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Sinossi fatta male: Arthur (Joaquin Phoenix) è un ragazzo non più giovane che
ogni giorno ingoia la sua vita
di "pagliaccio a pagamento", un calcio dopo l'altro. Probabilmente
nella scalcinata ed iniqua Gotham degli anni '70, non diversamente dalla New
York del grande blackout del 1977, c'è davvero poco da ridere, c'è tensione
nell'aria. Qualcuno che "ride per lavoro" può forse irritare e irrita
ancora di più se non sembra "trattenersi", se sembra che derida il
prossimo. Arthur fa il pagliaccio e inoltre ha una malattia mentale che, oltre
a riempirlo di farmaci per non impazzire, lo fa ridere senza volerlo. Per colpa
di questa "doppia condizione" Arthur prende i calci. Da adulti, da
bambini, dalla burocrazia, colleghi, tutti! Un sacco di calci. Più calci
prende, più ride. Anche se la risata esce con un rantolo di vomito, anche se è
accompagnata dal sudore e dagli occhi persi di Arthur nel temere costantemente
il peggio, nel prepararsi al prossimo calcio. Arthur ride e il suo corpo
segaligno, quasi già piegato su se stesso per problemi alla schiena, è una carta geografica di ecchimosi. Un amico pagliaccio gli offre una
pistola per difendersi mentre lavora. Ad Arthur piace, tutto di un colpo, avere
quel potere, se la porta dietro come una coperta di Linus, anche dove non
dovrebbe. Arthur usa quell'arma mentre sta di nuovo a terra a prendere calci,
dopo aver difeso una ragazza da tre bulli della elite di Gotham. Qualcosa
allora si rompe in lui. Quelle risate che si facevano strada dalle viscere
contuse del suo corpo e della sua anima hanno conquistato del tutto la testa,
dando forma a una nuova identità dentro ad Arthur. Nasce così Joker e la sua
risata trova forma, e non paura, nella violenza. Presto arriva il tempo
che Joker si imponga come il nuovo comico numero uno di Gotham, magari
scalzando il precedente re della risata (Robert De Niro) che ogni sera dalla
TV riscalda le case della tartassata Gotham.
- Arthur
e le sue prime lezioni di danza con il diavolo nel pallido plenilunio: Chi
conosce i fumetti di Batman saprà bene come questa pellicola potrà andar a
finire e probabilmente si esalterà nel constatare quanto questo Joker peschi
dalle opere di Alan Moore, tra Killing Joke del 1988 e (inaspettatamente) V
per Vendetta del 1982. Chi non conosce i fumetti si stupirà magari del fatto di
aver assistito a un'opera tratta da un fumetto, perché questa ultima, dolorosa
e bellissima, pellicola di Todd Phillips è un dramma metropolitano che può
stare senza troppi problemi dalle parti del cinema di Martin Scorsese, dato il
modo in cui pesca ad ampie mani (e con intelligenza) da Taxi Driver e Re
per una notte. Un film che parla del passato, rievocando quel terribile
blackout del 1977, ma che rimane terribilmente attualissimo, affrontando
di petto temi scomodi ancora oggi, primo tra tutti il tanto vituperato
"sociale". Arthur ha tanti problemi, ma si muove tra servizi sociali
e ospedali psichiatrici con i fondi tagliati, personale impotente e zero
prospettive per il futuro. Joker è figlio di quel sistema e della cattiveria
che nasce dentro tutto coloro che avrebbero bisogno di un aiuto, ma che lo
Stato non può (o non vuole?) aiutare. Se Batman per Gotham è il babbo natale
della giustizia, in questo film Batman sta colpevolmente assente. Batman non
esiste come non esistono le favole, anche se i più attenti ai fumetti (a cui
sono dedicate alcune scene chiave intelligentemente sussurrate) magari possono
sognare che è solo una condizione transitoria: "Batman non esiste (ancora)". Sta di fatto che per la pellicola il Joker esiste e può essere
chiunque. Forse per fermarlo dallo "scoppiare" basterebbero piccolo
gesti di umanità, ma sembra che il mondo non sia disposto a fare nemmeno
questo. Del resto il noto ospedale psichiatrico Arkham di questa pellicola non
fa distinzione per i suoi degenti, che siano folli, che siano pericolosi, che
siano soli. La follia è solo la conseguenza di non credere più a niente di
quello che il mondo propone e l'Arthur di Phoenix è un vero titano nel non
accettare fino all'ultimo il suo destino. Il suo Joker all'opposto è quasi uno
zombie che aggredisce per esprimersi, balla per camminare, espone i suoi primi
piccoli monologhi da "cattivo dei fumetti" con aria assente e incerta.
È un comico alle prime armi, umanamente goffo anche se assolutamente
pericoloso. È un Joker che guarda da vicino il cosiddetto
"proto-Joker", il malinconico protagonista di L'uomo che
ride del 1928 (Bob Kane creerà il Joker visivamente mutuandolo a L'uomo
che Ride nel 1940), tratto da Victor Hugo. Deve ancora comprendere il suo posto
nel mondo, imparando ad accettare il mondo con il sorriso (anche se sappiamo
che per il personaggio ridere non è da intendersi in modo ortodosso). Vi consiglio la
visione e la lettura.
- Un
Joker da Leoni: Todd Phillips continua con Joker la sua personale e satirica
indagine sui "confini morali dell'uomo moderno", su quanto
poco basti perché una brava persona regredisca in un "uomo
lupo". A volte per Phillips la trasformazione riguarda l'uso di sostanze
che abbassano i freni inibitori (la trilogia de Una notte da leoni), a volte
l'avidità che consegue a una rapida e sfrenata ricchezza (I trafficanti), a
volte il desiderio di fuggire con tutte le forze dal diventare adulti (Project
X). Per Joker il fattore scatenante è l'ingiustizia morale, che parte dagli
uffici più sbrindellati del welfare sociale e arriva alla punta delle scarpe
che colpiscono la schiena ingobbita di un Phoenix mai così disperato, mai così
vicino all'animo dello spettatore, che prima "soffre con lui" e poi
magari ritrae lo sguardo quando risulta evidente che Arthur e il suo mondo
fatto di poche illusioni positive "non c'è più". È geniale come
la scrittura di Phillips si adatti alla perfezione tanto a chi cerca un buon
film drammatico come a chi vuole il personaggio esagerato dei fumetti. Così
qualcuno tra il pubblico, magari che si è appassionato ad Arthur nella prima
parte della pellicola, anche dopo la trasformazione
"inevitabile" in Joker probabilmente non crederà a questo cambiamento
e cercherà tra le (intelligenti) vie di fuga narrative del film di darsi
un'interpretazione differente dei fatti. Per chi invece guarda alla follia che
bene incarna il personaggio del Joker a fumetti, arriverà nella seconda
parte del film tutto ciò probabilmente mancava ai fan dai tempi in cui Heath
Ledger ha indossato per l'ultima volta i panni del principe del crimine di
Gotham. Anche l'azione però segue le regole di un film thriller / drammatico
classico, non essendo previste particolari esagerazioni visive sullo stile dei
fumetti. Per un film che parla di pazzia, Phillips si scopre
incredibilmente equilibrato e appassionato nella scrittura, dando corpo al suo
lavoro migliore. Un film autorale quanto visivamente ricercato, che al contempo
non cede il passo al ritmo, sa prendere lo spettatore dall'inizio alla fine e
si appoggia ad una colonna sonora da urlo. Soprattutto un film che gode di uno
straordinario interprete in stato di grazia.
-
Joaquin Phoenix, il nuovo Joker: ne Il Gladiatore voleva sono essere amato dal
padre, l'imperatore Marco Aurelio che aveva però già deciso che non sarebbe
succeduto a lui, che ci sarebbe stata la Repubblica. In Da morire sognava solo
di stare al fianco di una donna bellissima che diceva di amarlo (La Kidman) e
e veniva da lei manipolato. In Her si innamorava di un computer (pur con la
voce sexy si Scarlett Johannson), in The Master sognava di trovare un padre nel
capo di una setta. In A beautyful day era un veterano che aveva subito abusi da
giovane e violenze da adulto alla continua ricerca di qualcuno da salvare. In Io sono qui ha scherzato sul fatto di essere lui stesso un artista
fallito. Se togliamo un paio di film da cassetta, Phoenix è uno che soffre su
pellicola spesso e questo fa di lui un bravissimo attore drammatico. Joker era
nelle sue corde e lui se lo è indossato con eleganza, lo ha fatto suo a partire
dall'aspetto segaligno che spesso faceva capolino sui fumetti. Per entrare
nella parte Phoenix si è sottoposto a una trasformazione fisica spaventosa e
distruttiva, paragonabile a quella di Christian Bale per L'uomo senza sonno.
L'attore è diventato poco più che uno scheletro, al punto che il ghigno da
pagliaccio si potrebbe attribuire alla mancanza di pelle sulla faccia. Sto
esagerando, ma forse nemmeno troppo. Phoenix regala al suo Arthur uno sguardo
innocente di bambino, un sorriso a bocca stretta e una "risata
cattiva" che nasce come una imbarazzante manifestazione isterica. È
molto tenero e molto "vero" che Arthur porti con sé dei bigliettini
sui quali è scritto che è malato e non intende deridere o spaventare le persone
quando ha un attacco in atto. Spezza il cuore che si prenda dei calci mentre
cerca di estrarre quei biglietti, perché l'attore ha fatto sua quella
patologia, con onestà e misura. Frances Conroy interpreta l'anziana e
allettata madre di Arthur. I due personaggi hanno un rapporto molto stretto,
apprensivo, su cui è interessante soffermarsi. Zazie Beetz interpreta una
energica e gentile giovane madre. vicina di casa di Arthur nello stesso
fatiscente palazzo di periferia. Arthur vive una realtà urbana caratterizzata
da forte marginalità e violenza, la cui unica via di fuga è il mondo dentro un
piccolo televisore in bianco e nero, specie nell'ora in cui il personaggio di
De Niro si esibisce in una sua versione del Letterman Show. De Niro sembra
quasi il suo personaggio "invecchiato" di Re per una notte (c'è un'allusione al fatto che abbia vissuto a lungo con la madre, come il personaggio
di Arthur), ma più cinico, indifferente. A tutti gli effetti rappresenta un
motore dell'azione e le sue scene sono sempre forti, precise nel contribuire
all'evoluzione del personaggio di Phoenix. Peccato si veda troppo poco De Niro
sulla pellicola, non basterebbe mai.
-Finale:
Joker è una pellicola che a ragione sta raccogliendo moltissimi riscontri di
critica e pubblico. Un'ottima regia supporta un interprete in stato di grazia
in un mondo affascinante quanto dolente, molto vicino però ai temi della
quotidianità. Non essendo presenti particolari situazioni che ne forniscano un
chiaro "etichettamento", (come la presenza di persone in
calzamaglia o una rappresentazione esagerata dell'azione) il film può essere
visto come un cinecomic allo stesso modo in cui può essere visto come una
pellicola strettamente thriller/drammatica. A livello di ritmo ho trovato la
prima parte più lineare e la seconda un poco più frammentata. Avrei forse
apprezzato un cambiamento nel personaggio più graduato. Non credo di aver
riscontrato altri problemi e per lo più le opinioni qui espresse hanno a che
fare con il mio gusto personale e non con reali difetti di una pellicola che,
senza troppi giri di parole, sta dalle parti del capolavoro.
Talk0
Tutto abbastanza condivisibile, ma io continuo a preferire il Joker di Heath Ledger, che era puro caos, senza un perché. Il perché di questo film, indipendentemente dal fatto che non sia originale (ma ci sta in un racconto simile), viene fin troppo spiegato e spiattellato ad ogni scena. Questo, comunque, è l'unico difetto che trovo al film, altrimenti sorretto magistralmente da un Phoenix come si suol dire in stato di grazia, che mi ha trasmesso un disagio e un'inquietudine non indifferente.
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