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Contesto della serie: Alan Moore immaginava un vendicatore oscuro che
combatteva un governo dispotico e totalitario, dal sapore neo-nazista,
con in volto la maschera del rivoluzionario Guy Fawkes che fino al V novembre
1605 tenne sotto scacco il dispotico Regno Britannico.
Gli
sceneggiatori spagnoli di Antena 3 (subito supportata da Netflix in tutto il
mondo) si immaginano dei rapinatori vestiti di rosso con indosso la maschera di
uno degli indiscussi rivoluzionari dell'arte, Salvador Dalì, intenti a combattere
l'austerity e la dittatura del capitalismo, cantando come i partigiani Bella
Ciao e "rapinando lo Stato" stampando soldi, tanti soldi, nella Zecca
di Madrid. Una rapina senza vittime, dove a perderci è solo lo Stato che
comunque quei soldi li avrebbe stampati. Più tempo durerà l'assedio alle Zecca,
più soldi saranno stampati dai rossi Dalì. È quindi necessario per il colpo
che il tempo si pieghi alla volontà dei rivoluzionari, che diventi molle come
gli orologi di Dalì.
Otto
rapinatori, specializzati per essere quanto più professionali ed efficaci, che
si identificano tra loro per preservarne l'anonimato con nomi di città. Lo
stratega Berlino, i risoluti rapinatori Tokyo e Denver, l'esperto di meccanica
Mosca, il genio informatico Rio, la falsaria Nairobi, i due "soldati"
Oslo e Helsinki. Il gruppo è guidato da un carismatico capo anche lui
identificato misteriosamente, il "professore", l'uomo davanti ai
monitor che da lontano osserva e gestisce uno scenario che in poco tempo si
traduce in una sessantina di ostaggi da gestire, una infinità di possibili
azioni di polizia da prevedere e contrastare, un livello di stress che aumenta
di minuto in minuto. Per vincere quella che appare da subito una lunga partita a scacchi, il professore, che ha dedicato metà della sua vita al
piano, ha addestrato gli otto per cinque mesi, nell'isolamento di una
villa in collina, rendendoli delle vere "rocce", esperti in tattica,
negoziazione, primo soccorso, metallurgia, uso di armi pesanti. Ognuno ha poi
in parte appreso dalle professionalità degli altri, si sono saldati i rapporti.
Tutti uniti per i soldi, ma con il fine ultimo, limpido fin da subito, di
"dare un messaggio", farsi riconoscere come eroi. Obiettivo valido solo
se si potesse "entrare e uscire", nessuna vittima, nessun
imprevisto, nessun civile derubato. Sarebbero stati accolti come i
nuovi Robin Hood. Ma tutto sarebbe crollato se il sangue, anche una sola
goccia, fosse stato versato per errore, disattenzione, un piccolo colpo di
testa. Bisognava coordinarsi alla perfezione. Un compito non facile quindi,
perché le cose non sempre vanno come pianificato e le persone, in quanto
"umane", non sono in grado di inserirsi e coordinarsi alla perfezione
e diventare efficienti ingranaggi di un orologio. Per quanto molle possa
essere. E allora la casa di carta del titolo, la fortezza della Zecca
spagnola, può trasformarsi in un sempre più instabile castello di
carte.
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Successo meritato: Una magnifica fotografia dai colori esautorati tendenti al
bianco e nero, ma dalla quale fuoriesce potente l'elemento cromatico rosso,
colore della passione come del "rischio" di far sfociare il racconto
nel sangue. Una sceneggiatura ad orologeria che trasforma ogni sequenza in un
possibile colpo di scena. Una narrazione "alla Lost" che intreccia i
mesi di training alla magione sulla collina allo svolgimento della rapina, in
un infinito gioco di specchi e rimandi che rende sempre più affascinate e
tridimensionale ogni personaggio. Tante scene d'azione non banali, un ottimo
cast e una voglia matta di mettersi sul divano e guardarsi le puntate della
serie una via l'altra, facendo la classica "abbuffata". Delle
maschere di Dalì che sono già iconiche come la maschera di Guy Fawkes e tute
rosse, Pops e altri oggetti di merchandising che fanno già sfaceli di
vendita a dimostrazione che il pubblico ama davvero questa serie, l'unica serie
di origine spagnola di Netflix a macinare ascolti così alti.
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Peccato che "El corazon latino" ci metta troppo del suo. Non è
difficile appassionarsi a tutti i personaggi della saga, che siano i rapinatori
come gli ostaggi, la polizia o il carismatico professore. Non è raro che anche
quello che all'inizio appare come un personaggio odioso o poco delineato riesca
a trovare un senso nella narrazione. Certi momenti riescono davvero a
incatenare lo spettatore alla poltrona ed è cosa rara per una serie TV creare
un feeling così forte con un pubblico che per una volta è tanto maschile che
femminile.
Solo che
La case del papel deve essere "presa per il verso giusto" e senza
forse mitizzarla troppo, o altrimenti si gode lo spettacolo a metà. E la
chiave di lettura consiste nell'inquadrarlo nel genere che "maggiormente
fuoriesce" dal pur gustosissimo polpettone spagnolo: il drammone
sentimentale con cornice curata. La soap "con stile". La casa di
carta sta ipoteticamente a Breaking Bad quanto Velvet sta a Mad Man e un
qualsiasi film decente sugli zombie sta a The Walking Dead. Se entrate nel mood
giusto, la preponderante parte "sentimentalosa" che riguarda le meccaniche
relazionali del cast sarà più addomesticabile, riuscirete a gestirla o
ridimensionarla, mettendo al centro le bellissime qualità della serie. Se la
prendete male, la visione della serie probabilmente sarà da voi interrotta alle
prime puntate della seconda stagione, quando la curiosità e la sospensione
dell'incredulità avranno già salutato, tutti i meccanismi
narrativi vi saranno già noti e capirete come i personaggi sempre più stiano
recitando in una specie di Beautiful senza "voglia di finire". Se
intendete "resistere nonostante tutto", potreste volere arrivare al
finale della seconda stagione, che di fatto chiude un ideale primo arco
narrativo. Ma la terza stagione, delle quattro fino a ora previste, sarà
difficilmente avvicinabile. Pregi e difetti della strategia di vendere una soap
a un pubblico che si aspetta un Heist movie alla Inside Men o Quel pomeriggio
da Cani, magari in salsa cool con trip rivoluzionari alla V per vendetta. Il
pubblico deve "volerci cascare" nella soap. Mi fa specie che in parte
Casa di Carta funzioni come non funzioni per questo preciso motivo. Io,
che robe tipo Cento Vetrine, Grey's Anatomy o Beverly Hills le ho sempre
guardate con prurito e fastidio, trovo interessante la "dimensione da
soap" di Casa di carta. Mia sorella, che con i polpettoni romantici ci ha
sempre avuto a che fare, trova Casa di Carta di una banalità e ripetitività
imbarazzante, quasi insostenibile. A mia difesa, quando vedo sullo schermo la
rapinatrice Tokyo, perennemente in reggiseno e Uzi, interpretata da una donna
da infarto come Ursula Corbero, non capisco più nulla. E non è male neppure
Nairobi, interpretata dalla cazzuta Alba Flores, pure lei spesso con la tuta
aperta sul davanti che mostra generosamente in reggiseno. Il Professore (Alvaro Morte) e Berlino (Pedro Alonso) sono dei formidabili bad-ass maschi
alfa in cui ogni maschietto vorrebbe identificarsi. I poliziotti e in genere i
"buoni" trasudano incapacità, umoralità, meschinità e tutto un
corredo di brutte inclinazioni che permettono facilmente di enfatizzare per i
rapinatori, con tutto il pubblico che in breve sarà affetto della sindrome di
Stoccolma. E tutto questo, condito da un po' di stile da fumetto sofisticato,
tante armi e un paio di scene action ben fatte, lo ammetto candidamente,
riesce benissimo a farci mandare giù ogni tipo di sbobbone sentimentale. Certo
ce ne accorgiamo che qualcosa non va come nel classico action con Van Damme. Ci
accorgiamo che alla fine è difficile, quanto stranissimo, che non si trovi
sulla scena un solo personaggio che sia un vero "cattivo". Non ci
crediamo più, alla nona volta che il professore fa qualcosa di così pazzesco e
che lo pone al vertice dell'intelligenza umana sopra a L di Death Note e
Sherlock Holmes. Ma ormai noi cazzuti nerd cresciuti negli anni '80 con Stallone
siamo nel tunnel, come le vecchiette che guardano Don Matteo.
-Quindi
vale la pena seguire la serie? Beh, direi di sì. Almeno per la prima stagione è
una piccola bomba e il soggetto c'è da dire che funziona, è originale nel senso
positivo che è davvero un tipo di spettacolo diverso dal solito, fresco. Certo
dietro alla confezione figa ti stanno vendendo una telenovela, non diversa da
Paso Adelante, con tanta passione, tradimenti, "menate", lacrime e
soprattutto una non trascurabile, fondamentale, sensualità tutta latina dei
personaggi. La casa di carta ha moltissime scene ad alto tasso erotico e questo
può sicuramente essere un plus ulteriore per qualcuno, anche se non si arriva
mai ai livelli di nudità Made in HBO. Certo non è Breaking Bad e probabilmente
alla fine della visione non si sentirà per molti una pulsione incontrollabile a
riguardare da capo gli episodi. Anzi, più ci si avvicina anche "per
sbaglio" a una seconda visione, più vi si accorge della centralità di una
struttura soap che davvero si impone e regola da despota tutte le altre componenti
narrative. Però se cercate un intrattenimento tendenzialmente
action, avete un pomeriggio o due liberi, magari in un fine settimane in cui
volete stare con la testa leggera, La casa di carta fa esattamente per voi. Vi
offrirà probabilmente "altro" rispetto a quello che vi aspettate, ma
se "sarete in buona" apprezzerete comunque e ringrazierete. Certo che
un gruppo così nutrito di pericolosissimi e dolcissimi criminali non lo vedevo
dai tempi dell'indulgentissimo The Hateful Eight.
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