Non lo
farei mai guardare a una persona sensibile, né tanto meno a una madre che ha
problemi di dialogo con suo figlio, ma questo film, per chi ha il coraggio di
vederlo fino in fondo, è davvero una pellicola inquietante, un'autentica gemma
del thriller psicologico, quasi dalle parti di un Henry Pioggia di Sangue per
la freddezza della messa in scena. Se non fosse per il fatto che ...e ora
parliamo di Kevin è avulso da ogni tipo di messa in scena della violenza,
scegliendo al suo posto dei simbolismi se vogliamo anche più inquietanti. Fa
più paura in sostanza, e trasmette una paura che deriva da immagini che
possiamo solo immaginarci.
L'ho
scovato su Rai 4 un po' di tempo fa, ho visto che periodicamente viene
riproposto e si trova pure spesso su RaiPlay. È un film del 2011 di Lynne
Ramsay, una regista molto brava anche se poco prolifica, che di recente ha
diretto anche l'ottimo A beautiful Day con Joaquin Phoenix. Ogni volta che lo
vedo, ...e ora parliamo di Kevin è un film che nella mia testa si
evolve, mi porta a interpretazioni diverse e spesso contrastanti. Non credo ci
sia una soluzione al rebus che questo film sottende, ossia il mistero dietro
alla relazione tra una madre, interpretata da Tilda Swinton, e un figlio, con
il volto di Ezra Miller. È un vero rompicapo psicologico, un dramma crudele
quanto in un certo verso malinconico, che ci spinge a ricercare empatia dietro
a dei personaggi il cui principale problema sembra essere l'affettività
reciproca. È quindi una specie di corto-circuito emotivo, quello che a ogni
visione si esplora come spettatori. Ogni tanto cerco in rete dei commenti su
questa pellicola, li trovo sempre affascinanti. Vorrei sentire l'opinione di
qualche psicologo magari, credo che venga nel film rappresentata una specie di
forma deviata di complesso Edipico. Ma non voglio rivelarvi troppo.
Se
ancora non vi siete imbattuti in questa pellicola, voglio darvi giusto un paio
di coordinate.
Potete
prenderlo come un Thriller, ma anche come un film sulla quotidianità di una
famiglia stile Boyhood. I due piani presto si intrecceranno e inizierete a
vederci un film drammatico prima, quanto più propriamente un horror in
seguito.
È
un film che compie molti salti temporali, parte dall'epilogo di un misterioso
fatto che ha sconvolto una piccola cittadina americana e che sembra aver coinvolto un ragazzo del liceo, l'ombroso Kevin. La madre, una
scrittrice di successo, di fatto la protagonista del film, sta patendo
direttamente quanto avvenuto. Le persone per strada la guardano in qualche modo
giudicandola. In un mood quasi allucinatorio, sospeso tra passato e presente,
la madre scava più volte nella memoria, cercando conferme e smentite sui suoi
sentimenti nei confronti del figlio. Spesso ai ricordi si associa visivamente
un colore rosso sangue. Noi abbiamo per tutta la visione della pellicola solo
il suo punto di vista della madre e forse patiamo la sua incertezza a voler
"mettere in piazza" la sua storia. È chiaro che il figlio sia la
chiave di lettura, vorremmo disperatamente capire cosa pensa e cosa realmente
faccia o abbia fatto Kevin, ma sono informazioni che ci rimangono inaccessibili
fino al finale. Il ragazzo si rende protagonista di atti di una violenza
sconvolgente, così ingiustificabili che lo spettatore si sente quasi il dovere
di rivedere il film dall'inizio per cercare passaggi che magari crede di aver
saltato per distrazione o che siano stati censurati dalla TV. Rassicurato sul
fatto che il film "non ha buchi né ha subito censure", è facile
iniziare una terza visione della pellicola, indagando sui significati più
psicologici. Nel mio caso ho guardato il film almeno altre due volte, cercando
di comprendere il punto di vista prima della madre e dopo del figlio. Non è che
il film sia di fatto complesso o difficile da seguire, voglio essere chiaro.
Tutt'altro, è nella ricchezza dei punti di vista che offre che risiede il suo
fascino. Un fascino supportato da dei bravissimi interpreti che hanno saputo
magistralmente comunicare tra loro la "difficoltà di comunicare". Sono
due opposti. Una figura costruttiva, la madre, in cerca di una via
di significazione continua degli eventi che vive insieme al figlio. Una figura
distruttiva, il figlio, che sembra non trovare altro canale di comunicazione
con lei che non sia il distruggere. C'è un affetto disperato che lega questi
due personaggi e tiene fuori da questo legame il resto del mondo. Un affetto
che scaturisce dai dettagli di una scenografie da analizzare angolo per
angolo. Immaginando anche quello che non si vede ma che dal racconto si è
fin troppo bene intuito.
Il film
gode, oltre che delle ottime interpretazioni degli attori, anche di un
ritmo narrativo privo di tempi morti. Può incuriosire anche i fan dei gialli,
sarebbe un ottimo strumento per un seminario rivolto ai genitori (se mai si
avesse il coraggio e la pazzia di usare questa pellicola per scopi didattici).
Scovatelo magari in TV e fatemi sapere.
Talk0
Nessun commento:
Posta un commento