giovedì 18 gennaio 2018

Un sacchetto di biglie - la nostra recensione





Quando muore una persona buona, il film ci dice, non bisogna essere tristi, perché si accende una stella nel cielo. Le stella sarebbero le luci che illuminano la notte, stanno al di sopra di noi piccoli e problematici uomini, sono bellissime, ma proprio per la loro riconoscibilità sono state usate per tutt'altro. Usate come bersagli nella prima metà del '900, per marchiare le persone, come si faceva a fuoco nel medioevo, in ragione della loro appartenenza a una stirpe considerata per alcuni inferiore, nemica, sporca. Ma c'è qualcuno che nonostante questo truce e problematico risvolto ama comunque le stelle. Un bambino qualunque francese che è disposto a offrire un intero sacchetto di biglie, il tesoro dei tesori di ogni bambino, pur di avere in cambio proprio quella stella di stoffa a sei punte che il suo compagno di classe Jojo (il più piccolo e bravo Dorian De Clech) è costretto a portare in quanto "ebreo". A scuola essere ebreo era considerata una cosa brutta, qualcosa che ti faceva attirare i pugni. Una cosa anche strana, perché in fondo Jojo è sicuro che era "ebreo pure ieri!!" e per questo non lo avevano mai menato! Ma quelle biglie regalate sono davvero il massimo, gli svoltano la vita!! Jojo potrà farci cose incredibili tra le strade di Parigi. Sono così tante e così performanti che magari potrà anche avere la meglio nelle sfide sempre più impegnative che gli propone suo fratello Maurice (l'altrettanto bravo Batyste Fleurial). C'è un altro oggetto, dopo la stella di stoffa e il sacchetto di biglie, che nel film di Christian Duguay a un certo punto fa capolino e viene descritto nel particolare. È la fibbia argentata della cintura di un soldato tedesco, che riluce dell'inclusione "Gott mit uns", cioè "Dio è con noi". Un biglietto da visita a corredo degli ampi sorrisi dei nazisti che stanno per farsi tagliare "incautamente" i capelli, presso un negozio del barbiere giudaico. Non sarebbero certo entrati se Jojo e il fratello non gli avessero nascosto, per scherzo, mettendosi davanti, il cartello sulla nazionalità degli esercenti. Ma in fondo i tedeschi in quel momento erano solo di passaggio in Francia, che mai poteva accadere per uno scherzo innocente? Ogni oggetto, che sia una stella di stoffa, delle biglie o una fibbia, può avere significati diversi e strani a seconda dell'osservatore. Un sacco di biglie è un film zeppo di oggetti, ce li fa ispezionare, ce li fa ponderare circa il modo giusto di leggerli, quello che in cuor nostro auspichiamo più "umano". Speriamo sempre poi che i "detective crucchi" non imbrocchino la soluzione ai mille enigmi che la loro "pulizia etnica" impone da quel momento in cui cessano di essere in Francia "solo dei turisti eccentrici". E sono molti gli oggetti su cui i nazisti con tutta la loro pignoleria tedesca si interrogano,  per scovare la presenza di ebrei. C'è un violino, che ad orecchio per un militare suonerebbe "le musiche dei giudei", indicandone la presenza nelle case in ispezione, nascosti dietro le pareti. Ma il tedesco che ha questa intuizione in fondo non è sicuro se vengano con quel violino suonate musiche giudaiche o russe. C'è o ci dovrebbe essere, per sapere se un bambino è ebreo o meno, un certificato di nascita cattolica, che sembra finto ma forse non lo è. Forse per essere più sicuri si potrebbe lasciare aperta una via di fuga a quel bambino, facendo uso di un oggetto-trappola. Una porta aperta verso la libertà che se "colpevole di essere ebreo" quel bambino imboccherà, si troverà dietro una guardia armata. C'è un esame medico che in base alla circoncisione svelerebbe la presenza di ebrei, ma che va in palla se si pensa che anche gli algerini, molto presenti in Francia, praticano anch'essi la circoncisione per motivi igienici. Cosa fare se poi il bambino a cui fai l'esame ti dice proprio: "Sono algerino, anche noi abbiamo il deserto e ci tagliano la mazza a tutti! Cristiani, musulmani... e io a dire il vero non l'ho mai visto un ebreo! Come è fatto un ebreo??". Proprio con questa sottile ironia Un sacchetto di biglie non è solo un film di oggetti, è anche un film che racconta il viaggio vitale ed entusiasta di due bambini, Jojo e Maurice.
Da Parigi a Nizza, per andare a stare dagli zii in un posto più sicuro, dove ci sono i più umani e paciosi soldati italiani. Un tragitto on the road, a piedi, da soli, in cui incontreranno tanta gente normale trasfigurata dal fanatismo, dalla fame e dalla paura. Molti davanti a dei bambini torneranno per poco umani,  ma i fratelli dovranno saper contare su loro stessi prima di tutto, però con la certezza che se uno non riuscirà più a camminare ci sarà comunque il fratello a sostenerlo. Un fratello che lo seguirebbe in capo al mondo, anche se quando tira le palle di neve è sempre sleale. 


Sembra una favola horror questo viaggio verso la costa ma non mancano quindi buon umore e satira. C'è il personaggio assurdo di Bernard Campan, libraio simpatizzante dei tedeschi che continua a ripetere che i francesi hanno come nemico naturale gli inglesi e quindi "che c'entrano questi tedeschi!! Non sono nostri nemici" e cita al contempo Robespierre, Napoleone e il maresciallo Philippe Petain. Piccolo spoiler, i tedeschi perderanno nonostante il suo sostegno. C'è poi il Dottor Rosen (Christian Clavier) un ufficiale medico che rivestirà nella storia un ruolo determinante e difficile per non perdere gli ultimi scampoli della propria umanità. 
C'è tutto un flusso di emozioni che mi cade addosso quando ripenso a questa pellicola così fresca e spontanea ma anche lucidamente critica e che non fa sconti a nessuno, tedeschi e francesi, nazisti e partigiani. Un punto di vista originale sul fenomeno dell'olocausto, facilmente per intensità accostabile a La vita è bella. C'è alla base di tutto un libro autobiografico, bellissimo, scritto proprio dal bambino protagonista di quegli eventi. Un bambino diventato uomo e barbiere, come lo erano i suoi genitori e fratelli, che ha sempre sostenuto, per sopravvivere nel momento più buio della sua infanzia, come tenere stretta in pugno la biglia più preziosa, tesoro di tutti i tesori, fosse come avere in mano la propria vita. Un bambino che ha imparato dal padre (lo straordinario Patrick Bruel), in una scena davvero struggente, come sia alle volte utile uno schiaffo dato a fin di bene, se questo può insegnare a sopravvivere. 
Il romanzo è del '73, l'autore è Joseph Joffo. Ha già avuto una versione per lo schermo nel  '75. Il film mi ha commosso molto, scegliendo come ha fatto, con tanto coraggio, di descrivere senza alcun patetismo l'infanzia di un bambino allegro vissuto in uno dei peggiori momenti storici di sempre. Talk0

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