- De
sica come Bill Murray: dopo aver tentato la resurrezione della coppia comica
con Boldi, anche piuttosto riuscita, il De Sica attore e regista si confronta
di nuovo con il fantasma che gli è più caro e di cui ha spesso parlato a
teatro, il padre Vittorio, sdoppiandosi in lui e vestendone con disinvoltura
una delle parti più iconiche, quella del conte Max. Riproponendone lo spirito e
le "mossette" Christian offre una rappresentazione paterna garbata e
affettuosa, che riesce davvero a divertire quanto a commuovere in più scene. La
sfida di proporre una versione italiana dei Ghostbusters, al netto di alcune
ingenuità, è ugualmente è sorprendentemente vinta. Anche se siamo in una
commedia molto divertente, i fantasmi sono terribili e le scene che lo
coinvolgono trasmettono paura e disagio, come regola seguita da Reitman quanto
da Landis. Alcuni fantasmi rimandano a grottesche e vernacolari
visioni dantesche, alcuni citano Magritte come "riletto" nelle tavole
di Dylan Dog, alcuni forse sono forse più "buffi" e quasi dalle parti
del genio di Aladdin, alcuni appaiono come poltergeist. Il make-up e
l'effettistica usata per loro è genuinamente da film horor di fiera matrice
italica, citano i Demoni di Bava, gli zombie di Fulci e indugiano sulle streghe
argentiane. La Napoli notturna offre uno scenario ideale per amalgamare
presente e passato. Il suo fantasma forse più noto, quello della commedia
passata, rimane un simulacro "diabolicus" all'ingresso di un teatro,
muto giudice delle nuove generazioni di cominci davanti al suo cospetto. De
Sica qui indugia, ma poi combatte a testa alta guidando il suo piccolo manipolo
di comici in questa commedia dallo humor squisitamente nero, che parte con un
coniglietto bianco tritato per errore da un prestigiatore
incapace davanti a un gruppetto di attoniti bambini che subito irrompono in
pianto. Bravo De Sica nel ruolo del prestigiatore cinico, ma in fondo dal cuore
buono, con gloria passata nel trash televisivo. Davvero spassoso Buccirosso che
si inventa un buffo omino depresso è insicuro sul suo posto nel mondo che parla
una lingua tutta sua spassosissima tra il napoletano, il milanese e il
padovano. Tenero e indifeso il personaggio di Gianmarco Tognazzi, segaligno e
ripiegato su se stesso, con tutti i suoi tesori riversati in un piccolo
marsupio e la paura che lo rimettano da un momento all'altro nella casa dei matti.
Rappresentata il centro emotivo della pellicola e riesce davvero a legare i tre
fratelli, a renderli autentici.
Anche se
i dettagli della "caccia ai fantasmi" sono forse un po' abbozzati (sembra un po' una variante della tecnica della "Mafuba" di Dragon
Ball), le ricerche effettuate sull'argomento spiritico appaiono interessanti,
affondando anche nel ricco folclore italico e offrono buoni spunti tanto alla
trama che per le location. Belle e appropriate le musiche di Andrea
Farri.
La
pellicola riesce a prendere dall'inizio alla fine, spaventando e divertendo con
una ingenuità di fondo che le si perdona volentieri. Ricorda un po' quel
periodo felice degli anni '80, tra Scuola di ladri, Fracchia contro Dracula e
Pompieri, a cui sono e sarò sempre legato. Possiede una certa nota malinconica
e crepuscolare che ne impreziosisce la visione e ogni tanto fa commuovere.
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