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Sinossi fatta male: Esiste nel mondo una malattia vera, terribile, letale
quanto assurda e ingiusta, in grado di distruggere una vita in un secondo a
seguito di una anche breve esposizione ai raggi solari. Chi ne soffre è
destinato a vivere recluso in casa durante il giorno come un vampiro (ma senza
i poteri), impossibilitato a qualsiasi vita sociale che escluda la gente della
notte cantata da Jovanotti. Per la protagonista di questo film, la
diciassettenne Katie Price, una manza atomica senza senso di cui abbiamo già
parlato nel blog (Bella Thorne, che già nel remake di Amytiville distraeva dal
contesto horror per la sua carica sexy), la vita spensierata dei suoi coetanei
è sempre rimasta un dono da spiare dietro ai vetri oscurati della sua cameretta.
Il padre (un Bob Riggle molto simpatico) è apparentemente tassativo e
ultra-protettivo, soprattutto da quando la mamma non c'è più, ma ha il cuore
grande e le vuole così un sacco di bene che un giorno, proprio per il suo
diciassettesimo compleanno, le regala la chitarra che la mamma era
solita suonare, ritrovata in soffitta e restaurata, con la quale autorizza la
figlia affetta da questa malattia mortale a uscire di notte per strimpellare
le canzoni, che lei stessa compone, vicino ai binari di una incredibilmente
tranquilla stazione ferroviaria locale (aspetto che vi prego di appuntare come
"prova A" a corredo del giudizio finale). Il capostazione la conosce,
in caso di incipienti molestie potrebbe così sempre intervenire prontamente, tirando
fuori dal nulla un fucile a pompa (siamo pur sempre in America in fondo). La
manza atomica ha anche un'amica che fin da piccola non ha avuto alcun problema
a frequentarla in orari notturni (aspetto che vi prego di appuntare come
"prova B" a corredo del giudizio finale), lavora in una sfigata
gelateria ed è innamorata dello sfigato gelataio con cui divide il bancone.
L'amica si cruccia del fatto che la nostra eroina, per via del piccolo problema
di cui sopra, non ha mai partecipato a una festa "ultra-cazzo-figata",
l'unica occasione giusta nella quale, nel buio della notte come cenerentola,
potrebbe incontrare il suo vero unico grande amore di tutta una vita, Charlie
(il mitico Schwarzenegger... però Peter, non Arnold... sarebbe stato interessante
vedere un Arnold di adesso tampinato da una diciassettenne comunque... scusate
sono fuori tema), un ragazzino che per tornare da scuola passava
sempre sotto i vetri oscurati della cameretta di Katie. Seguono
"cose". Direi "cose da Cioè", se esistesse ancora il magazine
Cioè, ma posso abbozzare pure "cose da young adult", con il timore di
offendere tutti coloro per cui young adult è solo l'interessante
action/sentimentale Hunger Games. A un certo punto, in un chiaro caso di
eccessiva fiducia nelle capacità dell'amato gelataio di realizzare una
festa ultra-cazzo-figata, le amiche finiscono nella laida festicciola con
quattro gatti da lui organizzata con la partecipazione di due amici turnisti di
Dungeons & Dragons. A quell'incubo però l'amica del cuore, miracolosamente,
riesce a invitare il vero unico grande amore di tutta una vita di Katie. Quante
cose avranno da dirsi la ragazza malata con tendenze da stalker e il timido
ragazzo che tendenzialmente stalkerizzava fin da piccino e ora patisce, come
top della sua vita adolescenziale, un po' di sfiducia per via di una
carriera sportiva da nuotatore quasi infranta? Potrà la nostra eroina
sfidare il destino e i raggi di sole (mettendosi magari un cappuccio in testa
e via... lo so, sembra una stronzata, ma chissà mai... metti dietro ai testi c'è
uno sceneggiatore un po' cretino e una cosa del genere potrebbe realmente
accadere nella pellicola, e infatti...) pur di vederlo nuotare nelle gare
scolastiche con rinnovato entusiasmo dopo averla conosciuta? Riuscirà la nostra
eroina a diventare una cantante di grido, come ha sempre sognato, in un
mondo in cui per suonare e farti conoscere devi per forza esibirti in pubblico,
con i problemi che può comportare suonare solo di notte (si vede che il film è
ambientato in qualche strana distopia in cui internet si usa solo per
condividere necrologi)? Sarà l'inizio di una fantastica storia d'amore o la
grave malattia mortale della protagonista comporterà un colpo di scena
inaspettato, stile l'arrivo dell'alba per i vampiri, per altro già presente nel
trailer?
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Scusatemi, sono affranto ma non ho sedici anni e sono sprovvisto di sensibilità
femminile: ci sono un sacco di film che hanno coniugato la voglia di vivere e
amare, anche in un contesto difficile come le malattie dagli esiti fatali. Ho
in mente giusto Save The last dance, A Time for
dancing, Guardami, Colpa delle stelle, Sweet november, Love Story, Life, Autumn in New York, Le invasioni barbariche, Mare
dentro, Lo scafandro e la farfalla, Bianca come il
latte, rossa come il sangue. Ma ce ne sono un mucchio, è una specie di
filone narrativo a sé e in qualche modo "serve". Serve perché aiutano
l'uomo della strada a considerare le persone malate non solo in ragione della
loro malattia (anche se alla fine, spesso, lo stesso uomo della strada che si
è commosso in sala o in tv, quando arriva a conoscere un malato
"vero", cerca di evirarlo perché "porta male"). Serve per
parlare dell'esistenza di alcune malattie e alimentare di conseguenza la
voglia di aiutare la ricerca scientifica per debellarle. Serve perché,
toccatevi pure con tutti i ferri che trovate, le sfighe capitano ed eros e
thanatos nella maggioranza dei casi confluiscono in modi meno eroici che in un
film western. Per quanto sia per molti scomodo stare al cinema con una mano sui
coglioni (perché almeno qualcuno li considera dei preziosi talismani organici
anti-rogna) che rende più complicato usufruire insieme di bibita e pop corn,
questi film pure piacciono al pubblico per questioni diverse, che si possono
comunque utilizzare per "sensibilizzare sulla malattia". Buttandola
sullo psicanalitico da accatto, in molti film "sulle malattie
brutte", la storia di un amore che inizia e finisce troppo presto per
"decorso delle stesse", viene assimilata per metafora (ultimamente
scrivo di metafore assimilate in ogni post... sto diventando post-metaforico?)
alle storie d'amore tour cour, magari quelle della adolescenza, che
"similmente" iniziano e finiscono troppo presto, lasciando in
corpo voragini di rimpianti e ricordi lontani (magari terribili ma qualche
volta non letali). È una questione di percentuali in fondo, il fatto di
dedicare più o meno del 50% della storia (ora la mia non è una percentuale
matematica effettiva, perdetela giusto come esempio), per parlare dell'amore o
della malattia, cambia il focus del film. Il sole a mezzanotte a mia
sensazione, pur nelle migliori intenzioni, vuole cavalcare troppo questa
suggestione/metafora che piace al pubblico, cioè "malattia < o = ad
amore adolescenziale finito", cercando troppo di realizzare il gioco di
prestigio di annullare quasi ai cento per cento il dolore della malattia e
focalizzandosi sulle cose più belle dell'amore. Il film di Scott Speer (che
oltre a questo ha diretto Step Up Revolution... ma è regista anche
di videoclip come Nothing in The World di Paris Hilton), vorrebbe
parlare di una malattia terribile come lo Xeroderma Pigmentoso, che vi invito a
cercare in rete per informarvi, perché effettivamente esiste davvero e, come ci
racconta il film, non se la cagano a livello scientifico perché troppo rara.
Però se vi capita di guardare le immagini delle persone che ne sono realmente
affette credetemi, vi si stringerà il cuore. Il film "glissa" su
questo aspetto è mette in parallelo la bellezza interiore compensando quella
esteriore della protagonista, come faceva il solo apparentemente grossolano Amore a prima svista dei fratelli Farrelly, che faceva apparire una
ragazza sovrappeso ma buona di cuore con il corpo "esteriorizzato" di
Gwyneth Paltrow.
Con la stessa nonchalance ci fa credere che può bastare
mettersi un cappuccio in testa durante il giorno e poi la sera per lei torni ad
essere tutto ok, ma un secondo dopo, in modo ugualmente troppo
"leggero", la nostra eroina sbatte con la classica scena dell'alba
nei film di vampiri (con una luce non troppo differente da quella che aveva
combattuto nel pomeriggio con il cappuccio in testa). È straniante, scorretta,
ma in fondo per me quasi lodevole e coraggiosa questa rimozione continua e scissione
ricercata della ragazza dalla sua malattia. Qualche tempo fa avevamo parlato di
un film altrettanto scorretto e coraggioso per motivi qui
"invertiti", Andarevia. In quella pellicola, per scelta
narrativa, i personaggi erano rappresentati unicamente attraverso i
"comportamenti tipici" e ricorrenti in particolari patologie mentali.
In Midnight Sun potremmo immaginare, in negativo, che la malattia non è stata
trattata con la "gravitas" necessaria, che sia stata
"rimossa" in un modo tutto narrativo (una rimozione che in natura
invece è così difficile che probabilmente chi ne soffre non potrebbe accettarla
neanche in una finzione). Ma potremmo pure immaginare, e questo è per me un
punto di vista interessante, che la malattia in questo film si presenti così
"da parte" in quanto è già stata "elaborata". Mi
spiego. Il film salta le prime quattro fasi della elaborazione del lutto di
Kubler-Ross, ossia la negazione, il patteggiamento, la rabbia e la depressione
e arriva dritto alla quinta fase, la "accettazione". Da qui, dalla
fine di un percorso atto a "metabolizzare (nel possibile) le cose
brutte", il film "parte", scegliendo di
focalizzarsi e dare valore alle cose belle e importanti che
caratterizzano una persona in quanto tale e che la valorizzano e la rendono
unica. Non come "persona malata" ma come persona. Questo approccio
ardito e spericolato può spiazzare, può irritare, può far gridare allo
scandalo, può far iniziare a ridere in modo isterico. Ma può essere anche
compreso, accettato e, a livello epidermico, può fare in modo che il film
riesca spontaneamente a far riflettere quanto a sollecitare le ghiandole
lacrimali degli spettatori, anche in assenza della rappresentazione
visiva/contenutistica delle fasi di negazione, patteggiamento, rabbia e
depressione. Diciamo che molti, umanamente, "compenseranno" così.
Anche perché hanno accettato di comprare un biglietto per vedere un certo tipo
di film. In sala ho visto fontane di lacrime e il cinema, che se le aspettava,
è stato così previdente da fornire all'ingresso dei pacchetti di fazzoletti di
carta in omaggio.
Gli
attori recitano bene, il film è pieno di momenti carini e commoventi, la regia
è leggera e descrive in modo ordinato gli eventi, alla base c'è un libro
bestseller che non ho ancora letto e quindi al momento non riesco a
confrontare. Ma io, forse perché non ho la sensibilità che rende le donne la
vera razza umana superiore, ci sono rimasto un po' male dai sistemi di
"occultamento della malattia" predisposti dalla trama. La protagonista
non l'ho mai avvertita davvero malata e in fin di vita, anche perché: a) pur
nel limite di non poter assumere la luce diretta del sole ha delle amicizie che
incontra la sera, come il 100 per 100 delle persone che già alla sua età
lavoravo, compresa la sua amica che lavora in gelateria; b) ha un padre e un
quasi-ragazzo che non si farebbero alcun problema a farle fare quello che vuole
pur negli orari "notturni". Il dramma esistenziale della protagonista
di "essere malata" e "non volerlo rivelare a nessuno" l'ho
capito solo informandomi su internet della malattia di cui soffre. Per lo
stesso motivo il finale del film l'ho trovato crudele in quanto troppo
repentino e troppo velocemente accettato. Mi sono più arrabbiato che commosso
alla fine, ma questo Midnight Sun alla fine mi ha spinto per una mezza giornata
ad interessarmi ad una malattia rara e così strana che credevo solo inventata.
Mi ha spinto a riflettere un po' di più sul l'importanza di vivere felici a
tutti i costi, anche e sopratutto quando la vita ti prende a calci nel sedere,
anche quando per rendere "accettabile questa gioia, da parte di una
persona malata" un film opera uno strano gioco di prestigio . E questo
credo che non sia poco.
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