un mare di morti tra chi ha provato a vedere la stessa dagli anni ‘70 ad oggi. Critici stroncati poche ore dopo la visione ancora con la tazzina alzata al bar, per attacco di cuore improvviso stile Death Note. Cinema di Budapest  in cui era proiettato e dove le poltroncine, usurate dal cinema degli anni ‘70 e ‘80 in cui entravi in sala in una nube composta dalle sigarette, hanno preso inspiegabilmente fuoco. Gente che si è scannata dopo che un proiezionista diventa burlone e un po’ cretino, e pure assassino, ha deciso di mettere nei pop corn l’lsd e chiudere a chiave la porta di uscita. Ce n'è di ogni, tutto narrato in uno stile allusivo/complottista/scettico/satirico, compreso l’assalto mortale di uno spettatore da parte di un innocuissimo e rarissimo pesce-roccia, che dai fondali oceanici di colpo va a fare un giro a bordo spiaggia. 

Dopo che hanno detto per un quarto d’ora quanto Antrum porti sfiga e di fatto abbiano tutti gli esercenti e festival voluto disfarsi della pellicola quanto prima, nel documentario si aggiunge che questa ultima e rarissima copia, messa in vendita da in tizio misterioso in un contesto misteriosissimo, sia stata pure manipolata da un ancora più misteriosissimo anonimo satanista assassino e pazzo, ma incredibile esperto di post produzione video, che l’ha rimontata insieme alla pellicola di uno  snuff movie con dentro probabili omicidi e si è pure curato di riempire questo mixone di girato, frammento dopo frammento, a mano, con la determinazione e la dovizia di un monaco trecentesco, di uno sterminato numero di pentacoli, scritte in lingue antico e in genere tutto quello che serve per evocare Belzebu durante la vostra visione domestica e farvelo trovare a fianco sul divano. A mangiare i pop corn con voi, in meno di 30 minuti. Meglio del Deliveroo. A questo punto, finito il documentato con in testa più di qualche gigantesco dubbio, tocca vedersi il film. Ma prima ecco un bel minaccioso disclamer a confondere di nuovo le acque: una schermata nera in cui la produzione avverte gli spettatori che sono solo cacchi loro se vogliono vedere un film maledetto, che porta sfiga e pieno di roba satanica. Loro la responsabilità non se la pigliano se vi ritrovate a mangiare pop corn all’LSD, vi va a fuoco il divano del nonno, vi infartate dopo un caffè o vi spunta dal water con aria omicida un pesce-pietra! Inoltre, per assicurare gli spettatori che devono essere davvero consci della possibile cazzata cui vanno incontro, parte uno strategico e comodo timer di 60 secondi per permettere di scappare dalla visione finché si è in tempo. Siete così temerari da affrontare la visione di Antrum? Non temete di essere morsi all’improvviso dal pesce pietra, che vi  può compare all’improvviso tra le chiappe mentre Belzebu, sul vostro divano, inizia a rubarvi i pop corn?


(Quando un film fa paura solo per il fatto che “qualcuno ti dice che fa paura” e ti convinci?)

Esistono film di paura che generano malessere, te li porti negli incubi. Alcuni possono colpire di più un certo tipo di platea, come Inside di Bustillo e Maury che si sconsiglia con forza a ogni donna che sta per partorire. Altri possono spaventare di più chi crede in una specifica religione, come l’Esorcista di Friedkin, che ha all’epoca pure beneficiato della “benedizione papale” che certificava come le pratiche esorcistiche fossero ancora praticate e accessibili tramite patentino e corsi di formazione didattica che pure oggi si praticano in via ufficiale (ne parla il film Il Rito, con Hopkins). Poi ci sono film davvero strani e più inquietanti del dovuto per le vicissitudini della produzione o perché sono morti in modo strano i membri del cast, come Poltergeist di Tob Hooper. 

Ci sono poi film che fanno paura anche con un limitatissimo (ma spesso cruciale) carico di scene macabre o angosciose, giocando tutto sulla angoscia di far sentire lo spettatore impotente, senza scampo, come Martyrs di Pascal Laugier, Rosemary’s Baby di Roman Polanski, Midsommar di Ari Aster. Poi ci sono film che non capisci perché dovrebbero far paura, dove il meccanismo è spesso palesato come farlocco in un attimo per le mille ragioni che il “buonsenso ti urla dentro“ e invece riescono a istillate una paura maledetta, per la strana forza evocativa di cui sono pregni “nonostante tutto”, muovendosi sul terreno inquieto del “e se fosse pur, nel caso di una volta su dieci milioni, una storia reale?”. 

La prendo alla lontana e per cominciare senza parlare neanche di un film. 

Ho un ricordo molto vivido della mia vacanza-studio a Bath, in Inghilterra, durante i mondiali di calcio di Italia ‘90. Eravamo un gruppo di ragazzini stipati in una camerata di un posto tipo Hogwarts e la notte, in assenza di temerari in grado di incendiare le scorregge (che avrei anni dopo incontrato in caserma), facevamo le prove di coraggio in salsa horror. Tra noi c’era un tipo che si chiamava tipo Zagor, di origine gitana, esperto di occulto, oui-Ja, evocazioni. Un tipo simpaticissimo e a suo modo carismatico, un trascinatore. Una notte, allo scoccare di non so che ora magica, dopo un paio di monate folcloristiche con la monetina, scrisse su uno specchio, con dentifricio Aquafresh,  un minaccioso “satanarum”. Così, tipo al genitivo plurale, perché sì. Ovviamente quello che seguì fu che non successe un cazzo, ma la strizza era nell’aria! Ogni rumorino, immagino sempre prodotto da quel buontempone di Zagor, faceva sussultare una ventina di ragazzini, subito pronti a fissare lo specchio marchiato con quel genitivo plurale latino “satanarum”, pensando facesse la sua comparsa un demone. Non fosse altro per cazziare qualcuno della formula sgrammaticata, come il professore di latino del liceo. Questo aspetto di evocazione/burla rendeva difficile la già difficoltosa digestione di una gigante doppia mozzarella di Pizza Hut, ma sai che emozione!



Anni dopo arriva in sala Blair Witch Project, il film con i tizi che cercano in un bosco una strega assassina usando delle telecamere a mano per documentare tutto in tempo reale. La pubblicità, che parla del film più terrificante mai girato, arriva a dire che non è nemmeno una pellicola confezionata convenzionalmente, ma il resoconto fedele di un fatto vero di cronaca con tizi morti male mentre stavano nel bosco. Tipo che la telecamera è stata “L’ultima sopravvissuta” a essere ritrovata in quel bosco e magari ha inquadrato la strega assassina negli ‘80 minuti di girato. Roba che se scorgi la strega tra le immagini, dietro a un pioppo o ad abete della California, magari muori pure tu al cinema. Passano 80 minuti e il film, che è pure girato in modo interessante, finisce. La strega non si vede mai, ma è una fortuna! Metti che ci malediceva!!  Abbiamo fatto bene ad andare al cinema per nasconderci sotto le poltroncine al primo sussulto di camera di quello che sembra a un occhio “distratto” solo un filmino sul trekking nei boschi!

Ultimo salto, Paranormal Activity, di nuovo il film più spaventoso mai girato, di nuovo mi trovo in una sala convinta di affrontare il demonio con il suo coraggio, incapace in questo caso di stare zitta per 7 secondi e urlando minacce al grande schermo tipo: “Guarda ’sta cagata che ha spaventato l’America!! Non ce la fai con noi di Milano, sfigata!!”. Quello che si vede sono due tizi che dormono mentre si riprendono con una telecamera ad infrarossi. La tizia della coppia quando è “indemoniata”, per ragioni peculiari come per il fatto che il film è girato con un budget di 60 euro, si alza dal letto e di fatto si limita a stare ferma in piedi. Magari ciondolando un po’. Uno stare in piedi che mette una dannata paura. Tutto molto suggestivo se pensiamo che stiamo vedendo una telecamera di sorveglianza fissa immaginando chissà che cosa tra i rivoli dell’inquadratura, magari cercando di scorgere dei diavoli invisibili (che appariranno nell’ultimo capitolo della saga, anni dopo, in brutta computer grafica) con la sala che urla a ogni scena in cui una mosca passa davanti all’obiettivo, per poi sfidarla a parole a riprovarci “se ne ha il coraggio”. Ci si crede anche se non ci si crede: pura magia del cinema. 

(“Ricordati che devi morire“. Cit.) Ed eccoci ad Antrum. Antrum è raccontato al pubblico come un film maledetto di fine anni ‘70, che “muori se lo vedi”. Affrontarlo senza sapere niente dei reali antefatti dietro alla pellicola è una ripida montagna russa nella paura. Antrum usa una particolare colonna sonora con tonalità che rendono disturbante e angoscioso l’ascolto, davvero suggestiva e che mette in luce le capacità di Alicia Frickter. Gli attori sono bravi e credibili, compresi “quelli della parte documentaristica“, che sono veri giornalisti che si sono prestati al gioco, confermando come Amito e Laicini conoscano la tv quanto i documentari. Tra i produttori c’è l’intraprendente Eric Sanada Thirteen, che ha saputo ripescare Rob Zombie dopo la depressione post Le streghe di Salem, finanziando il suo 31



Ha una fotografia desaturata, dai toni autunnali e dalla costruzione visiva sempre chiara ad opera di Maksymilian Milczarczyk. Tempesta la retina di immagini subliminali di diavoli, pentacoli, scritte in lingue morte in post-produzione video curata in casa. Tempesta i timpani con le voci cavernose che si premurano di introdurci ogni singolo capitolo, con il nome di regioni dell’inferno, in cui la vicenda è suddivisa, realizzate dalla stessa Frickter con un alteratore di voce.

Sai che è tutto finto, ma è un finto fatto bene. 

Hai la sensazione che il film ti guardi, che il diavolone cornuto guardi davvero te, spettatore aspirante suicida che vuoi provare l’ebbrezza del film maledetto, senza curarsi troppo della trama generale, è questa è una piccola rivoluzione. Potrebbe essere proiettato in sottofondo anche un film dei puffi, perché è la pellicola l’oggetto maledetto, non specificamente il film che la contiene. La pellicola e gli infiniti trucchi che usa per comunicare con noi, percorrendo il grottesco ma mai oltre il limite dello stile. Anche se giocoforza qui si parla sempre di un “film horror sottostante”, ben girato e raccontato, e non un film dei Puffi. E ho scoperto come la paura è così ben narrata, nel documentario che apre la pellicola, da persuadere alcuni a stoppare la visione durante quel terribile e geniale countdown di un minuto, che può essere inteso come puro marketing aggressivo ma funziona. Antrum sa instillare paura, fa sentire in colpa chi lo guarda non necessariamente informato e tende per questo a diffondersi sulla popolazione amante dell’horror, almeno quanto farebbe la famosa videocassetta di The Ring se fosse vera. Il mito del “film che uccide o fa stare male”, che è vecchio ma sempre attuale come Georges Melies, passando da Deodato, Carpenter e poi nel J-horror, tra i mille film (e campagne pubblicitarie ad hoc) sul tema, sale che si premuniscono di sacchetti per il vomito, medici di emergenza e forze dell’ordine nella tradizione del matinee, arriva con Antrum a un nuovo livello, quello on-demand, smaterializzando sala, oggetto malefico e pubblico, disarcionando la parte narrativa del medium cinematografico del suo ruolo centrale e offrendo una esperienza più vicina a un allestimento di teatro post moderno. Ma tutto questo, che si riconosce qualitativamente validissimo, funziona bene?



(Dipende) Alla fine si arriva sempre al discorso dei gusti, perché anche con Antrum il genere horror manifesta la sua essenza divisiva sul pubblico. C’è chi ama il documentario (anche se è più corretto parlare di “mocumentario”) e trova il resto del film “troppo lento“. C’è chi vorrebbe il film senza filtri satanici e diavoli in sovrimpressione perché “è già bello così” ed in effetti tutti ‘sti pentacoli del diavolo a uno particolarmente religioso possono anche un po’ irritare. C’è chi al minuto due “è tutta una supercazzola” e inizia a ridere. Da amante del genere horror, specie delle atmosfere folk-horror, voglio dire che mi è piaciuto, tanto sul piano visivo che recitativo che sonoro. Forse i pentacolini mi sono venuti un po’ a noia però, dopo il 72esimo. L’atmosfera è quella di una favola nera, il bosco è vivo e pieno di creature che strisciano nell’ombra, le immagini subliminali e il suono provocano un assalto sensoriale poderoso e crudele. Non è un film per tutti, ma è ben confezionato e non banale. Anche il “cuore narrativo“, il viaggio iniziatico per salvare l’anima del cane, utilizza una sensibilità nell’affrontare il tema del lutto che non è scontata, riproponendo, seppure in modo fantasy, la filosofia di alcuni percorsi terapici basati sull’avvicinamento positivo dell’uomo alla natura nei momenti più difficili. La storia è quindi ben fatta e gli “orpelli aggiuntivi”, al netto di una certa invadenza, riescono effettivamente a dare un passo solenne quando terrificante al tutto.

Può essere alla fine sono un “satanarum”, un tarocco sgrammaticato ma fatto “di cuore”, soprattutto nella sua parte più “psichedelica”, ma Antrum il suo lavoro sporco lo fa, anche riuscendo a essere originale. 

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