domenica 29 gennaio 2023

Decision to Leave: la nostra recensione del nuovo film dell’autore di Old Boy, Park-Chan Wook, con protagonisti Park Hae-Il e Tai Wei

 


Siamo in una grande città della Corea del Sud dei giorni nostri. Il più giovane Ispettore della prefettura centrale è l’investigatore Jang Hae-Joon (Park Har-Il), un uomo scrupoloso quanto accorto, coraggioso e ligio al dovere quanto sensibile, empatico. Un uomo che per tutti avrebbe fatto tanta strada. Le indagini hanno portato Jang Hae-Joon a occuparsi di una giovane ragazza di origine cinese sospettata di omicidio, che di professione è un’infermiera che assiste degli anziani, Song Seo-Rae (Tai Wai). L’ispettore la torchia sorvegliandola giorno e notte assiduamente, fino a dormire in macchina sotto casa sua. Ma senza mai apparire invadente, senza mai giudicarla e mostrandosi anzi carino in ogni circostanza. Anche quando deve interrogarla alla centrale, l’ispettore si ritaglia del tempo per pranzare con lei nell’ufficio delle indagini, ordina il migliore cibo da asporto e alla fine le porta pure uno spazzolino, monouso, per lavarsi i denti. Per Song Seo-Rae è un comportamento da uomo gentile e “di altri tempi”, simile agli eroi degli sceneggiati in costume della televisione che segue per imparare il coreano. Un uomo decisamente migliore di quello che era suo marito: un funzionario dell’immigrazione manesco e corrotto che parlava tutto il giorno solo della sua unica passione: la montagna. Gli aveva voluto bene quando lei era diventata l’oggetto principale del suo lavoro: quando aveva fatto accertamenti su di lei dopo che da immigrata clandestina era arrivata in Corea su una nave, rischiando la vita. Ma quell’amore si era presto spento. Da una montagna infine era caduto, forse spinto da qualcuno o forse “caduto da solo”, suicida, per il senso di colpa di essere stato colto con le mani nel sacco per delle somme di denaro illecite. 

La donna appare all’ispettore sollevata e attenta, mentre lui le racconta le dinamiche della morte. Vuole vedere le foto delle rilevazioni, ascoltare ogni dettaglio, fare domande e deduzioni. Song Seo-Rae per Jang Hae-Joon  possiede un modo di pensare simile al suo, in grado di seguirlo nei medesimi percorsi mentali. Forse lei può capirlo più della moglie e  magari aiutarlo nel suo lavoro. Un giorno l’ispettore arriva a mostrarle le foto di alcuni casi su cui sta indagando e la donna effettivamente gli fornisce lo spunto per trovare un assassino. Per Jang Hae-Joon di sicuro non può  essere lei la colpevole dell’omicidio del marito: è una donna intelligente, troppo onesta e gentile, che la sera si occupa di vecchietti e di giorno guarda in tv sceneggiati per imparare una lingua che mastica ancora poco. La comunicazione tra i due è stimolante anche per via di questa differenza linguistica. La donna quando deve esprimere dei concetti complessi parla in cinese, con un programma di traduzione del cellulare che successivamente traduce ogni frase in coreano con una voce meccanica. Spesso trovano utile e rapido scambiarsi dei messaggi scritti e vocali, che però riascoltano e conservano, cercando di capire “le parole più complicate” che nella rispettiva lingua non esistono. Diventa presto un rapporto modo simile a una relazione epistolare, con  la voce meccanica del traduttore vocale che ogni tanto si pone tra i due come “nuncio”, come un valletto che riferisce le comunicazioni negli sceneggiati in costume. Ogni tanto i due fantasticano immaginandosi vestiti con degli abiti tradizionali. Sembra amore. Poi l’indagine prende una piega strana e l’ispettore viene mandato in esilio nella provincia, dove l’incarico più eccitante  sembra occuparsi dei furti di testuggini marine compiute da degli estemporanei ladri in bici. 


L’ispettore sembra caduto in una profonda depressione e la moglie lo sente sempre più distante, così evanescente da essere poco interessante. Poi però un giorno, al mercato, quella sospettata di origine cinese torna nella sua vita. Cercando di ricucire una relazione dai contorni sempre più strani, inquietanti, quasi impossibili. Una relazione che per lei può  essere possibile e appagante solo se l’ispettore tornerà ad avere nei suoi confronti le stesse attenzioni che le dedicava quanto la riteneva colpevole di omicidio, quando era l’oggetto principale del suo lavoro. 

Il regista Park-Chan Wook, torna nelle sale con un thriller psicologico con protagonisti la magnifica Tang Wei (che ha esordito nel 2007 in Lussuria di Ang Lee) e il divo Park Hae-il (che abbiamo visto in Memorie di un assassino, di Bong Joon-ho). È una storia che all’inizio sembra portarci nei territori di Attrazione Fatale e Basic Instinct, ma che presto vira e prende la forma di un elegante e raffinato, ma anche parecchio surreale, gioco platonico sullo stile di In The mood of love di Wong Kar-Wai. Un In the mood of love quindi “fieramente targato” Park-Chan Wook, pervaso dalle sue tipiche invenzioni visive folli e dal suo animo narrativo metamorfico. È un film che nel raccontare questa strana relazione sentimentale passa con grazia e sprezzo del pericolo dal thriller all’action, dal dramma sentimentale al comico e infine arriva al melodramma “enorme e simbolico/pittorico”, senza perdere mia una sua identità e anzi rendendo i personaggi sempre più interessanti e sfaccettati. Sul campo delle invenzioni visivo/narrative accennavamo sopra al peculiare “linguaggio” misto cinese/coreano che la coppia cerca di incastrare in un continuo “lost in translation”, attraverso traduttori vocali e messaggi registrati (che è qualcosa di molto originale e affascinante), come abbiamo accennato alla passione dei due per gli sceneggiati in costume, ma il regista non si limita certo a questo. Veniamo lanciati in un caleidoscopio fatto di omicidi in free climbing (con indagini in free climbing tra il realistico e il surreale), testimoni/vecchietti reticenti amanti di una stessa canzoncina tradizionale (“La nebbia”, che sentiremo più volte), tartarughe di mare rapite che mordono, guanti in maglia di ferro per gli scontri all’arma bianca che sembrano in dotazione standard nella polizia coreana. Poi una marea di “passioni strane”. La passione strana per gli spazzolini monouso (che magari in Corea è una cosa normalissima portarsi in tasca pronti all’uso degli spazzolini monouso verdi), la passione strana per il burro cacao a uso erotico (da usare per metterlo sulle labbra del partner), la passione strana per gli strumenti di rilassamento per il sonno stile bombole di ossigeno (…) e poi il top: quella serie di feticismi correlati che potremmo far rientrare nella categoria “feticismo del detective/indiziato”. Che è tutto un “annusarsi e ispezionarsi a distanza”: con l’ispettore che guarda il cestino dei rifiuti e si immagina l’indiziata che fa il the, con l’indiziata che quando parla al telefono se lo immagina come davanti a sé ma con la voce del cellulare, con i due che si mettono le manette per tenersi la mano come fossero anelli nuziali. Sono tutte idee che basterebbe per cinque film ma che il regista di Old Boy elargisce tutte insieme, dando alla pellicola un sapore tutto particolare che i due ottimi interpreti riescono a cogliere e gestire con gusto e originalità. Il film ha una durata sulle due ore, ma le continue sorprese messe in campo rendono la visione molto fluida, sempre in attesa di qualcosa di nuovo. Bellissima la fotografia, che passa dalle luci fredde della metropoli ai colori caldi/ tenui di un villaggio di provincia per arrivare al gelo di un mare notturno, rappresentato in modo quasi magico ed epico con onde giganti come nei quadti di Hokusai. 


Decision to leave è il nuovo film di un regista che ha una visione gioiosamente olistica del cinema e non vuole farsi incasellare, capace di passare dalla sua celebre Trilogia della vendetta (Mr Vendetta, Old Boy, Lady Vendetta) al sexy horror vampirico (Thrist), a una  fantascienza  gentile (I’m a cyborg but It’s ok), al racconto erotico in costume (Mademoiselle), al noir americano Hitchcockiano (Stoker). Un esploratore dei generi che in ogni sua opera infonde “contaminazioni di genere” di ogni tipo, ardite quanto originali. Decision to leave continua questa gioiosa tradizione, riuscendo a coinvolgerci e sorprenderci con idee sempre interessanti e con un’ottima coppia di interpreti. Qualcuno vorrebbe Park-Chan Wook solo relegato “ai thriller”, specialmente dopo aver visto Old Boy e non avendo capito che in Old Boy c’erano dentro almeno sessanta generi di film diversi, tra cui il thriller. Noi siamo contenti che esistano ancora registi così ricchi di immaginazione e stile e non possiamo che consigliarvi caldamente la visione di questa nuova opera di Park-Chan Wook. Non vedrete più allo stesso modo delle manette, le dolci tartarughe marine e le buche sulla spiaggia che fanno i bambini. Questo è il potere del cinema. 

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