(Sinossi fatta male) Alla fine degli anni ‘70 è stato girato da qualche parte tra le selve oscure della Bulgaria un piccolo, ma letalissimo, film horror in lingua inglese.
Partiamo dal “piccolo film”. La storia,
semplice ma curata, ci parla di due fratelli, armati di tenda ed entusiasmo, in
giro per campi sterrati e alberi adunchi, intenti a realizzare uno strano rito.
Il fratello più piccolo, Nathan (Rowan Smyth), è triste per la morte della sua
cagnolona Maxime, ma soprattutto per l’anatema scagliato contro quest’ultima da
sua madre: “Maxime non andrà in paradiso perché è stata un cane cattivo”. La
sorella più grande, Oralee (Nicole Tompkins), organizza tutta una messinscena
per convincere il fratellino che si può salvare l’anima di Maxime, facendola
ascendere in cielo, attraverso una serie di azioni da compiere, tra la tavola
Ouija e la caccia al tesoro, in quello che definisce l’Antrum, il passaggio per
l’inferno, comodamente situato nel boschetto vicino a casa. Oralee per
convincere Nathan si inventa addirittura tutto un libro illustrato di suo
pugno, artisticamente notevole e rilegato, quasi gothic/punk, con tutte le
istruzioni su come arrivare all’inferno e salvare la cagnolona, peccato che i
due fratellini finiscano a giocare in un posto dove i riti satanici si fanno
per davvero, per di più popolato da gente parecchio inquietante e amante della
tortura di innocenti, praticata con l’uso di pentole/prigioni a forma di
diavoli realizzati in rame finemente lavorato. Riusciranno i fratellini a non
finire nel pentolone di Belzebu?
E qui arriviamo alla nomea di film
“letale”. Attraverso un breve, accorto, intelligente ed interessantissimo
documentario a inizio pellicola, davvero ritmato e ben girato, si parla di come
l’ultima copia esistente di Antrum sia finita nelle mani di questi due registi,
David Amito e Michael Laicini, dopo che la distribuzione della pellicola,
secondo le interviste di addetti ai lavori “reali” e a resoconti storici
“realistici”, avrebbe causato un mare di morti tra chi ha provato a vedere la
stessa dagli anni ‘70 ad oggi. Critici stroncati poche ore dopo la visione
ancora con la tazzina alzata al bar, per attacco di cuore improvviso stile
Death Note. Cinema di Budapest in cui era proiettato e dove le
poltroncine, usurate dal cinema degli anni ‘70 e ‘80 in cui entravi in sala in una nube composta dalle sigarette, hanno preso inspiegabilmente
fuoco. Gente che si è scannata dopo che un proiezionista diventa burlone e un
po’ cretino, e pure assassino, ha deciso di mettere nei pop corn l’lsd e
chiudere a chiave la porta di uscita. Ce n'è di ogni, tutto narrato in uno
stile allusivo/complottista/scettico/satirico, compreso l’assalto mortale
di uno spettatore da parte di un innocuissimo e rarissimo pesce-roccia, che dai
fondali oceanici di colpo va a fare un giro a bordo spiaggia.
Dopo che hanno detto per un quarto d’ora
quanto Antrum porti sfiga e di fatto abbiano tutti gli esercenti e festival
voluto disfarsi della pellicola quanto prima, nel documentario si aggiunge che
questa ultima e rarissima copia, messa in vendita da in tizio misterioso in un
contesto misteriosissimo, sia stata pure manipolata da un ancora più
misteriosissimo anonimo satanista assassino e pazzo, ma incredibile esperto di
post produzione video, che l’ha rimontata insieme alla pellicola di uno
snuff movie con dentro probabili omicidi e si è pure curato di riempire questo
mixone di girato, frammento dopo frammento, a mano, con la determinazione e la
dovizia di un monaco trecentesco, di uno sterminato numero di pentacoli,
scritte in lingue antico e in genere tutto quello che serve per evocare Belzebu
durante la vostra visione domestica e farvelo trovare a fianco sul divano. A
mangiare i pop corn con voi, in meno di 30 minuti. Meglio del Deliveroo. A questo
punto, finito il documentato con in testa più di qualche gigantesco dubbio,
tocca vedersi il film. Ma prima ecco un bel minaccioso disclamer a confondere
di nuovo le acque: una schermata nera in cui la produzione avverte gli
spettatori che sono solo cacchi loro se vogliono vedere un film maledetto, che
porta sfiga e pieno di roba satanica. Loro la responsabilità non se la pigliano
se vi ritrovate a mangiare pop corn all’LSD, vi va a fuoco il divano del nonno,
vi infartate dopo un caffè o vi spunta dal water con aria omicida un
pesce-pietra! Inoltre, per assicurare gli spettatori che devono essere davvero
consci della possibile cazzata cui vanno incontro, parte uno strategico e
comodo timer di 60 secondi per permettere di scappare dalla visione finché si è
in tempo. Siete così temerari da affrontare la visione di Antrum? Non temete di
essere morsi all’improvviso dal pesce pietra, che vi può compare all’improvviso tra le chiappe mentre Belzebu, sul vostro divano, inizia a rubarvi i pop corn?
(Quando un film fa paura solo per il
fatto che “qualcuno ti dice che fa paura” e ti convinci?)
Esistono film di paura che generano
malessere, te li porti negli incubi. Alcuni possono colpire di più un certo
tipo di platea, come Inside di Bustillo e Maury che si sconsiglia con forza a
ogni donna che sta per partorire. Altri possono spaventare di più chi crede in
una specifica religione, come l’Esorcista di Friedkin, che ha all’epoca pure
beneficiato della “benedizione papale” che certificava come le pratiche
esorcistiche fossero ancora praticate e accessibili tramite patentino e corsi di
formazione didattica che pure oggi si praticano in via ufficiale (ne parla il
film Il Rito, con Hopkins). Poi ci sono film davvero strani e più
inquietanti del dovuto per le vicissitudini della produzione o perché sono
morti in modo strano i membri del cast, come Poltergeist di Tob Hooper.
Ci sono poi film che fanno paura
anche con un limitatissimo (ma spesso cruciale) carico di scene macabre o
angosciose, giocando tutto sulla angoscia di far sentire lo spettatore
impotente, senza scampo, come Martyrs di Pascal Laugier, Rosemary’s Baby di
Roman Polanski, Midsommar di Ari Aster. Poi ci sono film che non capisci perché
dovrebbero far paura, dove il meccanismo è spesso palesato come farlocco in un
attimo per le mille ragioni che il “buonsenso ti urla dentro“ e invece riescono
a istillate una paura maledetta, per la strana forza evocativa di cui sono
pregni “nonostante tutto”, muovendosi sul terreno inquieto del “e se fosse pur,
nel caso di una volta su dieci milioni, una storia reale?”.
La prendo alla lontana e per cominciare
senza parlare neanche di un film.
Ho un ricordo molto vivido della mia vacanza-studio a Bath, in Inghilterra, durante i mondiali di calcio di Italia ‘90. Eravamo un gruppo di ragazzini stipati in una camerata di un posto tipo Hogwarts e la notte, in assenza di temerari in grado di incendiare le scorregge (che avrei anni dopo incontrato in caserma), facevamo le prove di coraggio in salsa horror. Tra noi c’era un tipo che si chiamava tipo Zagor, di origine gitana, esperto di occulto, oui-Ja, evocazioni. Un tipo simpaticissimo e a suo modo carismatico, un trascinatore. Una notte, allo scoccare di non so che ora magica, dopo un paio di monate folcloristiche con la monetina, scrisse su uno specchio, con dentifricio Aquafresh, un minaccioso “satanarum”. Così, tipo al genitivo plurale, perché sì. Ovviamente quello che seguì fu che non successe un cazzo, ma la strizza era nell’aria! Ogni rumorino, immagino sempre prodotto da quel buontempone di Zagor, faceva sussultare una ventina di ragazzini, subito pronti a fissare lo specchio marchiato con quel genitivo plurale latino “satanarum”, pensando facesse la sua comparsa un demone. Non fosse altro per cazziare qualcuno della formula sgrammaticata, come il professore di latino del liceo. Questo aspetto di evocazione/burla rendeva difficile la già difficoltosa digestione di una gigante doppia mozzarella di Pizza Hut, ma sai che emozione!
Anni dopo arriva in sala Blair
Witch Project, il film con i tizi che cercano in un bosco una strega assassina
usando delle telecamere a mano per documentare tutto in tempo reale. La
pubblicità, che parla del film più terrificante mai girato, arriva a dire che
non è nemmeno una pellicola confezionata convenzionalmente, ma il
resoconto fedele di un fatto vero di cronaca con tizi morti male mentre stavano
nel bosco. Tipo che la telecamera è stata “L’ultima sopravvissuta” a essere
ritrovata in quel bosco e magari ha inquadrato la strega assassina negli ‘80
minuti di girato. Roba che se scorgi la strega tra le immagini, dietro a un pioppo o ad abete della California, magari muori pure tu al cinema. Passano
80 minuti e il film, che è pure girato in modo interessante, finisce. La strega
non si vede mai, ma è una fortuna! Metti che ci malediceva!! Abbiamo fatto
bene ad andare al cinema per nasconderci sotto le poltroncine al primo sussulto
di camera di quello che sembra a un occhio “distratto” solo un filmino sul
trekking nei boschi!
Ultimo salto, Paranormal Activity, di
nuovo il film più spaventoso mai girato, di nuovo mi trovo in una sala convinta
di affrontare il demonio con il suo coraggio, incapace in questo caso di stare
zitta per 7 secondi e urlando minacce al grande schermo tipo: “Guarda ’sta
cagata che ha spaventato l’America!! Non ce la fai con noi di Milano,
sfigata!!”. Quello che si vede sono due tizi che dormono mentre si riprendono con una telecamera ad infrarossi. La tizia della coppia quando è
“indemoniata”, per ragioni peculiari come per il fatto che il film è girato con
un budget di 60 euro, si alza dal letto e di fatto si limita a stare ferma in
piedi. Magari ciondolando un po’. Uno stare in piedi che mette una
dannata paura. Tutto molto suggestivo se pensiamo che stiamo vedendo una
telecamera di sorveglianza fissa immaginando chissà che cosa tra i rivoli
dell’inquadratura, magari cercando di scorgere dei diavoli invisibili (che
appariranno nell’ultimo capitolo della saga, anni dopo, in brutta computer
grafica) con la sala che urla a ogni scena in cui una mosca passa davanti
all’obiettivo, per poi sfidarla a parole a riprovarci “se ne ha il coraggio”.
Ci si crede anche se non ci si crede: pura magia del cinema.
(“Ricordati che devi morire“. Cit.) Ed
eccoci ad Antrum. Antrum è raccontato al pubblico come un film maledetto di
fine anni ‘70, che “muori se lo vedi”. Affrontarlo senza sapere niente dei
reali antefatti dietro alla pellicola è una ripida montagna russa nella paura.
Antrum usa una particolare colonna sonora con tonalità che rendono disturbante
e angoscioso l’ascolto, davvero suggestiva e che mette in luce le capacità di
Alicia Frickter. Gli attori sono bravi e credibili, compresi “quelli della
parte documentaristica“, che sono veri giornalisti che si sono prestati al
gioco, confermando come Amito e Laicini conoscano la tv quanto i documentari.
Tra i produttori c’è l’intraprendente Eric Sanada Thirteen, che ha saputo
ripescare Rob Zombie dopo la depressione post Le streghe di Salem, finanziando
il suo 31.
Ha una fotografia desaturata, dai toni
autunnali e dalla costruzione visiva sempre chiara ad opera di Maksymilian
Milczarczyk. Tempesta la retina di immagini subliminali di diavoli, pentacoli,
scritte in lingue morte in post-produzione video curata in casa. Tempesta i
timpani con le voci cavernose che si premurano di introdurci ogni singolo
capitolo, con il nome di regioni dell’inferno, in cui la vicenda è
suddivisa, realizzate dalla stessa Frickter con un alteratore di voce.
Sai che è tutto finto, ma è un finto
fatto bene.
Hai la sensazione che il film ti guardi,
che il diavolone cornuto guardi davvero te, spettatore aspirante suicida che
vuoi provare l’ebbrezza del film maledetto, senza curarsi troppo della trama
generale, è questa è una piccola rivoluzione. Potrebbe essere proiettato in
sottofondo anche un film dei puffi, perché è la pellicola l’oggetto maledetto,
non specificamente il film che la contiene. La pellicola e gli infiniti trucchi
che usa per comunicare con noi, percorrendo il grottesco ma mai oltre il limite
dello stile. Anche se giocoforza qui si parla sempre di un “film horror
sottostante”, ben girato e raccontato, e non un film dei Puffi. E ho
scoperto come la paura è così ben narrata, nel documentario che apre la
pellicola, da persuadere alcuni a stoppare la visione durante quel terribile e
geniale countdown di un minuto, che può essere inteso come puro marketing
aggressivo ma funziona. Antrum sa instillare paura, fa sentire in colpa chi lo
guarda non necessariamente informato e tende per questo a diffondersi sulla
popolazione amante dell’horror, almeno quanto farebbe la famosa videocassetta
di The Ring se fosse vera. Il mito del “film che uccide o fa stare male”, che è
vecchio ma sempre attuale come Georges Melies, passando da Deodato,
Carpenter e poi nel J-horror, tra i mille film (e campagne pubblicitarie ad
hoc) sul tema, sale che si premuniscono di sacchetti per il vomito, medici di
emergenza e forze dell’ordine nella tradizione del matinee, arriva con Antrum
a un nuovo livello, quello on-demand, smaterializzando sala, oggetto malefico
e pubblico, disarcionando la parte narrativa del medium cinematografico
del suo ruolo centrale e offrendo una esperienza più vicina a un allestimento
di teatro post moderno. Ma tutto questo, che si riconosce qualitativamente
validissimo, funziona bene?
(Dipende) Alla fine si arriva sempre al
discorso dei gusti, perché anche con Antrum il genere horror manifesta la sua
essenza divisiva sul pubblico. C’è chi ama il documentario (anche se è più
corretto parlare di “mocumentario”) e trova il resto del film “troppo lento“.
C’è chi vorrebbe il film senza filtri satanici e diavoli in sovrimpressione
perché “è già bello così” ed in effetti tutti ‘sti pentacoli del diavolo a uno
particolarmente religioso possono anche un po’ irritare. C’è chi al minuto due
“è tutta una supercazzola” e inizia a ridere. Da amante del genere horror,
specie delle atmosfere folk-horror, voglio dire che mi è piaciuto, tanto sul
piano visivo che recitativo che sonoro. Forse i pentacolini mi sono venuti un
po’ a noia però, dopo il 72esimo. L’atmosfera è quella di una favola nera, il
bosco è vivo e pieno di creature che strisciano nell’ombra, le immagini
subliminali e il suono provocano un assalto sensoriale poderoso e crudele. Non
è un film per tutti, ma è ben confezionato e non banale. Anche il “cuore
narrativo“, il viaggio iniziatico per salvare l’anima del cane, utilizza una
sensibilità nell’affrontare il tema del lutto che non è scontata, riproponendo,
seppure in modo fantasy, la filosofia di alcuni percorsi terapici basati
sull’avvicinamento positivo dell’uomo alla natura nei momenti più difficili. La
storia è quindi ben fatta e gli “orpelli aggiuntivi”, al netto di una certa
invadenza, riescono effettivamente a dare un passo solenne quando terrificante
al tutto.
Può essere alla fine sono un “satanarum”, un tarocco sgrammaticato ma fatto “di cuore”, soprattutto nella sua parte più “psichedelica”, ma Antrum il suo lavoro sporco lo fa, anche riuscendo a essere originale.
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