venerdì 18 gennaio 2013

Django


 di Sergio Corbucci

Fango. Stivali logori incedono facendo strisciare qualcosa di molto pesante, qualcosa che le braccia, pur cercando di essere rilassate, faticano a trascinare. L'inquadratura si allarga, si scopre che è un pistolero vestito con una divisa dell'esercito nordista, si scopre che quello che sta strascinando, con la sola sua forza, è nientemeno che una bara. La musica esplode, i titoli di testa sono accompagnati da un pezzo cantato da Rocky Roberts che ormai è leggenda (la colonna sonora di Django ha avuto pure lei un pazzesco seguito, soprattutto e stranamente in Giappone, dove la canzone più apprezzata dei Queen è a tutt'oggi I'm going slightly mad... paese, sempre più strano più cerchi di conoscerlo..).
Esistono dei classici, opere in grado di suggestionare intere generazioni, che nascono per caso, quasi ci fosse una misteriosa alchimia tra destino ed esperienza dei cineasti. Nel caso di Django tutto sembra essere partito da una singola idea, quasi un'apparizione metafisica, un uomo che cammina trascinando la sua bara. Il resto è venuto dopo, ma tutto è servito a suggello della potenza di questa immagine, caduta forse in sogno a Sergio Corbucci. Corbucci era un regista instancabile, quasi un artigiano esperto costretto a lavorare a cottimo, uno spirito indomito con una forte umiltà, prolifico oltre ogni dire, nel bene e nel male. Viene quindi facile paragonarlo oggi a Miike. Che sia solo un caso il fatto che Miike abbia diretto Sukiyaki Western Django? Anche lui prolifico, anche lui geniale. Corbucci di capolavori ne ha fatti a bizzeffe e questo Django rientra di diritto nella storia del cinema e con lui Franco Nero. Non solo, Django diviene una stupefacente opera seminale, in grado di influenzare pesantemente la cultura pop, non solo occidentale ma anche orientale. A vederlo oggi suonano decine di campanelli, si fanno collegamenti sorprendenti. Django di fatto veste in molte scene come Jan Solo, Django porta nascosta la stessa arma di Itto Ogami (solo che quest'ultimo la stipa in una culla, simbolo del futuro, mentre Django usa una bara, simbolo del passato da dimenticare), la stessa mitragliatrice ha nel film di Corbucci un ruolo da protagonista in una scena che pare del tutto simile ad una sequenza di Aliens scontro finale (versione estesa). E questo senza ricadere nelle citazioni-omaggi più evidenti come il predicatore di Trigan (con Croce armata), El Mariachi (con chitarra armata), il pistolero di Gungrave (un mix tra Django e El Mariachi), il robot pistolero di Burst Angel, il personaggio di Go Nagai (che appare anche in Mazinger the impact di Imagawa) che si chiama guarda caso Django, un letale pistolero con cicatrici armato di due revolver, vestito da cowboy e con al collo un poncio.
Tutto questo non è un caso, Django è una pellicola strapiena di trovate visive e narrative, in cui è davvero difficile prevedere il corso degli eventi. Una pellicola che risulta godibilissima anche oggi e se ne venisse fatto un remake serio, uscendo così dalla cerchia dei soli appassionati di genere, sarebbe ancora in grado di sbancare ai botteghini. Ma fare un remake di Django deve essere argomento da far tremare le gambe a tutti, non si può toccare un capolavoro. Ed ecco che piuttosto si cerca la strada delle opere “di ispirazione”, come Sukiyaki Western Django e Django Unchained (di fatto Tarantino ha sempre scelto tale approccio, anche nel caso de “Quel maledetto treno blindato” non ne ha fatta una copia con Inglorious Basterds, ma se n'è solo servito da ispirazione per parlare di qualcosa di simile ma nel contempo molto diverso).
Ma il cuore di tutto, quello che rimane a imperversare nella testa è proprio quell'immagine potente di inizio film. Quell'uomo che trascina la sua bara. In una scena gli viene chiesto se ci sia qualcuno in quella bara e l'uomo risponde: “Si chiama Django”. Perché di fatto quella bara contiene lo stesso Django, ne contiene il passato, la sua vita passata e il suo senso di colpa . Così come serve da contenitore o promemoria per introdurre quanto serve per accaparrarsi un futuro. È comunque un pesante fardello. Gli sarà davvero sempre utile trascinarsi dietro un tale peso? Oppure è più giusto che sia la terra ad occuparsi di custodire le bare?
Franco Nero è straordinario, tutti gli altri attori sono perfettamente nella parte. La regia è strepitosa e presenta tecniche di ripresa inconsuete, come una scazzottata ripresa con telecamera a mano per dare una maggiore dinamicita (non è un caso che assistente alla regia sia un certo Ruggero Deodato, l'uomo di Cannibal Holocaust, quello che ha reso forma d'arte la ripresa con telecamera a mano, colui dal quale tutti hanno copiato prima con Blair Witch Project e poi con la new wave dei film in cui l'occhio diviene una telecamera digitale). La musica è maestosa e fa ancora accapponare la pelle.
Spero di avere incuriosito un po' quanti non hanno ancora visto la pellicola. Cecchi Gori ne offre un blu ray piuttosto dignitoso, considerando l'età dell'opera, targata 1966. Assolutamente da vedere, magari come propedeutica al nuovo Tarantino, magari in abbinamento al Django di Miike. 
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