Nuovo anime in Italia by Dynit!
L'annuncio è
fresco fresco. Una delle più fortumate serie del 2012 verrà editata
in Italia da Dynit.
In un futuro
prossimo venturo viene smerciata la forma di intrattenimento
definitiva. Un videogioco online, un role play fantasy modello
Signore degli Anelli di tipo mmo (giochi che permettono la
connessione allo stesso titolo di millemila utenti, creando un vero
mondo virtuale di guerrieri contro mostri virtuali... sì, world of
warcraft o ultima on-line, per capirci), che per essere giocato
necessita che l'utente si addormenti con un casco-consolle in testa
di nome NerveGaer che trasmette direttamente al cervello il
“gameplay”. Niente pad e tv 3d, basta “addormentarsi” con
l'apparecchiatura e come in sogno si sarà proiettati in un mondo
fantasy. La più immersiva esperienza di gioco di sempre. Per fornire
maggiore realismo al tutto, il mondo fantasy ha forti connotazioni
realistiche e si basa sull'abilità nel maneggiare armi da taglio,
niente magie salvo la possibilità di evocare piccole creature. Il
creatore del gioco è un genio, tutto è ultra realistico e permette
davvero di far sentire le persone parte di un mondo alternativo.
Bello sì.
Kirito è un beta tester del game, entusiasta e fiero di
fare parte del progetto, pertanto non appena la versione definitiva
viene distribuita nei negozi se la accaparra e ci gioca felice,
facendo subito conoscenza con un nuovo amico, a cui insegna i primi
rudimenti di gioco. I due si salutano, ma il nuovo amico non riesce a
sconnettersi, nei suoi comandi virtuali sembra scomparsa l'icona
della disconnessione. Pochi minuti dopo le campane di un borgo
digitale radunano tutti i giocatori in piazza. Il creatore del gioco,
come Sir Richard Garrot in Ultima, fa un'apparizione per salutare i
giocatori. Ma qualcosa non va. L'ideatore fa scomparire gli avatar
dei giocatori, che da quel momento appaiono così come realmente sono
nella vita reale: non cavalieri medioevali aitanti, ma brutti e tozzi
nerd. L'ideatore dice che d'ora in poi non sarà possibile uscire
dal gioco, se non portandolo a termine, e che chi morirà nel gioco
morirà anche nel mondo reale. Morte assicurata anche se qualcuno
accidentalmente staccherà i corpi dal sistema Nervegear.
Nota: sì,
una cosa simile capita nel videogioco per ps2 .Hack, non è per me un
caso che il protagonista di SAO si chiami Kirito, mentre quello di
.Hack si chiami Kite. Per salvarsi bisogna quindi finire il gioco
senza mai morire. In un attimo 10.000 giocatori sono imprigionati in
questa realtà virtuale mentre i loro corpi reali cadono in stato
comatoso. Ma uscire non sarà facile, per diventare abbastanza forti
da battere i 100 livelli di giochi occorreranno non giorni ma... anni.
Se si può immaginare che i prigionieri virtuali passino i primi
tempi ad affettare mostri a profusione, sperando di poter così
tornare in possesso della loro vita reale, altrettanto plausibile che
dopo un po' subentri la frustrazione, che qualcuno decida di
suicidarsi, che qualcuno si rassegni a vivere in quella
prigione-paradiso virtuale. È questo l'aspetto originale e
accattivante di SAO, il modo in cui i giocatori cerchino di farsi una
vita all'interno di un mondo finto, consapevoli del fatto di avere
poche alternative o vie d'uscita. Alle meccaniche tradizionali di
vita si intrecciano le peculiarità del gioco on-line: il mondo
fantasy di gioco impone di andare a cacciare per sfamarsi, vendere e
commerciare armi, creare dei gruppi di avventurieri, difendersi
oltre che dalle belve dagli altri giocatori che, per sopravvivere ma
anche per propria indole, si dedicano a uccisioni e brigantaggio. Al
di là dei cieli digitali, l'uomo è pur sempre la creatura bassa di
sempre. Ma per alcune persone rappresenta anche la possibilità di
vivere una nuova vita da zero, magari migliore di quella reale.
Oggi uccidi due
draghi, aumenti lo skill e hai pronto il pranzo, magari ti trovi una
compagna per la vita, una casetta virtuale in riva al lago, fai su
una cucciolata.. Una materia magmatica e stimolante, che si presta a
più trip mentali. Se l'unica differenza tra gioco e vita è che
nella vita si muore una volta sola allora, rotta questa condizione,
che differenza c'è tra il mondo reale e il virtuale? È vivere anche
il solo fatto di essere connessi, magari mentre nel mondo reale si è
attaccati ad una flebo e si porta un pannolone? Ma siamo più audaci,
capovolgiamo la prospettiva. Se una persona è in coma, la virtualità
(pur ancora così fantascientifica) del casco NerveGaer gli
permetterebbe di avere nuovamente una vita, di potersi mettere in
relazione con altre persone, magari anche di lavorare, laddove lo
scenario virtuale non fosse un videogioco fantasy ma una replica del
reale? Sì, ragionamenti da fusi di testa, per eccesso, ma attuali,
specchio di questi tempi, della tecnologizzazione-cannibalizzazione
della nostra vita, sempre più attaccata a un cavo di rete anche in
ragione della schifosità dei tempi che corrono. Altra suggestione.
Perché si passa sempre più tempo interfacciandosi solo con il
virtuale, il ludico-superficiale della raccolta di pomodori nei
giochini di facebook, a discapito delle relazioni
autentiche-del-reale, anche quando si potrebbe comunque avere tempo
per queste ultime? Certo, on-line si può parlare con persone che
stanno molto lontane da noi, è bello e appagante, ma si arriva
sempre più all'assurdo oggi, quando si perde una sera a chattare con
un amico che abita a due isolati da te, quando sarebbe pure fattibile
fare lo stesso faccia a faccia, insieme a una birra, oppure
organizzare una patita di calcetto anziché una sessione di call of
duty... Uomo e tecnologia, tecno-alienazioni. Tematiche che ha a
cuore l'autore della light novel di Sword Art Online, Reki Kawahara e
che lo stesso già affronta in Accel World, da cui Sunrise ha tratto
un anime graficamente eccelso, anche se dalla trama un po' facile che
di sicuro in Italia, tradotto, vedrei bene... magari in abbinamento a
questo SA0 nella stessa serata di rai 4 (io la butto lì... sono un
impunito...). In Accel World essere connessi a un gioco diventa più
importante che vivere il reale, in quanto permette di valicare i
limiti della misera condizione umana di un protagonista bruttino e
sgraziato, circondato da belle donne ma forse solo in virtù,
amaramente, delle sue potenzialità ludiche. Vivere smaterializzati,
come un agglomerato informe di files, condizione non troppo lontana da uno degli scenari classici (e più estremi) di Transmetropolitan di
Ellis, i foglet umani, tanto per dire come il tema ricorra
ciclicamente e non conosca bandiera nella fantascienza moderna.
Un po' fantasy, un
po' commedia, un po' sentimentale, un po' drammatico, un
po' fantascientifico. Sword Art Online nasce come opera articolata
anche in virtù dello strumento primigeno di divulgazione, la light
novel. Autentici cocktail narrativi che permettono di essere letti a
più livelli. In sostanza, dei cavolo di romanzi con disegni e
ventimila note di approfondimento in cui spesso le storie sono
narrate in modo non lineare e letteralmente possono “mutare di
genere” da un momento all'altro. Quasi delle scatole cinesi. Un
genere che non esiste da noi, ma che per l'animazione jappo è da
sempre un'ottima fonte. Al punto che a volte vengono trasposti
specifici archi narrativi di un'opera sbattendosene di narrare, per
esempio, i primi capitoli. Da light novel sono arrivati anime
curiosissimi come la malinconia di Harumi Suzumiya (commedia,
fantascienza, sentimentale) e Boogiepop Phanthom (dramma,
fantascienza, horror) (entrambe in dvd by Dynit), roba così strana e
borderline, nonostante di grandissima fama e successo in Giappone,
che si fa davvero fatica a stringere in un genere narrativo. Nello
specifico, dovendo sceglie per SAO un genere predominante, mi sento
di legarlo al genere sentimentale-drammatico, con le altre componenti
tutte equidistanti in secondo piano. Sword Art Online è una light
novel, di circa 12 volumi per ora, che ha contagiato un po' tutti i
media nel 2012. Vanta per trasposizioni qualcosa come tre manga, ha
all'attivo un videogame per psp (solo in giappolandia reperibile
ovviamente). Quest'anime che oggi propone Dynit costituisce quindi
solo una parte dell'opera, pertanto (anche in ragione del successo
riscosso in Giappone nel recente) un sequel è probabile.
Ma così espresso
tutto il potenziale narrativo, com'è stringi stringi questo anime?
La realizzazione è affidata a A-1 pictures, studio legato alla Sony
Music Entertainment Japan. L'impostazione dell'opera ricorda
direttamente i classici giochi di ruolo giapponesi (non Final
Fantasy, ho più in mente Disgaea), pertanto viene scelto un
approccio piuttosto minimale – convenzionale. La caratterizzazione
dei personaggi è carina e a tratti pucciosa, idonea a conferire
all'anime un'atmosfera rilassante, ottima a supportare le scene più
espressamente comiche, anche se qua e là si avverte la sensazione di
già visto. Le musiche sono orecchiabili e il mondo narrativo appare
colorato e vivace. L'animazione segue la rotta minimalista, ma
tuttavia è buoni guizzi e permette di empatizzare con i characters.
Lo scenario è purtroppo spesso drammaticamente statico e vuoto,
effetto di uno sforzo produttivo contenuto, i mostri sono molto sui
generis e spesso paiono colorati da un daltonico, la computer grafica
interviene, ma non sempre lo fa in modo efficace. Ciò non toglie la
gradevolezza generale dell'insieme, la carineria dei fondali, la
gioiosa tavolozza dei colori impegnata, ma la sensazione è di
trovarsi di fronte ad un'opera non al passo con i tempi. Ma chissene.
Il punto forte di SAO è la trama e le suggestioni che la stessa
suscita, come sopra accennato. È per la trama che SAO è un anime
interessante, coinvolgente e decisamente da seguire, nonché il
motivo per cui ha ricevuto tanta fama il Giappone. È piuttosto
facile immedesimarsi nei personaggi, affezionarsi alle loro piccole
vite e patire la loro triste condizione. Ecco uno dei casi in cui si
può dire: “se c'è la storia, c'è tutto”. Tuttavia c'è da fare
una ulteriore doverosa precisazione. L'anime è diviso in due archi
narrativi. Il primo arco è stato accolto, più o meno da tutti i
fan, come una delle massime espressioni della narrativa
fantasy-fantascientifica-sentimental-action-drammatica-equelchevepare.
Il secondo arco ha completamente spaccato in tre i fan: quelli a cui
ad ogni modo piace, quelli a cui non piace ma sopportano e quelli che
lo detestano a tal punto da fargli schifare anche la prima parte
dell'anime. Questa discussione vorrei però affrontarla con voi nel
modo solito con cui abbiamo scelto di parlare di ogni cosa su questo
blog: se ne parla nei dettagli solo quando l'opera è reperibile
(film al cinema, home video, scritto, game ecc.) in lingua italiana.
Su richiesta di un amico faccio uno strappo alla regola, pertanto il
prossimo paragrafo è di Spoiler e leggibile solo da chi lo voglia
consapevolmente cliccandoci sopra.
Inizio spoiler: arrivato al capitolo 15 ero abbastanza soddisfatto di
quanto avevo visto, salvo un paio di capitoli sul “parlare con i
morti”, piuttosto pallosi, e in parte la storia della
ragazzina-programma, smielata all'eccesso. Non che io sia un
“insensibile”, la puntata natalizia mi ha sinceramente commosso,
ma quando è troppo è troppo! Puntata 16-17-18 cambio di prospettiva
un po' traumatico. Nuovi personaggi interessanti, si fa largo una
sensuale pulsione verso il proibito, i giocatori ritornano a
rivestirsi di avatar, nascondeno la loro identità e permettendo di
identificare il gioco come sogno-pulsione (non è solo il volare, è
anche il nascondere il reale). Il fatto che ora si possa entrare e
uscire dal gioco, ma che di fatto si preferisca starci, sottolinea il
persistente desiderio di fuga dalla realtà, nonostante i pericoli
che questa fuga comporta, pericoli evidenti alla luce dei fatti più
recenti. Trasgredire, mettere in pausa la realtà per nascondersi in
un gioco, questa la nuova chiave di lettura. I giocatori sono
giocoforza più viscidi, giocano quando vogliono spadroneggiando i
forti ai danni dei deboli, non esiste più nemmeno uno scopo, come la
prima parte dell'anime, non esiste solidarietà, giocare è volere
scientemente partecipare ad una comunità di stronzi vestiti da
fatine. Ma giocare con gli specchi, osare ciò che non si potrebbe
nel reale, è stimolo per pagare il biglietto. L'erotismo che deriva
può in effetti shoccare alcuni spettatori della prima ora, ma il
fattoi si possa diventare integralisti dopo aver visto 15 puntate di
un anime mi pare ad ogni modo un eccesso. Questa seconda parte è
speculare alla prima, evidenzia i difetti del mondo virtuale da una
prospettiva che la prima parte non poteva raggiungere. L'animazione è
sempre elevatissima e trova nuovi stimoli nel contrapporre il
plastico mondo degli avatar di gioco in contrapposizione con i volti
scavati dei personaggi reali. Interessante quindi, ma spiazzante, più
cinico e forse per alcuni spettatori “più vuoto”. Posso capire
che a molti non sia piaciuta questa parte, ammetto che ha
destabilizzato anche me, ma nel contempo mi sembra che con 15 episodi
la prima parte aveva di fatto, per come era stata progettata,
esaurito gli stimoli. Avrei gradito vedere magari qualcuno che
dall'esterno cercava di entrare nel mondo prigione, magari le
autorità che torchiavano il programmatore pazzo, ma l'opera non ha
mai nutrito interesse per questi temi (almeno finora), ha sempre
preferito dedicarsi solo al mondo virtuale di gioco e quindi con il
15 era fisiologicamente conclusa. Il secondo arco porta stimoli
diversi e pertanto l'ho apprezzato, pur non urlando al capolavoro.
Fine Spoiler
SAO rappresenta
quindi, pur nei limiti, un'opera in grado di far parlare di sé, in
grado di suscitare anche vivaci dibattiti, di certo non un prodotto
anonimo. Trovo bello che Dynit abbia scelto di portarla sui nostri
lidi e aspetto con interesse una messa in onda televisiva e una bella
raccolta in blu ray.
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