lunedì 5 agosto 2019

Hotel Artemis: la nostra recensione




Futuro non troppo lontano. Los Angeles brucia. La gente è sulle strade nella più grande sommossa popolare di sempre, dopo che una multinazionale ha deciso di tagliare l'accesso all'acqua. Nell'Hotel Artemis, ospedale segreto il cui accesso è consentito ai soli soci (in genere tipo alla John Wick), è un mercoledì come tanti. L'infermiera (Jodie Foster) e il paramedico Everest (Dave Bautista) si prendono cura di chi si presenta all'ingresso dell'ascensore, dimostra di possedere sottopelle l'accredito di riconoscimento e fa la cortesia di superare l'accesso senza armi. Rispettando queste poche regole, i soci avranno accesso a tutti i servizi del personale e alle tecnologie avanzate dell'Artemis. Le cure vengono fornite tramite siringhe ripiene di nanomacchine ricostruttive, braccia meccaniche chiururgiche, bisturi laser, stampanti tridimensionali in grado di generare organi di ricambio. Il relax è assicurato dalla cordiale atmosfera di un lounge bar con tutti i confort, dalla privacy delle camere singole (ogni socio viene identificato dallo staff con il nome della camera cui è stato assegnato) dal personale discreto, dai controlli perimetrali e dalla corazzatura dell'edificio. L'Artemis, patrocinato dal signore del crimine noto come il Re Lupo (Jeff Goldblum ), è in piedi da 20 o 22 anni ed è considerato dai suoi soci una roccia, oltre che la cosa più vicina a "casa" che può capitarti mentre hai dieci pallottole in corpo. Solo che è arrivato un mercoledì diverso da tutti gli altri, che vede tra gli ospiti della struttura "Nice" (Sofia Boutella), una misteriosa killer che ha tutta l'aria di essersi sparata da sola pur di entrare nell'albergo e nientepopodimeno che il Re Lupo stesso, accompagnato da un piccolo esercito e dal figlio (Zachary Quinto). 
C'è un'atmosfera decadente e completamente matta in questa pellicola scritta, diretta come opera prima e prodotta da Drew Pearce. Una carriera da sceneggiatore di blockbuster come Iron Man 3, Mission Impossible: Rogue Nation e il prossimo Fast & Furious: Hobbs & Shaw. Come sceneggiatore e produttore ha realizzato anche No Heroics, una miniserie che nel 2008 viene premiata come migliore commedia televisiva esordiente. Il mondo di Hotel Artemis è decisamente una bella idea, magari costruita pure per ragionare di franchise, sviluppata in un ambiente che richiama gli scenari di Fuga da Los Angeles, urla fortissimo per coolness e costruzione del mondo criminale "John Wick" e strizza un occhio e due ai fumetti di Brian Azzarello. Soprattutto, ed è il più grande merito della pellicola, Drew Pearce scrive due personaggi fantastici di loro, l'infermiera ed Everest, che diventano immensi nelle interpretazioni di Jodie Foster e Dave Bautista. 
L'infermiera è un medico senza licenza, spesso sotto l'effetto dell'alcol. È afflitta da agorafobia e questo non le permette di vivere oltre i confini dell'Artemis. Decisa quanto materiale nei confronti dei pazienti, l'infermiera quando non è al lavoro ai rifugia in un mondo tutto suo, ascoltando nelle cuffie pezzi degli Eagles quanto audio-corsi per gestire le sue paure. 
Everest è un paramedico e all'occorrenza buttafuori, elettricista, guida spirituale e massacratore di intrusi. Un omone grosso dall'animo "tendenzialmente buono" che ha con l'infermiera un rapporto simile a quello di un figlio con la madre. Se fossimo in un cartone animato giapponese, non sarebbero troppo diversi concettualmente (salvo per il rapporto diverso dovuto all'età ) dal Maggiore e Batou di Ghost in The shell


Il rapporto tra i personaggi di Jodie Foster e Bautista, frutto del talento vero di attori per niente banali o scontati, eleva di molto l'appeal della pellicola. Ci si affeziona davvero a loro. Come ci si affeziona a tutta la rugginosa e fatiscente struttura dell'Artemis. Un hotel per forza di cose simile al Continental di John Wick, ma più intimo, quasi un familiare bed'n'breakfast con i suoi crackers impacchettati e la caraffa per bollire l'acqua del caffè sempre pronta nell'area ristoro. Le stanze, pur piene di tecnologia alla Blade Runner, hanno carta da parati con immagini vintage di paesaggi esotici. Tra le pareti si possono trovare passaggi segreti e vie di fuga come in un locale malfamato dei tempi del proibizionismo. Tra le luci al neon di un'insegna luminosa che ricorda un cinema di altri tempi si nasconde sul tetto un piccolo eliporto. E c'è reale amore per i dettagli, dalle chiavi in ferro delle stanze integrate con componenti hi-tech, fino ai piccoli proiettori olografici con le immagini che girano su se stesse come nelle pubblicità cinematografiche degli anni '30. 
Peccato che tutto il resto del film non sia all'altezza della ambientazione e dei personaggi dell'infermiera e di Everest. I personaggi di Morgan (Jenny Slate) e del Re Lupo sono per lo più funzionali ad approfondire il personaggio dell'infermiera, ma non vanno troppo oltre a quello. I personaggi di Sterling K.Brown e Brian Tyree Henry, Waikiki e Honolulu, partono bene ma non arrivano da nessuna parte, mancano di un adeguato approfondimento forse perché schiacciati da troppi eventi tutti insieme, molti dei quali rappresentati dalle rivolte e dagli sgherri del Re Lupo che fanno il bello è cattivo tempo nella città (tra cui spicca ma di pochissimo uno Zachary Quinto per lo più decorativo). Charlie Day è una conferma: è e sarà sempre un attore scarso e dalle intenzioni recitative confuse. Pure qui, dove il suo personaggio non brilla particolarmente nella scrittura, non fa nulla per dimostrarci qualcosa di diverso. Ci sarebbe poi la bella Sofia Boutella, che interpreta la sensuale e spietata Nice. 


Sofia riempie la scena, sempre. Anche se ha un personaggio scritto in un modo un po' contorto, che si tratti di fare a botte o sedurre o dare spessore a un dialogo, Sofia sorprende sempre e si avrebbe sinceramente voglia di vederla più spesso, anche in ruoli più sviluppati di quello della femme fatale
Se la Foster e Bautista elevano il film a qualcosa di non troppo distante dai lavori di John Carpenter e tutto il resto del cast lo fa precipitare nel quasi anonimato di una pellicola media con protagonista Danny Trejo, con la Boutella Hotel Artemis si colloca per lo più stabilmente nella comfort zone di uno Smokin' Aces. Un film quindi gradevolissimo, con ottimi spunti visivi e narrativi, pure la presenza di ottimi interpreti e la giusta confezione, ma che non può andare oltre il discreto film di genere. Anche perché la sceneggiatura, mannaggia a lei, fa acqua da tutte le parti. Credo che Drew Pearce molto probabilmente voleva farci una serie TV e poi il progetto è cambiato in corso d'opera. Difficilmente mi spiego altrimenti alcune situazioni e tempistiche che vengono forzate e strozzate con troppa rapidità, generando anche buchi di logica. Non si spiega come è possibile che l'Artemis sia durato 22 anni se il personale è ridotto a due sole persone, ma questo potrebbe avere una logica, potrebbe essere la "deriva" di una situazione che si è venuta a creare, potrebbe esserci spiegato da un prequel o un sequel. Si spiega ancora meno, ma perversamente con questo si giustifica con l'anima amichevole da "bed and breakfast" dell'Artemis, come i soci possano fare un po' quello che vogliano lì dentro. Dal girare a caso per i corridoi e le altre camere a toccare strumenti e porte di sicurezza. La giustificazione del "beh, in fondo sembrano dei bravi ragazzi" non tiene a giustificare lo scorrazzamento ingiustificato e non si capisce se questa lacuna sulla sicurezza dell'albergo sia un problema di difficoltà di scrittura (perché non so far interagire tra loro delle persone che non possono stare nella stessa stanza) o di problemi di pigrizia nel concept (si poteva trovare una soluzione per limitare gli spostamenti degli ospiti, anche perché tutti sono legati a un codice sottocutaneo e a questo poteva essere veicolato l'accesso a tempo limitato ad alcune aree... ma anche così si perdeva forse l'idea di Bed and Breakfast che il regista ricercava). Qualche volta sembra pure che alcuni personaggi siano scritti da un autore che si è troppo innamorato di loro e vuole "preservarli" senza davvero svilupparli, come il Tarantino di Hateful Eight che creava tanti amabilissimi e dolcissimi tagliagole. Come risultato, l'evoluzione finale di Waikiki e Nice non ha alcun senso e contraddice la base dei loro personaggi. Non sapremo mai come sono andate davvero le cose, ma la trama non gira per questa e altre ragioni, come la scansione temporale che a volte non torna, come alcuni personaggi che a tratti scompaiono nel nulla per poi dal nulla ricomparire. Ed è un vero peccato, perché quando Hotel Artemis vola alto, vola davvero alto e potrebbe essere un piccolo cult. Rimane uno Smokin'Aces divertente e con qualche bella idea, un "fumettone" scacciapensieri godibile nella misura in cui non lo si prende troppo sul serio. 
Talk0

Nessun commento:

Posta un commento