Siamo sulla pista di decollo di un
aeroporto dei giorni nostri. Ray Torrace (Gerald Butler) è il pilota di linea
del Trailblazer 119, un piccolo aereo che prima di partire già si trova con
tanti problemi. Il primo problema è che si tratta di un aereo vecchissimo e
cigolante. Il secondo è che per l’aumento del costo del carburante il pilota
dovrà seguire una rotta che punta al risparmio, in pratica cercando di usare le
correnti ascensionali come un aeroplanino di carta, abbassando il comfort
generale di bordo e stimolando una allegra “vomitarella”. Il terzo problema è
che per questioni di pubblica sicurezza sull’aereo dovrà viaggiare un
detenuto pericolosissimo di nome Louis Gaspare (Mike Colter), un super terrorista
con competenze militari che neanche Rambo, accompagnato da una guardia con i
nervi non troppo saldi che si è portato una pistola nel posto passeggeri ed è
sempre attaccato al cellulare. Il meteo prevede un temporale spaventoso, ma non
è una grande sorpresa nel contesto generale. È capodanno e il fatto di dover
fare un volo di sei ore mentre tutti stappano lo spumante abbassa l’umore
generale a bordo, con tutti che tirano fuori le foto di figli e parenti lontani
o defunti, piangono, ricordano e innalzando al massimo il fattore “sfiga”. Ray,
che è di origine scozzese e di scorza dura, su tutto questo “clima” ci scherza
sopra: prima della partenza, al microfono, aggiunge che non ha mai volato su
quel tipo di aereo e userà il libretto di istruzioni in tempo reale, andando
per tentativi. Poi l’aereo incredibilmente decolla, ma ecco che arriva la
tempesta, che incasina la strumentazione e costringe a volare sotto una nebbia
che si taglia con il coltello. Ray schiva le onde di pioggia come si fa
con il windsurf, mentre a bordo qualcuno inizia a sentirsi poco bene. Poi il
pilota scozzese incappa in una pioggia di fulmini che neanche Mazinga e c’è
poco da fare: l’aereo subisce un blackout totale a 40.000 metri. Tutti iniziano
a volare male a gravità zero, con la guardia che per prendere il cellulare si
slaccia la cintura e inizia a sbattere contro le cose e le persone, provocando
delle vere tragedie. Un’ottima pubblicità progresso per chi oggi non riesce a
staccarsi dal proprio telefonino, del tipo: ”la guardia sarebbe viva e vegeta
se non si fosse distratta con il cellulare durante un incidente aereo, perché
alla guida ci poteva essere Gerald Butler”. E infatti “Ray c’è”. Ray è
calmissimo, quasi annoiato. Dice a tutti di non fare casino, sistema i comandi
e le spie e stabilizza l’aeroplano fino a che si attiva il generatore di
emergenza. Bisognerà atterrare da qualche parte fuori rotta ma va bene, la
fortuna ha voluto che si trovassero sopra un isolotto. Un motore perde benzina
ma va bene, perché c’è l’altro motore che va ancora. L’isolotto è pieno di
alberi su cui schiantarsi male ma va bene, perché una stradina per appoggiare
un aereo Ray la trova sempre e se non la trova scende, disbosca una foresta con
un coltellino svizzero, risale e poi atterra. Così Ray atterra senza problemi,
ma atterra su un isolotto pieno di terroristi dai tratti asiatici con i capelli
lunghi e gellati come nel musical Hair. I terroristi rapiscono tutti ma va bene
così, perché Ray era in quel momento da un’altra parte e insieme al detenuto/terrorista
che pare Rambo, che dopo aver parlato con lui diventa mite e collaborativo,
parte al salvataggio. Nel frattempo alla sede della Trailblazer cercano di
capire che fine ha fatto l’aereo e mandare eventualmente dei soccorsi. Riuscirà
la compagnia a salvare i passeggeri o ci riuscirà prima da solo Ray?
Il regista francese Jean-Francois Richet
esordiva alla regia nel 1995 vincendo un premio César come miglior opera prima.
Nel 1997 con la sua opera seconda raccontava il disagio e la rabbia dei
quartieri poveri e multietnici di Parigi, prendendo spunto dalla celebre
rivolta delle banlieues, con uno stile che è stato paragonato dalla critica al
capolavoro di Mathieu Kassovitz L’odio. Poi scopriva il cinema di genere, in
una parabola simile a quella di Lee Tamahori che sarebbe passato dal film di
denuncia sociale Once were warriors ai film di 007. Dirigeva così nel 2005 il
remake di Distretto 13 - le brigate della morte di John Carpenter, mettendoci
dentro delle suggestioni della sua seconda pellicola, suggestioni molto simili
a quelle presenti in una celebre pellicola action-futuristica prodotta da Luc
Besson nello stesso periodo: Banlieue 13. Poi Richet tornava a raccontare
un pezzo di storia francese con il dittico di film biografici sulla vita del
gangster Jacques Mesrine interpretato da Vincent Cassel. Con Nemico pubblico
n.1, Richter incassava ai Cesar il premio per la miglior regia (e Cassel
il premio a migliore attore) e subito dopo tornava a all’action, dirigendo Mel
Gibson nel 2016 nel ruolo di un gangster fittizio in Blood Father. Dopo 7 anni
da Blood Father, Richet dirige The plane.
L’attore scozzese Gerald Butler iniziava
la sua carriera come attore teatrale, ottenendo una parte nel Coriolano di
Shakespeare e poi in una trasposizione di Trainspottig. Esordiva al cinema in
un film in costume diretto da John Madden nel 1997 e dopo alcune pellicole in
cui avrebbe alternato adattamenti di Checov (Il giardino del ciliegi del
1999) a film di 007 (sarà il cattivo in Il domani non muore mai) e dato vita a
un interessante ma sottovaluto Dracula (Dracula 2000), nel 2001 riceveva lo
Spirit of Scotland Award per il cinema. Il successo internazionale sarebbe
arrivato però dal 2002 con un action, al fianco di Angelina Jolie: Tomb Raider
la culla della vita. Butler da allora alternava ruoli leggeri a interpretazioni
“di stampo più teatrale” come il musical Il fantasma dell’opera e il suo
Leonida in 300. Poi passò dalla commedia e all’action, genere in cui divenne
presto un nome di riferimento. Ma nel 2011 tornava di nuovo interprete in una
rappresentazione del Coriolano, questa volta cinematografia, al fianco e per la
regia di Ralph Fiennes (Coriolanus). Allo stesso modo, di recente nel
2018 è passato dalla serie action di successo Attacco al potere a un film
intimista, quasi alla Eggers con The Vanishing - il mistero del faro (che di
fatto ha anticipato di un anno The Lighthouse di Eggers, pellicola con cui ha
tantissimi punti in comune a partire dalla fonte, una storia di cronaca di
inizio ‘900 che ha ispirato anche Il faro di Edgar Alan Poe). Oggi Butler e
Richet sono entrambi a bordo di The Plane, fortemente voluti dal produttore
specialista in pellicole action Lorenzo di Bonaventura. Lorenzo di Bonaventura
che esordiva alla produzione con Four Brothers, un film action di John
Singleton: un altro regista che dai film impegnati come Boyz n the hood (1991)
e Poetic Justice (1993), film di denuncia sulla condizione delle persone di
colore in America, nel 2000 passava all’action proponendo la sua versione del
personaggio-icona della blackspoitation Shaft, che sarebbe stato incarnato da
Samuel Jackson.
The Plane è a tutti gli effetti il perfetto rappresentante di un cinema leggero, volto al puro intrattenimento e all’escapismo. Una pellicola confezionata con cura e amore da persone che maneggiano la materia, si divertono a hanno deciso di offrirci un’oretta e mezza di botti ed esplosioni, una storia semplice e dritta da cui possiamo aspettarci esattamente quello che immaginavamo dal trailer. È un cinema quasi rilassante, con al centro un Gerald Butler che quando vuole è l’action hero rilassante per antonomasia. In Wolf Call, Butler guidava sottomarini atomici scendendo nelle profondità artiche per affrontare un nemico implacabile, sereno e sicuro, tenendo le mani incrociate. La stessa sicurezza che Butler ci trasmette in questo The Plane, in cui sappiamo che la storia finirà bene dal primo minuto in cui ci sediamo in sala con i pop corn, con la stessa tranquillità come ci siederemmo su un aereo pilotato da lui anche sotto la tempesta, anche in balia dei terroristi, anche nella bocca di Godzilla. Butler saprebbe affrontare ogni evenienza, magari togliendosi a un certo punto la divisa da pilota e imbracciando un mitra: andrà tutto bene. In un mondo in cui dire “andrà tutto bene” non è per niente scontato, nei film di questo tipo con Butler lo è. Sia Richet che Butler se vogliono possono raccontarci del disagio dei quartieri di periferia, quanto rappresentare Checov e Shakespeare, ma qui vogliono solo farci divertire. In questa semplicità il film riesce: la storia è perfettamente quadrata, gli stunt-man fanno il loro lavoro, i personaggi sono simpatici, il comparto tecnico audio e video è ben realizzato, le scene d’azione sono tante e divertenti, il finale è gioiosamente esagerato. Molto simpatico nel ruolo di Gaspare Mike Colter, un attore che pure lui, guarda il caso, ha esordito con Clint Eastwood per poi diventare il supereroe Luke Cage nella serie tv Marvel. Preparatevi a un’ora e mezza di aeroplani che volano nella tempesta, pistolettate e “amicizie virili”. Un po’ come succedeva nei vecchi film di Bud Spencer e Terence Hill.
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