sabato 4 marzo 2023

Empire of light: la nostra recensione del film di Sam Mendes con protagonista Olivia Colman

Siamo nell’Inghilterra del 1980, dalle parti della contea del Kent, nella cosiddetta penisola di Thanet. Il nome “Thanet” si dice possa derivare dal linguaggio celtico e significhi “isola luminosa”. Nella città di Margate, nei pressi della costa, è situato una gloriosa e un po’ decadente “isola di luce” come il cinema Empire. È situato all’interno di un palazzo di molti piani che potrebbe ospitare centinaia di persone, ma molte delle sale sono ormai chiuse da anni, con l’ultimo piano, che un tempo ospitava il ristorante e la sala da ballo con musica dal vivo, ormai con il tetto divelto, ridotto per lo più a una diroccata piccionaia. Il direttore Donald Ellis (Colin Firth) è un uomo vanitoso e determinato a riportare la struttura in auge, puntando tutto sulla grande anteprima del film Momenti di Gloria (Chariots of Fire) che avrà luogo all’inizio del 1981, dopo che è riuscito a sottrarla alle più famose sale di Londra. All’evento saranno presenti regista, interpreti e un gran numero di personalità di spicco. L’Empire deve essere tirato a lucido e per dirigere i lavori la persona più indicata è la vice-direttrice Hilary Small (Olivia Colman), con la quale Ellis vive uno strano rapporto fatto di complicità e distacco. Hilary ha quarant’anni ma dal suo modo curvo di camminare e dallo sguardo spesso rivolto verso il basso ne dimostra molti di più. Ha un carattere un po’ rigido e predilige una vita solitaria, scandita con rigore assoluto dai tempi della sua sveglia. Si occupa delle pulizie delle sale, degli snack, dei biglietti e coordina il personale in modo gentile, anche se sempre un po’ distaccato. La sera predilige la postazione della biglietteria che dà sulla strada, dalla quale può guardare le persone che camminano sul pontile che affianca la costa. È piena di attenzioni per il proprio lavoro, ma non è mai riuscita a vedere in sala un solo film. Ha troppe mansioni da fare durante le proiezioni, per garantire che le persone che scelgono di passare il loro tempo all’Empire abbiano la migliore esperienza possibile. Qualche volta ama trascorrere il suo tempo all’Empire anche oltre l’orario di chiusura, considerando il cinema ormai la sua seconda casa. Per infoltire lo staff viene assunto Stephen (Michael Ward), un ragazzo di colore sulla ventina che vuole racimolare qualche soldo per andare al college. Gentile, volenteroso e abbastanza forte per trasportare le pesanti bobine, viene presto scelto per affiancare l’anziano macchinista Norm (Tobey Jones) nella gestione della sala di proiezione. Incuriosito dalla grandezza dello stabile dell’Empire, Stephen un giorno si fa guidare fino all’ultimo piano da Hilary, dove i due decidono di soccorrere un piccione rimasto ferito a un’ala. In breve tempo tra la donna e il ragazzo nasce un affetto che va oltre la differenza di età e il colore della pelle. Stephen riesce a far ballare Hilary sul tetto dell’Empire nella notte di Capodanno e in pochissimi giorni lei sembra progressivamente ringiovanire e lasciarsi trasportare dalle emozioni. Tuttavia la situazione si complica quando la donna inizia a comportarsi in pubblico in un modo sempre più eccentrico. Questo potrebbe essere in relazione con la volontà della donna di sospendere il litio, un farmaco che assume da molto tempo. Una scelta consapevole che Hilary compie per poter vivere appieno le emozioni uscendo dalla “anestesia emotiva” indotta da quella cura. Il rapporto in breve tempo si incrina e Stephen, ferito gravemente proprio al cinema, nel corso di un corteo a margine di una manifestazione a sfondo razziale, sta pensando seriamente di abbandonare in anticipo l’incarico. Riuscirà un posto magico come l’Empire a “risorgere all’antico splendore” e ad aiutare Hilary e Stephen a superare questi momenti di difficoltà?


Oggi le sale cinematografiche stanno vivendo un difficile momento di cambiamento, in cui è giusto e doveroso riflettere sul ruolo attivo che questi luoghi per anni hanno svolto sul piano culturale e sociale. Immergersi in una sala buia dove “siamo tutti uguali” perché
 scompaiono le differenze di genere, età, razza o ceto. Lasciarsi alle spalle per un paio di ore i propri problemi personali e “sentire propria” una storia che può divertire come far riflettere, che prende forma quasi per magia da un fascio di luci. Magari mangiare caramelle o pop corn senza vedere pancia e brufoli che compaiono “con la complicità del buio”. Condividere questi momenti insieme a qualcuno che abbiamo a cuore, magari tenendo la mano alla propria ragazza. La sala è un piccolo mondo che non sarebbe tale senza una piccola comunità di persone che lavorano sottovoce, puliscono tra uno spettacolo e l’altro, staccano i biglietti, preparano i popcorn caldi e accolgono con il sorriso tutti, anche le persone più maleducate.

Empire of light è un film dedicato “a chi il cinema lo fa dietro le quinte” e Sam Mendes lo scrive e dirige come una delle sue pellicole più romantiche e malinconiche. Nel personaggio interpretato meravigliosamente da Olivia Colman rivivono molte suggestioni e rimandi “dichiarati” a una pellicola come Oltre il giardino di Hal Ashby. Per il personaggio di Hilary come per l’indimenticabile maggiordomo interpretato da Peter Sellers vale la massima “la vita è uno stato mentale”. Uno stato mentale che potrebbe accomunare anche il Pianista sull’oceano di Tim Roth, il maggiordomo di Anthony Hopkins di Quel che resta del giorno e molti altri personaggi e persone reali che vivono con compostezza e rigore “al servizio degli altri”, specie se legati (e spesso quasi incatenati emotivamente) a un luogo per cui sacrificano molto del loro mondo personale. È uno stato mentale che per Hilary è ulteriormente difficile gestire, perché il disturbo bipolare di cui soffre le auto-impone per la sua salute di castrare (necessariamente) le sue emozioni con le medicine, condannandosi a una “doppia” esistenza da “spettatrice del mondo”.


È un diverso “stato mentale” quello che vive il personaggio di Stephen, interpretato da Michael Ward, che si trova nella infelice condizione di essere una persona di colore in un momento storico in cui la sottocultura skinhead era tornata in voga, con l’appoggio esterno di alcune frange dei movimenti nazionalistici inglesi. Il piccolo mondo dell’Empire costituisce per Stephen una oasi dove lui viene tutelato al pari degli altri dipendenti, dove tutti si schierano a sua difesa anche quando qualcuno di ostile si presenta in sala. Ma questa protezione purtroppo non sempre riesce ad essere efficace, con Mendes che decide di descrive senza fronzoli una cruda scena di aggressione in cui perfino il “potere del cinema”, inteso come un ideale baluardo della cultura moderna, non riesce a resistere a una “invasione” brutale quanto efferata. L’Empire cerca quindi di essere al meglio un luogo di accoglienza e rifugio e nel corso della visione è facile affezionarsi al suo rassicurante pavimento a righe, al buio avvolgente delle sue sale e alla piccola sala di proiezione, piene di bellissimi memorabilia sulla settima arte. Nel personaggio di Tobey Jones è facile riscontrare in questo qualche affettuosa similitudine con di Philippe Noiret di Nuovo Cinema Paradiso. Non so quanti sistemi home theatre siano oggi in grado di trasmettere il calore di un cinema come l’Empire o di un cinema in genere, ma il film di Mendes ci offre una bellissima storia su come le sale hanno avuto un ruolo importante nella diffusione della settima arte. Un ruolo che di cuore ci auguriamo possano continuare a ricoprire per molto tempo.

Molto bravi i due interpreti principali, tra i quali si instaura presto una forte intesa. La sempre brava Olivia Colman riesce a infondere fragilità e forza nella dolce e complicata Hilary. Adeguato il cast di supporto, con attori che offrono delle caratterizzazioni sempre interessanti e credibili ai loro personaggi. Un po’ di maniera l’interpretazione di Colin Firth, ma comunque gustosa. La storia ha un andamento lento ma non risulta mai pesante, la durata delle pellicola è sulle due ore ma alla fine della visione sembrano quasi poche, perché si vorrebbe stare ancora un po’ di più con i personaggi. Grazie alla fotografia che gioca spesso con le luci della notte il cinema Empire sembra davvero un luogo magico al di fuori dal tempo.

Il nuovo film di Sam Mendes è un tenero omaggio al mondo dietro alla sala cinematografica. Un’occasione da non perdere se anche voi amate questo piccolo mondo, mai troppo celebrato e amato come meriterebbe. Olivia Colman è davvero straordinaria.  

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