(Premessa: “la prendo larga”. La mia
passione per i film e fumetti con gli alieni).
Alla base della mia passione per le
pellicole di fantascienza con al centro la cosiddetta “caccia all’alieno”, che
in fondo è un po’ la variante di uno slasher-horror in salsa nerd (con
opzionale passione per la roba di Asimov o di Herbert), ci sono importanti
e comprovate motivazioni drammaturgiche.
Vedere la protagonista che si toglie o
mette la tuta spaziale e per questo gira mezza nuda: perché nello spazio fa
caldo.
Vedere la protagonista che gira mezza nuda a prescindere, perché quando gli alieni attaccano lei si stava tipo lavando i denti, sempre perché fa caldo.
Vedere la protagonista che si fa la doccia, perché nello spazio non si può andare in giro con i capelli in disordine, se già si è tutti sudati.
Ogni tanto ci sono le docce condivise, perché nel futuro c’è tutto un discorso sulla parità dei sessi che non vi dico.
Qualche volta c’è la protagonista che si copre di sangue alieno per esigenze di trama, ma sta comunque in intimo per affrontare la situazione.
Poi ci sono pure le donne armate di armi giganti
e un po’ falliche, per chi ama il genere.
A varie leghe di distanza dai reali
interessi dell’appassionato di fantascienza medio, in queste produzioni
si trovano ovviamente tutte quelle cose “a tema spaziale” come le astronavi
spaziali, le tute spaziali, le pistole spaziali, i mostri spaziali, i condotti
di areazione spaziali, i robottini e quasi-robottini spaziali, le corporazioni
sindacali spaziali, i capitalisti spaziali, i coloni spaziali, le scarpe a
razzo spaziali, le pettinature spaziali e i tatuaggi tribali-spaziali e
tutto quel tipo di azione dello slasher mutuata dal “gioco del nascondino”, con
il plus delle porte-stagne spaziali che si aprono con il codice (forse nel
futuro i bambini giocheranno davvero a nascondino con le porte stagne), le
scialuppe di salvataggio spaziali, lo scontro con il mostro finale spaziale che
in genere è enorme, cattivissimo, pieno di denti, metafore falliche e bava
spaziali. Se in genere in molte pellicole lo schifoide spaziale da affrontare
in una lotta di sopravvivenza per il vertice della catena alimentare spaziale è uno solo, Zombicide Invader sposa fin dalla copertina la formula del
“tanti nemici enormi e cattivissimi”, un po’ come Aliens scontro finale o
Starship Troopers. È chiaro che in Invader sarà possibile ritrovare tra le
pagine la poetica delle porte stagne spaziali e tutto il resto, ma la domanda
che mi frulla prima della lettura è ovviamente quella di tutti: “Ci saranno le
protagoniste mezze nude? In qualsiasi forma?”
(“Io intiendo sapere una cosssa solla: donde estas”: sinossi): Siamo nello spazio e nelle prime scene della storia ancora non si vede nessuna donna mezza nuda. Per un attimo iniziamo a temere che sarà un fumetto serioso/metafora sul capitalismo ai tempi del viaggio a velocità luce, con la solita natura matrigna che si ribella al suo sfruttamento da parte di una umanità insensibile, plutocrate, misogina ecc. ecc. Roba alla Dune, insomma. Un’esplosione ai motori manda a picco un'astronave per il trasporto detenuti, costringendola a un atterraggio di emergenza su un planetoide minerario. Dopo lo schianto, i pochi superstiti si trovano circondati da una massa di creature piene di denti e tentacoli, fino a che qualcuno di amico interviene e li trae in salvo. I nostri eroi sono il classico russo grosso e barbuto, Oleg, un bisteccone ambiguo alla Vin Diesel, Kaine, e una ragazza orientale sexy e avvenente, Yoko: al primo sguardo tiriamo un sospiro di sollievo sull’eventualità che ci parlino di energie rinnovabili, decrescita felice del minatore spaziale, diritti dell’intelligenza artificiale e roba seria in genere. È gente buona a menare, onesta e muscolosa. Sarebbe un bel momento per la classica scena della doccia, ma ancora niente e noi aspettiamo. Appena giunti al cospetto di “chi comanda”, che è una seconda bella ragazza avvenente dai capelli azzurrini, i tre sopravvissuti dell’astronave crashata devono completare la classica quest da gioco di ruolo.
L’estrazione del raro minerale conosciuto come Xenium sembra attirare
questi strani mostri definiti di conseguenza “xenos”, forse generando dei
portali interdimensionali. Constatato che la trama di fondo è in sostanza il
videogame Doom, ecco che veniamo subito felicemente travolti da un'azione a
rotta di collo tra sparatorie spaziali, inseguimenti in vecchie miniere
spaziali, torri di controllo spaziali. Il pianeta negli ultimi trenta minuti,
vuoi tu i casi della vita, sta per diventare troppo pericoloso per le
estrazioni spaziali, le radio spaziali sono fuori uso e il signorotto locale
della gilda spaziale non vuole sospendere le estrazioni spaziali neanche per
chiamare i soccorsi spaziali, perché troppo avido. Ecco, il tizio della Gilda
cicciotto e con pellicciotto fa tanto casata Harkonnen, come lo Xenium può ricordare
La Spezia, nel senso del minerale per i viaggi spaziali che si trova su Arrakis
e non della celebre provincia ligure. Ma il “momento Dune” con la metafora del
capitalismo cosmico post-feudale passa veloce e si continua a sparare ai mostri
che escono dal fo**uto terreno del planetoide, sempre più grossi e sempre più
tentacolosi. A un certo punto la situazione si calma di nuovo e possiamo
ascoltare da un'avvenente scienziata la soluzione finale sul mistero di questi
mostri tentacolosi, basato su studi complicati da lei condotti sulle muffe
spaziali: ossia che l’estrazione del raro minerale conosciuto come Xenium
sembra attirare questi strani mostri definiti di conseguenza “xenos”, forse
generando dei portali interdimensionali. Lo dicono i dati. Un colpo di scena
pazzesco!!! Roba che proprio non ci potevamo immaginare!! A questo punto
abbiamo per lo meno tre protagoniste avvenenti e potrebbe essere il momento
della scena della doccia classica in ogni film con i mostri spaziali. O almeno
possiamo attendere la variante del cambio d’abiti per inserire lo scafandro
spaziale. Riusciremo a vedere una scena con la doccia prima della fine
dell’albo?
(Nello spazio nessuno può sentirti
tirare i dadi: il gioco da tavolo di Zombicide invader): Avviato con una
campagna di Kickstarter ed uscito nel 2012, il boardgame Zombicide di Gullotine
Games ha stregato i giocatori e convinto i critici con le sue regole dinamiche
e la bellezza delle miniature da colorare (per chi è bravo). Oggi, tra
confezioni base ed espansioni, si parla di una ventina di scatole da gioco, un
successo consolidato e almeno tre universi narrativi. Il Zombicide di partenza,
quello del 2012, è un gioco da tavolo per 1-6 giocatori ambientato nel
presente, durante una apocalisse zombie. In un’atmosfera che ricorda
stilisticamente il videogame Left4dead di Valve. Sei eroi dalle caratteristiche
uniche devono sopravvivere a orde di zombie all’interno di un contesto urbano,
cercando di completare degli obiettivi che sono disposti sul tavolo da gioco.
Oltre a combattere bisogna risolvere alcune situazioni ambientali, i mostri da
combattere sono distinti in quattro tipologie, da approcciare in modo diverso,
divisi a scalare per stazza e pericolosità, dal più semplice zombie al
cosiddetto “abominio”. Se si vuole giocare da soli si può farlo, grazie a un
cospicuo numero di missioni presenti anche sullo stesso manuale da gioco. Negli anni, oltre alle varie espansioni che hanno aggiunto personaggi e regole
nuove, il gioco si è declinato ad una ambientazione passata, situata ai tempi
del Medioevo, con Zombicide: Black Plague, distribuito del 2015 (con una
espansione gustosa ispirata al gioco di carte Bruti di Gipi), e successivamente
a una ambientazione futuristica, “spaziale”, con Zombicide: Invader del
2019. Invader si ispira ad Aliens di Cameron, Starship Troopers di Verhoeven,
si ispira a Doom come al videogame Dead Space della compianta Vigil
Interactive, prodotto da Electronic Arts. Alcune suggestioni riguardo alle
corazze spaziali e caratterizzazione dei personaggi lo avvicinano alle
atmosfere del boardgame Warhammer 40.000 di Game Workshop e alla sua storica
“riduzione per famiglia” anni ‘90: Star Quest. Invader conta già di due
iterazioni, uscite entrambe nel 2020: l’espansione Black Ops e il gioco completo/espansive Dark Side. Anche in Invader si guidano 6 personaggi, ma la difficoltà è
subito alzata di molto dal fatto che la condizione-base di vittoria sia la
sopravvivenza di tutto il gruppo. I mostri, chiamati xenos, sono simili ai
necromorph di Dead Space, ma hanno caratteristiche mutuate anche dagli alieni
di Giger, come il moccio acido spaziale e protuberanze tentacolari che possono
ricordare i vampiri mutati di Blade 2 come le creature dell’ultimo Underwater
di Eubank o il film Life di Espinoza. L’ambientazione del gioco da tavolo
è la classica astronave spaziale, con possibilità di fare passeggiate
all’esterno (o entrare “nelle fottute pareti” con i mostri, nel caso di Dark
Side). Gli eroi possono fare uso di mitragliatrici comandare a distanza e
robot “di supporto scorte” in grado di non essere percepiti come ostili dai
mostri (come accade in Aliens scontro finale). Le armi sono sia a
proiettili che ad energia, in numero limitato e non tutte utilizzabili negli
stessi ambienti (sempre come in Aliens scontro finale), come i personaggi non
possono uscire nelle zone all’esterno dell’astronave senza disporre di kit di
ossigeno da mettere nelle tute (recuperabili nello scenario). Grande
importanza tattica la offrono le porte stagne che separano le stanze da gioco,
da aprire usando un turno del personaggio e da chiudere allo stesso modo. Le
porte offrono una momentanea difesa, ma non possono nulla, come non possono
nulla tutti le pareti in genere, quando si attivano i poteri dell’abominio: un
mostro tentacolare enorme in grado di sciogliere ogni muro a cui si avvicina
grazie ai suoi succhi acidi (sulla mappa da gioco si applica una specie di
“pozzanghera corrosa” che ridefinisce lo scenario). Zombicide Invader è molto
divertente e frenetico, con la mappa che presto si riempie con la sessantina di
miniature dei mostri presenti nella confezione e con una curva di difficoltà
che per chi la accetta può essere molto appagante. Se comprate il volume di
Zombicide Invader con la copertina variant, disponibile nello shop di Bonelli o
nelle fumetterie del circuito Manicomix, ellegate troverete anche delle carte
da gioco omaggio.
(Dal gioco da tavolo al fumetto): Da
lettori fedeli di Dragonero vogliamo un gran bene a Stefano Vietti ed Luca
Enoch, gli autori cui Gullotine Games ha assegnato l’incarico di fare di
Zombicide Invader una serie di fumetti dall’afflato internazionale. Ci piace
tantissimo anche il disegnatore Giancarlo Olivares, che ha reso autentici
capolavori grafici alcuni numeri di Nathan Never, imprescindibili per ogni
amante della fantascienza, come gli speciali “giganti” Doppio Futuro e Un Nuovo
Futuro, ora recuperabili anche in eleganti volumi rilegati. Certo i dubbi
sull’operazione erano legittimi, perché nonostante la pura classe con cui è realizzato
il gioco da tavolo la storia alla base è abbastanza ridotta. Tipo che c’è
questa sostanza nello spazio che è usata come forma di energia, ma che
attira/genera anche i mostri, un po’ tra Dead Space, Doom e qualche
“influsso” da Dune. Il boardgame gioca con il genere senza trovare forse una
identità precisa, utilizza mostri belli da vedere ma forse con una personalità
non travolgente. Certo il fumetto è il medium giusto per arricchire di
contenuti “narrativi” il mondo di Invader, che magari tra qualche anno potrebbe
rivaleggiare con Warhammer. Vietti, l’autore di questo primo numero, che arriva
da noi in formato da fumetteria rilegato da 144 pagine, deve però fare i
conti anche con una storia che, forse per essere distribuita in numeri spillati
da edicola, è la somma di quattro capitoletti distinti in cui l’obiettivo
principale è mostrare delle bellissime tavole cariche di azione e dei
personaggi che costituiscono il gioco da tavolo. La storia che ne risulta è lineare, segue molte regole dei Comics americani (mi riferisco alle serie di
Aliens e Predator di Dark Horse), ma comunque risulta in grado di offrire
qualche gustoso colpo di scena e tiene alta l’attenzione sui futuri sviluppi
della vicenda. La caratterizzazione da “bad guys” dei personaggi rende
divertente un'avventura in cui i monologhi sono pochi e l’azione è così
abbondante da travolgere ogni cosa e spingerci felicemente sulle montagne
russe. Le tavole di Giancarlo Olivares sono strepitose, cariche di dettagli e
con panoramiche mozzafiato. I suoi personaggi sono granitici, testosteronici,
con i muscoli incastonati in armature pesanti e abiti aderenti in pelle, spesso
con in pugno armi giganti e ricoperti di sangue. Lo splatter è corposo e
sottolinea la brutalità di scontri con i mostri spesso impari e disperati, dove
la carneficina può esplodere da un momento all’altro. Le ambientazioni spaziali
sono varie e rese al meglio grazie alla dovizia dei dettagli e ad un brillante
uso del colore: una vera gioia per gli occhi. Bella la copertina di Olivares
che richiama la scatola da gioco, come la variant di Adrian Smith, che ha i
colori cupi di un mondo Dark fantasy.
(Conclusioni- “C’è un alieno a bordo”): Zombicide Invader è divertente e pesca da un immaginario di sicura presa. Essendo questa la prima uscita, risulta naturale che emergano più dei personaggi quelle che sono le meccaniche e l’impostazione grafica del gioco da tavolo, ossia gli elementi chiave per dare la spinta giusta per andare ad acquistare il boardgame. Nel futuro ci aspettiamo di conoscere di più Kaine e compagni, magari in situazioni dove ogni tanto il tasso di adrenalina si abbassa. Per ora ci godiamo l’ottovolante con gioia. Siamo in attesa del secondo volume.
Talk0
Nessun commento:
Posta un commento