I
parassiti sono creature che si approfittano di un ambiente ricco di risorse, si
nascondono nell'ombra ma sono facilmente identificabili dall'odore. Puzzano di
strada, di sporco. Anche se fanno di tutto per mimetizzarsi con l'ambiente,
magari nella vegetazione, la loro scoperta prima o poi diviene inevitabile e il
ribrezzo da parte degli esseri umani, che guardano con disgusto la loro natura,
porta inevitabilmente a schiacciarli con odio, a sopprimerli con i gas della
disinfestazione. Nei sobborghi di una grande città una famiglia che vive di
espedienti è così povera e piena di parassiti che quando la disinfestazione
pubblica arriva nella loro zona aprono la loro finestra, situata a ridosso
della strada, per far sì che i gas la inondino ripulendoli. Intossicarsi pur di
ripulirsi è un po' il motto di questo strano gruppo di disperati, formato da
una madre ex campionessa di lancio del martello, un padre ex autista, un
figlio pluri-rifiutato all'Università e una figlia dall'incredibilmente
prospero futuro da truffatrice. Un amico del ragazzo deve andare a vivere
all'estero e lo invita a prendere il suo posto come insegnante di inglese di una
ragazza di una ricca famiglia. Arrivato sul nuovo posto di lavoro, il ragazzo
si rende conto della volubilità della padrona di casa, riesce in qualche modo a
raggirarla e a far entrare nell'entourage di autisti, domestici e altre figure
di sostegno della famiglia tutti i suoi parenti. Ovviamente tutti sotto falso
nome, la famiglia, tra impegno effettivo e truffa manifesta, inizierà a vivere
sulle spalle di questi ricchi.
Parte
come commedia degli equivoci, si trasforma in thriller, diventa quasi horror,
si rivela una delle più vivide e lucide metafore sociali sulla disuguaglianza
di status. Il mondo che viene dipinto è fatto a scale di reddito non
accessibili se non tramite la raccomandazione e l'inganno, i poveri
"puzzano", la natura sfoga la sua rabbia sui più deboli. Si potrebbe
farci una risata sopra, ma non può che essere amarissima. Il nuovo film del
talento coreano Bong Joon Ho, regista di vere perle sci-fi come The Host e
Snowpiercer, torna a farci respirare le atmosfere urbane decadenti dei suoi
primi lavori, nella specie penso a Memories of Murder, in questa satira carica
di un humor nero sulfureo, spesso travolgente e qualche volta malinconico. La
pellicola trasmette odori di abiti consunti dalla muffa, ci fa sentire la
polvere tra le dita dei piedi scalzi, ci fa affondare nei liquami di un sistema
fognario esploso, fa avvertire la fame e la gioia quasi magica di assaporare
del bacon in realtà destinato a un cane. La povertà circonda l'animo e rende
voraci, la povertà ha il volto di un'ombra che si muove nel buio con occhi
accesi come un gatto. Bong Joon Ho crea con il suo cinema degli spazi
abitabili apparentemente solari per poi renderli angusti, sempre più stretti,
febbricitanti di una umanità che arriva sempre più a invadere il paesaggio e
installarsi come muffa in ogni dove. Così la finestra verso il mondo del povero
appartamento della famiglia protagonista è innaffiata dal piscio di un ubriaco
che l'ha scelta per latrina abituale. Le stanze della ampia villa nascondono
stretti e sporchi cunicoli, delle mutandine prima raccolte come
"prova" di un reato al senso comune divengono un trastullo
erotico, un feticcio. In questo gioco olfattivo la puzza si fa respingente e a
volte familiare, si nasconde (o si accetta di nascondere come segno di
"comprensione") o si teme fino a che non non se ne può più, fino a
che fa esplodere i sensi. È un cinema "materico" che avrebbe
appassionato anche il primo Jean-Pierre Jeneut. Il "nostro" Ferreri,
che sui sapori e odori ha impostato gran parte della sua arte, avrebbe amato
questa pellicola probabilmente, ne avrebbe fatto una sua versione. Poteva in
questa passata epoca immaginaria essere un ottimo film con Ugo Tognazzi e la
Melato. Ma il sapore di questi temi è tuttora attuale e l'interpretazione degli
attori non è meno affascinate. Grande come una montagna è come sempre Song
Kang-Ho, attore prediletto dal regista (presente sia in Memories of Murder che
in Host e Snowpiercer) ma conosciuto da noi anche per i lavori con Park
Chan-wook (Mister Vendetta, Lady Vendetta) e di Kim Ji-woon (Il buono, il
matto e il cattivo, L'impero delle ombre). Il suo padre di famiglia sa essere buffo,
sa essere tragico, sa essere spietato e tutto nello stesso film, con una
coerenza e umanità che rende unico il suo personaggio. Non è da meno Hyae Jin
Chang (già protagonista dello struggente Poetry di Lee Chang-dong e diretta da
Lee Dong-eun in Mothers), che da corpo ad una madre buffa quanto pericolosa
come un Bud Spencer ed è tenero quanto maldestro il figlio, interpretato da
Choi Woo-shik (Train to Busan). La palma di migliore però voglio darla alla
meravigliosa Park So-dam, nel ruolo della figlia. Sua è la scena più struggente
della pellicola, mentre cerca di contenere un'inondazione di melma che
scaturisce dal water della casetta allagata sedendoci sopra, fumandosi una
sigaretta con uno stile da Bogart.
Credo di
aver amato ed essermi gustato ognuno dei 131 minuti di questa pellicola, che
insieme a Mademoiselle di Chan-wook Park è tra le poche e preziose finestre che
la distribuzione italiana ci offre su un cinema coreano di eccellenza,
che riesce a essere sempre altissimo, di riferimento.
È davvero
un peccato perderselo e pertanto vi invito a cercarlo nelle sale, scovarlo e
godervelo. È un film che riesce a far ridere, piangere, inquietare e
riflettere. Un'esperienza visiva e "sensoriale" unica.
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