Siamo nell’Inghilterra del 1980, dalle parti della contea del
Kent, nella cosiddetta penisola di Thanet. Il nome “Thanet” si dice possa
derivare dal linguaggio celtico e significhi “isola luminosa”. Nella città di
Margate, nei pressi della costa, è situato una gloriosa e un po’ decadente
“isola di luce” come il cinema Empire. È situato all’interno di un palazzo di
molti piani che potrebbe ospitare centinaia di persone, ma molte delle sale
sono ormai chiuse da anni, con l’ultimo piano, che un tempo ospitava il
ristorante e la sala da ballo con musica dal vivo, ormai con il tetto
divelto, ridotto per lo più a una diroccata piccionaia. Il direttore Donald Ellis (Colin Firth) è un
uomo vanitoso e determinato a riportare la struttura in auge, puntando tutto
sulla grande anteprima del film Momenti di Gloria (Chariots of Fire) che avrà luogo all’inizio del 1981, dopo che
è riuscito a sottrarla alle più famose sale di Londra. All’evento saranno
presenti regista, interpreti e un gran numero di personalità di spicco.
L’Empire deve essere tirato a lucido e per dirigere i lavori la persona più
indicata è la vice-direttrice Hilary Small (Olivia Colman), con la quale Ellis
vive uno strano rapporto fatto di complicità e distacco. Hilary ha quarant’anni
ma dal suo modo curvo di camminare e dallo sguardo spesso rivolto verso il
basso ne dimostra molti di più. Ha un carattere un po’ rigido e predilige una vita solitaria,
scandita con rigore assoluto dai tempi della sua sveglia. Si occupa delle
pulizie delle sale, degli snack, dei biglietti e coordina il personale in modo
gentile, anche se sempre un po’ distaccato. La sera predilige la postazione
della biglietteria che dà sulla strada, dalla quale può guardare le persone che
camminano sul pontile che affianca la costa. È piena di attenzioni per il
proprio lavoro, ma non è mai riuscita a vedere in sala un solo film. Ha troppe
mansioni da fare durante le proiezioni, per garantire che le persone che
scelgono di passare il loro tempo all’Empire abbiano la migliore esperienza
possibile. Qualche volta ama trascorrere il suo tempo all’Empire anche oltre
l’orario di chiusura, considerando il cinema ormai la sua seconda casa. Per
infoltire lo staff viene assunto Stephen (Michael Ward), un ragazzo di colore
sulla ventina che vuole racimolare qualche soldo per andare al college.
Gentile, volenteroso e abbastanza forte per trasportare le pesanti bobine,
viene presto scelto per affiancare l’anziano macchinista Norm (Tobey Jones)
nella gestione della sala di proiezione. Incuriosito dalla grandezza dello
stabile dell’Empire, Stephen un giorno si fa guidare fino all’ultimo piano da
Hilary, dove i due decidono di soccorrere un piccione rimasto ferito a un’ala.
In breve tempo tra la donna e il ragazzo nasce un affetto che va oltre la
differenza di età e il colore della pelle. Stephen riesce a far ballare
Hilary sul tetto dell’Empire nella notte di Capodanno e in pochissimi giorni
lei sembra progressivamente ringiovanire e lasciarsi trasportare dalle
emozioni. Tuttavia la situazione si complica quando la donna inizia a
comportarsi in pubblico in un modo sempre più eccentrico. Questo potrebbe
essere in relazione con la volontà della donna di sospendere il litio, un
farmaco che assume da molto tempo. Una scelta consapevole che Hilary compie
per poter vivere appieno le emozioni uscendo dalla “anestesia emotiva” indotta
da quella cura. Il rapporto in breve tempo si incrina e Stephen, ferito gravemente proprio al
cinema, nel corso di un corteo a margine di una manifestazione a sfondo razziale,
sta pensando seriamente di abbandonare in anticipo l’incarico. Riuscirà un
posto magico come l’Empire a “risorgere all’antico splendore” e ad aiutare Hilary
e Stephen a superare questi momenti di difficoltà?
Empire of light è un film dedicato “a chi il cinema lo fa
dietro le quinte” e Sam Mendes lo scrive e dirige come una delle sue pellicole
più romantiche e malinconiche. Nel personaggio interpretato meravigliosamente
da Olivia Colman rivivono molte suggestioni e rimandi “dichiarati” a una
pellicola come Oltre il giardino di Hal Ashby. Per il personaggio di Hilary
come per l’indimenticabile maggiordomo interpretato da Peter Sellers vale la
massima “la vita è uno stato mentale”. Uno stato mentale che potrebbe
accomunare anche il Pianista sull’oceano di Tim Roth, il maggiordomo di Anthony
Hopkins di Quel che resta del giorno e molti altri personaggi e persone reali
che vivono con compostezza e rigore “al servizio degli altri”, specie se legati
(e spesso quasi incatenati emotivamente) a un luogo per cui sacrificano molto
del loro mondo personale. È uno stato mentale che per Hilary è ulteriormente
difficile gestire, perché il disturbo bipolare di cui soffre le auto-impone per
la sua salute di castrare (necessariamente) le sue emozioni con le medicine,
condannandosi a una “doppia” esistenza da “spettatrice del mondo”.
È un diverso “stato mentale” quello che vive il personaggio
di Stephen, interpretato da Michael Ward, che si trova nella infelice
condizione di essere una persona di colore in un momento storico in cui la
sottocultura skinhead era tornata in voga, con l’appoggio esterno di alcune
frange dei movimenti nazionalistici inglesi. Il piccolo mondo dell’Empire
costituisce per Stephen una oasi dove lui viene tutelato al pari degli altri
dipendenti, dove tutti si schierano a sua difesa anche quando qualcuno di
ostile si presenta in sala. Ma questa protezione purtroppo non sempre riesce ad
essere efficace, con Mendes che decide di descrive senza fronzoli una cruda
scena di aggressione in cui perfino il “potere del cinema”, inteso come un ideale
baluardo della cultura moderna, non riesce a resistere a una “invasione” brutale
quanto efferata. L’Empire cerca quindi di essere al meglio un luogo di
accoglienza e rifugio e nel corso della visione è facile affezionarsi al suo
rassicurante pavimento a righe, al buio avvolgente delle sue sale e alla
piccola sala di proiezione, piene di bellissimi memorabilia sulla settima arte.
Nel personaggio di Tobey Jones è facile riscontrare in questo qualche
affettuosa similitudine con di Philippe Noiret di Nuovo Cinema Paradiso. Non so
quanti sistemi home theatre siano oggi
in grado di trasmettere il calore di un cinema come l’Empire o di un cinema in
genere, ma il film di Mendes ci offre una bellissima storia su come le sale
hanno avuto un ruolo importante nella diffusione della settima arte. Un ruolo
che di cuore ci auguriamo possano continuare a ricoprire per molto tempo.
Molto bravi i due interpreti principali, tra i quali si
instaura presto una forte intesa. La sempre brava Olivia Colman riesce a
infondere fragilità e forza nella dolce e complicata Hilary. Adeguato il cast
di supporto, con attori che offrono delle caratterizzazioni sempre interessanti
e credibili ai loro personaggi. Un po’ di maniera l’interpretazione di Colin
Firth, ma comunque gustosa. La storia ha un andamento lento ma non risulta mai
pesante, la durata delle pellicola è sulle due ore ma alla fine della visione
sembrano quasi poche, perché si vorrebbe stare ancora un po’ di più con i
personaggi. Grazie alla fotografia che gioca spesso con le luci della notte il
cinema Empire sembra davvero un luogo magico al di fuori dal tempo.
Il nuovo film di Sam Mendes è un tenero omaggio al mondo dietro alla sala cinematografica. Un’occasione da non perdere se anche voi amate questo piccolo mondo, mai troppo celebrato e amato come meriterebbe. Olivia Colman è davvero straordinaria.
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