mercoledì 23 ottobre 2019

Ad astra : la nostra recensione di un film un po' deprimente



- Sinossi fatta male: Futuro imprecisato. Ci sarà vita su Marte? Su Marte magari no, ma su Nettuno per me di sicuro!! Con questa convinzione e una incontenibile voglia di esplorare lo spazio che ci poteva essere solo trent'anni fa, l'astronauta di Tommy Lee Jones parte con astronave ed equipaggio spaziale in cerca di omini verdi. Trent'anni dopo, con l'incontenibile voglia di esplorare lo spazio del tutto scemata, gli spazianoidi terrestri si sono ridotti alle solite cacatine come aggiustare continuamente la Stazione Spaziale Internazionale, sistemare quel satellite del cellulare di Rovazzi e roba così. Con Tommy Lee Jones che si fa sentire sì e no per l'October Fest o forse è morto, con suo figlio interpretato da Brad Pitt, cresciuto anche lui cosmonauta, che magari vorrebbe chiedere alla NASA di andare a trovarlo per portargli le lasagna di nonna ma niente, la benza spaziale costa e soprattutto l'emotività di un figlio che vuole vedere un padre è oltre il rischio previsto dal piano assicurativo aziendale. In pratica mente Tommy Lee Jones potrebbe fare i suoi incontri ravvicinati e vivere come in Star Trek, Brad Pitt è sottoposto dalla stupidissima filiera burocratica terreste ad una serie infinita di "certificazioni di qualità dell'astro-ganzo", che implicando controlli su battiti al minuto, test psicologici, momenti registrati di auto-analisi del dramma interiore di una vita senza aver conosciuto il padre, videomessaggi archiviati per  mantenere la relazioni con la ex moglie. Non passi i test e niente benza spaziale, torna a riparare il pannello solare inter-atmosferico di Rovazzi (che alla fine è la versione hi-tech di quelli che lavano dall'esterno i palazzi di New York). Poi succede qualcosa, da Nettuno arrivano fino alla terra delle scariche energetiche misteriose che mandano in tilt tutte le astro-fesserie nostrane. Le sparerà un Tommy Lee Jones ammattito? Saranno gli omini verdi? Nel dubbio la Nasa manda il figlio su Marte, il pianeta più vicino dal quale si può inoltrare un messaggio per Nettuno, per comunicare al padre "ti voglio bene, non fare il pazzo". Se le cose andranno male è già pronta una bomba in direzione Tommy Lee Jones. Come andrà la Réunion padre-figlio e possibili alieni?


-Ridatemi il mio lavoro nello spazio!!!: c'è molta negatività sul futuro in questo Ad Astra scritto e diretto da James Grey, talento che Brad Pitt come produttore aveva già scovato e impiegato per l'interessante, e ugualmente deprimete, Lost city of Zeta, da noi arrivato con il vaghissimo e anonimo titolo Civiltà perduta. Del resto non ti aspetti una gara di barzellette quando adatti per l'ennesima e sempre "diversa" volta il celeberrimo Cuore di tenebra di Conrad, già "scheletro narrativo" del leggendario Apocalypse Now di Coppola. Grey dà corpo a un'ambientazione affascinante, una specie di fantascienza di frontiera alla Captain Harlock con i piedi ancora saldamente piantati nella fantascienza reale. Ci sono i Rover visti anche nelle missioni Apollo, ma si possono utilizzare per inseguimenti sulla crosta lunare dal sapore di assalti alla diligenza, ad opera di fantomatici pirati spaziali. Gli spazioporti sono luoghi angusti pieni di corridoi, ma hanno un'anima pop come le architetture marziane, i cartelli colorati e la varia umanità presente di Total Recall - Atto di Forza. Si possono trovare in giro per il cosmo astronavi con a bordo scimmie spaziali per la sperimentazione scientifica, ma chi può dire se sono tranquille o hanno subito una evoluzione/mutazione come gli spazianoidi in Gundam o come i primati sottoposti alla cura per l'alzheimer in Il pianeta delle scimmie? Grey gioca con questi elementi, che devo dire colpiscono molto la mia immaginazione di ragazzino nato nei '70, straconvinto da piccolo che nel 1998, massimo nel 2000 sarei andato a lavorare nello spazio. Dico di più, Ad Astra è tutto il "minimo" che mi aspettavo dal futuro, in un 2019 distopico alternativo al nostro, quando guardavo in TV Spazio 1999, Star Trek, 2001 - Odissea nello spazio. Poi il futuro è andato da un'altra parte, sulla super-iper-comunicazione, la condivisione dei dati, una versione incredibilmente accettata dell'Orwelliano grande fratello, ritenuto "socialmente" impossibile solo pochi mesi nel dibattito scaturito dal Truman Show di Andrew Niccol. Niccol che già riempiva la fantascienza moderna delle ossessioni eugenetiche, in parte riprese anche in questo Ad Astra (con le manie dei controlli diagnostici sulla affidabilità di Brad Pitt), bene illustrate dal suo Gattaca. Abbiamo quindi un futuro ideale, "positivo e immenso", quello che ci vede esploratori spaziali, curiosi e positivi ultra "esterofili diremmo", che si sconta con un futuro concreto, "piccolo e angusto" con l'uomo ultra-piegato su se stesso, senza fuga dal controllo sulla sua vita, dall'inquinamento, dalla sovrappopolazione "percepita" a monte di risorse sempre più esigue. Gray affronta questo scontro di modi di pensare in modo intelligente quanto cinico, raccontando quella che agli occhi di alcuni di noi appare come l'"occasione persa dello spazio". Voglio consigliarvi un piccolo libro a fumetti satirico, edito in Italia da Mondadori Ink, Moon Cop, scritto e disegnato dal simpatico Tom Gauld. Si racconta di come stiamo rinunciando al sogno spaziale, ponendo un enorme interrogativo sul fatto che qualcun altro in futuro possa intraprenderlo, per il fatto che "non conviene perché nello spazio non c'è ancora nulla di utile", "è troppo costoso", "ci siamo già stati sulla Luna nei '60, è pericoloso andarci e lì non c'è più nulla da fare", anche se abbiamo per andare sulla Luna ora tecnologie 50 anni più evolute. 


- Conclusione: Ad Astra ha molte scene davvero spettacolari, un impianto narrativo solido e a tratti di stampo quasi psicoanalitico, una colonna sonora bella pomposa, ottimi interpreti e un paio di trovate narrative interessanti. Qualche volta appare un po' lungo, anche se la lentezza è una delle precise chiavi espressive che sceglie. Dopo un lungo viaggio un questo cuore di tenebra spaziale ci si aspetta Marlon Brando e Tommy Lee Jones non è Marlon Brando, perché "Marlon Brando è sempre lui, solo lui", come canta Luciano Ligabue. Lungi dall'essere un disastro, l'ultima parte della pellicola per questo è al contempo la meno riuscita quanto il manifesto morale della fantascienza di Gray. Può non piacere ma non lascia indifferenti. A fine visione consiglio di vedere qualcosa di particolarmente leggero e positivo prima di chiudere la serata senza volersi suicidare. Ecco, magari non il film del Joker.
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1 commento:

  1. Ma la vera domanda è: che cacchio vai a cercare omini verdi su Nettuno che lo sa anche mia nonna che non c'è uno straccio di vita nel Sistema solare?

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