mercoledì 3 febbraio 2021

Zombicide invader - la nostra recensione del fumetto Bonelli scritto dagli autori di Dragonero e ispirato a un celebre gioco da tavolo

 


(Premessa: “la prendo larga”. La mia passione per i film e fumetti con gli alieni). 

Alla base della mia passione per le pellicole di fantascienza con al centro la cosiddetta “caccia all’alieno”, che in fondo è un po’ la variante di uno slasher-horror in salsa nerd (con opzionale passione per la roba di Asimov o di Herbert), ci sono importanti e comprovate motivazioni drammaturgiche.

Vedere la protagonista che si toglie o mette la tuta spaziale e per questo gira mezza nuda: perché nello spazio fa caldo.



Vedere la protagonista che gira mezza nuda a prescindere, perché quando gli alieni attaccano lei si stava tipo lavando i denti, sempre perché fa caldo. 



Vedere la protagonista che si fa la doccia, perché nello spazio non si può andare in giro con i capelli in disordine, se già si è tutti sudati. 



Ogni tanto ci sono le docce condivise, perché nel futuro c’è tutto un discorso sulla parità dei sessi  che non vi dico. 



Qualche volta c’è la protagonista che si copre di sangue alieno per esigenze di trama, ma sta comunque in intimo per affrontare la situazione. 



Poi ci sono pure le donne armate di armi giganti e un po’ falliche, per chi ama il genere.



A varie leghe di distanza dai reali interessi dell’appassionato di fantascienza medio, in queste produzioni si trovano ovviamente tutte quelle cose “a tema spaziale” come le astronavi spaziali, le tute spaziali, le pistole spaziali, i mostri spaziali, i condotti di areazione spaziali, i robottini e quasi-robottini spaziali, le corporazioni sindacali spaziali, i capitalisti spaziali, i coloni spaziali, le scarpe a razzo spaziali, le pettinature spaziali e i tatuaggi tribali-spaziali e tutto quel tipo di azione dello slasher mutuata dal “gioco del nascondino”, con il plus delle porte-stagne spaziali che si aprono con il codice (forse nel futuro i bambini giocheranno davvero a nascondino con le porte stagne), le scialuppe di salvataggio spaziali, lo scontro con il mostro finale spaziale che in genere è enorme, cattivissimo, pieno di denti, metafore falliche e bava spaziali. Se in genere in molte pellicole lo schifoide spaziale da affrontare in una lotta di sopravvivenza per il vertice della catena alimentare spaziale è uno solo, Zombicide Invader  sposa fin dalla copertina la formula del “tanti nemici enormi e cattivissimi”, un po’ come Aliens scontro finale o Starship Troopers. È chiaro che in Invader sarà possibile ritrovare tra le pagine la poetica delle porte stagne spaziali e tutto il resto, ma la domanda che mi frulla prima della lettura è ovviamente quella di tutti: “Ci saranno le protagoniste mezze nude? In qualsiasi forma?”



(“Io intiendo sapere una cosssa solla: donde estas”: sinossi): Siamo nello spazio e nelle prime scene della storia ancora non si vede nessuna donna mezza nuda. Per un attimo iniziamo a temere che sarà un fumetto serioso/metafora sul capitalismo ai tempi del viaggio a velocità luce, con la solita natura matrigna che si ribella al suo sfruttamento da parte di una umanità  insensibile, plutocrate, misogina ecc. ecc. Roba alla Dune, insomma. Un’esplosione ai motori manda a picco un'astronave per il trasporto detenuti, costringendola a un atterraggio di emergenza su un planetoide minerario. Dopo lo schianto, i pochi superstiti si trovano circondati da una massa di creature piene di denti e tentacoli, fino a che qualcuno di amico interviene e li trae in salvo. I nostri eroi sono il classico russo grosso e barbuto, Oleg, un bisteccone ambiguo alla Vin Diesel, Kaine, e una ragazza orientale sexy e avvenente, Yoko: al primo sguardo tiriamo un sospiro di sollievo sull’eventualità che ci parlino di energie rinnovabili, decrescita felice del minatore spaziale, diritti dell’intelligenza artificiale e roba seria in genere. È gente buona a menare, onesta e muscolosa. Sarebbe un bel momento per la classica scena della doccia, ma ancora niente e noi aspettiamo. Appena giunti al cospetto di “chi comanda”, che è una seconda bella ragazza avvenente dai capelli azzurrini, i tre sopravvissuti dell’astronave crashata devono completare la classica quest da gioco di ruolo.

L’estrazione del raro minerale conosciuto come Xenium sembra attirare questi strani mostri definiti di conseguenza “xenos”, forse generando dei portali interdimensionali. Constatato che la trama di fondo è in sostanza il videogame Doom, ecco che veniamo subito felicemente travolti da un'azione a rotta di collo tra sparatorie spaziali, inseguimenti in vecchie miniere spaziali, torri di controllo spaziali. Il pianeta negli ultimi trenta minuti, vuoi tu i casi della vita, sta per diventare troppo pericoloso per le estrazioni spaziali, le radio spaziali sono fuori uso e il signorotto locale della gilda spaziale non vuole sospendere le estrazioni spaziali neanche per chiamare i soccorsi spaziali, perché troppo avido. Ecco, il tizio della Gilda cicciotto e con pellicciotto fa tanto casata Harkonnen, come lo Xenium può ricordare La Spezia, nel senso del minerale per i viaggi spaziali che si trova su Arrakis e non della celebre provincia ligure. Ma il “momento Dune” con la metafora del capitalismo cosmico post-feudale passa veloce e si continua a sparare ai mostri che escono dal fo**uto terreno del planetoide, sempre più grossi e sempre più tentacolosi. A un certo punto la situazione si calma di nuovo e possiamo ascoltare da un'avvenente scienziata la soluzione finale sul mistero di questi mostri tentacolosi, basato su studi complicati da lei condotti sulle muffe spaziali: ossia che l’estrazione del raro minerale conosciuto come Xenium sembra attirare questi strani mostri definiti di conseguenza “xenos”, forse generando dei portali interdimensionali. Lo dicono i dati. Un colpo di scena pazzesco!!! Roba che proprio non ci potevamo immaginare!! A questo punto abbiamo per lo meno tre protagoniste avvenenti e potrebbe essere il momento della scena della doccia classica in ogni film con i mostri spaziali. O almeno possiamo attendere la variante del cambio d’abiti per inserire lo scafandro spaziale. Riusciremo a vedere una scena con la doccia prima della fine dell’albo?



(Nello spazio nessuno può sentirti tirare i dadi: il gioco da tavolo di Zombicide invader): Avviato con una campagna di Kickstarter ed uscito nel 2012, il boardgame Zombicide di Gullotine Games ha stregato i giocatori e convinto i critici con le sue regole dinamiche e la bellezza delle miniature da colorare (per chi è bravo). Oggi, tra confezioni base ed espansioni, si parla di una ventina di scatole da gioco, un successo consolidato e almeno tre universi narrativi. Il Zombicide di partenza, quello del 2012, è un gioco da tavolo per 1-6 giocatori ambientato nel presente, durante una apocalisse zombie. In un’atmosfera che ricorda stilisticamente il videogame Left4dead di Valve. Sei eroi dalle caratteristiche uniche devono sopravvivere a orde di zombie all’interno di un contesto urbano, cercando di completare degli obiettivi che sono disposti sul tavolo da gioco. Oltre a combattere bisogna risolvere alcune situazioni ambientali, i mostri da combattere sono distinti in quattro tipologie, da approcciare in modo diverso, divisi a scalare per stazza e pericolosità, dal più semplice zombie al cosiddetto “abominio”. Se si vuole giocare da soli si può farlo, grazie a un cospicuo numero di missioni presenti anche sullo stesso manuale da gioco. Negli anni, oltre alle varie espansioni che hanno aggiunto personaggi e regole nuove, il gioco si è declinato ad una ambientazione passata, situata ai tempi del Medioevo, con Zombicide: Black Plague, distribuito del 2015 (con una espansione gustosa ispirata al gioco di carte Bruti di Gipi), e successivamente a una ambientazione futuristica, “spaziale”, con Zombicide: Invader del 2019. Invader si ispira ad Aliens di Cameron, Starship Troopers di Verhoeven, si ispira a Doom come al videogame Dead Space della compianta Vigil Interactive, prodotto da Electronic Arts. Alcune suggestioni riguardo alle corazze spaziali e caratterizzazione dei personaggi lo avvicinano alle atmosfere del boardgame Warhammer 40.000 di Game Workshop e alla sua storica “riduzione per famiglia” anni ‘90: Star QuestInvader conta già di due iterazioni, uscite entrambe nel 2020: l’espansione Black Ops e il gioco completo/espansive Dark Side. Anche in Invader si guidano 6 personaggi, ma la difficoltà è subito alzata di molto dal fatto che la condizione-base di vittoria sia la sopravvivenza di tutto il gruppo. I mostri, chiamati xenos, sono simili ai necromorph di Dead Space, ma hanno caratteristiche mutuate anche dagli alieni di Giger, come il moccio acido spaziale e protuberanze tentacolari che possono ricordare i vampiri mutati di Blade 2 come le creature dell’ultimo Underwater di Eubank o il film Life di Espinoza. L’ambientazione del gioco da tavolo  è la classica astronave spaziale, con possibilità di fare passeggiate all’esterno (o entrare “nelle fottute pareti” con i mostri, nel caso di Dark Side). Gli eroi possono fare uso di mitragliatrici comandare a distanza e robot “di supporto scorte” in grado di non essere percepiti come ostili dai mostri (come accade in Aliens scontro finale). Le armi sono sia a proiettili che ad energia, in numero limitato e non tutte utilizzabili negli stessi ambienti (sempre come in Aliens scontro finale), come i personaggi non possono uscire nelle zone all’esterno dell’astronave senza disporre di kit di ossigeno da mettere nelle tute (recuperabili nello scenario). Grande importanza tattica la offrono le porte stagne che separano le stanze da gioco, da aprire usando un turno del personaggio e da chiudere allo stesso modo. Le porte offrono una momentanea difesa, ma non possono nulla, come non possono nulla tutti le pareti in genere, quando si attivano i poteri dell’abominio: un mostro tentacolare enorme in grado di sciogliere ogni muro a cui si avvicina grazie ai suoi succhi acidi (sulla mappa da gioco si applica una specie di “pozzanghera corrosa” che ridefinisce lo scenario). Zombicide Invader è molto divertente e frenetico, con la mappa che presto si riempie con la sessantina di miniature dei mostri presenti nella confezione e con una curva di difficoltà che per chi la accetta può essere molto appagante. Se comprate il volume di Zombicide Invader con la copertina variant, disponibile nello shop di Bonelli o nelle fumetterie del circuito Manicomix, ellegate troverete anche delle carte da gioco omaggio. 



(Dal gioco da tavolo al fumetto): Da lettori fedeli di Dragonero vogliamo un gran bene a Stefano Vietti ed Luca Enoch, gli autori cui Gullotine Games ha assegnato l’incarico di fare di Zombicide Invader una serie di fumetti dall’afflato internazionale. Ci piace tantissimo anche il disegnatore Giancarlo Olivares, che ha reso autentici capolavori grafici alcuni numeri di Nathan Never, imprescindibili per ogni amante della fantascienza, come gli speciali “giganti” Doppio Futuro e Un Nuovo Futuro, ora recuperabili anche in eleganti volumi rilegati. Certo i dubbi sull’operazione erano legittimi, perché nonostante la pura classe con cui è realizzato il gioco da tavolo la storia alla base è abbastanza ridotta. Tipo che c’è questa sostanza nello spazio che è usata come forma di energia, ma che attira/genera anche i mostri, un po’ tra Dead Space, Doom e qualche “influsso” da Dune. Il boardgame gioca con il genere senza trovare forse una identità precisa, utilizza mostri belli da vedere ma forse con una personalità non travolgente. Certo il fumetto è il medium giusto per arricchire di contenuti “narrativi” il mondo di Invader, che magari tra qualche anno potrebbe rivaleggiare con Warhammer. Vietti, l’autore di questo primo numero, che arriva da noi in formato da fumetteria rilegato da 144 pagine, deve  però fare i conti anche con una storia che, forse per essere distribuita in numeri spillati da edicola, è la somma di quattro capitoletti distinti in cui l’obiettivo principale è mostrare delle bellissime tavole cariche di azione e dei personaggi che costituiscono il gioco da tavolo. La storia che ne risulta è lineare, segue molte regole dei Comics americani (mi riferisco alle serie di Aliens e Predator di Dark Horse), ma comunque risulta in grado di offrire qualche gustoso colpo di scena e tiene alta l’attenzione sui futuri sviluppi della vicenda. La caratterizzazione da “bad guys” dei personaggi rende divertente un'avventura in cui i monologhi sono pochi e l’azione è così abbondante da travolgere ogni cosa e spingerci felicemente sulle montagne russe. Le tavole di Giancarlo Olivares sono strepitose, cariche di dettagli e con panoramiche mozzafiato. I suoi personaggi sono granitici, testosteronici, con i muscoli incastonati in armature pesanti e abiti aderenti in pelle, spesso con in pugno armi giganti e ricoperti di sangue. Lo splatter è corposo e sottolinea la brutalità di scontri con i mostri spesso impari e disperati, dove la carneficina può esplodere da un momento all’altro. Le ambientazioni spaziali sono varie e rese al meglio grazie alla dovizia dei dettagli e ad un brillante uso del colore: una vera gioia per gli occhi. Bella la copertina di Olivares che richiama la scatola da gioco, come la variant di Adrian Smith, che ha i colori cupi di un mondo Dark fantasy.



(Conclusioni- “C’è un alieno a bordo”): Zombicide Invader è divertente e pesca da un immaginario di sicura presa. Essendo questa la prima uscita, risulta naturale che emergano più dei personaggi quelle che sono le meccaniche e l’impostazione grafica del gioco da tavolo, ossia gli elementi chiave per dare la spinta giusta per andare ad acquistare il boardgame. Nel futuro ci aspettiamo di conoscere di più Kaine e compagni, magari in situazioni dove ogni tanto il tasso di adrenalina si abbassa. Per ora ci godiamo l’ottovolante con gioia. Siamo in attesa del secondo volume. 

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