Ci
troviamo nei sobborghi operai della periferia di una Madrid dei giorni nostri,
nelle case di chi vive ai margini della società, a volte con un lavoro pagato
con quattro euro all’ora. Se poter
comprare una casa con un mutuo una volta era un duro ma sopportabile
“investimento sul futuro”, a seguito della grande recessione mondiale del
2007-2013 (a cui oggi si è sommata la crisi energetica e sanitaria) il sogno si
è trasformato in incubo. Il costo della
vita è schizzato alle stelle, con un tasso di interesse richiesto dalle banche
che in Spagna ha subito rincari mensili vicini al 50%, esponendo le fasce della
popolazione più povere a una incertezza abitativa che si è espressa in 40.000
sfratti per morosità all’anno, con la media di oltre 100 sgomberi giornalieri.
Inoltre il sistema spagnolo da sempre prevede, anche nel caso in cui sia la
banca stessa ad esercitare un’ipoteca, che chi ha contratto il mutuo resti
responsabile per il suo debito se la vendita non consente all’istituto di
rientrare nella disponibilità di tutto il capitale prestato, con tutti gli
interessi maturati. Questo ha creato in breve tempo dei veri e propri schiavi
economici: persone sempre a un passo dal vedersi pignorata l’abitazione,
impossibilitati a pagare il prestito anche con tre lavori e con la spada di
Damocle di servizi sociali sempre pronti a mettere in affidamento ragazzini
lasciti soli a casa da genitori assenti “per lavorare”, magari anche di notte.
Con lo Stato che non riesce a realizzare delle efficaci politiche sociali, una
speranza di difesa per le classi meno abbienti viene dall’associazionismo, con
la formazione di strutture volontaristiche come la “Piattaforma dei colpiti da
ipoteca”. La giornata dell’avvocato e attivista della Piattaforma Rafa (Louis Tosar) inizia all’alba, con le
incombenze di accompagnare nella mattina il figlio “acquisito” Raul (Christian
Checa) all’autobus per una gita scolastica di qualche giorno, essere nel
pomeriggio vicino alla moglie in ospedale per l’ecografia del loro nuovo nascituro
e nel mentre rendersi disponibile per delle pratiche legali. Mentre sta
accompagnando il figlio, Rafa deve fare
però una piccola deviazione: passare a
consegnare una bombola del gas a una ragazza di origine araba che abita in una
casa popolare. Solo che Rafa viene anticipato dalla polizia e dai servizi
sociali, che stanno portando via la figlia della donna, su segnalazione della
scuola. La ragazzina di solito sta dalla vicina di casa ma questa ora non c’è e
la madre, via per lavorare come donna delle pulizie, è irreperibile. In una corsa contro il tempo
Rafa deve trovare il luogo di lavoro dove rintracciare la donna che non risponde al cellulare (forse non avendolo), capire dai suoi contatti dove sarà portata la figlia dai servizi, cercare nel mentre di occuparsi di suo figlio che per via della
deviazione ha perso il bus e ora è con lui per tutto il giorno e nel mentre
fare tutto il resto. Se la giornata di Rafa parte in salita, il mattino di
Azucela (Penelope Cruz) inizia insieme al volontari con degli striscioni, per una protesta davanti alla sua banca, per
chiedere di ritardare il suo sfratto, che sarà esecutivo nelle future 24 ore.
Azucela ha un figlio piccolo e lavora in un supermercato, ma da quando il
marito ha perso il suo lavoro non riescono più a tirare a fine mese e dopo la
casa potrebbe arrivare anche l’affidamento. A partecipare all’evento è tutta la
Piattaforma tranne suo marito Manuel (interpretato dallo stesso regista Juan
Diego Botto), che ritiene umiliante che la loro situazione sia sbandierata in
pubblico e piuttosto che stare con lei a protestare fa il manovale sottopagato
come German (Font Garcia), il figlio di Teodora (Adelfa Calvo). Dopo il fallimento di una
attività appena aperta, i debiti di German sono ricaduti anche sulla madre,
mettendo a rischio anche la sua abitazione. Ora lui ha troppa vergogna per
tornare a casa, vivendo in un appartamento-dormitorio insieme a degli
immigrati. Nonostante la madre lo chiami tutti i giorni chiedendogli di tornare
a casa lui non risponde, è come bloccato. Per la prima volta tanto vicino al
lavoro del padre, Raul non capisce perché Rafa si dia tanto da fare per persone
che in fondo non conosce, coinvolgendosi al punto da mettere del tutto da parte
se stesso, lui e sua madre. Nel mentre Azucela si prepara sempre più al momento
dello sgombero, quando i poliziotti saranno pronti in assetto anti-sommossa
sotto la sua casa.
È
un film amarissimo, dove la voce del personaggio Cruz che urla “vergogna” nelle scene della
carica dei poliziotti sa colpire come uno tsunami se non le “istituzioni reali”
almeno il cuore del pubblico, come un frastuono terribile ma anche come una
“sveglia”. Una sveglia a cui risponde come può un personaggio come il Rafa di Tosar,
che in vent’anni di “cinema in ostaggio dei cinefumetti” è qui quasi un
supereroe reale, qualcuno in cui un pubblico in cerca di “cosa fare da grande”
può davvero identificarsi per trovare uno scopo nella vita, magari
instradandosi in percorsi di studi che possono davvero incidere nel sociale. È
sotto questo aspetto che il film trova una sua anima ulteriore, raccontandoci
in positivo qualcosa di cui abbiamo bisogno anche qui, perché l’Italia non è
troppo diversa dalla Spagna dipinta da Botto, anche se spesso preferiscono non
raccontarcelo. Nel 2021 per le statistiche abbiamo avuto 38.163 sfratti per
morosità, con 33.000 casi in cui è stata chiesta la forza pubblica per lo
sgombero. Abbiamo anche noi bisogno di avvocati, volontari e operatori sociali
forti quanto quelli descritti nella pellicola di Botto. Persone di cui già
disponiamo ma di cui non ce ne è mai abbastanza. Se il film è quindi una doccia
fredda su una realtà che potrebbe essere vicinissima a quella del nostro paese,
Tutto in un giorno riesce anche a parlarci di una società che non si arrende e
prova a reagire, contagiando anche le nuove generazioni verso uno sforzo comune
che parla di inclusione e rispetto dei diritti umani. Un “domani” che Botto ci
racconta attraverso il ben riuscito personaggio di Raul di Christian Checa: un
figlio che fa fatica a relazionarsi con un padre spesso assente ma di cui
inizia a comprendere il mondo e il modo di agire grazie all’esempio, seguendo
quanto fa Raul nel corso della giornata che passano insieme. E questo il
regista lo fa senza mettere in bocca ai personaggi in modo didascalico proclami
o discorsi motivazionali, usando lo stile solido e documentaristico con cui si
raccontano le storie vere: descrivendo i fatti e le azioni concrete e
spontanee, evitando iperboli. Una narrativa essenziale, quasi neorealista, che
si sposa felicemente con una fotografia naturale, resa magari ruvida dalle
telecamere digitali e da un accompagnamento
sonoro che raccoglie i rumori di fondo della città, con poca musica e
tanto brusio di fondo. Il ritmo è
incalzante ma la pellicola sa anche in certi momenti decelerare, “abbassare il
brusio”, prendere i suoi tempi e trovare una fugace poetica malinconica. Dare
voce a personaggi che sanno raccontarsi velocemente, con quasi il pudore di non
annoiare. In questo senso la piccola scena in cui il personaggio di Raul si
sofferma a parlare con la attivista Alejandra interpretata da Nur Al Levi,
quando nella città è ormai notte e i rumori sono solo lontani, risulta
coinvolgente e quasi romantica. Un contrappunto ricercato alle scene che
seguiranno con al centro la Cruz di Azucela, per la quale quel clima di
silenzio momentaneo diventa attesa di uno scontro prima nelle mura di casa e
poi “contro il mondo”. Uno scontro che in un crescendo dal sapore quasi epico
partirà alle prime luci dell’alba, prima con i suoni delle camionette e dei
poliziotto in tenuta di assalto e poi con l’onda di voci dei manifestanti che
invadono le strade.
Botto scrive e dirige un film molto potente, drammatico ma al contempo in grado di dare speranza. Si affida a un cast di attori perfettamente in parte, ci racconta le vicende con ritmo e senso dell’azione senza dimenticare mai di descrivere un contesto reale quanto vivido, spietatamente burocratico e istituzionalmente farraginoso. Un film su cui riflettere, anche ragionando sul fatto che pure qui in Italia non ce la passiamo benissimo.
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