"Ridi
e saluta". "Dai le caramelle ai bambini". "Tratta con
riguardo il capovillaggio e ricordati che stai a casa loro". "Non
fare il cretino con il fucile, tienilo basso". Con un superiore che
impartisce solo questo tipo di ordini, i soldati di un piccolo commando
americano operante tra il 2009 e il 2010 in Afganistan (vicenda tratta da una
storia vera), si rompono un po' le palle, non si sentono adeguatamente
impiegati e realizzati, scherzano sui tempi morti di una routine giornaliera
con poche occasioni stimolanti. Poi il loro superiore salta su una mina, arriva
un nuovo superiore con i baffi, il sergente Deeks (il bravo Alexander
Skarsgard) e allora sì che i giochi cambiano. Questo è un vero "bro".
Condivide con loro la PlayStation, conosce dove trovare la roba buona da
fumare, compra le riviste porno per tutto il plotone e personalmente cucina per
tutti le bistecche più succulente, con il proprio barbecue. Inoltre è "uno
serio". Mentre con il precedente capo non si andava da nessuna parte, il
nuovo ha un fiuto supremo e scova a getto armi e terroristi, bonificando
territorio dopo territorio. Tutti lo amano, tutti vogliono la sua stima. Come
Rayburn (Adam Long), che si butterebbe nel fuoco per lui. Come Briggman (Natt
Wolf) che per diventare il capo - mezzo ha deciso di compiacere Deeks
scontrandosi a botte con gli altri pretendenti ma che dopo i primi tempi si fa
dei dubbi sulla necessità di questo eccesso di cameratismo. Soprattutto quando
compare una sacca pesante e piena di armi russe sotto il letto di Deeks.
Soprattutto dopo che Briggman stesso ha visto con i suoi occhi che quelle armi
sono state buttate vicino a un presunto terrorista appena giustiziato. Il
ragazzo presto sa che i ragazzi sanno. Non tanto che le azioni di Deeks siano
poco limpide, quanto il fatto che Briggman non le accetti e potrebbe presto
tradire il loro gruppo.
Il
regista Dan Krauss porta sullo schermo una storia vera, una pagina oscura
dell'esercito americano a cui aveva già dedicato nel 2014 un documentario
accolto con molto clamore dalla critica. È una storia che potremmo definire di
"nonnismo", sulla mancanza dell'empatia, sulle ipocrisie che ogni
conflitto racconta. In poche parole racconta come un gruppo coeso di
militari costringe qualcuno "che non vuole fare parte del gruppo" (e quindi ha già ricevuto per loro una sorte di "morte sociale") a fare
qualcosa che non vuole, arrivando a minacciarlo psicologicamente e fisicamente.
Il gruppo segue una dinamica da branco e ovviamente inneggia e si sottomette felice
al potere di un leader maschio alfa, da seguire a testa bassa anche quando ci sono di mezzo dei reati e la possibilità di una carriera finita
dietro le sbarre. Il gruppo peraltro per difendersi trova una giustificazione
morale contorta ma che per assurdo qualcuno potrebbe vedere come
"accettabile", addirittura utile all'impegno bellico contingente,
quasi eroico. Se il meccanismo è chiaro, il film vuole evidenziare fino a che
punto il branco potrà spingersi per attaccare e difendersi, soprattutto quando
a contrastarlo è un singolo, già debole e demotivato in partenza. La trama,
lineare ma non banale, si sviluppa principalmente nella relazione tra il
personaggio di Wolf, il "divergente" dal gruppo, sempre spaventato,
isolato e a contatto telefonico costante con i genitori in America, e il
personaggio "alfa" sicuro, seducente e terribile di Skarsgard, che ha
nel gruppo (per lo più indistinto) dei militari la propria
"emanazione". È una danza di seduzione e minaccia continua, non
dissimile dall'odio/amore visto di recente per esempio in Dogman di Garrone.
Non mancano ovviamente le scene di tensione, che spesso nascono ingenue,
come presunti "scherzi" dietro una giocosità infantile che sembra
palese, per poi estremizzarsi, farsi pesante, avvicinandosi quasi a situazioni da
film horror. L'insediamento americano è dipinto come una prigione emotiva in
cui tutti sono felici o imprigionati e costantemente osservati a seconda di
come vengono vissute le relazioni interne. Il "nemico da combattere"
è una figura vaga e indistinta, di cui non si comprende la lingua né si
familiarizzano i costumi, un ottimo espediente narrativo che alimenta nello
spettatore la confusione morale circa quello che sta vedendo (come la scena
che rende "proficue" le azioni del branco, in quanto portano allo
svelamento di armi vere) e rende meno "evidenti" le difficili scelte
morali dei personaggi.
Non è un
film leggero né manifesta mai la volontà di esserlo. Posso fare la giusta
ironia sul fatto che spesso un attore amato dal pubblico "diventa
cattivo" perché si fa crescere dei baffi. Ma Skarsgard ha baffi molto
professionali che lo immergono benissimo nel ruolo del villain.
Davvero
una pellicola interessante.
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