venerdì 24 marzo 2023

Vera: la nostra recensione del docu-film sulla vita di Vera Gemma diretto da Tizza Corvi e Rainer Frimmel


Roma, giorni nostri. Vera è una donna che per forme e stile non passa certo inosservata, che vive il mondo della notte tra i locali notturni più in voga della capitale, quelli che ospitano Arisa e Federico Fashion Style. Ogni tanto anche lei fa le passerelle e viene fotografata con la stessa passione che si riserva ai vip. La sua giornata inizia sul tardi e passa da un provino sfortunato e l’altro, tra un fidanzato palestrato in perenne richiesta di soldi (interpretato da Gennaro Lillio) e raccomandazioni per il suo nuovo primo film e le visite ai container dove si trovano le super otto dei filmini di famiglia. Poi un giorno mentre su una strada di periferia è accompagnata da Walter (Walter Saabel), il suo solito amatissimo autista, accade un incidente. L’auto si scontra con un motorino sul quale viaggiano il carrozziere Daniel (Daniel de Palma) insieme con suo figlio Manuel (Sebastian Dascalu) di otto anni. Il ragazzino si rompe un braccio e subito viene portato in ospedale. Padre e figlio vivono una vita difficile di periferia e Vera rimane molto scossa dall’accaduto, si affeziona a entrambi e decide di aiutarli anche economicamente. I suoi amici e la sorella Giuliana cercano di dissuaderla da una frequentazione così strana ma Vera non cede sul fatto che sia giusto continuare a stargli vicino. 

Torniamo a parlare di un’opera di Tizza Corvi e Rainer Frimmel su questo blog dopo Mister Universo, recensito nel 2016. Sono una coppia artistica che nasce dalla comune passione per la fotografia, che entrambi hanno studiato alla Graphische Lehranstalt di Vienna per poi lavorare in giro per il mondo, tra New York, Parigi e Roma. Hanno una particolare passione nel raccontare nel loro cinema le storie di persone che vivono con forza e umiltà ai margini, sulla strada come le storiche famiglie circensi. Amano descrivere la gente vera e senza filtri, intorno a cui modellano delle pellicole su misura: dei docufilm in cui le persone possono raccontarsi parlando con amici, come rivivere in prima persona, assistite da attori professionisti, delle situazioni reali della loro vita. Quello che la coppia dei registi riesce a ricavare da questo tipo di trattamenti sono lavori molto pieni di calore, umanità e dotati di una spontaneità quasi rosselliniana. 


È fin dall’inizio un felice incontro quello tra Tizza Corvi, Rainer Frimmel e Vera Gemma. La vita di Vera nella Roma dei giorni nostri è vivida quanto malinconica, quasi un western crepuscolare post-industriale all’ombra dei fasti “fantasmatici” della grande Cinecittà anni 70. Una terra di frontiera tra locali notturni e sale slot, case di periferia senza acqua, mercatini dell’usato e infiniti depositi per sfascia carrozze. Un luogo che sembra lontanissimo da Via Condotti ma nel quale si aggira con la stessa calma, vestita fieramente come una drag-queen e con in testa dei coloratissimi cappelli dai colori fluo da cowgirl post-moderna, una “eroina solitaria” e anticonvenzionale come Vera. Una eroina che vorrebbe magari recitare come “tradizione di famiglia” ma ha per il cinema il volto “troppo moderno”, troppo “reinterpretato” da alcuni interventi di chirurgia plastica cui ha dovuto sottoporsi fin da bambina per volere dei genitori, inseguendo il mito dell’epoca della bellezza fisica a tutti i costi, anche tramite il bisturi. Chi non la conosce crede che sia una specie di bambola di gomma, quando poi lei parla le persone spesso si ricredono, arriva l’entusiasmo ma infine la scartano e la cosa si ripete all’infinito, come in una sorta di Giorno della Marmotta. Fuori dai set dei provini, realizzati tanto in studio che nelle impossibili cucine di registi squattrinati, la nostra eroina vive per lo più tra i ricordi e con un grande bisogno di dare affetto agli altri, perché si sente lei stessa “nata fortunata” all’interno di una famiglia diventata molto ricca grazie al lavoro di un padre famosissimo, di cui basta fare il nome per far aprire mille porte e cambiare la faccia di ogni interlocutore. Quasi fosse una specie di superpotere, il “nome del padre” diventa per Vera anche una condanna, un modello ideale di vita per lei (e forse per chiunque) quasi irraggiungibile, a cui lei giocoforza viene messa costantemente a paragone. Un peso silenzioso che Vera condivide con l’amica Asia Argento, che diventa coprotagonista in alcune scene. Le due insieme, in uno dei momenti più toccanti del docu-film, vanno a rendere omaggio in un cimitero romano alla famosa “tomba del figlio di Checov”, dove riposano le spoglie di una persona sulla cui lapide non è nemmeno indicato il nome di battesimo, ma solo la illustre paternità. Una condizione esistenziale tragica che va anche oltre la morte e che tutti coloro che sono nati da genitori “troppo grandi” in qualche modo patiscono, cercando come possono di sfuggire alla scomoda “etichetta”, onorevole quanto pesante, che Vera affronta però con il sorriso, quando chiunque la ferma per strada per farsi una foto con lei solo per via di quel nome. Il “mondo del cinema” vive nei confronti di Vera un buffo atteggiamento “ostilmente cordiale”, irrisolto, di “affettuosa distanza”. Un rapporto tra fans e operatori del settore che spesso si mischiano tra loro, che i due registi riescono a cogliere al meglio in tutte le sue più assurde e repentine contraddizioni che Vera stoicamente subisce. Come piene di contraddizioni e “non detti” sono le spesso irrisolte e burrascose relazioni sentimentali di Vera, sempre a un passo dal sembrare delle truffe affettive manifeste che lei titanicamente cerca comunque di affrontare con un altruismo e positività a senso unico. È bello pensare che nel mondo esistano persone capaci di voler bene al prossimo come fa la Vera raccontata in questo film. 

Così, quello che rimane alla fine della visione è il quadro umano molto tenero di una donna combattiva quanto fragile, irrisolta quanto tenacemente positiva nel suo modo di guardare il mondo. Un quadro che grazie dalla grande perizia tecnica di Tizza Corvi e Rainer Frimmel ci viene raccontata in una pellicola fresca, ben ritmata, con degli interpreti così ben calati nella parte da non permetterci quasi di distinguere i personaggi reali dagli attori. Davvero bravissimo il piccolo Sebastian Dascalu. In una colonna sonora molto ricca di classici della musica pop Italiana la voce di Loredana Bertè si sintonizza al meglio nel raccontare la vita generosa e difficile di una donna come Vera. Il film scorre molto veloce, diverte e commuove.

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