sabato 6 febbraio 2021

Soul: la nostra recensione del nuovo film Pixar con la regia di Pete Docter e la sceneggiatura di Kemp Powers, ora su Disney+

 


(sinossi fatta male) Joe è un insegnan    te di musica nella New York dei giorni nostri. Lavora sottopagato in una scuola statale, aspettando che arrivi la grande occasione: l’incontro con una star del Jazz che riconosca i suoi meriti, lo includa nella band e gli faccia girare il mondo, portandolo via da una realtà senza prospettive. La svolta sembra essere dietro l’angolo quando la cantante Dorothea Williams si trova in zona in cerca di un pianista per una serata. Joe ha la sua occasione e corre felice per la strada ad annunciare a tutti il suo traguardo imminente, fino a che in modo distratto cade in un tombino e muore. Joe si sveglia ridotto a un puffo, cicciottello e blu, per di più “fluttuante” e su una scala mobile che lo porta verso una luce strana. Ora è un anima in coda dell’oltre-mondo. Cerca di fuggire, vuole almeno riuscire a suonare con Dorothea quella sera che aveva il provino, il tempo stringe, ma non ce la fa, viene bloccato. La sua caparbietà viene captata dai “Jerry”, una specie di entità bidimensionale che regolano questo strano posto, che decidono di spostare Joe in un luogo diverso, l’ante-mondo, ad affrontare una impresa apparentemente impossibile: guidare un’anima “problematica” a trovare le sue qualità interiori per poi nascere. Insomma, dovrà di nuovo fare l’insegnante sottopagato, pur in un contesto fantasy, ma non ci sta! Così decide insieme alla sua anima pupilla, di nome 22, di forzare i tempi e tornare sulla terra attraverso un varco. I due si reincarneranno, Joe finirà nel corpo di un gatto, 22 nel corpo di Joe che era caduto in un tombino. Attraverso gli occhi del gatto Joe scoprirà molte cose su se stesso e quello che vuole ancora realizzare. Riuscirà Joe a raggiungere il suo sogno, dando un senso alla sua esistenza? 



(Pete Docter, l’architetto dei sogni) Tra i molti artisti che hanno reso grande Pixar Animation, Pete Docter, sceneggiatore e regista, è quello che mi è più caro. Usando un approccio narrativo razionale, quasi scientifico e al contempo semplice, Docter riesce a intessere su schermo concetti astratti e regole complesse a favore tanto dei bambini che degli adulti. È lui che ha scritto le silenziose dinamiche di accudimento, incentrate sul concetto di “presenza”, che i giocattoli esercitano sui bambini (Toy Story). È lui che ha espresso in termini di catena produttiva il meccanismo con cui dalla paura si genera potere, anche se non è il miglior potere possibile (Monsters and Co.). Ha immaginato un futuro con l’umanità sempre più immobile e obesa, che vive nello spazio dopo che ha ridotto il mondo a cumulo di rifiuti, scoprendo tardivamente la necessità della preservazione dell’ambiente (Wall-E), ha rappresentato il mondo dell’inconscio umano come un piccolo stato con i suoi vertici politici (Inside Out), ha immaginato una società evoluta che vola su palloni aerostatici, con animali che dialogano e vivono con l’uomo, con tanto di sistemi vocali e un sistema di comandi dedicati per permettergli di far pilotare aerei da cani da caccia e da combattimento (Up). In Soul, Docter crea un oltre-mondo al di là delle rappresentazioni religiose, per parlarci di come gli esseri umani siano creature multidimensionali, in bilico tra il reale e l’onirico, sogni e realtà. Ci sono anime in cerca di una vita, anime defunte e anime che vivono in parallelo la loro esistenza terrena e astrale. Una persona che è così concentrata su se stessa da avere metaforicamente “la testa tra le nuvole”, diventa per Docter in Soul un’anima che sul piano “astrale” effettivamente galleggia isolata nell’aria, mente nel piano reale magari sta pensosa alla scrivania. Una persona vittima di depressione si tramuta in un mostro che perde la propria identità e distrugge chi ha incontro. Ogni anima che deve venire al mondo necessariamente in una specie di percorso didattico multidisciplinare, deve riconoscere in se stessa delle qualità, anche se spesso non ne è consapevole, che si esprimeranno in caratteristiche-chiave che determinano il carattere dell’individuo con un sistema a “coccarde” non dissimile dalle medagliette degli obiettivi socio/attitudinali raggiunti del boy-scout Russell di Up (Sempre con dietro la penna di Docter). Le anime dei defunti possono ricoprire il ruolo di insegnanti e guide, prima di tornare su quella scala mobile che li porta verso l’infinito e oltre. Chi governa questo strano mondo oltre/pre e di traverso al mondo terreno, sono dei costrutti, matematici ma in fondo bontemponi. Tutto questa architettura è una giga-metafora funzionale alla trama, a tratti complicata in sfrenati voli pindarici (tipo le persone più spirituali che possono guidare un galeone sulle terre desertiche popolate dai disperati depressi) ma alla fine districabile: Scuola e musica jazz sono le due dimensioni in cui vive e per cui vive Joe e questo vale ovunque lui si trovi tra i mondi folli di questo film. La musica Jazz è così per Docter l’elemento ideale che accorda e fa dialogare le anime al mondo. L’armonia dei suoni della natura nell’autunno di New York si fonde con gli strumenti musicali e per il protagonista si verifica l’abbaglio, nonché cuore narrativo del film, di considerare il fine del mondo solo nella musica stessa, nella ricerca di una armonia assoluta. Senza guardare a tutto quello che fa risuonare il mondo in cui vive. Senza considerare che il Jazz non vive di soli assoli. Senza osservare, finché non è costretto dalla trama, come questa “musica vitale” impatti su 22. Il grado di complessità della messa in scena e le riflessioni sulla musica alla base di Soul possono apparire concetti elevati quanto criptici, al punto da apparire per i più piccoli uno spettacolo che confonde, non immediato. Ma Soul di sicuro lo riguarderanno anche da adulti, riscoprendolo. 



(Kemp Powers e il ruolo degli artisti afroamericani nella cultura musicale) Oltre all’Oltre-Mondo & Co. immaginati da Docter, c’è il mondo vero, quello sviluppato dalla sensibilità di Kemp Powers, primo co-director afroamericano in Pixar. Regista ingaggiato di recente alla corte di Alex Kurtzman per Star Trek Discovery, una delle iterazioni più moderne della serie di James Roddenberry, Powers nelle sue opere ha sempre avuto un occhio di riguardo per la narrazione del cultura afro-americana, sul piano artistico, sportivo e politico. La sua piece teatrale del 2013, One Night in Miami, da poco adattata per il grande schermo, parla proprio dell’incontro, in una stanza di albergo di un febbraio del 1964, tra realtà e fiction, di Mohamed Ali con il cantante Sam Cooke, il giocatore di football Jim Brown, il politico Malcom X. Sam Cooke è stato definito il re del soul ed è uno dei cantanti e musicisti più influenti della musica degli ultimi 50 anni, apprezzato e riconosciuto anche dai Beatles, Aretha Franklin, Van Morrison, Bob Dylan, Cat Stevens. Powers con Soul torna a parlarci della musica resa grande anche da Cooke e insieme ci immerge in una autunnale New York. Una città descritta nell’anima in modo non troppo diversa o lontana da quella dei Jefferson o della famiglia Robinson (non a caso nel cast vocale originale fa capolino la voce subito familiare di Philycia Rashad). Una downtown che ha per corpo le sue case a mattoncini rossi, le lavanderie a gettoni, il barbiere, i piccoli negozietti di sartoria e ovviamente le “cantine” con la musica Jazz. Il protagonista, il nostro Joe con la sua pancetta, gli occhi tristi e l’aria buona (doppiato in originale da Jamie Foxx, già interprete di Ray Charles nel film Ray), vive il sogno sempre più distante di suonare con Dorothea Williams (in originale Angela Bassett, che esordiva in Boyz’n’ the Hood, pellicola manifesto di un’epoca di difficile integrazione razziale), una cantante alla Aretha Franklin un po’ consumata, in una di quelle cantine nate “musicalmente” ai tempi del proibizionismo e diventare luogo di incontro multi - culturale ancora prima che il termine multi-culturale fosse stato coniato. Ma l’orizzonte visivo e narrativo di Powers non dimentica le zone d’ombra come le scale di cemento delle scuole popolari, i palazzi fatiscenti, il traffico della metropolitana, la natura che dove può cerca di fare capolino tra l’asfalto. Powers sa descrivere con cuore New York vista dalla comunità afroamericana anche nel suo essere brulicante, che respira e vive nelle difficoltà e negli slanci, colorata e inclusiva, in cui non è ancora (Im)possibile “sognare in grande”. 



( La musica) Soul parla di musica come metafora della vita e non poteva prescindere da una colonna sonora centrale nella trama, quanto “duplice” nel descrivere i piani narrativi del mondo reale come dell’ante-oltre-ecc. mondo. La cosa divertente è che le musiche dei due piani visivo/narrativi hanno dato vita a due album distinti, usciti in commercio in due vinili separati fin nello stile delle copertine. La musica-guida del film è comunque il jazz, nessuna canzoncina nello stile “disneyano aristogattico” a questo giro. Per questo approccio la pellicola si avvale della performance di un artista internazionale strepitoso come Jon Batiste, autore di tutte la parturire Jazz e accompagnatore della cantante Celeste nella canzone che chiude la pellicola, in una reinterpretazione del brano It’s all right del gruppo The Impressions. L’oltre-mondo si avvale invece della musica elettronica, con punte New age, di Trent Raznor e Atticus Ross, ossia parti centrali del progetto Nine Inch Nails. È una colonna sonora decisamente inedita, diversa rispetto allo standard (comunque altissimo) delle produzioni Pixar, sofisticata, elegante, curata e in certi momenti magica. Vedere Joe eseguire alla perfezione le composizioni di Batiste è poi una vera emozione per chi è nel mondo reale un musicista. Tutte le note in animazione sono giuste. Ho un amico che a vedere Joe muoversi sui tasti del suo pianoforte disegnato in digitale, ma pur vivo in ogni sua corda, ha pianto. 

(Voci animate:) Neri Marcorè e Paola Cortellesi sono le voci italiane di Joe e di “22”, in originale doppiati da Jamie Foxx e Tina Fey. Avendo il film la natura del buddy movie, pur in salsa Pixar, serviva un grande affiatamento tra questi due personaggi e c’è da dire che il risultato finale convince, al netto di una Cortellesi che un po’ si smarca e un po’ eccede. Marcorè perfetto, gentile e un po’ impulsivo come Joe. 



( il marzulliano: “la vita è un sogno o i sogni ci aiutano a viverla?”): potremmo anche dire però “la vita è quello che ci capita mentre siamo intenti, pur fallendo, a realizzare i nostri sogni”. Soul non è un film sulla rivalsa o la seconda grande occasione della vita. In pieno “stile Pixar”, unendo i puntini che legano Gli incredibili ad Up come agli ultimi Toy Story, è un film sul guardarsi intorno e apprezzare la bellezza che ci circonda, pur nelle piccole cose, destando per un attimo lo sguardo dai piani di conquista del mondo che spesso avvelenano il nostro ego. È un percorso di significazione interiore forte che non ha niente della “prospettiva di resa“ che in superficie sembra delinearsi. Si tratta di dare il meglio di noi senza stare a fluttuare nella nostra bolla dei sogni, ascoltando magari (e per davvero!) per la prima volta le persone che ci circondano e riescono così a cogliere, di noi, qualcosa che magari nemmeno noi sappiamo di avere. Joe vuole suonare come i grandi jazzisti e la sua carriera da insegnante è una tappa momentanea e sfortunata verso il suo traguardo. Chiuso in sé, felice di poter inseguire il suo sogno e preda di una euforia senza freni che non gli fa nemmeno guardare per strada dove mette i piedi, cade in una buca. Si realizza quindi la classica carezza in un pugno, per dirla con Celentano. Joe nella sua corsa verso la carriera di musicista non si accorge di essere in realtà un bravo insegnante, perché non si è mai soffermato a riflettere su quanto è bello essere un insegnante e sulla passione che riesce a trasmettere ai suoi alunni. Consapevolezza che si realizza solo grazie alla possibilità di “uscire dal suo corpo” e mettersi “nelle scarpe di un’altra persona” grazie a un mcguffin narrativo non inedito, ma che è perfettamente funzionale alla seconda parte della pellicola. Certo Soul è divertente e pieno di colori, personaggini buffi e situazioni movimentate, ma rimane per questi temi e per il loro significato intrinseco un film principalmente rivolto a un pubblico adulto, esattamene come Up. Il fatto di uscire in questo non felicissimo periodo storico, in cui molti sogni e sicurezze nel futuro sono in sospeso, specie per chi è adulto, permette alla pellicola di veicolare la merce più rara da rinvenire oggi: un po’ di pensiero positivo e fiducia nel prossimo. 

(Titoli di coda): Soul è riflessivo, complesso, divertente e colorato. Non il prodotto Pixar più abbordabile per tutte le età ma uno spettacolo raffinato e latore di un messaggio positivo e volto all’inclusività.  Una colonna sonora semplicemente da urlo e un nuovo standard tecnico raggiunto sul piano della computer grafica ne fanno una visione imperdibile per chiunque ami l’animazione digitale che non rinuncia ad avere un cuore. 

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