mercoledì 20 febbraio 2013

Sword Art Online


Nuovo anime in Italia by Dynit!


L'annuncio è fresco fresco. Una delle più fortumate serie del 2012 verrà editata in Italia da Dynit.
In un futuro prossimo venturo viene smerciata la forma di intrattenimento definitiva. Un videogioco online, un role play fantasy modello Signore degli Anelli di tipo mmo (giochi che permettono la connessione allo stesso titolo di millemila utenti, creando un vero mondo virtuale di guerrieri contro mostri virtuali... sì, world of warcraft o ultima on-line, per capirci), che per essere giocato necessita che l'utente si addormenti con un casco-consolle in testa di nome NerveGaer che trasmette direttamente al cervello il “gameplay”. Niente pad e tv 3d, basta “addormentarsi” con l'apparecchiatura e come in sogno si sarà proiettati in un mondo fantasy. La più immersiva esperienza di gioco di sempre. Per fornire maggiore realismo al tutto, il mondo fantasy ha forti connotazioni realistiche e si basa sull'abilità nel maneggiare armi da taglio, niente magie salvo la possibilità di evocare piccole creature. Il creatore del gioco è un genio, tutto è ultra realistico e permette davvero di far sentire le persone parte di un mondo alternativo. Bello sì. 
Kirito è un beta tester del game, entusiasta e fiero di fare parte del progetto, pertanto non appena la versione definitiva viene distribuita nei negozi se la accaparra e ci gioca felice, facendo subito conoscenza con un nuovo amico, a cui insegna i primi rudimenti di gioco. I due si salutano, ma il nuovo amico non riesce a sconnettersi, nei suoi comandi virtuali sembra scomparsa l'icona della disconnessione. Pochi minuti dopo le campane di un borgo digitale radunano tutti i giocatori in piazza. Il creatore del gioco, come Sir Richard Garrot in Ultima, fa un'apparizione per salutare i giocatori. Ma qualcosa non va. L'ideatore fa scomparire gli avatar dei giocatori, che da quel momento appaiono così come realmente sono nella vita reale: non cavalieri medioevali aitanti, ma brutti e tozzi nerd. L'ideatore dice che d'ora in poi non sarà possibile uscire dal gioco, se non portandolo a termine, e che chi morirà nel gioco morirà anche nel mondo reale. Morte assicurata anche se qualcuno accidentalmente staccherà i corpi dal sistema Nervegear. 
Nota: sì, una cosa simile capita nel videogioco per ps2 .Hack, non è per me un caso che il protagonista di SAO si chiami Kirito, mentre quello di .Hack si chiami Kite. Per salvarsi bisogna quindi finire il gioco senza mai morire. In un attimo 10.000 giocatori sono imprigionati in questa realtà virtuale mentre i loro corpi reali cadono in stato comatoso. Ma uscire non sarà facile, per diventare abbastanza forti da battere i 100 livelli di giochi occorreranno non giorni ma... anni. Se si può immaginare che i prigionieri virtuali passino i primi tempi ad affettare mostri a profusione, sperando di poter così tornare in possesso della loro vita reale, altrettanto plausibile che dopo un po' subentri la frustrazione, che qualcuno decida di suicidarsi, che qualcuno si rassegni a vivere in quella prigione-paradiso virtuale. È questo l'aspetto originale e accattivante di SAO, il modo in cui i giocatori cerchino di farsi una vita all'interno di un mondo finto, consapevoli del fatto di avere poche alternative o vie d'uscita. Alle meccaniche tradizionali di vita si intrecciano le peculiarità del gioco on-line: il mondo fantasy di gioco impone di andare a cacciare per sfamarsi, vendere e commerciare armi, creare dei gruppi di avventurieri, difendersi oltre che dalle belve dagli altri giocatori che, per sopravvivere ma anche per propria indole, si dedicano a uccisioni e brigantaggio. Al di là dei cieli digitali, l'uomo è pur sempre la creatura bassa di sempre. Ma per alcune persone rappresenta anche la possibilità di vivere una nuova vita da zero, magari migliore di quella reale.
Oggi uccidi due draghi, aumenti lo skill e hai pronto il pranzo, magari ti trovi una compagna per la vita, una casetta virtuale in riva al lago, fai su una cucciolata.. Una materia magmatica e stimolante, che si presta a più trip mentali. Se l'unica differenza tra gioco e vita è che nella vita si muore una volta sola allora, rotta questa condizione, che differenza c'è tra il mondo reale e il virtuale? È vivere anche il solo fatto di essere connessi, magari mentre nel mondo reale si è attaccati ad una flebo e si porta un pannolone? Ma siamo più audaci, capovolgiamo la prospettiva. Se una persona è in coma, la virtualità (pur ancora così fantascientifica) del casco NerveGaer gli permetterebbe di avere nuovamente una vita, di potersi mettere in relazione con altre persone, magari anche di lavorare, laddove lo scenario virtuale non fosse un videogioco fantasy ma una replica del reale? Sì, ragionamenti da fusi di testa, per eccesso, ma attuali, specchio di questi tempi, della tecnologizzazione-cannibalizzazione della nostra vita, sempre più attaccata a un cavo di rete anche in ragione della schifosità dei tempi che corrono. Altra suggestione. Perché si passa sempre più tempo interfacciandosi solo con il virtuale, il ludico-superficiale della raccolta di pomodori nei giochini di facebook, a discapito delle relazioni autentiche-del-reale, anche quando si potrebbe comunque avere tempo per queste ultime? Certo, on-line si può parlare con persone che stanno molto lontane da noi, è bello e appagante, ma si arriva sempre più all'assurdo oggi, quando si perde una sera a chattare con un amico che abita a due isolati da te, quando sarebbe pure fattibile fare lo stesso faccia a faccia, insieme a una birra, oppure organizzare una patita di calcetto anziché una sessione di call of duty... Uomo e tecnologia, tecno-alienazioni. Tematiche che ha a cuore l'autore della light novel di Sword Art Online, Reki Kawahara e che lo stesso già affronta in Accel World, da cui Sunrise ha tratto un anime graficamente eccelso, anche se dalla trama un po' facile che di sicuro in Italia, tradotto, vedrei bene... magari in abbinamento a questo SA0 nella stessa serata di rai 4 (io la butto lì... sono un impunito...). In Accel World essere connessi a un gioco diventa più importante che vivere il reale, in quanto permette di valicare i limiti della misera condizione umana di un protagonista bruttino e sgraziato, circondato da belle donne ma forse solo in virtù, amaramente, delle sue potenzialità ludiche. Vivere smaterializzati, come un agglomerato informe di files, condizione non troppo lontana da uno degli scenari classici (e più estremi) di Transmetropolitan di Ellis, i foglet umani, tanto per dire come il tema ricorra ciclicamente e non conosca bandiera nella fantascienza moderna.
Un po' fantasy, un po' commedia, un po' sentimentale, un po' drammatico, un po' fantascientifico. Sword Art Online nasce come opera articolata anche in virtù dello strumento primigeno di divulgazione, la light novel. Autentici cocktail narrativi che permettono di essere letti a più livelli. In sostanza, dei cavolo di romanzi con disegni e ventimila note di approfondimento in cui spesso le storie sono narrate in modo non lineare e letteralmente possono “mutare di genere” da un momento all'altro. Quasi delle scatole cinesi. Un genere che non esiste da noi, ma che per l'animazione jappo è da sempre un'ottima fonte. Al punto che a volte vengono trasposti specifici archi narrativi di un'opera sbattendosene di narrare, per esempio, i primi capitoli. Da light novel sono arrivati anime curiosissimi come la malinconia di Harumi Suzumiya (commedia, fantascienza, sentimentale) e Boogiepop Phanthom (dramma, fantascienza, horror) (entrambe in dvd by Dynit), roba così strana e borderline, nonostante di grandissima fama e successo in Giappone, che si fa davvero fatica a stringere in un genere narrativo. Nello specifico, dovendo sceglie per SAO un genere predominante, mi sento di legarlo al genere sentimentale-drammatico, con le altre componenti tutte equidistanti in secondo piano. Sword Art Online è una light novel, di circa 12 volumi per ora, che ha contagiato un po' tutti i media nel 2012. Vanta per trasposizioni qualcosa come tre manga, ha all'attivo un videogame per psp (solo in giappolandia reperibile ovviamente). Quest'anime che oggi propone Dynit costituisce quindi solo una parte dell'opera, pertanto (anche in ragione del successo riscosso in Giappone nel recente) un sequel è probabile.
Ma così espresso tutto il potenziale narrativo, com'è stringi stringi questo anime? La realizzazione è affidata a A-1 pictures, studio legato alla Sony Music Entertainment Japan. L'impostazione dell'opera ricorda direttamente i classici giochi di ruolo giapponesi (non Final Fantasy, ho più in mente Disgaea), pertanto viene scelto un approccio piuttosto minimale – convenzionale. La caratterizzazione dei personaggi è carina e a tratti pucciosa, idonea a conferire all'anime un'atmosfera rilassante, ottima a supportare le scene più espressamente comiche, anche se qua e là si avverte la sensazione di già visto. Le musiche sono orecchiabili e il mondo narrativo appare colorato e vivace. L'animazione segue la rotta minimalista, ma tuttavia è buoni guizzi e permette di empatizzare con i characters. Lo scenario è purtroppo spesso drammaticamente statico e vuoto, effetto di uno sforzo produttivo contenuto, i mostri sono molto sui generis e spesso paiono colorati da un daltonico, la computer grafica interviene, ma non sempre lo fa in modo efficace. Ciò non toglie la gradevolezza generale dell'insieme, la carineria dei fondali, la gioiosa tavolozza dei colori impegnata, ma la sensazione è di trovarsi di fronte ad un'opera non al passo con i tempi. Ma chissene. Il punto forte di SAO è la trama e le suggestioni che la stessa suscita, come sopra accennato. È per la trama che SAO è un anime interessante, coinvolgente e decisamente da seguire, nonché il motivo per cui ha ricevuto tanta fama il Giappone. È piuttosto facile immedesimarsi nei personaggi, affezionarsi alle loro piccole vite e patire la loro triste condizione. Ecco uno dei casi in cui si può dire: “se c'è la storia, c'è tutto”. Tuttavia c'è da fare una ulteriore doverosa precisazione. L'anime è diviso in due archi narrativi. Il primo arco è stato accolto, più o meno da tutti i fan, come una delle massime espressioni della narrativa fantasy-fantascientifica-sentimental-action-drammatica-equelchevepare. 
Il secondo arco ha completamente spaccato in tre i fan: quelli a cui ad ogni modo piace, quelli a cui non piace ma sopportano e quelli che lo detestano a tal punto da fargli schifare anche la prima parte dell'anime. Questa discussione vorrei però affrontarla con voi nel modo solito con cui abbiamo scelto di parlare di ogni cosa su questo blog: se ne parla nei dettagli solo quando l'opera è reperibile (film al cinema, home video, scritto, game ecc.) in lingua italiana. Su richiesta di un amico faccio uno strappo alla regola, pertanto il prossimo paragrafo è di Spoiler e leggibile solo da chi lo voglia consapevolmente cliccandoci sopra.
Inizio spoiler: arrivato al capitolo 15 ero abbastanza soddisfatto di quanto avevo visto, salvo un paio di capitoli sul “parlare con i morti”, piuttosto pallosi, e in parte la storia della ragazzina-programma, smielata all'eccesso. Non che io sia un “insensibile”, la puntata natalizia mi ha sinceramente commosso, ma quando è troppo è troppo! Puntata 16-17-18 cambio di prospettiva un po' traumatico. Nuovi personaggi interessanti, si fa largo una sensuale pulsione verso il proibito, i giocatori ritornano a rivestirsi di avatar, nascondeno la loro identità e permettendo di identificare il gioco come sogno-pulsione (non è solo il volare, è anche il nascondere il reale). Il fatto che ora si possa entrare e uscire dal gioco, ma che di fatto si preferisca starci, sottolinea il persistente desiderio di fuga dalla realtà, nonostante i pericoli che questa fuga comporta, pericoli evidenti alla luce dei fatti più recenti. Trasgredire, mettere in pausa la realtà per nascondersi in un gioco, questa la nuova chiave di lettura. I giocatori sono giocoforza più viscidi, giocano quando vogliono spadroneggiando i forti ai danni dei deboli, non esiste più nemmeno uno scopo, come la prima parte dell'anime, non esiste solidarietà, giocare è volere scientemente partecipare ad una comunità di stronzi vestiti da fatine. Ma giocare con gli specchi, osare ciò che non si potrebbe nel reale, è stimolo per pagare il biglietto. L'erotismo che deriva può in effetti shoccare alcuni spettatori della prima ora, ma il fattoi si possa diventare integralisti dopo aver visto 15 puntate di un anime mi pare ad ogni modo un eccesso. Questa seconda parte è speculare alla prima, evidenzia i difetti del mondo virtuale da una prospettiva che la prima parte non poteva raggiungere. L'animazione è sempre elevatissima e trova nuovi stimoli nel contrapporre il plastico mondo degli avatar di gioco in contrapposizione con i volti scavati dei personaggi reali. Interessante quindi, ma spiazzante, più cinico e forse per alcuni spettatori “più vuoto”. Posso capire che a molti non sia piaciuta questa parte, ammetto che ha destabilizzato anche me, ma nel contempo mi sembra che con 15 episodi la prima parte aveva di fatto, per come era stata progettata, esaurito gli stimoli. Avrei gradito vedere magari qualcuno che dall'esterno cercava di entrare nel mondo prigione, magari le autorità che torchiavano il programmatore pazzo, ma l'opera non ha mai nutrito interesse per questi temi (almeno finora), ha sempre preferito dedicarsi solo al mondo virtuale di gioco e quindi con il 15 era fisiologicamente conclusa. Il secondo arco porta stimoli diversi e pertanto l'ho apprezzato, pur non urlando al capolavoro. Fine Spoiler
SAO rappresenta quindi, pur nei limiti, un'opera in grado di far parlare di sé, in grado di suscitare anche vivaci dibattiti, di certo non un prodotto anonimo. Trovo bello che Dynit abbia scelto di portarla sui nostri lidi e aspetto con interesse una messa in onda televisiva e una bella raccolta in blu ray. 
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