Siamo in un piccolo paesino della Sicilia degli anni 60.
Lia (Claudia Gusmano) ha 17 anni, un’aria candida e un corpo
ancora da bambina. Si prepara anche quest’anno per recitare la parte di Maria
nel presepe vivente, facendo le prove davanti allo specchio con i capelli
raccolti da un velo azzurro. Sembra una piccola icona, salvo quando si arriccia
il naso per poi rivelarsi un maschiaccio. Di giorno ama zappare la terra nel
piccolo campo della famiglia insieme a suo padre Pietro (Fabrizio Ferracane),
anche se se la mamma (Manuela Ventura) non approva che si occupi di cose così
poco femminili. Ogni tanto si ferma ad osservarla mette lavora al campo Lorenzo
Musicò (Dario Aita), il figlio di un importante “uomo d’onore locale” sotto il
cui balcone si ferma pure la processione della festa rionale, in segno di ossequio.
Lorenzo piace a Lia, ma i modi bruschi del ragazzo la fanno allontanare da lui,
alimentando la rabbia del ragazzo. Pochi giorni dopo insieme ad altre tre
persone Lorenzo rapisce in casa Lia insieme al fratellino più piccolo,
picchiando nel mentre anche la loro madre. Il padre di Lia denuncia subito il
rapimento, ma il prete locale (Paolo Pierobon) arriva però a tranquillizzare
tutti. Non è il caso di chiamare la polizia, i due ragazzi si amano, glielo
hanno confidato e hanno organizzato una “fuitina”. Al loro ritorno si celebrerà
un matrimonio riparatore così l’onore della ragazza non sarà leso. Anche se Lia
non vuole, in una casetta sperduta sui monti Lorenzo abusa di lei e ora è
deciso che “devono essere come marito e moglie”. La mattina dopo la ragazza si
sente confusa e violata, con nella testa solo il ronzio incessante di alcuni
moscerini che si trovano sulla porta di quel luogo sperduto. Si sente come un
oggetto rotto, come la madonnina del presepe sgualcita che ha a casa. Pochi
giorni dopo nella casa della famiglia Musicò al gran completo, alla presenza
della famiglia di Lia, del prete e del comandante si svolge una specie
di accordo, nel quale Lia deve solo accettare la situazione e “tutto si metterà
a posto”. Solo che Lia, con davanti
ancora la madre con il volto pieno di lividi, non vuole acconsentire e Lorenzo
nell’incredulità generale viene mandato in prigione, in attesa di giudizio.
Tutto il paese si schiera con i Musicò, la ragazza viene trattata da paria, il
loro campo viene ripetutamente distrutto senza che nessuno dica niente. Tra
poco ci sarà il processo e nessuno vuole essere l’avvocato di Lia, così Pietro
decide di chiedere aiuto all’ex sindaco Orlando (Francesco Colella), un tempo
avvocato e ora ritenuto in paese una “persona problematica” in quanto dalla
storia familiare non cristallina. Ad aiutare Lia interviene anche la prostituta
Ines (la cantante Thony), le cui dichiarazioni sulla base di informazioni
ricevute da suoi clienti potrebbero fare luce sugli antefatti del rapimento. A
rendere la situazione ancora più difficile per la ragazza, l’avvocato dei
Musicò chiede che l’udienza si svolga pubblicamente, in quanto ritiene violato
il buon nome del suo assistito. Davanti a tutto questo Lia si trincera in un
muro di silenzio, è quasi decisa a non testimoniare. Potranno un avvocato
decaduto e una prostituta aiutare una ragazza che ora è ritenuta da tutti una
poco di buono, in un processo il cui esito sembra essere da subito a senso
unico?
Era implicitamente
consentito abusarne anche se minorenni se poi si accedeva a un istituito come
il matrimonio riparatore. Era implicitamente quasi permesso ucciderle se
trovate insieme a un altro uomo nella flagranza di un delitto d’onore. Nel
primo caso la donna abusata era considerata una “svergognata”, una che aveva
sedotto un uomo e poteva farlo benissimo anche con altri. Una “donnaccia” simile
a un “oggetto sociale rotto”, che non
poteva più presentarsi pura al matrimonio e doveva essere stigmatizzata
moralmente a vita. Salvo poter essere rapidamente “mondata/riparata socialmente” nel caso che a
sposarla fosse l’abusante stesso, derubricando di fatto uno stupro a una
“ragazzata commessa prima delle nozze”, secondo il costume della cosiddetta
“fuitina”. Nel caso del delitto d’onore quasi si perdonava l’uomo leso nella
reputazione e onorabilità da una “donnaccia fedifraga” permettendogli di
vendicarsi e ucciderla, magari insieme all’amante, comminandogli per il gesto
delle pene lievissime. Nel codice Zanardelli del 1889 all’art.377 si parlava di
1/6 della pena prevista per omicidio. Nel codice Rocco del 1930 tuttora in
vigore all’art.587 si parlava, fino alla riforma di pena, dai 3 ai 7 anni.
Poi le cose sono cambiate nel 1981, con la legge n.442, ma
questo è avvenuto grazie anche al coraggio di persone straordinarie come Franca
Viola. La donna che per prima, alla fine degli anni '60, ha rifiutato dopo
essere stata abusata con violenza (ancora minorenne) di convolare a nozze riparatrici con il suo
stupratore, fornendo una dichiarazione pubblica che ha fatto compiere una
doverosa rivoluzione copernicana al “concetto di onore”.
Franca sfidando la morale dell’epica dichiarò: “Io non sono
proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non
rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”. Fu un
grande passo per l’autodeterminazione femminile e a compierlo era una donna
cresciuta in un sud Italia in cui i delitti di onore erano una realtà molto
presente. Anche l’uomo che la aveva abusata era inoltre considerato,
ironicamente, per l’attività lavorativa svolta dalla sua famiglia di
appartenenza, un “uomo d’onore”.
Primadonna è un film che si ispira in gran parte alla storia
di Franca per volontà della sua regista e sceneggiatrice, la giovane fiorentina
di origini siciliane Marta Savina. È il suo primo film e il titolo di
lavorazione della pellicola è stato per lungo tempo Shotgun, ma su alcuni
siti si trova anche il suggestivo La ragazza del futuro. E sempre in tema di
donne che hanno cambiato in meglio il futuro, le riprese si sono svolte tra i
vicoli e la piazza centrale di Galati Mamertino, luogo legato all’infanzia
della regista ma anche casa di Francesca Serio, la prima donna che ha
denunciato nel 1955 la mafia per la morte del figlio sindacalista Salvatore
Mamertino, sfidando il cittadino clima di omertà. Ci sono quindi idealmente gli
spiriti di due donne molto combattive e importanti per la recente storia
italiana, ad aleggiare su una pellicola che per l’esordio nelle sale non poteva
scegliere giorno migliore dell’8 marzo.
L’attrice Claudia Gusmano, scelta per il ruolo della protagonista Lia,
ha inoltre proprio interpretato Franca Viola nel corto realizzato come tesi di
laurea dalla Savina (nel 2017 Viola, Franca, corto vincitore del Traverse
City film festival e nominato nella rosa dei migliori corti ai David e al
Raindance) alimentando ulteriormente questo gioco di specchi tra realtà e
finzione.
Dopo essere stato premiato al festival di Roma nella sezione
Alice nella Città, Primadonna arriva nei cinema dimostrandosi un film
realizzato con passione, in cui i sentimenti e le emozioni dei personaggi sono
in gran parte trattenuti, quasi strozzati da un opprimente “giudizio morale
distorto”. In una delle scene più amare e commoventi la faglia di Lia, in
attesa del processo, va in spiaggia di notte, al chiaro di luna. L’unico momento
della giornata in cui la famiglia può uscire senza essere offesa o additata, ma
anche un momento speciale in cui l’acqua del mare è calda. Molto bravo tutto il
cast, in cui si segnala una bravissima Thony nel ruolo della prostituta Ines:
di fatto un personaggio che ha molte similitudini con quello di Lia e che ugualmente
potrebbe essere “stigmatizzato” a seguito delle vicende narrate. Lontani e quasi
assenti dalla scene i “carnefici” della ragazza, come avvolti nel mantello di
una “omertosa onnipotenza”.
Duro ma anche garbato nei modi, con una costruzione della scena mia urlata e con interpreti ben calati nella parte, il film della Savina è un’opera che fa riflettere e commuovere. Il giusto film da presentare nella giornata dell’8 marzo.
Talk0
Nessun commento:
Posta un commento