In
estrema sintesi, quando penso al "genere disaster-movie" ho in mente
una precisa scena del film Vulcano - Los Angeles 1997 di Mick Jackson. Siamo
nella metropolitana di Los Angeles, su un vagone fermo, diviso in due da un
fiume di lava che sta gradualmente mangiandosi tutta la struttura. Da un lato
la via d'uscita, dall'altro, oltre una lievissima lastra di metallo che divide
da un fiume di lava che si allarga sempre di più, un uomo ferito che
probabilmente morirà, al centro della "decisone giusta da fare" un
poliziotto (mi pare). Il poliziotto percorre il sottilissimo strato di metallo
con sotto la lava e va a prendere il collega ferito, se lo carica sulle spalle.
Benché veloce, la lava è più veloce di lui e alla fine un lago incandescente si
pone tra la via d'uscita e il nostro eroe che, in un momento di follia, salta
nella lava, percorre non si sa come alcuni passi e, giunto alla giusta
distanza, con un urlo lancia il ferito verso gli altri soccorritori. Alla
fine lui come Terminator rimane nella lava mentre qualcuno ha portato in salvo
il ferito. Musica eroica di sottofondo, azione eroica compiuta. Pura epica,
punteggio pieno. Certo, zero in fisica, chimica e tutte le scienze comandate
che inneggiano a quel tabù di nome "realismo", ma chissenefrega.
Epica.
Questo è un estremo. Pure un po' esagerato, pacchiano è
quello che volete, ma funziona per racchiudere in due minuti un genere. Vale
per tutto il mondo, a quanto pare non per la Norvegia.
- Il
disaster-movie norvegese: prendete questo film. C'è un tizio che prevede cose e
nessuno se lo fila, fino a che la sfiga che il tizio prevedeva si avvera e
tutti si prendono sui denti gli effetti della natura che travolge l'uomo.
Quake è il seguito di questo film, dove un personaggio
che evidentemente è il più inenarrabile mena sfiga della Norvegia è di nuovo
protagonista.
E nuovamente prevede cose e nessuno se lo fila, fino a
che la sfiga che il tizio prevedeva si avvera e tutti si prendono sui denti gli
effetti della natura che travolge l'uomo. Non c'è ulteriore indugio o messaggio
generazionale come in Aftershock di Feng Xiaogang. Non c'è una voglia di
rivincita scientifica a posteriori con nuovi strumenti di prevenzione delle
calamità come in Twister di Jan de Bont/ Michael Crichton. Non ci sono tette,
motoseghe e squali come in Sharknado. Solo la calamità che ti arriva sui denti,
con tutti i piccoli omini della pellicola che possono solo aggrapparsi a
qualcosa e sparare di cavarsela. Nessuna azione eroica, nessun piano di fuga,
nessuna metafora sull'amore famigliare che è più forte delle calamità naturale.
Morire male, magari guardando il mostro che ti arriva addosso con tutta la sua
ira e follia: non c'è altro nel disaster-movie norvegese. C'è un po' di
depistaggio magari, come cercare e motivare le cause di una calamità. Ma non
serve a nulla e il nostro non-eroe norvegese vive di un costante complesso di
Cassandra in ragione del quale non gli credono manco i figli, figurati le
autorità. E allora tutta la fase di ricerca e studio del fenomeno non serve a
una ceppa, è come scoprire la storia di Samara/Sadako in The Ring: non ti
salverai comunque. E allora, accogliamo senza speranze di salvezza questa "fucilata
visiva". Facciamocela sotto mentre i palazzi di mezza Norvegia cadono
come il domino e noi ci troviamo come i protagonisti su un palazzo che
inevitabilmente cadrà pure lui. Non facciamo la solita sbrodolata sul lavoro
dei soccorritori ecc... perché tanto arrivano sempre in ritardo e la politica (Shin Godzilla di Anno docet) è fatta da incompetenti che pensano più alla nuova
scrivania che al loro vero lavoro. Prendiamo per i fondelli i cliché più logori
dei disaster-movie americani (come nella scena dell'ascensore), perché
"noi siamo norvegesi, i nostri disaster-movie non solo favolette della
buona notte".
"Ma
perché non farne una trilogia?", staranno pensando in Norvegia.
"Perché non chiamiamo il terzo Fire o Lava?", sta ragionando il
reparto marketing. E hanno ragione, questo è un nuovo genere a tutti gli
effetti! È un disaster-horror-movie. Si parte tranquilli come da filmaccio di
rete 4, si arriva al momento che si spiegano le cose tutti fomentati ma con
nessuno che caga i nostri eroi, arriva La Sberla. E questa fa male proprio
nella misura in cui tutto, dalle istituzioni all'amore materno, non conta più
nulla. La Sberla, perfetta metafora del Quake del titolo, arriva e non fa
sconti, puntando il dito e smascherando i benpensanti che non vogliono stare a
sentire le paranoie dei complottisti. Si esce sballottati dalla sala, convinti a usare le scale per tornare nel parcheggio schivando quel dannato ascensore
della morte. È un segno che il film funziona, inquieta e snocciola pure dati
veri che attestano come lo scenario descritto non è poi così strano possa
capitare davvero in Norvegia.
Quake è
un film che parte lento, diventa labirintico, sale e poi si abbatte sugli
spettatori con rabbia. Siamo lontani dai simbolismi e dalle scene alla Michael
Bay. Siamo vicini a palazzi che cadono brutalmente divorando tutto. La
recitazione è adeguata anche se non particolarmente elaborata, un paio di
cliché ce li dobbiamo sorbire (e ovviamente i bambini sono al centro di queste
particolari "liturgie"), ma il resto dello spettacolo funziona. Da
servirsi rigorosamente in una sala cinematografica con il sonoro più devastante
possibile.
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