domenica 19 marzo 2023

Miracle (Miracle: Letters to the president): la nostra recensione del nuovo film del regista coreano Lee Jang-Hoon

Ci troviamo in una Corea del Sud degli anni '80, in un villaggio situato nella parte settentrionale della provincia di Gyeongsang. Jung Joon-kyeong (l’attore Park Jeong-min) è un ragazzo del liceo con gli occhi puntati verso le stelle e un innato talento per la matematica che potrebbe portarlo davvero lontano, magari alla NASA. Invece a scuola arriva spesso in ritardo e sembra sempre spento, stanchissimo fin dalle prime ore. Certo tutti i giorni il ragazzo prima di giungere a scuola deve affrontare una specie di “piccola avventura”, perché il bellissimo villaggio immesso nel verde dove vive non ha strade di collegamento percorribili con delle automobili o a piedi, ma solo attraverso i binari dove passano i treni. Ci sono i binari ma non una stazione ferroviaria, così i pendolari diretti in città devono districarsi in un percorso paesaggistico da sogno tra meravigliose gallerie avvolte dalla vegetazione e tre spettacolari ponti a strapiombo su una superficie d’acqua limpidissima, ma con il perenne rischio di venire travolti. I treni di linea sono in genere così puntuali e prevedibili da poter essere evitati con un minimo di programmazione, ma i treni merci sono un’incognita e qualche volta ci scappa la disgrazia. È la dura realtà con cui convive da sempre Jung Tae-yoon (Lee Sung-min) padre di Jung Joon-kyeong e macchinista proprio dei treni che percorrono quella tratta. È un lavoro che l’uomo cerca di affrontare con attenzione e scrupolo, ma che spesso gli toglie il sonno e lo costringe per lunghi periodi a stare lontano da casa. Così il ragazzo, orfano di madre, fin da piccolo cresce per lo più con il supporto di una sorella poco più grande, la sorridente Jung Bo-Kyeong (interpretata da Lee Soo-Kyung), e periodicamente scrive al presidente della Corea perché faccia per legge mettere una piccola stazione ferroviaria locale. Queste lettere per lo più rimangono inascoltate, per anni e anni, fino a che il ragazzo incontra a scuola una “musa” (impersonata dalla attrice  Im Yoon-ah ). È  ragazza che per “ il suo bene” (e perché le muse “si sentono realizzate solo facendo il bene degli altri”) decide di migliorargli la vita, spingendolo a fare qualcosa di diverso. Così Jung Joon-kyeong  per la prima volta inizia a “smuoversi” e aiutato da lei inizia per lo meno a scrivere delle lettere al presidente “grammaticalmente corrette”… perché anche questo fino ad allora poteva essere stato un problema. Con il supporto della musa il ragazzo inizia ad appassionarsi ai libri anche non di matematica, esplorando il genere “sentimentali”. Si avvicina insieme a lei ai videogame dove “bisogna imparare a correre” come Hyper Olympic di Konami, per cui la musa gli insegna il trucco di sfregare il tasto del cabinato con una monetine per andare più veloci. Poi un giorno la ragazza ispira per davvero Jung Joon-kyeong  a realizzare qualcosa “di grande” e lui si mette a progettare una specie di semaforo che rileva le vibrazioni, per capire in anticipo quando un treno si avvicina alle tre bellissime/maledette gallerie e prevenire incidenti. Lui scopre di essere capace di farlo e realizza un congegno di cu si avvalgono tutti i suoi concittadini pendolari. Poi il presidente finalmente risponde, forse per la grammatica migliore adottata. Si prospetta davvero all’orizzonte l’idea di realizzare una stazione vera e propria per il villaggio, ma lo Stato non da finanziamenti e Jung Joon-kyeong a budget zero con la collaborazione dei soli concittadini decide di crearne una su suo progetto. Anche questa impresa sembra realizzabile, forse. Peccato che ci sia sempre qualcosa di inesplicabile che nonostante l’impegno della musa impedisce ancora al ragazzo di pensare il suo futuro oltre i confini del suo villaggio, collegato con il resto del mondo. Forse ci sono prima per lui altre “sfide ingegneristiche” da realizzare, come riuscire a costruire “un ponte” che lo leghi emotivamente al padre.  

Forza quella stazione permetterà a suo padre di tornare la sera a casa e poi aiuterà il ragazzo a partire per iniziare una nuova vita. 

Riuscirà Jung Joon-kyeong a raggiungere i suoi sogni o la stazione che lo porterà verso il suo futuro non sarà mai realizzata ? 


Liberamente tratto da una incredibile storia vera, Miracle è un film che inizia quasi come una favola, prende presto i tratti di una commedia dai toni leggeri e romantici e poi si incupisce. La trama affronta il “lato oscuro dell’interiorità” e si fa dramma esistenziale e familiare, per infine rialzarsi ed elevarsi a metafora: l’immagine di una nazione la cui modernizzazione è arrivata a strappi, travolgendo o abbandonando senza troppi riguardi alcune realtà urbane. Il tutto avviene in modo progressivo e armonioso, con una “scrittura visiva” delicata, con i toni che all’inizio molto simili a un fumetto per ragazzi. Con grazia e la candida bravura dei giovani interpreti, i vari livelli narrativi iniziano a sovrapporsi in modo ordinato, attraverso una esplorazione dei personaggi che prosegue per complessità dalla descrizione dei luoghi in cui vivono all'analisi del modo in cui interiormente si sentono. Le piccole stazioni ferroviarie coreane, le cui sale di attesa sembrano soggiorni in cui sedersi in compagnia, leggere un giornale e condividere il the, diventano luoghi che legano le città come avvicinano le persone. La condizione di isolamento geografico diventa per il giovane protagonista la causa di uno stato psicologico non troppo lontano dall’Hikikomori, che la pellicola riesce a descrivere in un modo originale e ben riuscito. Molto carino il rapporto tra il ragazzo “chiuso in se stesso” e la sua estroversa “musa”, più problematico ma intenso il rapporto tra il ragazzo e un padre che cerca con grande senso di colpa di divenire un ingranaggio sempre più funzionale ed efficiente del “sistema paese”. Il film scorre veloce, con una leggera inflessione nella seconda parte, quando si passa dalle atmosfere da commedia all’esplorazione dell’interiorità dei personaggi. Il film qui quasi “si ferma a una stazione”, ma poi riparte con successo in una lunga corsa finale. 

Molto bravi gli interpreti, quasi sognanti gli scorsi paesaggistici lungo il tragitto tra il villaggio e la città, malinconica ma dai risvolti positivi la trama che va piano piano a svelarsi. 

Un film che diverte e commuove, magari esteticamente più vicino a un pubblico più giovane, ma che riesce a catturare l’attenzione anche di una fascia più generalista attraverso dei temi originali e anche profondi. 

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