-Premessa,
inizia la fase due del "gay cinematic universe". Con una recente
legge di riforma del diritto di famiglia, la 20 maggio 2016 n. 76, approvata
con larga maggioranza, ha trovato coronamento un dibattito politico (e
giurisprudenziale) che ha mosso i primi passi istituzionali con un disegno di
legge dell'8 febbraio 2007. Sulla base anche di una interpretazione innovativa
degli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione, relativa ai diritti inviolabili
dell'uomo e alla pari dignità sociale senza distinzioni di sesso, sono state
approvate anche per l'Italia le unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Parliamo di unioni civili, che è un termine in cui possono rientrare anche casi
diversi dalla relazione omosessuale e non di "matrimonio gay", perché
questa espressione rimane di fatto ancora un tabù nel nostro paese anche se nel
resto del mondo, Germania in primis, non sussiste più. A seguito della
approvazione di di alcuni formulari, dell'intervento di un decreto-ponte e di
altri ammennicoli burocratici il primo agosto del 2016, verso le ore 17.00, si
è celebrata a Reggio Emilia la prima unione civile di una coppia omosessuale,
officiata dal sindaco Luca Vecchi. Il quotidiano Repubblica riporta un dato,
oggi pure un po' datato, che calcola, dall'agosto del 2016 al maggio 2017,
2.800 unioni civili. Viviamo in un paese che si interroga ancora molto (e spesso non è chiaro a che titolo) sul fatto di "accettare o meno"
la libertà sessuale di una persona, ma le istituzioni sono già arrivate di
fatto alle unioni civili. Per questo per una volta arriva un film che muove i
passi proprio dalla accettazione di questo passaggio storico, mettendo anche
coraggiosamente e incoscientemente in secondo piano una riflessione su
come debba essere "accettata socialmente l'omosessualità in sé". Ed
è esattamente, per parlare con il linguaggio nerd più caro a questo blog, come
quando siamo entrati nella seconda fase dell'Universo Cinematografico
Marvel. Prima, nella fase uno, abbiamo conosciuto singolarmente i supereroi
e il modo che hanno scelto di vivere la loro esistenza dopo che si è
manifestato in loro un superpotere. Poi nella fase due li abbiamo visti
interagire, combattere insieme al di là delle loro divergenze per uno
scopo comune, abbiamo soppesato gli effetti di questa loro unione sulla società
(Gli Avengers!!), abbiamo visto come l'opinione pubblica si è mossa di
conseguenza e quali leggi sono state richieste per integrarli nel tessuto
sociale al meglio, nel rispetto anche della loro autodeterminazione. La legge
Cirinnà come i patti di Sokovia in Captain America: Civil War. E come nella
fase uno Marvel abbiamo conosciuto i nostri eroi attraverso pellicole action ma
con influenze mutuate da generi cinematografici diversi (Captain America
mutuava il War Movie, Thor il para-peplum epico, Hulk quasi il territorio
psicanalitico, Spiderman il genere adolescenziale ecc...), anche i film che
hanno trattato dell'omosessualità hanno scelto di esprimerla in contesti
narrativi variegati. Il Legal-Drama di Philadelphia, il musical di Rent,
Priscilla e in parte Billy Elliot. Il film storico di La finestra di fronte o
Happy Together (e in parte anche Furyo), il western di Brokeback
Mountain, la commedia de Il vizietto, In & out, il genere
adolescenziale di Vita di Adele e Sognando Beckham, il dramma di Dallas
buyers club e Belli e dannati, i film sulle rapine come Quel pomeriggio di un
giorno da cani, l'horror con Insidious 2. Il genere biografico annovera poi
molti ritratti di persone omosessuali. L'elenco è sterminato e qui ne ho
riportato solo una minima parte, ma ci sono anche dei festival annuali dedicati
al cinema a tematiche omosessuali, presenti un po' ovunque e il mercato
asiatico è particolarmente ricco di produzioni di questo tipo. Ma nel nostro
paese sembra che servano ancora e ancora pellicole per conoscere ancora di più
e ""accettare"" di più questi strani "supereroi".
Puoi baciare lo sposo, almeno per molti spettatori in sal,a ho notato che sarebbe
dovuto essere ancora come un film della fase uno Marvel, un film ancora
necessario per accettare un tipo di "diversità" che di fatto dovrebbe
essere già stata accettata da anni. Pertanto considerate questa pellicola come
un film della fase due di un ipotetico gay cinematic universe. Se volete
recuperare qualcosa della fase uno vi invito invece a spulciare uno dei titoli
qui sopra. Se poi qualche titolo vi piace, fatemi sapere.
-Sinossi
fatta male: Antonio (un Cristiano Caccamo allegro e dagli occhioni sognanti)
è un ragazzo italiano, magrolino, originario di Civita di Bagnoregio, che vive
e lavora in una Berlino assolata, moderna e felice, dividendo un appartamento
con alcuni ragazzi che ha conosciuto mentre faceva parte del cast di un
musical. Antonio si sente realizzato e innamorato perso proprio di una delle persone
con cui divide l'appartamento berlinese e con cui vuole continuare a vivere il
resto della sua vita, Paolo (un Salvatore Esposito incredibilmente allegro e
incredibilmente dagli occhioni sognanti, lontanissimo dal suo Genny Savastano
di Gomorra quanto comunque credibile, una bella prova d'attore). Saranno le
"guanciotte" e gli occhioni castani, saranno l'espressione e i modi
protettivi un po' da Bud Spencer è un po' da Cannavacciuolo, Antonio chiede a
Paolo di sposarlo. La cosa non è troppo strana per chi vive come loro a Berlino
e Paolo subito accetta, ma a una condizione. Riuscire a comunicare questa
scelta ai rispettivi genitori rimasti in Italia. La ricerca di questa
approvazione non si presenta certo facile, ma entrambi la sentono ad ogni modo necessaria,
motivo per cui la coppia decide di intraprendere il viaggio per l'Italia. Ad
accompagnarli ci sono anche Benedetta (una sempre stramba ma dolcissima Diana
del Bufato), loro amica e proprietaria dell'appartamento di Berlino, e Donato (un surreale ma umanissimo Dino Abbrescia, in una parte da Jared Leto), il nuovo
coinquilino che non vuole rimanere da solo a casa per via di una grave crisi
depressiva (i suoi figli lo hanno scoperto mentre si vestiva da donna e lo
hanno allontanato dalla loro vita). Se il viaggio nella terra d'origine della
coppia può essere pesante, Benedetta e Donato, con le loro mille
stranezze comportamentali e sociali fungono da autentiche "armi di
distrazione di massa" e il gruppo può quindi trovare in loro una forza di
supporto emotivo inaspettata. Da Berlino a Civita di Bagnoregio di primo
acchito sembra di aver buttato l'orologio indietro di 500 anni buoni. La
cittadina è una rocca medioevale scavata sul culmine di una montagna, granitica
nei secoli, con tradizioni religiose che contemplano per Pasqua una via crucis
cittadina con figuranti e questuanti incappucciati che si prendono a
cinghiate. Antonio ogni anno torna a casa per Pasqua e interpreta nel corteo
Gesù, si prende croce di legno e cinghiate e gira così per per tutte le ripide
strade della cittadina per un ora. Tuttavia Civita di Bagnoregio non è
"medioevale"come all'apparenza, dalle sue mura secolari, la si
dipinge. Roberto (Diego Abatantuono, in uno dei suoi recenti e ormai
collaudati ruoli di "uomo di potere"), padre di Antonio, è il sindaco
del comune ed è da sempre fautore di una politica progressista volta alla
integrazione delle minoranze etniche, accolte in città anche senza il consenso
della giunta. La madre di Antonio, Anna (una Monica Guerritore molto decisa e
portatrice del "vero" ruolo di comando della donna nella propria casa
e oggi sempre più anche fuori casa), conosce da sempre i sentimenti del figlio
e vuole fare di tutto per supportarlo, perché vede che adesso è felice e
trova che Paolo sia una bella persona. Il curato Don Francesco (un Antonio
Catania molto divertente che in una scena gioca pure a fare San Francesco,
cercando conversazioni con mosche e pecore), anche lui molto progressista, non
ha problemi ad accettare la diversità di orientamento sessuale del suo pupillo
Antonio e si offre di celebrare l'unione, anche se in un territorio non
collegato all'esercizio liturgico per questioni di "etichetta" (sfumatura che tornerà anche più avanti nella pellicola), perché è convinto senza
troppi problemi che la Chiesa dovrebbe occuparsi di amore e non ci devono
essere ostacoli (ne ce ne dovrebbero mai essere) a sancirlo con una
unione. Anche il resto del paese, tra cui gli incappucciati figuranti
della via crucis pasquale, non hanno nessun problema ad essere dei felici invitati al matrimonio di Antonio e Paolo, ma ci sono un paio di aspetti
che potrebbero inficiare il generale clima di festa che sta salendo per gioia e frenesia
quasi al ritmo di un musical di Bollywood, supportato dalla presenza di una icona
"camp" moderna come il gran cerimoniere di matrimoni televisivi Enzo
Miccio. La mamma di Paolo potrebbe non arrivare alla festa e a Roberto
"non piacciono i musical".
- Da
Broadway a Civita di Bagnoregio con la benedizione delle associazione Diversity:
A Broadway è in scena da alcuni anni un musical di grande successo, My Big
Italian Gay Wedding, che un giorno ha incuriosito lo sceneggiatore e regista
Alessandro Genovesi al punto da convincerlo a portare quella storia anche da
noi, adattandola a un contesto italico più contemporaneo e spogliandola di
tutti gli stereotipi "spaghetti, pizza, baffi, mandolino" sugli
italiani che all'estero divertono ma da noi non piacciono troppo. Ricordo una
delle prime scene di Happy Family, film diretto da Salvatores tratto da uno
spettacolo teatrale proprio di Genovesi, che ne ha curato personalmente
l'adattamento. C'è protagonista Fabio de Luigi (che nei lavori
cinematografici seguenti Alessandro Genovesi proverà a "tradurre in Ben
Stiller"), sdraiato sul lettino di una massaggiatrice erotica cinese
nascosto tra le viuzze di Milano e accessibile attraverso numeri telefonici
provenienti da siti e riviste ambigue. De Luigi è massaggiato da una bella
ragazza in un contesto socialmente un po' discutibile, ma non c'è carica
erotica o tensione peccaminosa nell'aria. La ragazza è più occupata a
rispondere al telefono ai clienti che di continuo cercano notizie sul massaggio
erotico da lei offerto a listino ed è furibonda in quanto per problemi di
lingua nessuno riesce a capire dove si trovi la via in cui esercita. È
arrabbiata, ripete a macchina la stessa frase più volte perché non viene capita
e di conseguenza si arrabbia di più, al termine di ogni chiamata butta giù il
telefono con un impeto furibondo. A un certo punto De Luigi, che non ce la fa
più, le chiede di prendere lui le chiamate, spiega a sconosciuti tariffe,
servizi, le migliori zone di parcheggio, la disponibilità oraria. Ed è una
scena dissacrante quanto divertente, che capovolge e svuota di senso tutta la
cornice peccaminosa della scena, rendendola un po' patetica, surreale e
grottescamente (e molto probabilmente) realistica. De Luigi, da
spettatore, ti rimane in bilico tra essere una persona andata a fare
"una cosaccia" e un povero sfigato che sta vivendo una situazione
miserrima proprio per via di quella stessa "cosaccia". Genovesi ama
fare questo tipo di satira sociale, ama che la comicità delle sue opere
fuoriesca dalle situazioni "più assurde della vita comune" e arrivi
ad impattare sul pubblico, a confonderlo in modo costruttivo. Certo gli piace
anche riempire i suoi racconti di vita comune di simpatici alieni totalmente
"fuori dal mondo", come lo sono in questa pellicola il divertente duo
composto da Catania e dalla Del Bufalo (così amabilmente complicati e belli
nella loro relazione per "accumulo di stranezze" da non essere
definibili), ma il focus rimangono i costumi, il giocare con e sul
"sentire"comune. Con Puoi baciare lo sposo Genovesi si prende
il rischio e gran divertimento (con una incoscienza alla Aronofsky) di
satireggiare tantissimo (pure troppo) con il pubblico. A un certo punto
diventa palpabile l'impressione che il regista volesse che il film dialogasse /
provocasse il pubblico più che limitarsi a rappresentare un contrasto tra i personaggi
in scena. Davanti a un contesto narrativo che richiede funzionalmente, a
livello meramente "dialogico", la presenza di bigotti,
Genovesi li cerca nella sala più che nel racconto. Cercate di trovare una
sala bella piena e divertitevi anche voi a sentire le reazioni degli
spettatori, fate per una volta gli screen tester e godete il più possibile di
questa esperienza. Perché probabilmente sarete in sala con un pubblico che ha
già fatto una scelta di campo, cioè ha comprato il biglietto di un film che
parla di unioni civili tra omosessuali, ma che si aspetta dalla pellicola una
certa meccanica causa/effetto che Genovesi ha provveduto a disinnescare pezzo
per pezzo. La nostra coppia di promessi uniti civilmente incontrerà problemi nel comunicare ai genitori la loro omosessualità? No! Troveranno da
parte della cittadinanza obiezioni? No! E dalla chiesa? Nemmeno! Certo,
narrativamente qualche intoppo per esigenze minime di intreccio c'è, ma il film
ha un animo "operativo", nel senso che le unioni civili in Italia
sono consentite per legge e vuole indagare come l'italiano medio percepisca
questa circostanza. Anche se la gente lo sa, molti credono che siano eventi
sporadici e che di fatto si svolgano nelle grandi città e non certo nei paesini
e province (come satireggia in uno dei passaggi del film l'uomo-politico
Abatantuono). Senza andare a scavare nei più oscuri pertugi dell'animo umano,
molti spettatori possono empatizzare per una storia d'amore ma cassarla
all'origine con il presupposto che è "tragica" perché il mondo
(il "loro"mondo) non dovrebbe andare in una certa direzione. Se
togli a questi spettatori dei "prevedibili paletti narrativi" (Chiesa in primis) volti a rendere impossibile una situazione che in fondo,
interiormente, trovano socialmente inaccettabile (pur empatizzando con i protagonisti), crei in loro un corto-circuito che li fa uscire di
testa. Genovesi mette quindi in atto, all'interno di una commedia
comunque rivolta al grande pubblico, una comunicazione aggressiva sul tema della
diversità di genere all'epoca della istituzionalizzazione delle coppie di
fatto, centrando uno dei punti che si prefiggeva un partner del progetto come
la associazione Diversity, che si occupa di garantire e tutelare una
rappresentazione responsabile delle persone LGBTI (sigla internazionale come
termine collettivo per rappresentare persone Lesbiche, Gay, Bisessuali,
Transessuali e Intersessuali). Diversity vuole far conoscere la realtà di
queste persone e stimolare il dibattito costruttivo. È un impegno forte, che
la produzione Colorado film e Genovesi si sono sobbarcati con molto coraggio e
il cui effetto mediatico sarà interessante da valutare nel tempo. Anche perché
è una strada che apre a un rischio altissimo dovuto all'infrangersi
implicito del primo peccato capitale cui può incorrere un qualsiasi prodotto di
intrattenimento: "mai far sentire il pubblico parte di una critica".
Le opere che incorrono in questo peccato, anche se hanno molto da dire,
verranno sempre nella maggior parte dei casi respinte dagli anticorpi emotivi
dello spettatore. Soprattutto le realtà non interiorizzate possono attivare
questi anticorpi.
-Only
The brave? Ho apprezzato le interpretazioni degli attori, Salvatore Esposito su
tutti per la grande versatilità dimostrata, ho apprezzato una cornice
suggestiva e di rara bellezza come Civita di Bagnoregio, ho apprezzato il fatto
che il focus fosse sull'accettazione dell'Unione tra i due protagonisti e non
sulla classica storia di amore omosessuale, mi sono piaciute molte scelte musicali
e Diana Del Bufalo, soprattutto Diana Del Bufalo. La vorrei vedere
dappertutto, in un film di Wes Anderson o di Kauffman, in un film sulla
resistenza o in Guerre Stellari. Dovrebbe essere impiegata di più in cartellone
perché è solare e gioiosa nelle forme e nei movimenti, carina in un modo
inconsueto, stralunata, sa cantare in un modo che ti incanta (il film ha
degli inserti musical che non sono niente male e lei ne è giustamente
l'epicentro) e... taglio corto... abbiamo un bisogno folle di persone così al
cinema. Ho apprezzato anche il coraggio narrativo della pellicola di cercare le
reazioni della sala, scontentare per muovere a una riflessione nel modo forse
più difficile ma non per questo poco proficuo. Sarei interessato ad una visione
con seguente dibattito come nei cineforum di una volta.
E poi arriva il
"ma"... pur nei mille pregi sopra citati il film ha una struttura
narrativa un po' contratta e sdrucciolevole, che rischia in alcuni momenti di
confondere lo spettatore. Le ragioni del personaggio della Guerritore e di
quello di Abatantuono in alcuni momenti appaiono contraddittorie più per
problemi di scrittura che per intenzione degli interpreti. Considerata la
natura di musical dell'opera da cui il film si è ispirato e il modo in cui di conseguenza
può essersi evoluta la sceneggiatura mi sarebbero piaciuti personalmente molti più momenti musicali, anche se ammetto che tali innesti potevano di fatto
disinnescare la carica comunicativa a cui l'opera ambiva. Puoi baciare lo sposo
riesce a far parlare la sala, anche se in modo animato. È un pregio che non
riesce a molte delle pellicole comunemente in cartellone.
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