Tra le acque basse di un corso d’acqua solitario, in una nebbiosa alba invernale, si sente solo un lento e pesante rumore di remi. Nascosto allo sguardo da rami secchi fitti simili a una infinita gabbia scheletrica, intabarrato in un cappotto pesante per non morire dal freddo su una piccola imbarcazione in legno, c’è un uomo imponente, barbuto e silenzioso (Alessandro Borghi). Si ferma al centro di una zona abbastanza ampia e immerge il capo di un bastone di metallo in acqua. Aziona una batteria girando una manopola e tutto per tre metri viene elettrificato. Decine di trote, siluri e pesci gatto, tra cui alcuni davvero enormi, affiorano riversi e ustionati dalle acque scure. Una bella pesca furtiva che il gigante barbuto può condividere con il suo branco di sodali, uomini dei paesi dell’est nati e cresciuti sui fiumi come lui, conosciuti per caso un giorno lungo un corso d’acqua e subito diventati una famiglia. Dopo tanti anni il fiume riporta il bracconiere dalle parti in cui è nato, un Delta del Po (il film è girato tra Ferrara e Rovigo) dove qualcuno un tempo lo chiamava “Elia”. Lì si trova ancora la casa diroccata in cui è nato e soprattutto un contatto sicuro, il barista Causo (Sergio Romano), che ha promesso tanti soldi per smerciare il pesce. Non staranno in zona per molto, appena Causo li pagherà saranno già altrove, magari sul Danubio.
Le coste dello stesso Delta del Po sono battute in quei giorni anche dal segaligno ingegnere quarantenne “Osso” (Luigi Lo Cascio) e dalla poco più che ventenne “Nani” (Greta Esposito), fratello e sorella appassionati della musica di Mina e militanti di una associazione a difesa dei patrimonio ittico. È un piccolo circolo di una ventina di membri con sede per combinazione proprio nel bar di Causo, un luogo situato sulle palafitte davanti al fiume al di sotto del grande ponte autostradale. Al circolo partecipano tanti attivisti barbuti e incazzati che non sono mai riusciti a salvare la flora e fauna dagli sversamenti della grande industria inquinante che ammorba il territorio. Un mostro troppo grande da affrontare con leggere carte bollate. Ma oggi la storia è diversa. Nani e Osso hanno trovato lungo fiume dei pesci ustionati da scariche elettriche, un frigorifero e forse un sospetto furgone bianco. Sono tornati i pirati di fiume del nord est. Indizi simili sono stati segnalati anche da altri militanti, al punto che si può quasi mappare una zona di pesca, magari trovare il covo e fare affidamento sul fatto che probabilmente sono pochi e isolati. Per vendicarsi. Osso invita alla calma: le autorità raccoglieranno testimonianze e foto e risolveranno la cosa. Per Nani e gli altri invece i poliziotti si presenteranno solo una volta che i pirati non si saranno più e al circolo toccherà ricominciare una lunga nuova e costosa fase di ripopolamento dei pesci. Bisogna fare qualcosa. Magari spaventarli agitando bastoni, magari con in testa un bel passamontagna per non farsi riconoscere. Gli inviti a ragionare vanno a vuoto e parte la caccia, c’è già qualcuno che parla di menare le mani. Intanto Elia giunge per caso nel bar e incontra Anna (Emilia Scarpati Fanelli), che un tempo stava insieme ad Osso ma ancora prima si ricorda di lui, quando era piccolo e viveva poco distante da casa sua. Anna si affeziona, incontra gli altri pescatori di frodo e scopre che non sono dei mostri ma poveri disperati non troppo diversi dai locali. Di colpo Elia non si sente più un fantasma del fiume e ragiona sul fatto di poter tornare a vivere lì, ma dura poco. In una spirale di rabbia e vendetta, destinata in breve tempo e irrimediabilmente a crescere, il grosso uomo del fiume sarà costretto a difendersi con le armi, diventando un vero e proprio “mostro di palude” da abbattere in una rancorosa caccia all’uomo di cui parlano anche i telegiornali. Anche il razionale Osso alla fine dovrà fare i conti con il suo lato oscuro da uomo di fiume, arrivando quasi all’insanità mentale nel tentativo di ucciderlo.
Seconda pellicola per Michele Vannucci dopo il felice esordio al lungometraggio nel 2016 con Il giorno più grande. La sceneggiatura è nuovamente scritta in collaborazione con Anita Otto e protagonista della vicenda è nuovamente il sempre più granitico e gigantesco Alessandro Borghi, qui nei panni ben riusciti di un silenzioso “Rambo di fiume”. Lo avevamo apprezzato come guerriero, titanicamente coperto di fango ne Il Primo Re, gli abbiamo voluto bene nei panni silenzioso e orgoglioso coprotagosta di Le otto montagne, lo abbiamo ritrovato anti-eroe post-atomico in Mondo Cane. Con Delta sentiamo di volergli sempre più bene come nuovo volto dell’italico cinema di genere, anche grazie all’ottimo lavoro che sta facendo sul lato produttivo la Groenlandia di Matteo Rovere e Sydney Sibillia (che nel film si ritagliano anche un gustoso cammeo da pescatori). A condividere con Borghi la scena di questo “western crepuscolare acquatico padano”, un Luigi Lo Cascio che dopo aver dimostrato grandi capacità in ambito drammatico, fin dall’esordio folgorante ne I 100 passi, ormai si destreggia con disinvoltura anche in parti “action in salsa pulp” come nella recente serie Amazon The Bad Guy. I loro due personaggi anche se appaiono sideralmente distanti per mentalità e fisico in realtà presto diventano molto simili (c’è nel film una foto di Osso da piccolo “molto potente” che rivela in qualche modo la sua aggressività nascosta), ugualmente robusti e determinati. Si dice che la coppia di attori abbia sostenuto un duro addestramento fisico nuotando nelle acque gelide del Po, non dissimile agli allenamenti che Borghi ha sostenuto a meno due gradi nudo e coperti di fango per Il primo re. Elia e Osso si cercano e confrontano a distanza per tutto il film, con i personaggi femminili (davvero molto brave la Esposito e la Fanelli) che fanno da inevitabile “Trigger” per tenerli più rabbiosi, fino a che lo scontro si fa vivido, personale e mortale, con una intensità e violenza così convincente da sembrare quasi una pellicola coreana alla Old Boy. La fotografia è davvero curata e risalta la suggestiva bellezza crepuscolare dei luoghi. il ritmo parte lento ma subito diventa incalzante, quasi convulso, l’accompagnamento sonoro è carico di pathos e rumori suggestivi ricavati in presa diretta.
Delta è un film di lotta e vendetta, se vogliamo forse stilizzato nella costruzione narrativa ma potente e convincente nella messa in scena e nell’interpretazione, che risalta lo scontro prima psicologico e sempre più fisico tra due uomini che si odiano con la più collaudata geometria della narrativa di genere più classica. Se il cinema di genere ”action” può rinascere nel nostro paese con una sua identità è proprio grazie a queste produzioni, queste storie e questi interpreti. Sono storie di cacciatori e prede che profumano della ruvida eleganza dei romanzi di Mauro Corona, ma in questo caso sanno affondare felicemente anche tra i corsi d’acqua del Cuore di Tenebra di Conrad, nei boschi fitti di caccia del Rambo di Stallone come del Tranquillo weekend di paura con Reynolds. I personaggi vivono a strettissimo contatto con la natura e il loro territorio, al punto che parlano slang stretti e gutturali, tra il padano e il veneto (molto convincenti in questo sia Borghi che Lo Cascio), dal suono per il cinema ancora misterioso e medioevale, quasi da favola nera. La fiera e quasi aliena natura dei luoghi dona incredibili paesaggi di calma e silenzio, ma è ovviamente per la maggior parte del tempo “selvaggia e matrigna”: annebbia lo sguardo, gela le ossa, risulta così avida di frutti che per questo è perennemente “contesa” tra due gruppi di uomini parimenti affamati, che danno vita a una guerra tra poveri anche solo “per un pugno di pesci”. Come a sottolineare che il bisogno di marcare il territorio è ancora oggi come in passato qualcosa di ancestrale, su cui è giusto ragionare e mediare senza ipocrisie. Le ragioni dello scontro quasi fratricida tra pirati e locali di conseguenza hanno anche un sapore di “rivalsa”, andando psicologicamente a sanare il senso di impotenza nei confronti di un potere costituito lontano e intoccabile, rappresentato tanto dalla “grande industria inquinante” che può distruggere tutto protetta dalla legge più farraginosa, quanto da uno stato di perenne povertà dei paesi dell’est ancora difficile da invertire. Tutte suggestioni dalla valenza anche politica, molto presenti e urgenti nel nostro quotidiano e che il famigerato “cinema da tinello” di Muccino e Fabio Volo non cerca manco per sbaglio di trattare. Invece il cinema di genere, tra i suoi mostri e i suoi orrori, da Carpenter a Romero ma passando anche per i cannibali di Deodato e la “provincia gotica” di Pupi Avati, Lorenzo Bianchini ha ancora oggi il potere di dare voce a questa “rabbia sociale”, anche per sua natura sconnessa e feroce, per permetterci di elaborarla interiormente anche con il linguaggio dell’avventura. Negli anni 60/70 gli spaghetti western cercavano l’avventura tra i luoghi caldi come la Spagna, ideali per simulare i deserti infiniti, paesaggistici quanto interiori, degli Stati Uniti. Ma finalmente di recente abbiamo scoperto nel nostro cinema di genere anche le meraviglie del nostro territorio più selvaggio e inospitale: dal mondo di fango e pioggia a due passi dalla capitale de Il Primo Re di Rovere alle fitte foreste del nord est di The Shadow di Zampaglione, dalla periferia romana dai palazzi quasi post-atomici di Lo chiamavano Jeeg Robot di Mainetti alle città fantasma di frontiera di Over The River di Bianchini. Delta di Vannucci come il dramma futuristico La terra dei figli di Culpellini (tratto dalla meravigliosa graphic Novel di Gipi) esplorano l’infinito potenziale simbolico dei corsi d’acqua del Po, con riprese sulle terre dal Polesine al Ferrarese, andando a scavare anche sulla storia “umana” di quei luoghi aspri e solitari. Non è un caso che la storia di Delta sia stata ispirata a Vannucci dai molti racconti e testimonianze che lui stesso ha ascoltato quando si è trovato a vivere a contatto con la provincia bolognese, ma anche dalle storie vere raccolte di un libro affascinante come Morimondo di Paolo Rumiz. Abbiamo voglia di altre storie di questo tipo e speriamo anche per questo che un prodotto ”di genere” raffinato come Delta incontri felicemente il pubblico.
Il film action-drammatico di Vannucci vanta una storia ruvida ma per nulla banale e piena di spunti di riflessione, paesaggi affascinanti e attori molto coinvolti nel progetto, che hanno dato vita a personaggi davvero convincenti. Un film divertente e pieno di sequenze visivamente suggestive che farà la gioia di ogni appassionato delle pellicole di genere. Abbiamo un nostro “Rambo di fiume” ed è un vero peccato se non andate a godervelo al cinema.
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