martedì 6 agosto 2019

...e ora parliamo di Kevin: la nostra recensione di un inquietante film sui problemi di comunicazione tra genitori e figli



Non lo farei mai guardare a una persona sensibile, né tanto meno a una madre che ha problemi di dialogo con suo figlio, ma questo film, per chi ha il coraggio di vederlo fino in fondo, è davvero una pellicola inquietante, un'autentica gemma del thriller psicologico, quasi dalle parti di un Henry Pioggia di Sangue per la freddezza della messa in scena. Se non fosse per il fatto che ...e ora parliamo di Kevin è avulso da ogni tipo di messa in scena della violenza, scegliendo al suo posto dei simbolismi se vogliamo anche più inquietanti. Fa più paura in sostanza, e trasmette una paura che deriva da immagini che possiamo solo immaginarci.
L'ho scovato su Rai 4 un po' di tempo fa, ho visto che periodicamente viene riproposto e si trova pure spesso su RaiPlay. È un film del 2011 di Lynne Ramsay, una regista molto brava anche se poco prolifica, che di recente ha diretto anche l'ottimo A beautiful Day con Joaquin Phoenix. Ogni volta che lo vedo, ...e ora parliamo di Kevin è un film che nella mia testa si evolve, mi porta a interpretazioni diverse e spesso contrastanti. Non credo ci sia una soluzione al rebus che questo film sottende, ossia il mistero dietro alla relazione tra una madre, interpretata da Tilda Swinton, e un figlio, con il volto di Ezra Miller. È un vero rompicapo psicologico, un dramma crudele quanto in un certo verso malinconico, che ci spinge a ricercare empatia dietro a dei personaggi il cui principale problema sembra essere l'affettività reciproca. È quindi una specie di corto-circuito emotivo, quello che a ogni visione si esplora come spettatori. Ogni tanto cerco in rete dei commenti su questa pellicola, li trovo sempre affascinanti. Vorrei sentire l'opinione di qualche psicologo magari, credo che venga nel film rappresentata una specie di forma deviata di complesso Edipico. Ma non voglio rivelarvi troppo. 
Se ancora non vi siete imbattuti in questa pellicola, voglio darvi giusto un paio di coordinate. 
Potete prenderlo come un Thriller, ma anche come un film sulla quotidianità di una famiglia stile Boyhood. I due piani presto si intrecceranno e inizierete a vederci un film drammatico prima, quanto più propriamente un horror in seguito. 
È un film che compie molti salti temporali, parte dall'epilogo di un misterioso fatto che ha sconvolto una piccola cittadina americana e che sembra aver coinvolto un ragazzo del liceo, l'ombroso Kevin. La madre, una scrittrice di successo, di fatto la protagonista del film, sta patendo direttamente quanto avvenuto. Le persone per strada la guardano in qualche modo giudicandola. In un mood quasi allucinatorio, sospeso tra passato e presente, la madre scava più volte nella memoria, cercando conferme e smentite sui suoi sentimenti nei confronti del figlio. Spesso ai ricordi si associa visivamente un colore rosso sangue. Noi abbiamo per tutta la visione della pellicola solo il suo punto di vista della madre e forse patiamo la sua incertezza a voler "mettere in piazza" la sua storia. È chiaro che il figlio sia la chiave di lettura, vorremmo disperatamente capire cosa pensa e cosa realmente faccia o abbia fatto Kevin, ma sono informazioni che ci rimangono inaccessibili fino al finale. Il ragazzo si rende protagonista di atti di una violenza sconvolgente, così ingiustificabili che lo spettatore si sente quasi il dovere di rivedere il film dall'inizio per cercare passaggi che magari crede di aver saltato per distrazione o che siano stati censurati dalla TV. Rassicurato sul fatto che il film "non ha buchi né ha subito censure", è facile iniziare una terza visione della pellicola, indagando sui significati più psicologici. Nel mio caso ho guardato il film almeno altre due volte, cercando di comprendere il punto di vista prima della madre e dopo del figlio. Non è che il film sia di fatto complesso o difficile da seguire, voglio essere chiaro. Tutt'altro, è nella ricchezza dei punti di vista che offre che risiede il suo fascino. Un fascino supportato da dei bravissimi interpreti che hanno saputo magistralmente comunicare tra loro la "difficoltà di comunicare". Sono due opposti. Una figura costruttiva, la madre, in cerca di una via di significazione continua degli eventi che vive insieme al figlio. Una figura distruttiva, il figlio, che sembra non trovare altro canale di comunicazione con lei che non sia il distruggere. C'è un affetto disperato che lega questi due personaggi e tiene fuori da questo legame il resto del mondo. Un affetto che scaturisce dai dettagli di una scenografie da analizzare angolo per angolo.  Immaginando anche quello che non si vede ma che dal racconto si è fin troppo bene intuito. 
Il film gode, oltre che delle ottime interpretazioni degli attori, anche di un ritmo narrativo privo di tempi morti. Può incuriosire anche i fan dei gialli, sarebbe un ottimo strumento per un seminario rivolto ai genitori (se mai si avesse il coraggio e la pazzia di usare questa pellicola per scopi didattici). Scovatelo magari in TV e fatemi sapere. 
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