Perché
esce nelle sale Il ragazzo invisibile: seconda generazione e non un
ipotetico Continuavano a chiamarlo Jeeg Robot? È un interrogativo
affascinante e curioso se si pensa all'incredibile successo, riconoscimento e
amore dei fan che ha scaturito la piccola - grande storia di Enzo Ceccotti da
Torbellamonaca, ladruncolo trasformatosi controvoglia in supereroe dopo essere
scampato a un confitto a fuoco. Il film era piaciuto anche a noi del blog,
abbiamo applaudito e abbiamo pianto, abbiamo apprezzato il punto di vista
originale e la perfetta integrazione del super-hero movie all'interno di un
contesto italiano difficile, credibile e ricco di spunti sociali. Bravi gli
attori, davvero tutti. Dolcissima, sbandata, sognatrice, sexy e fragile Ilenia
Pastorelli, il cuore emotivo del film. Brutale, imponente ma anche in fondo
ingenuo e sensibile Claudio Santamaria, corpo e testa di un eroe atipico.
Sfavillante, egocentrico ed eccentrico, crudele quanto incompreso Luca
Martinelli, un Joker alla cacio e pepe che avrebbe qualcosa da dire anche al
modello originale. Lo chiamavano Jeeg Robot era un film cupo come un temporale,
pieno di sangue e criminali, ma che ogni tanto riusciva ad allontanare le
nuvole e farci godere di intensi raggi di sole. Dalle scene più crude e dallo
humour nero, si arrivava con facilità a toccare altissime vette di poesia e
lirismo. La sceneggiatura di Guaglianone e la regia di Mainetti avevano creato
un mondo visivo e narrativo davvero unico e lo avevano fatto ibridando la
mitologia dei cartoni animati giapponesi, in questo caso il Jeeg di Go Nagai,
con il contesto sociale della periferia romana. Un'operazione che espandeva le
potenzialità e idee di due loro corti precedenti. Basette, che immaginava un
divertente Lupin III di Monkey Punch romano e con il volto di Valerio
Mastrandrea e Tiger Boy, in cui un piccolo ragazzino di periferia trovava la
forza di sopravvivere a degli abusi sessuali indossando la maschera di Tiger
Mask di Kajiwara e Tsuji (per guardarli, Basette si trova su YouTube e
Tiger Boy come extra dell'Home video di Lo chiamavano Jeeg Robot). Da amanti
dei cartoni animati degli anni '70, degli action movie poliziotteschi e dei film
sociali di Elio Petri, Volontè e Pasolini degli anni '70 (c'è una coerenza
temporale nel tutto) non possiamo che amare l'idea di cinema della periferia
supereroistica di Giaglianone e Mainetti. Sono gli anni '70 della nostra
infanzia che trovano un dialogo con il presente. "Roba da
quarantenni", ma non solo comunque. In tempi passati forse non ci saremmo
posti dei "desideri di sequel", ma oggi con in testa gli universi
cinematografici espansi della Marvel con tutti i pupazzetti e videogame che ne
conseguono "ne vogliamo ancora di Jeeg robot". Anche perché Jeeg è un
film di "origini supereroistiche" alla Unbreakable (che guarda caso
sta per ricevere un seguito dopo aver ricevuto uno spin-off, anche se si è
sviluppato il tutto a distanza di anni, in effetti), anche perché, e non saprei
dirlo con parole migliori, nel "cinema italiano i supereroi ci servono".
Negli anni '70 avevano Luc Merenda, Franco Nero, Thomas Milian, Bud Spancer a
combattere sullo schermo la malavita. Con gli anni abbiamo visto sempre di più
film che mitizzano sulla fascinazione del mondo criminale e biografie di
coraggiosi eroi borghesi martiri. È importante, vitale, che la Storia venga
rappresentata al cinema, anche se romanzata, perché la sua importanza non si
perda e perché, come direbbe il nostro amato Alan Moore, le idee possano più a
lungo essere "a prova di proiettile" (V per Vendetta, cit.). Ma tra
i vari Gomorra, Suburra, Romanzo Criminale possiamo una volta, almeno nel solo
mondo della finzione cinematografica, avere un eroe (ma ci basta un
"quasi eroe" come Ceccotti) che può vincere sul male, raccontando la
quotidianità italiana, senza rimetterci la vita? Certo sarebbe bello,
sarebbe economicamente interessante, sarebbe socialmente (su questo tasto
pigio molto oggi) importante. Ma si può fare davvero Jeeg 2, almeno in tempi
brevi? Mainetti non ne ha molta voglia. A un giornalista del Fatto Quotidiano
tempo fa ha raccontato di come fosse stato molto difficile produrre il primo
Jeeg e di come al momento sia in cerca di altri stimoli. Non è che si
escludessero possibilità future, ma il regista riportava di come il suo incontro
con il regista indiano Anurag Kashyap lo avesse spronato a non accontentare per
forza e subito i fan di Jeeg se ancora non ha trovato il modo giusto di
raccontare la prossima storia o se più semplicemente non vuole farlo. Certo
Mainetti è giovane, ha avuto un grande e meritatissimo successo che oggi gli
permette di avere più libertà creativa ed è giustissimo che sfrutti oggi questo
suo nuovo status, per lui Jeeg 2 può aspettare per un attimo da parte. Lo
sceneggiatore Guaglianone, autore anche dell'interessante Indivisibili di De Angelis, del nuovo Benedetta follia di Verdone (sempre con la Pastorelli) e del remake Sono tornato di
Miniero (di cui dovremmo aver già pubblicato o presto pubblicheremo il
trailer) quando intervistato da Francesco Alò di Bad Taste ripete più volte lo
stesso concetto, che francamente ci fa sempre cadere per terra le
braccia, che in sostanza è: "Sto crescendo, preferisco fare altro per il
momento". Ma è davvero così inimmaginabile vedere un sequel di Jeeg?
Proviamo, senza troppe pretese, a giocare un po' con l'immaginazione e la
citazione. È di fatto legittimo pensare, senza fare spoiler, che il primo film
funzionasse su degli equilibri che giocoforza non possono essere replicati nel
seguito, perché alla fine della pellicola sono mutati in modo (quasi)
incontrovertibile. Serve trovare un nuovo intreccio, che automaticamente
deve muoversi in altre direzioni, ma soprattutto occorre fare attività di World
building. La domanda delle domande è chi ha buttato in acqua la sostanza
radioattiva da cui derivano i poteri di Ceccotti. La risposta più interessante
sarebbe che non è stato un caso, ma un esperimento che magari voleva studiare
prima una mutazione nei pesci e che occasionalmente ha mutato un essere
umano che ora stanno comunque monitorando. Creata questa "società
segreta", non è detto che i suoi membri si rivelino subito, perché
potrebbero benissimo giocare a disseminare Roma con altri barili gialli
radioattivi. Sarebbe interessante magari che si occupassero di creare un
avversario di Ceccotti diverso dallo Zingaro di Marinelli. Se lo Zingaro
serviva a Ceccotti come linea di demarcazione tra il criminale che era e quello
che non voleva essere, si può lavorare specularmente costruendo un personaggio
che sia una linea di demarcazione sull'uomo di giustizia che è e che non
ritiene di voler essere. Chi potrebbe essere?
La prima volta che ho sentito
nominare Lo chiamavano Jeeg Robot ho pensato, in modo anche triviale, al
personaggio di Mazinga del film ACAB di Solimma tratto dal romanzo di Bonini.
"Mazinga" era il soprannome del poliziotto della Celere interpretato
da Marco Giallini e il film aveva tantissimi spunti sociali e ambienti della
periferia romana che ho poi ritrovato anche in Jeeg. A un certo punto sul finale
di Jeeg, durante la scena ambientata allo Stadio, ho pure immaginato come negli
storici film di robottoni Nagaiani anni '70, che Jeeg incontrasse Mazinga e
partisse un team-up contro lo Zingaro. Sembrerebbe una cosa davvero
"buttata lì", "Jeeg contro Mazinga", ma il personaggi di
Giallini potrebbe davvero essere il contraltare perfetto di Ceccotti,
diversissimo ma con comunque dei punti in comune e una storia tragica e
complessa alle spalle. Trovato così una eminenza grigia e un possibile
"candidato ai bidoni gialli", si potrebbe costruire tutto un
sottobosco mediatico sulla leggenda urbana di Jeeg, magari dei creepy pasta
sullo stile di Jeff The Killer. Jeeg esiste, la televisione ne ha parlato e
magari qualcuno lo ha pure visto. Già nel primo film qualcuno lo aveva
"graffitato" nel celebre atto di sradicare il bancomat e ora, a
diversi mesi di distanza, le nuove gesta di Jeeg, vere o presunte, potrebbero
essere raccontate sui muri della periferia e nelle canzoni rap, avere dei
gruppi di discussione Facebook, generare imitatori (e approfittatori a
pagamento) alla Kick Ass. Ceccotti potrebbe pure riuscire a
costruirsi una rete di aiutanti, magari pescando da laureati disoccupati della
Sapienza come quelli visti in Smetto quando Voglio. Magari qualche ingegnere potrebbe
pure dotarlo di una trivella rotante per aprire le cassaforti: "Flavia,
lanciami i componenti!!". Poi ci possono essere infiniti cattivi, dai più
"classici" in stile Suburra ai vecchi pazzi, potenti ed eccentrici
che vivono tra le campagne come il Peppe Servillo di Paura (che è un villain
fantastico per interpretare la gerontocrazia italiana) dei Manetti Bros o il
girone dantesco dei distinti frequentatori dei club privati stile Tulpa
di Zampaglione (su soggetto non a caso dal Dardano Sacchetti di mille
poliziotteschi anni '70). C'è però un bel problema dietro a tutta questa
magari poco fantasiosa ma entusiasta storiella da me buttata giù in sei righe.
Manca la donna. La Pastorelli era il cuore emotivo della prima pellicola e
nell'ipotetico seguito per motivi di trama non può che avere un ruolo diverso.
Personalmente io amerei vedere utilizzata una tecnica usata da Michele Soavi in
Dellamorte Dellamore sul personaggio della Falchi. Mi piacerebbe che Ceccotti
tornasse in quel centro sociale dove parcheggia il personaggio di Ilenia
nell'ultimo film e la "reincontrasse" in qualche modo. Mi piacerebbe
che in quel centro incontrasse anche un bambino, come quello del corto Tiger boy di Mainetti e Guaglianone, con indosso però una maschera
di Jeeg.
Tutta
questa è pura fan-fiction, un riciclo di idee già viste che ho messo insieme
con un piccolo goccio di passione per giocherellare un po' con voi. Guaglianone
e Mainetti invece, come sanno fare i grandi autori, ci hanno portato con la
loro arte in un posto nuovo e magnifico, e spero che possano continuare a farlo
in tutti i loro progetti futuri, a cui fin da ora aspettiamo impazientemente di
assistere. Lo chiamavano Jeeg Robot trova il suo senso più profondo nel
veicolare il messaggio che chiunque, anche la persona più improbabile,
emarginata e riottosa, può fare del bene e trovare felicità nel farlo. Può
succedere anche in Italia, anche se, come ho scritto sul post su Smetto quando
voglio, non siamo un paese che crede troppo ai supereroi. Scetticismo genetico
italico a parte, anche se non ci venisse ribadito 38 volte in più seguiti
questo concetto che "dalle grandi difficoltà possono nascere a volte
grandi poteri " (l'ottica Ceccotti dello Spiderman-pensiero), il
messaggio non perderebbe un grammo della sua potenza. I fan ora sono liberi di
scrivere tutte le storie che vogliono sul mito di Jeeg di Torbellamonaca, e
speriamo non arrivino mai a rompere le palle ai registi per le loro idee
creative come invece "certi fan" non possono evitare di fare. È
bello giocare con dei personaggi immaginari, non bisogna arrivare ad
arrabbiarsi. Cari Guaglianone e Mainetti, grazie per il giro di giostra, per le
risate e le lacrime e per ora arrivederci ai vostri prossimi lavori.
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